Contributo alla misurazione della distanza fra trust “inesistente in quanto interposto” di fonte amministrativa e le ipotesi di trust civilisticamente invalido: le figure dello sham trust e dell’illusory trust

Di Angelo Contrino e Filippo Merlo -

Abstract

Prendendo spunto dalla circolare n. 34/E/2022, ove l’Agenzia delle Entrate ha espresso la tesi che i beni intestati al trustee di trust «inesistenti in quanto interposti» siano soggetti al tributo successorio al decesso del preteso disponente, nel saggio si analizzano, dalla prospettiva civilistica, i concetti di sham e illusory trust, evidenziandone tanto gli elementi costitutivi quanto gli aspetti ancora incerti, per porre in luce che la figura degli emerging trust costituisce condizione ostativa all’applicazione del tributo successorio. Tutto ciò senza mancare di evidenziare che le fondamenta teoriche degli illusory trust sono ancora incerte, soprattutto a causa dell’indefinita estensione dei poteri che il disponente può validamente avocare a sé (reserverd powers), sia secondo la legge applicabile, sia ai sensi della nozione convenzionale di trust.

Contribution to the measurement of the distance between the case of “non-existing as interposed” trust (elaborated by the Italian tax administration) and the case of void trust: the cases of sham trust and illusory trust – In the Circular letter No. 34/E/2022 the Italian tax authority expresses the view that the non-existing as interposed’ trust shall be subject to the estate taxes upon decease of the purported settlor. In this contribution the authors confute the equivalence between non-existing trust and interposed trust and rebut the asserted consequences in terms of estate taxation of the assets held through any interposed trust. The analysis, conducted from the trust law standpoint, examines the sham trust and illusory trust concepts, exploring their foundations and their uncertain boundaries. In particular, both the sham and illusory trusts could result in emerging trusts which should prevent the application of the estate taxes. Nonetheless, the illusory trust approach is still unsettled, especially by virtue of the unclear extent of the settlor’s reserved powers, both under the applicable trust law and the trust definition set out by art. 2 of the Hague Convention.

 

 

Sommario. 1. Le ragioni della criticabile posizione dell’Agenzia delle Entrate in punto di trust “inesistente in quanto interposto”. 2. Sulla necessità di esaminare le figure di sham e illusory trust per misurare la distanza tra la figura di trust “inesistente in quanto interposto” proposta dall’Agenzia e le ipotesi in cui è ravvisabile un trust civilisticamente invalido. – 3. Sham trust: nozione e profili dimostrativi. – 3.1. Le peculiari problematiche della sham doctrine nel contesto dei trust. – 3.2. Le conclusioni, per punti e spunti, che è possibile trarre dall’analisi svolta. – 4. Illusory trust: concetto, fondamenti teorici ed elementi critici. – 4.1. Sul primo test: insufficient equitable disposal. – 4.2. Sul secondo test: difetto di irreducible core of obligations. – 4.3. Sul terzo test: tantamount to property. – 4.4. Spunti ricostruttivi in tema di illusory trust (quale figura complessa sul duplice piano teorico e applicativo). – 5. Sham trust, illusory trust e reserved powers: un quadro di sintesi. – 6. Conclusioni: inutilizzabilità in termini assoluti delle espressioni ‘trust inesistente in quanto interposto’ e ‘interposto in quanto inesistente’.

1. Il paragrafo 3.4 della circ. 20 ottobre 2022, n. 34/E, illustra il regime tributario dei trust interposti, ribadendo, da un lato, il principio di imposizione dei redditi in capo all’interponente residente e sostenendo, dall’altro, che i beni «formalmente nella titolarità del trust» debbano essere ricompresi nel di lui attivo ereditario[1].

La circolare non si sofferma sul concetto di “trust interposti” ma rinvia alle posizioni espresse nella precedente circ. 27 dicembre 2010, n. 61/E, con cui è stata introdotta la figura del “trust inesistente in quanto interposto[2].

In essa – lo si ricorda – l’Agenzia identifica quale elemento essenziale del trust «l’effettivo potere del trustee di amministrare e disporre dei beni a lui effettivamente affidati dal disponente», per concludere che si sarebbe in presenza di interposizione se «il potere di gestire e disporre dei beni permane in tutto o in parte [sottolineatura nostra] in capo al disponente». Il medesimo concetto viene ribadito, nella prospettiva del trustee, negando la possibilità che il potere gestionale del trustee «risulti in qualche modo limitato o anche semplicemente condizionato dalla volontà del disponente e/o dei beneficiari». E muovendo da questi criteri di carattere generale, l’Agenzia elenca, a titolo esemplificativo, alcune ipotesi in cui l’esistenza di determinati poteri in capo al disponente o ai beneficiari rende il trustinesistente in quanto interposto”.

Come si è già evidenziato[3], tanto l’affermazione secondo cui il trustee debba essere investito incondizionatamente del potere di gestione ed amministrazione dei beni in trust, quanto la prospettata conseguenza in termini assoluti di inesistenza del trust, appaiono criticabili sotto diversi profili.

Per quanto concerne il primo punto, la premessa argomentativa dell’Agenzia delle Entrate è condivisibile. E infatti, affinché un rapporto giuridico possa essere riconosciuto quale trust nell’ordinamento interno occorre che esso ricada all’interno della definizione di cui all’art. 2(1) della Convenzione dell’Aja (Convenzione), ove è richiesto, inter alia, che «i beni siano posti sotto il controllo del trustee» (cfr. anche art. 2[2][c] Convenzione). Tuttavia, ammettere che il concetto di controllo escluda qualsivoglia ruolo del disponente o di terzi nell’ambito dei poteri gestori e dispositivi del trustee conduce a considerare inesistenti, tra gli altri, i trust revocabili, i trust in cui il disponente sia titolare del potere di veto con riguardo ad alcuni poteri discrezionali del trustee ovvero i trust in cui il trustee debba tenere conto delle indicazioni del disponente.

Tutto ciò contrasta con l’interpretazione generalmente condivisa del modello convenzionale, posto che l’art. 2(3) della Convenzione recita «Il fatto che il costituente conservi alcune prerogative o che il trustee stesso possieda alcuni diritti in qualità di beneficiario non è necessariamente incompatibile con l’esistenza di un trust»: per ciò, si è già sostenuto che debbano essere considerati patologici soltanto i casi di trust in cui il trustee è, in concreto, esautorato dai propri poteri gestori (v. i saggi citati sopra). Inoltre, essa confligge con la posizione espressa da autorevole dottrina di diritto inglese secondo cui «we do not consider that the reservation to the settlor even of very considerable rights and powers would make the trust illusory during the settlor’s lifetime unless the settlor was the absolute owner of the trust property during his life»[4].

In relazione al secondo aspetto, è indubbio che la mancanza degli elementi costituitivi prescritti dall’art. 2 della Convenzione si traduca nell’assenza di effetti giuridici, determinando così l’assoggettamento al tributo successorio dei beni formalmente intestati al trustee al decesso del disponente. Tuttavia, com’è già stato criticamente evidenziato (v. ancora i saggi citati sopra), questa conseguenza non appare prospettabile in tutte le fattispecie di trust considerati interposti dall’Amministrazione finanziaria, contrariamente a quanto ancora di recente è stato ribadito nella Risposta all’interpello n. 176/2023, che ha rettificato la posizione assunta nella precedente Risposta all’interpello n. 796/2021 allineandola alle linee guida espresse nella circ. n. 34/E/2022.

Invero, la conclusione dell’Agenzia delle Entrate è censurabile nella misura in cui disconosce il dato civilistico e i suoi effetti con riguardo a quelle fattispecie di trust che sono ricompresi nella categoria degli “interposti in quanto inesistenti” fornite nella circ. n. 61/E/2010, ma che sono pacificamente valide dalla legge regolatrice e ammesse a pieno titolo al riconoscimento convenzionale.

Gli effetti distorsivi generati dalla tesi seguita dall’Agenzia delle Entrate sono particolarmente evidenti in almeno due scenari ove l’assoggettamento sic et simpliciter all’imposta sulle donazioni dei beni ricompresi nel trust fund contrasta manifestamente con la posizione giuridica degli eredi: il primo si verifica in tutti i casi in cui i beneficiari del trust siano diversi dagli eredi; il secondo si presenta laddove, anche in caso di coincidenza tra eredi e beneficiari, le distribuzioni non siano effettuate alla scomparsa del disponente ma l’an, quantum e quomodo siano rimesse alla discrezionalità del trustee.

2. Per misurare la distanza tra la figura di trustinesistente in quanto inesistente in quanto interposto” proposta dall’Agenzia e le ipotesi in cui è ravvisabile un trust civilisticamente invalido, si rende necessario esaminare le figure di sham e illusory trust, siccome elaborate nel diritto inglese e nelle principali giurisdizioni che disciplinano il trust.

Si tratta di figure distinte nei rispettivi profili strutturali, ma accomunate dall’esito che producono, ossia il superamento, ancorché con metodologie diverse, dell’apparente dato letterale risultante dallo strumento (o atto) e nella riconducibilità al disponente della piena posizione beneficiaria beni intestati al trustee[5]. Nondimeno, in ragione del diverso presupposto su cui si fondano, le relative dottrine sono tra loro complementari: «there is, however, no inconsistency between the finding (…) that the trusts are not sham and a conclusion that Mr Webb’s [n.d.aa.: il settlor] attempts to create the trusts have failed or are defeasable» (Webb v Webb [2020] UKPC 22, para 87) e, per analogia, deve ritenersi vero il contrario.

È doveroso fin da subito evidenziare che la materia è estremamente articolata, sia per l’assenza di criteri giurisprudenziali univoci, sia per la sua trasversalità, in quanto la tematica sham ed illusory si sovrappone alla rilevanza giuridica delle letters of wishes, alle modalità di esercizio dei poteri attribuiti al trustee, alla natura personale o fiduciaria dei poteri che il disponente si è riservato nello strumento (cc.dd. reserved powers), nonché alle disposizioni di esclusione o esonero di responsabilità in capo al trustee. Onde, per ovvie ragioni di sintesi, la trattazione degli aspetti civilistici non potrà che rivestire carattere generale, trascurando le differenze che esistono nelle diverse giurisdizioni e focalizzandosi sui soli casi di interposizione del disponente.

Prima di addentrarsi nella disamina del tema, si rende necessaria una precisazione terminologica.

A stretto rigore, i termini sham trust e illusory trust sono degli ossimori, in quanto paiono individuare categorie specifiche di trust mentre attengono a situazioni in cui il preteso rapporto è inesistente: nondimeno, tenendo in considerazione queste e altre precisazioni che saranno fornite, nel prosieguo si sono comunque utilizzati i due termini per la loro semplicità espositiva e forza evocativa.

3. Nella figura del c.d. sham trust, le parti, all’atto dell’istituzione, intendono vincolarsi a rapporti giuridici diversi da quelli ostentati nello strumento, il quale è un mero artificio volto a creare una falsa apparenza verso i terzi.

Lo sham trust affonda le proprie radici nella più generale sham doctrine che così recita: «acts done or documents executed by the parties to the “sham” which are intended by them to give to third parties or to the court the appearance of creating between the parties legal rights and obligations different from the actual rights and obligations (if any) which the parties intend to create» (Snook v London and West Riding Investments [1967] 2BQ 786, 802).

Come emerge dal passaggio riportato, l’elemento essenziale dello sham risiede nella duplice declinazione dell’aspetto volitivo delle parti: da un lato, i termini dello strumento non sono voluti; dall’altro, le parti intendono generare nei terzi l’erronea impressione circa l’effettività dei rapporti apparenti al fine di celare il contenuto degli assetti giuridici reali. In altre parole, la condotta delle parti, caratterizzata dall’intenzione ingannatoria, si traduce nella stipula di atti (o in condotte) non corrispondenti alla loro effettiva volontà. Da ciò l’osservazione che il termine sham attiene propriamente alla documentazione a supporto del preteso rapporto di trust e non già al trust stesso[6].

In termini probatori, la dimostrazione verte sulle due dimensioni dell’aspetto volitivo.

La verifica della volontà effettiva delle parti richiede l’abbandono dei criteri ermeneutici di interpretazione testuale e oggettiva dello strumento di trust poiché il suo contenuto riproduce termini non voluti. La volontà effettiva deve essere invece accertata ricorrendo a tutte le evidenze estrinseche, inclusa la condotta delle parti precedente e successiva alla stipula dell’atto, che permettano di individuare quanto esse abbiano in realtà convenuto nella fase genetica del rapporto. Come si è evidenziato, l’essenza della sham doctrine risiede nella peculiare metodologia ammessa per individuare la volontà reale, diversa rispetto ai criteri ermeneutici oggettivi utilizzati nell’interpretazione dello strumento. Cionondimeno, tale deroga è consentita solo se e nella misura in cui si intenda dimostrare l’esistenza di un diverso rapporto rispetto a quello ostentato nell’atto[7]. Il secondo aspetto che dovrà essere dimostrato concerne la volontà ingannatoria verso i terzi.

3.1. L’applicazione della sham doctrine nel contesto dei trust pone problematiche peculiari.

La prima è connessa alla natura unilaterale dell’atto di trust.

In un primo tempo, l’unilateralità è stata assunta a fondamento della tesi secondo cui il solo stato psicologico rilevante dovesse essere quello del settlor, mentre la posizione del trustee avrebbe dovuto essere del tutto trascurabile[8]. La corrente di pensiero poi affermatasi prevede che tutte le parti dell’atto debbano tanto condividere la volontà di vincolarsi ad un accordo diverso rispetto a quello ostentato, quanto manifestare una volontà simulatoria. Come espresso in Re Abacus (CI) Ltd (trustee of the Esteem Settlement) ([2003] JRC 092 6 I.T.E.L.R. 368), condizione necessaria per l’esistenza dello sham trust è che «[the trustee] intended that the assets would be held upon terms otherwise than as set out in the trust deed, or alternatively went along with Sheikh Fahad’s [the settlor’s n.d.r.] intention to that effect without knowing or caring what it had signed, and that both parties intended to give a false impression of the position to third parties or the court» (para 59).

Questa conclusione introduce l’ulteriore questione legata alla forma di mens rea necessaria per soddisfare i due test.

Le alternative sono rappresentate dalla volontà specifica ovvero dalla più semplice recklesness, integrata ogniqualvolta una parte agisca assecondando il piano dell’altra, incurante del contenuto dell’atto che sottoscrive.

La tesi generalmente riconosciuta considera sufficiente la recklessness del trustee per stabilire sia la volontà di non obbligarsi alle disposizioni dell’atto sia per provare l’intento ingannatorio (A v A [2007] EWHC 99 [Fam] para 59)[9]. Nondimeno, la recente sentenza di Jersey Cohen and Crook as the Joint Administrators of the Estate of the Late James Donald Hanson v Arbitrage Research and Trading Limited ([2021] JRC319, para 109), pur basandosi sul citato principio affermato in Re Abacus, ha sancito che la dimostrazione della volontà di non obbligarsi alle disposizioni dell’atto è integrata dalla semplice recklesness, mentre la prova dell’intenzione di ingannare i terzi richiede l’evidenza della volontà specifica di tutte le parti dell’atto.

Questo nuovo approccio rende più arduo il superamento dell’onere probatorio giacché non consente di qualificare sham i trust in cui i soggetti diversi dal settlor seguano, con semplice recklesness, il disponente (Cohen and Crook, para 110)[10].

3.2. Dallo svolgimento di questa succinta analisi è possibile trarre una serie di conclusioni, compendiabili nei seguenti spunti:

(a) in ragione della necessità di provare lo stato psicologico di tutte le parti dell’atto, è meno complesso considerare sham il trust autodichiarato, in quanto è sufficiente dare evidenza della sola volontà del disponente/trustee; nei diversi casi in cui il trustee sia un soggetto terzo, è necessario provare anche il di lui coinvolgimento nello sham; la partecipazione dell’eventuale protector, sebbene in linea di principio necessaria[11], appare controversa, perlomeno nei casi in cui il suo ruolo non abbia un’importanza precipua nel rapporto[12];

(b) poiché lo sham trust richiede l’intesa di tutte le parti dell’atto, la sostituzione del trustee iniziale con un diverso soggetto che intenda rispettare le disposizioni dell’atto comporta l’emersione di un trust effettivo, c.d. emerging trust; se invece anche il nuovo trustee è parte dello sham, il trust rimarrà tale (A v A para 45);

(c) poiché le condizioni necessarie affinché un trust sia sham debbono sussistere all’atto della sua istituzione, la validità del rapporto non è compromessa dal trustee che, nel corso della durata del trust, divenga un nominee del disponente, in spregio agli obblighi derivanti dal suo ufficio; lo stesso dicasi nel caso in cui il bona fide trustee iniziale sia sostituito con un soggetto che condivida, con intento ingannatorio, la diversa volontà del disponente. In generale, la massima delle corti di equity «once a true trust of property, always a true trust» preclude la figura degli emerging sham (A v A para 44); la sola eccezione a tale principio potrebbe rinvenirsi nello schema che preveda un iniziale bona fide trustee, sostituito con un nuovo trustee, colluso col settlor, dopo un breve lasso di tempo e prima del compimento di significativi atti gestori[13];

(d) se, nell’ambito di un trust effettivo, disponente e trustee pattuissero che uno o più beni trasferiti in costanza di trust siano detenuti secondo termini diversi rispetto a quelli dedotti nello strumento, si configurerebbe uno sham trust esclusivamente in relazione a tali beni; in ossequio al principio del non emerging sham, i beni antecedentemente trasferiti al trustee sarebbero comunque oggetto di un trust valido[14];

(e) sebbene la condotta delle parti successiva all’istituzione del trust assuma rilevanza nella prova dello sham trust, la semplice circostanza che il trustee attui le istruzioni impartitegli dal disponente, anche in violazione dei termini dello strumento, non implica obbligatoriamente che il trust sia sham.

In primo luogo, come precedentemente indicato, ciò avviene esclusivamente nei casi in cui le condizioni richieste per l’esistenza di uno sham trust siano soddisfatte con riferimento al suo momento genetico (o del successivo trasferimento di uno o più beni: cfr. precedente lett. d). Al di fuori di questa ipotesi, il trustee che violi le disposizioni dell’atto per seguire i desiderata del disponente sarà responsabile per breach of trust.

In secondo luogo, il fatto che il trustee eserciti i propri poteri discrezionali adeguandosi alle volontà del disponente non pregiudica necessariamente la validità del trust qualora le deliberazioni del trustee siano compatibili con quanto disposto dall’atto istitutivo e siano il frutto di una sua decisione ponderata, assunta in buona fede (Re Abacus para 123). A tal riguardo, si tenga a mente che nel processo decisionale del trustee i desideri non vincolanti del disponente possono – e, secondo dottrina autorevole, debbono – essere presi in considerazione dal trustee[15]. In ogni caso, siccome è il contenuto dell’atto nella sua interezza a prevalere rispetto ai desiderata del settlor comunicati al disponente mediante letters of wishes, il trustee non potrà limitarsi alla semplice verifica che questi ultimi ricadano dell’ambito oggettivo (scope) del power. E infatti, non si può escludere che l’esercizio del potere secondo modalità che attuino le richieste del disponente, pur ricadendo nello scope del power, contrasti con lo scopo per cui il potere è attribuito, come indicato o desumibile dallo strumento (è la dottrina della c.d. fraud on the power)[16].

Nondimeno, la circostanza che un trust sia amministrato coerentemente con le disposizioni che lo disciplinano non preclude che il trust possa essere qualificato come sham qualora ne siano altrimenti provati gli elementi costitutivi[17];

(f) laddove il trust fosse dichiarato sham, il rapporto giuridico effettivo si tradurrebbe in una mera intestazione fiduciaria[18].

In questa ipotesi, la conclusione dell’Agenzia delle Entrate di interposizione/inesistenza del trust coinciderebbe con il dato civilistico dello sham trust, proprio perché il preteso trust, ostentato nell’atto istitutivo, è un mero rapporto di facciata. Ne deriverebbe l’imponibilità ai fini successori dei beni formalmente intestati al trustee. Tale conclusione non è contraddetta dalla presenza di attribuzioni patrimoniali operate dal trustee dello sham trust: questo evento non genera un emerging trust; più semplicemente, si tratta di trasferimenti provenienti dalla sfera patrimoniale del disponente [Minwalla v Minwalla, (2005), 7 I.T.E.L.R. par 52] e, come tali, imponibili come donazioni dal preteso disponente al percettore.

4. La figura degli illusory trust attiene ai casi di invalidità di rapporti giuridici che, a prescindere dal nomen iuris attribuito, non soddisfano i requisiti richiesti per l’esistenza del trust in ragione dei diritti che il disponente si è riservato[19].

L’invalidità deriva dall’inidoneità delle disposizioni dell’atto, pur volute dalle parti, a produrre gli effetti tipici del trust: in altre parole, la volontà delle parti è correttamente riprodotta nello strumento, ma è la portata giuridica di tali disposizioni che preclude la creazione di un rapporto di trust. Poiché i termini dell’atto esprimono la reale volontà delle parti, le conseguenze giuridiche delle condizioni in esso dedotte sono l’esito di un’attività interpretativa ispirata a criteri puramente oggettivi, con conseguente irrilevanza della volontà delle parti estrinseca rispetto al contenuto dell’atto stesso, ivi inclusa la loro condotta (JSC Mezhdunarodniy Promishlenniy Bank v Pugachev [2017] EWHC 2426 para 155-169)[20]. Per ciò, l’espressione «true effect of the trust» (Pugachev para 169) è certamente più appropriata nel descrivere la fenomenologia dei presunti trust in oggetto che, per le ragioni precedentemente indicate, saranno comunque definiti “illusory”.

La giurisprudenza e la dottrina hanno fatto ricorso a diversi test per identificare le situazioni in cui i reserved powers inficiano la validità del trust.

4.1. Il primo approccio (insufficient equitable disposal) si basa sulla mancata creazione di un equitable interest a favore di soggetto diverso dal disponente al momento dell’istituzione del trust, con la conseguenza che il disponente rimane titolare dell’intera posizione equitativa rispetto ai beni formalmente intestati al trustee[21].

La fattispecie emblematica è quella in cui il disponente si sia espressamente riservato la posizione di «absolute equitable beneficiary» del trust, che gli attribuisce il pieno godimento dei beni intestati al trustee, ivi inclusa la facoltà di sciogliere il rapporto di trust in qualunque momento ed acquisirne la piena proprietà, nonché obbligare il trustee a trasferirli a terzi da lui designati[22]. È opportuno sottolineare che, per quanto esteso possa apparire il diritto del beneficiario a godere dei frutti o del capitale in trust, non si può parlare di illusory trust laddove la posizione equitativa del disponente non sia assoluta. A titolo esemplificativo, il trust sarà valido laddove la posizione beneficiaria del disponente non sia liberamente trasferibile giacché il suo perfezionamento richieda il consenso del trustee o di un comitato di investimenti (Baird v Baird [1990] 2 All ER 300, p 308). Alla condizione di «absolute equitable beneficiary»è ricondotta quella del disponente di un trust che individui quali beneficiari anche altri soggetti, la cui posizione equitativa è però giuridicamente inconsistente («so squeletic»)[23] ponendo così il settlor nella condizione di disporre e godere pienamente dei beni in trust in conseguenza dei reserved powers[24].

La distinzione tra illusory trust e trust validi in cui il disponente abbia mantenuto alcune prerogative deve tenere in considerazione la circostanza che quest’ultima categoria comprende le fattispecie di trust in cui il diritto dei beneficiari sia estinto dal settlor mediante la revoca del trust ovvero per effetto dell’esercizio di un general power of appointment. In ambedue le ipotesi, il disponente potrà esercitare i rispettivi poteri a proprio esclusivo vantaggio, senza dover tenere in considerazione l’interesse degli altri beneficiari. È tuttavia opportuno ricordare che, per quanto precaria, medio tempore la posizione dei beneficiari è protetta in quanto gli obblighi del trustee nei loro confronti vengono meno solo a seguito della revoca o della nomina di un absolute equitable owner.

Ciò introduce la sottile ma fondamentale distinzione tra «a trustee holding to the order of a settlor and a trustee holding to the order of a settlor only [n.d.aa.: enfasi nel testo originale] if the settlor orders it by exercising a power»[25]: nel primo caso l’atto di trust non fa sorgere alcun diritto equitativo a favore di soggetti distinti dal disponente, mentre nel secondo la posizione di questi ultimi è effettiva, ancorché il settlor possa porvi termine mediante l’esercizio dei propri poteri.

4.2. La tipologia di illusory trust dovuti a insufficient disposal per effetto di reserved powers è spesso associata, sebbene da taluni ritenuta distinta[26], al secondo approccio (difetto di irreducible core of obligations), baricentrato sulla mancanza de «[the] irriducible core of obligations owed by the trustees to the beneficiaries and enforceable by them (…) the duty of the trustees to perform in good faith for the benefit of the beneficiaries is the minimum necessary to give substance to the trust» (Armitage v Nurse [1998] Ch 241, 253).

Come noto, l’ampiezza dei diritti dei beneficiari varia in base alla tipologia di trust. Tuttavia, anche nei trust in cui il contenuto dei loro diritti è più tenue, i beneficiari sono comunque titolari di una serie di posizioni giuridiche protette a cui fanno riscontro gli obblighi del trustee nei loro confronti. Ciò che rende il trust invalido è proprio la presenza delle disposizioni dell’atto che precludono l’insorgere, in capo al trustee, dell’obbligo di adempiere in buona fede alle proprie obbligazioni fiduciarie a vantaggio di tutti i beneficiari[27].

Tale principio è stato confermato da diverse sentenze, che hanno negato la validità dei trust in quanto illusory in base alla peculiare concatenazione dei vari reserved powers nonché alla molteplicità di ruoli ricoperti dal disponente.

Tutti i casi sottoposti a giudizio sono caratterizzati dalla negazione, in capo al trustee, del “irreducible core of obligations”: in sostanza, a prescindere dal fatto che i poteri del disponente siano tra loro diversi, il tratto comune è rappresentato dall’assenza di meccanismi di controllo giurisdizionale sul loro esercizio e, al contempo, dalla mancanza di rimedi giuridici in capo ai beneficiari per arginarne gli abusi.

In Rahman v Chase Bank (CI) Trust Co Ltd ([1991] JLR 103) il giudice ha stabilito che l’art. 10 dell’atto (che obbligava il trustee, nell’esercizio del power of appointment a vantaggio del settlor, ad avere riguardo esclusivamente all’interesse del settlor stesso) «is not only more than a power in the hands of the trustee to ignore the other interests contained in the settlement (as in a discretionary trust) but a direction to the trustee to have regard to the settlor’s interests alone and exclusively [sottolineatura nostra]» (p. 142), onde «if the trustee is asked to give it back, it must; it must be in the interest of KAR [il settlor, n.d.aa.] to have his money when he wants it» (p 146). In Harrison v Harrison ([2008] NZHC 2580), il giudice ha considerato critico il controllo esercitato dai disponenti sul trustee (mediante potere di revoca e di modifica dell’azionariato della trustee company) nonché dei di lui poteri discrezionali, in quanto ciò si traduce nella «ability at any time, without the need to give any reason to the other contingent [sic] beneficiaries [n.d.aa.: sottolineatura nostra], to vest the entire assets of the “trust” to themselves» (para 26). In Re AQ Revocable Trust ([2010] 13 I.T.E.L.R. 260) Ground CJ ha giudicato determinante il fatto che il settlor, che era anche trustee, disponesse del potere di esonerare il trustee da qualsivoglia responsabilità con riferimento ad ogni transazione che egli avesse autorizzato, con la conseguenza che «the cumulative effect of the trust documents, when taken with the de facto situation, means that the Settlor as Trustee could not effectively be called to account» (para 29). In Webb è stata posta particolare enfasi sul potere del disponente di nominare sé stesso quale unico beneficiario, con il che egli avrebbe ricoperto simultaneamente il ruolo di trustee, disponente, unico beneficiario e Consultant (ruolo che gli attribuiva ulteriori poteri). È significativo osservare come la sentenza abbia espressamente enfatizzato che tale potere di nomina non avesse carattere fiduciario in quanto spettante al disponente in tale veste e non nella qualità di trustee (para 83 e 89).

4.3. La terza teoria (tantamount to property) si fonda sulla riconducibilità della posizione del disponente a quella di un pieno proprietario.

Questa elaborazione trae origine dalla decisione in Tasarruf Mevduati Sigorta Fonu v Merrill Lynch Bank & Trust Co (Cayman) Ltd. [2011] UKPC 17 (nel prosieguo “TMSF”).

L’iter logico seguito è basato sulle premesse che «there is no invariable rule that a power is distinct from ownership» (para 60) e che «the powers of revocation are such that in equity, in the circumstances of a case such as this [the settlor] can be regarded as having rights tantamount to ownership» (para 59). Da ciò la Corte ha concluso che l’esercizio del potere di revoca, trattandosi di non fiduciary power, potesse essere delegato al receiver a tutela delle posizioni dei creditori.

Il principio è stato applicato nuovamente in Webb per sostenere l’invalidità del trust poiché «the bundle of rights which he [n.d.aa.: settlor] retained is indistinguishable from ownership» (para 89). Come indicato, attraverso l’esercizio di tali diritti il settlor era in grado di rientrare in possesso dei beni intestati al trustee. Anche in questo caso, comunque, è stato esplicitamente notato che il potere di apprensione del disponente fosse esercitabile «regardless of the interests of the other beneficiaries» (para 89).

4.4. Sebbene né a livello giurisprudenziale né dottrinale sia stato risolto il dubbio tra quale test vada applicato per identificare un illusory trust, in alcuni passaggi la questione è stata incidentalmente esaminata.

In Clayton v Clayton ([2016] NZSC 29), la NZSC ha considerato valide le teorie del insufficient equitable disposal e del difetto di irreducible core of obligations (para 124-127). Dal canto suo, il Privy Council in Webb ha prospettato la validità sia di un test “misto”, che consiste nella applicazione congiunta degli approcci insufficient equitable disposal e difetto di irreducible core of obligations, sia della tesi basata sulla tantamount to ownership theory (para 89).

Una disamina esaustiva delle problematiche e delle implicazioni sollevate dalle sentenze citate non è, ovviamente, possibile in questa sede.

Ciò nonostante, la sintetica esposizione degli elementi essenziali degli illusory trust consente l’elaborazione di alcune riflessioni critiche che evidenziano la complessità teorica di questo istituto giuridico e le difficoltà della sua applicazione pratica.

In quasi tutti i casi in cui è stata sollevata la validità del trust (Rahman, Harrison, Re AQ Revocable Trust, Clayton, Webb), le prerogative del disponente erano estremamente estese. Senza addentrarsi nei particolari di ogni singola fattispecie, a livello generale in capo al disponente si sommavano sia vari poteri (power of appointment, potere di revoca, potere di modificare lo strumento) sia diversi ruoli (trustee, azionisti del corporate trustee, titolare di ampi poteri di veto, potere di nomina e di esclusione di beneficiari, beneficiario di reddito o capitale, consulente del trustee) che gli assicuravano il controllo sui beni in trust. Inoltre, il trustee non era soggetto ad obblighi fiduciari e la sua responsabilità era ulteriormente esclusa vuoi per atto del disponente o di un advisor da nominarsi col suo consenso. Non a caso, tali fattispecie sono state definiti “casi estremi”[28] in cui il disponente esercitava un pieno controllo sui beni in trust.

In tale cornice è stata elaborata la dottrina degli illusory trust.

Tuttavia, in Pugachev la sua applicazione ha condotto alla pronuncia di invalidità sulla base di argomentazioni applicabili a trust caratterizzati da reserved powers molto più limitati.

Nello specifico, Birss J ha negato l’efficacia dei trust sottoposti al suo esame ritenendo decisivo il controllo esercitato dal disponente per il tramite del potere non fiduciario, detenuto nella veste di protector, di sostituire il trustee.

In dottrina sono stati espressi dissensi tanto in relazione al percorso logico seguito dal tribunale per affermare la natura personale del power, quanto in ordine ad altri aspetti di carattere sistematico[29].

Sotto il primo profilo, la deduzione del giudice si è fondata sulla circostanza che il trustee potesse essere rimosso “with or without cause”, in contrasto con quanto espresso Davidson v Seelig ([2016] EWHC 549 Ch, para 55), laddove la medesima disposizione è stata considerata compatibile con la natura fiduciaria del power. In aggiunta, conformemente all’indirizzo consolidato della giurisprudenza, la qualifica del potere di nomina del trustee, se non espressamente dichiarato personale, è generalmente considerato di natura fiduciaria[30]. Sotto il profilo sistematico, poi, l’asserito controllo esercitato dal disponente sui beni in trust mediante il potere di revoca del trustee risulta viziato dai seguenti, erronei presupposti: (a) che il nuovo trustee sia tenuto a seguire le indicazioni del disponente/protector, e (b) che i beneficiari siano privi di rimedi giuridici per opporsi sia alla nomina di un trustee inadeguato sia per contestarne le condotte illecite[31].

Inoltre la validità dell’illusory trust in pendenza dell’esercizio dei reserved power è dibattuta.

È pacifico che il potere di revoca o un general power of appointment non pregiudichino la validità del trust sin tanto che essi non siano esercitati[32]. Questa impostazione è stata implicitamente confermata dalla decisione in TMSF: infatti, l’affidamento al receiver dell’esercizio del potere di revoca presuppone il riconoscimento del trust[33]. Questa considerazione contrasta però con quanto statuito in Webb dove il trust è stato ritenuto illusory in ossequio alla tantamount to property doctrine in ragione della mera esistenza dei reserved powers[34].

Un ulteriormente elemento di complessità è connesso all’assenza di criteri che consentano di determinare il livello di reserved powers validamente ammessi rispetto ai casi in cui la loro presenza è causa di invalidità.

Ad oggi, la giurisprudenza non ha espresso linee guida specifiche, limitandosi ad affrontare il tema della illusorietà secondo i tre distinti approcci (insufficient equitable disposal, difetto di irreducible core of obligations e tantamount to property). In direzione opposta si sono mossi i legislatori dei principali centri offshore che hanno introdotto disposizioni normative tese a riconoscere la validità del trust nonostante la presenza di reserved powers[35]. In tale contesto, non risulta agevole applicare l’autorevole osservazione secondo cui le disposizioni in materia di reserved powers non precludano l’applicazione dei principi del diritto inglese[36].

La compatibilità dei reserved powers con l’istituto del trust non dipende esclusivamente dall’interpretazione delle disposizioni dell’atto, ma anche dagli elementi caratterizzanti la singola fattispecie.

In particolare, assume rilievo precipuo l’identità dei soggetti che ricoprono le cariche e che detengono i vari powers (Re AQ Revocable Trust, para 29, Clayton, para 128, Webb para 84 e 85). Onde è stato suggerito che un illusory trust possa dar luogo ad un trust genuino (emerging trust) laddove l’ufficio di trustee, inizialmente ricoperto dal disponente, sia affidato ad un soggetto terzo (Clayton, para 124)[37].

5. Le fattispecie di sham trust, illusory trust e reserved powers sono tra loro ben distinte, ma presentano alcune interazioni.

Nello sham trust il rapporto di trust è solo apparente in quanto non voluto dalle parti, che ricorrono a esso per simulare un diverso assetto giuridico. Da ciò discende che, laddove l’influenza del disponente non derivi dall’esercizio dei reserved powers ma fosse il risultato dell’acquiescenza del trustee ai desideri del disponente, la validità del trust potrebbe essere contestata in quanto sham, argomentando che i rapporti effettivamente voluti tra le parti siano quelli disvelati dalla loro condotta e non quelli indicati nell’atto. Questo scenario potrà essere evitato mediante l’indicazione espressa nello strumento dei reserved powers attribuiti al disponente, che definiranno la base giuridica e i limiti entro cui esercitare le relative prerogative[38]: in quest’ultimo caso il problema si sposta sulla quantificazione dei poteri che il disponente potrà riservarsi senza sconfinare nel campo degli illusory trust, poichè è l’eccesso dei reserved powers che determina l’insorgere degli illusory trust.

Esistono, tuttavia, talune tipologie di trust invalidi in cui i confini tra le categorie di sham ed illusory risultano più labili.

Si tratta dei casi in cui il trustee, nell’esercizio dei propri poteri discrezionali, abbia allineato la propria condotta alle indicazioni del disponente e quest’ultimo sia titolare del potere di revocare il trustee. Sebbene la contestazione di sham trust possa essere superata opponendo la genuinità e l’indipendenza delle delibere del trustee, è stato autorevolmente osservato che la presenza del potere di revoca renderebbe il trustee un mero schiavo del disponente, conducendo alla qualifica di sham o illusory trust[39] (cfr. anche Pugachev). Siffatta conclusione appare condivisibile a condizione che l’esercizio del potere di revoca sia espressamente qualificato come personal power, e pertanto sottratto de facto al controllo giurisdizionale. Inoltre, al fine di superare la possibile obiezione tesa a sostenere la validità del trust e fondata sull’esistenza di rimedi a disposizione dei beneficiari (supra, para 4.2), appare necessario che il trustee sia svincolato da responsabilità nei loro confronti e non sia gravato da obblighi fiduciari: si ripropone il tema del irreducible core of obligations.

6. La disamina svolta e la ricostruzione effettuata mettono in luce i vizi insiti nella teorica del trustinesistente in quanto interposto”, elaborata dalla prassi amministrativa, nella parte in cui considera improduttivi di effetti civilistici tutte le ipotesi di trust elencate nella circ. n. 61/E/2011 e richiamate nella più recente circ. n. 34/E/2022 anche ai fini del tributo successorio. E per le medesime ragioni non è corretta l’applicazione tout court della opposta nozione di trustinterposto in quanto inesistente”.

Invero, come si è visto, tanto gli sham quanto gli illusory trust possono dar luogo ad “emerging trust” in conseguenza della nomina a trustee di un soggetto che non sia parte del patto simulato con il disponente ovvero di una persona diversa dal settlor. Inoltre, con riguardo agli illusory trust, la prospettata invalidità, soprattutto nei casi “non estremi”, potrebbe essere contestata eccependo che il trust possa essere disconosciuto solo dopo che i reserved powers siano esercitati. In queste ipotesi, il trust sarebbe produttivo di effetti anche dopo il decesso del disponente, precludendo che i beni affidati al trustee cadano in successione.

Inoltre, le condizioni richieste per giungere alla pronunzia di invalidità di un trust in ambito civilistico sono particolarmente difficoltose. Per quanto riguarda lo sham trust, il maggior ostacolo è costituito dalla prova degli aspetti psicologici. In relazione agli illusory trust, i precedenti giurisprudenziali coinvolgono situazioni in cui i reserved powers sono ben più estesi rispetto alle ipotesi prospettate dall’Agenzia delle Entrate, mentre la tesi basata sul controllo del disponente tramite il ruolo del protector (Pugachev) risulta quantomeno incerta.

E’ stato ipotizzato che la via giuridica per sancire l’invalidità di trust con reserved powers potrebbe essere quella di negarne il riconoscimento convenzionale in base all’avverbio «necessariamente» contenuto nell’art. 2(3) della Convenzione dell’Aja[40]: ciò consentirebbe di escludere qualsivoglia ingerenza del disponente sull’attività del trustee.

Questa soluzione avrebbe sicuramente il pregio di rimuovere le incertezze legate alla quantificazione dei reserved powers ammissibili, ma non è scevra da critiche.

Innanzitutto, essa creerebbe uno scollamento tra il modello di trust convenzionale e la nozione comunemente accettata nel mondo della common law, seppur con le inevitabili differenze tra le diverse giurisdizioni[41]. Inoltre, essa si porrebbe in contrasto con l’interpretazione comunemente condivisa secondo cui l’art. 2 della Convenzione dell’Aja consente al disponente di riservarsi alcuni diritti.

[1] Per commenti “a caldo” di segno opposto, cfr. Buzzi V. – Sorci G., I trust nelle imposte indirette alla luce della recente circolare n. 34/E/2022 (tra restyling e novità), in questa Rivista, 2022, 2, XV, 1027 ss. e Massarotto S., I trust “interposti” e la “finzione” dell’applicazione dell’imposta sulle successioni nella Circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 34/E del 20 ottobre 2022, ancora in questa Rivista, 10 gennaio 2023.

[2] Per osservazioni critiche e ricostruttive sul contenuto di tale atto di prassi, v. Stevanato D., “Stretta” dell’Agenzia delle entrate sulla fiscalità dei trust: a rischio un sereno sviluppo dell’istituto?, Corr. trib., 2011, 7, 537 ss. e Contrino A., Recenti indirizzi interpretativi sul regime fiscale di trust trasparenti, interposti e transnazionali: osservazioni critiche, in Riv. dir. trib., 2011, 6, 321 ss., ora anche in Contrino A., Trust, vincoli di destinazione e sistema tributario. Un itinerario di ricerca, Pisa, 2021, 119 ss.

[3] Contrino A., Recenti indirizzi interpretativi, ecc., ma anche in Osservazioni (in parte adesive, e in parte critiche) sulla nozione fiscale di trust “interposto” di fonte amministrativa, in questa Rivista, 2019, 2, VIII, 401 ss.

[4] Così, Tucker L. – Le Poidevin N. – Brightwell J., Lewin on Trust, 20th edn, Sweet & Maxwell 2020, para 5-035, e, in termini analoghi, Hayton D. – Thomas G., Shams, Revocable Trusts and Retention of Control, in Brownbill D. (ed.) International Trust Law, LexisNexis, 2022, para B19.24.

[5] Matthews P. – Mitchell C. – Harris J. – Agnew S., Underhill and Hayton Law of Trusts and Trustees, 20 edn, LexisNexis 2022, para 8.3 e 8.14; Tucker L. – Le Poidevin N. – Brightwell J., Lewin on Trust, cit., para 1-016 e 5-028.

[6] Matthews P. – Mitchell C. – Harris J. – Agnew S., Underhill and Hayton Law of Trusts and Trustees, cit., para 8.8.

[7] Conaglen M., Sham Trusts, in Brownbill D. (ed.) International Trust Law, LexisNexis, 2022, para B15.16.

[8] Matthew P., The sham trust argument, and how to avoid it, 21(4) 2007 Trust Law International, 198.

[9] Tucker L. – Le Poidevin N. – Brightwell J., Lewin on Trust, cit. para 5-023; Matthews P. – Mitchell C. – Harris J. – Agnew S., Underhill and Hayton Law of Trusts and Trustees, cit., para 8.12.

[10] La sentenza è stata commentata da Arnull T., Sham trusts and the requirement that a shamming intent be shared: Administrators of the Estate of Hanson v O’Leary and Ors, 2018 28(5) Trusts & Trustees, 408, ove l’Autore pone in risalto come questa decisione imponga un regime probatorio più rigoroso per lo sham trust rispetto ai casi di frode secondo il diritto penale inglese.

[11] Tucker L. – Le Poidevin N. – Brightwell J., Lewin on Trust, cit., para 5-023.

[12] Gadhia S. – Rodgers K. – Ho J., Sham Trusts, (2016) 22(4) Trusts & Trustees, 470.

[13] Hayton D. – Thomas G., Shams, Revocable Trusts and Retention of Control, cit., para B19.7.

[14] Hayton D., Shams, piercing veils, remedial constructive trusts and tracing, (2004) The Jersey Law Review 6, para 4.

[15] Moverley Smith S. – Holden A., Letters of wishes and the ongoing role of the settlor (2014) 20(7) Trusts & Trustees, 718.

[16] Cfr. Russel D. – Graham T., Letters of whishes and the trust purposes, (2022) 28(5) Trusts & Trustees, 341 e Grand View Private Trust Co Ltd v Wen-Young Wong [2022] UKPC 47, para 79.

[17] Brightwell J. – Richardson L., Mezhprom v Pugachev: bold new approach or illusory development? 2018 24(5) Trusts & Trustees, 404.

[18] Hayton D. – Thomas G.,, Shams, Revocable Trusts and Retention of Control, cit., para B19.21; Pursall T. – Guthrie M., Guernsey Trust Law, Hart Publishing, 2017, 245.

[19] Strachan C., Whiter the “illusory trust”? (2021) 137 Law Quarterly Review, 207; Mowbray J., Shams, pretences, blackmail and illusion: Part 2 (2000) 2 Private Client Business, 108.

[20] Matthews P. – Mitchell C. – Harris J. – Agnew S., Underhill and Hayton Law of Trusts and Trustees, cit., para 10.1(2)(b).

[21] Pursall T. – Guthrie M., Guernsey Trust Law, cit., 76.

[22] O’Hagan P., The reluctant settlor-property, powers and pretences (2011) 17(10) Trusts & Trustees, 906.

[23] Tucker L. – Le Poidevin N. – Brightwell J., Lewin on Trust, cit., para 1-016.

[24] Tucker L. – Le Poidevin N. – Brightwell J., Lewin on Trust, cit., para 1-060 e 5-035; Matthews P. – Mitchell C. – Harris J. – Agnew S., Underhill and Hayton Law of Trusts and Trustees, cit., para 4.7.

[25] Matthews P. – Mitchell C. – Harris J. – Agnew S., Underhill and Hayton Law of Trusts and Trustees, cit., para 4.9.

[26] Strachan C., Whiter the “illusory trust”?, cit., 211. Sulla differenza tra i due test cfr. Young G., Sham and illusory trusts-lessons from Clayton v Clayton, (2018) 24(2) Trusts & Trustees, 199.

[27] Tey T., Reservation of Settlor’s Powers, (2009) 21 Singapore Academy of Law Journal, para 63.

[28] Russel D. – Graham T., Illusory Trusts (2018) 24(4) Trusts & Trustees, 307.

[29] Per un sintetico ma efficace commento, v. Pursall T. – Guthrie M., Guernsey Trust Law, cit., 80.

[30] Sherwin T., When is a trust not a trust? When the courts do not want it to be (2021) P.C.B., 241.

[31] Brightwell J. – Richardson L., Mezhprom v Pugachev: bold new approach or illusory development?, cit., para 401.

[32] Tucker L. – Le Poidevin N. – Brightwell J., Lewin on Trust, cit., para 5-035.

[33] Sherwin T., When is a trust not a trust? When the courts do not want it to be, cit., 244.

[34] Duncan C. – Brandts-Giesen H., The potential vulnerability of reserved powers trust (2021) 27(3) Trusts & Trustees, 198.

[35] Kistel A. – Holder R., Pugachev versus Jersey’s reserved powers legislation, (2018) 24(4) Trusts & Trustees, 344-345.

[36] Tucker L. – Le Poidevin N. – Brightwell J., Lewin on Trust, cit., para 5-040; Hayton D. – Thomas G., Shams, Revocable Trusts and Retention of Control, cit., para 19.34.

[37] In termini critici, Young G., Sham and illusory trusts-lessons from Clayton v Clayton, cit., 200.

[38] Goodman D. – Hirsch P., To reserve or not to reserve? That is the question-Part I (2019) 25(10) Trusts & Trustees, 1025.

[39] Tucker L. – Le Poidevin N. – Brightwell J., Lewin on Trust, cit., para 72.20.

[40] Russel D. – Graham T., Illusory Trusts, cit., 318.

[41] Sulla possibilità che la nozione di trust convenzionale sia più ristretta rispetto alle disposizioni offshore, cfr., Lupoi M., Istituzioni del diritto dei trust negli ordinamenti di origine e in Italia, Padova, 2019, e, fra gli altri Sheedy J.M. – Baker S.M., Litigating Trust Disputes in Jersey, Hart Publishing, 2017, para 2-82.

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