Revirement della Cassazione in tema di indagini bancarie: va riconosciuta l’incidenza percentuale dei costi

Di Matteo Demetri -

(commento a/notes to Cass., ord. 23 febbraio 2023, n. 5586)

 

Abstract

Con l’ordinanza 23 febbraio 2023, n. 5586, la Suprema Corte ha statuito che, a fronte della presunzione legale di ricavi non contabilizzati in quanto scaturenti da movimenti bancari, il contribuente imprenditore possa – anche in caso di accertamento analitico-presuntivo – eccepire l’incidenza percentuale di costi, i quali vanno quindi dedotti dai maggiori ricavi accertati.

Sulla scorta dell’interpretazione adeguatrice dell’art. 32 D.P.R. n. 600/1973, fornita dalla Corte Costituzionale, con la sentenza 31 gennaio 2023 n. 10, la Corte ha rivisitato il precedente orientamento secondo cui l’Amministrazione finanziaria dovesse riconoscere una deduzione forfettaria dei costi di produzione solo in caso di accertamento induttivo “puro” ex art. 39, comma 2, D.P.R. n. 600/1973.

Tale overruling merita condivisione in quanto l’orientamento precedente risultava assolutamente irragionevole, quantomeno nella parte in cui prevedeva un trattamento più severo per quei soggetti che avessero tenuto una contabilità sostanzialmente regolare rispetto a coloro che l’avessero omessa o che l’avessero tenuta in maniera inattendibile.

Revirement of the Supreme Court on the subject of bank investigations: the percentage incidence of costs must be recognized. – In its order no. 5586 of 23 February 2023, the Supreme Court ruled that, in the face of the legal presumption of unreported revenue as arising from bank transactions, the taxpaying entrepreuner may – even in the event of an analytical-presumptive assessment – object to the percentage incidence of costs, which must therefore be deducted from the higher assessed revenues.

On the basis of the conforming interpretation of Article 32 of Presidential Decree no. 600 of 1973 provided by Constitutional Court, with sentence no. 10 of 31 January 2023, the Supreme Court revisited the previous orientation according to which the tax authorities should recognise a flat-rate deduction of production costs only in the event of a purely inductive assessment pursuant to Article 39, paragraph 2 of Presidential Decree no. 600 of 1973.

This overruling deserves to be endorsed because the previous guideline was completely unreasonable, at least insofar as it provided for stricter treatment of those of who kept substantially regular accounts than who omitted them or kept unreliable ones.

 

Sommario: 1. I fatti oggetto del giudizio e la conclusione raggiunta dal Supremo Collegio. – 2. L’interpretazione della disposizione di cui all’art. 32 D.P.R. n. 600/1973 tra Corte costituzionale e Corte di Cassazione: un percorso ricostruttivo non semplice. – 3. Il convincente approdo della Suprema Corte fa propendere per la natura procedimentale del meccanismo previsto dalla norma

1. La Cassazione, con l’ordinanza 23 febbraio 2023, n. 5586, è tornata a pronunciarsi sulle indagini finanziarie. Tale pronunciamento riveste particolare rilievo in quanto, in aperto contrasto rispetto ai consolidati orientamenti sul tema, ha ribaltato il precedente grado di merito con il quale era stata confermata l’impossibilità di deduzione forfettaria dei costi in caso di accertamento analitico presuntivo.

La soluzione adottata dalla Suprema Corte, certamente condivisibile, appare di interesse sotto molteplici aspetti, offrendo l’occasione per alcune sintetiche riflessioni sulle indagini finanziarie e sulla reale portata della disposizione di cui all’art. 32, comma 1, n. 2, D.P.R. n. 600/1973.

La vicenda trae origine dall’emissione di due avvisi di accertamento, relativi agli anni di imposta 2007 e 2008, con i quali veniva determinato un maggior reddito di impresa imponibile sulla base dell’esame di movimentazioni bancarie riferibili al titolare di una ditta individuale esercente l’attività di commercio all’ingrosso di calzature.

Tra i motivi di ricorso, il contribuente lamentava la mancanza di un riconoscimento forfettario di costi a fronte dei maggiori ricavi accertati a seguito di indagini bancarie.

Contro i suddetti atti impositivi egli proponeva ricorso dinnanzi la Commissione tributaria provinciale di Savona, che lo accoglieva parzialmente.

La CTR della Liguria, successivamente, respingeva l’appello proposto, confermando la decisione impugnata, ritenendo che l’imprenditore non avesse fornito elementi idonei a vincere la presunzione relativa di cui all’art. 32 sopra menzionato.

Sottolineava, poi, la Commissione tributaria regionale, come non avesse rilievo la circostanza per cui la Società di cui il contribuente era titolare fosse soggetta a regime semplificato e che, in assenza di adeguata documentazione, non vi fossero i margini per riconoscere un’incidenza percentuale di costi.

Proponendo ricorso per Cassazione con nove motivi, il contribuente deduceva – per quanto di nostro interesse – la violazione o falsa applicazione degli artt. 83 e 109, comma 4, TUIR; in altre parole si censurava la pronuncia in quanto la Commissione tributaria regionale non aveva riconosciuto i costi in deduzione dei maggiori ricavi accertati.

Il Giudice di legittimità, prima di soffermarsi sul caso di specie, si volta, per così dire, indietro e passa in rassegna il suo granitico orientamento sul punto.

In particolare, rileva come sia stato ripetuto – alla stregua di un mantra – che la deduzione in misura percentuale dei costi di produzione debba essere riconosciuta unicamente nel caso di accertamento analitico “puro” mentre in caso di accertamento analitico presuntivo – come quello di specie – l’onere di provare l’esistenza di costi deducibili, relativi ai maggiori ricavi, grava sul contribuente senza che l’Ufficio possa procedere ad un loro riconoscimento in via forfettaria.

A questo punto, il Supremo Consesso dà atto della circostanza per cui la Consulta, con sentenza 31 gennaio 2023, n. 10 abbia dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 53 Cost., sollevata dalla Commissione tributaria provinciale di Arezzo circa il disposto di cui all’art. 32 D.P.R. n. 600/1973.

Il Giudice delle leggi, infatti, con sentenza interpretativa di rigetto, da un lato ha confermato la non manifesta irragionevolezza del meccanismo presuntivo di cui alla disposizione in parola, dall’altro ha fornito un’interpretazione adeguatrice della stessa, per cui essa si sottrae dalla dichiarazione di illegittimità se viene interpretata nel senso che al contribuente sia sempre permesso mettere in campo la prova contraria presuntiva e dunque eccepire l’incidenza percentuale dei costi, i quali andranno dedotti dai maggiori ricavi accertati, utilizzando la presunzione de qua (in tema si veda Marino G., Prelievi sul conto non giustificati: sono ricavi dell’imprenditore? (nota a Corte costituzionale, 31 gennaio 2023, n. 10), in www.dirittoegiustizia.it, 2 febbraio 2023).

Alla luce del menzionato principio, pertanto, gli Ermellini hanno statuito che occorre riconoscere, anche in assenza di idonea documentazione, una percentuale di costi presunti a fronte dei maggiori ricavi accertati.

Conseguentemente, la pronuncia è stata cassata in relazione al motivo accolto, rinviando alla Corte di Giustizia tributaria di II grado della Liguria, la quale dovrà quindi rideterminare il reddito imponibile relativo agli anni cui si riferiscono gli avvisi di accertamento, riconoscendo necessariamente una deduzione in misura percentuale forfettaria dei costi in relazione ai ricavi accertati, ricorrendo – laddove occorresse – all’ausilio di un consulente tecnico d’ufficio.

Come si anticipava, tale apertura, pregevole anche per il suo excursus logico, appare in contrasto con il precedente orientamento (si veda, ex multis, la Cass. n. 34966/2022) che ha negato, in maniera sistematica, il riconoscimento di una deduzione in misura forfettaria dei costi di produzione in caso di accertamento analitico-presuntivo sulla scorta di una discutibile interpretazione dell’art. 32 D.P.R. n. 600/1973, disposizione che – pur suscettibile di un’interpretazione contraria a costituzione – conserva validità in quanto ammette un’interpretazione conforme ai principi costituzionali.

 

2. Per procedere alla disamina del portato del pronunciamento della Suprema Corte occorre soffermarsi succintamente sulla disciplina delle indagini finanziarie ed in particolare sull’interpretazione della disposizione di cui all’art. 32 D.P.R. n. 600/1973.

La disciplina delle indagini bancarie regola la possibilità di acquisire dati e informazioni in relazione ai rapporti intrattenuti tra il contribuente e gli istituti di raccolta di risparmio o di investimento.

Come è noto, la disposizione in commento, che va sotto la rubrica di “Poteri degli uffici”, prescrive, al secondo comma, che l’Amministrazione finanziaria possa invitare i contribuenti a fornire dati e notizie rilevanti ai fini dell’accertamento nei loro confronti.

Le informazioni e i dati assunti in sede di indagini bancarie possono essere posti a fondamento delle pretese tributarie nei confronti del contribuente, in ragione delle presunzioni di imponibilità che permettono, ex art. 32, comma 1, n. 2), di fondare le rettifiche e gli accertamenti di cui agli artt. 38, 39, 40, 41 sulla base degli elementi de quibus, sempreché il soggetto accertato non dimostri di averne tenuto conto ai fini della determinazione del reddito oppure che tali elementi non abbiano rilevanza fiscale (per un inquadramento generale vedasi Contrino A. e altri, Fondamenti di diritto tributario, Padova, 2020).

Si determina, pertanto, un’inversione dell’onere della prova tale per cui il contribuente dovrà dimostrare che gli elementi desunti dalle movimentazioni bancarie non possono essere riferiti ad operazioni imponibili. Tutti i versamenti presenti nei propri conti correnti, sottoposti a controllo da parte dell’Agenzia delle Entrate, sono considerati maggiori ricavi se il soggetto accertato non dimostra di averne tenuto conto; ciò si può fare mostrando che in dichiarazione si fosse tenuto conto di quei ricavi oppure dimostrando che essi non hanno alcuna rilevanza ai fini della dichiarazione dei redditi.

Allo stesso tempo, poi, possono trasformarsi in ricavi i prelievi; questa presunzione opera sia nel caso in cui si tratti di dati che si trovano su conti correnti che vengono trasferiti su richiesta dell’Agenzia delle Entrate sia nei casi in cui si trovino su conti correnti che vengono acquisiti da parte dell’Agenzia delle Entrate o dalla Guardia di Finanza attraverso accessi, ispezioni o verifiche.

Qual è la ratio?

Riguardo ai versamenti, si suppone che il contribuente versi quanto abbia ottenuto; e sul punto nulla quaestio.

Il problema si pone invece a proposito dei prelevamenti, per i quali sussiste una doppia presunzione, in ragione della quale tali prelevamenti, se non risultanti dalle scritture contabili, costituiscono ricavi occulti, a meno che il contribuente non ne indichi il soggetto beneficiario.

Con una norma dalla chiara finalità sanzionatoria, sussiste, pertanto, un duplice meccanismo presuntivo, tale per cui ogni volta un imprenditore effettui un prelievo che non ha riscontro nella contabilità, questo debba essere considerato una sorta di costo occulto che in seguito ha prodotto un ricavo occulto.

Nonostante gran parte della dottrina si sia scagliata contro tale doppia inferenza logica, la Consulta aveva già avuto modo di esprimersi sulla legittimità della stessa, nella sentenza 8 giugno 2005, n. 225, ove aveva dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale in riferimento ai ben noti parametri di cui agli artt. 3 e 53 Cost. (Marino G., Prelievi sul conto non giustificati: sono ricavi dell’imprenditore?, cit.). Si tratta comunque di una forzatura enorme!

Sul punto sono intervenute diverse circolari dell’Agenzia delle Entrate, tra le quali si ricordano la n. 16/E/2014 e la n. 19/E/2019; esse tendono a ridurre l’ambito di operatività delle indagini finanziarie, da attuare – data la loro particolare incisività – solamente in relazione a specifiche tipologie soggettive a più elevato rischio di evasione.

È auspicabile un intervento del legislatore che, facendo applicazione del principio di proporzionalità, chiarisca che le indagini in parola possano essere svolte solamente in presenza di gravi indizi di evasione non accertabili in altro modo.

Per completezza va detto anche che, con la pronuncia 6 ottobre 2014, n. 228, il Giudice delle leggi ha dichiarato incostituzionale la disposizione di cui all’art. 32, comma 1, nella misura in cui estendeva anche per i lavoratori autonomi la praesumptio de praesumpto di cui si è detto.

È stato, infatti, rilevato che «la presunzione è lesiva del principio di ragionevolezza nonché della capacità contributiva, essendo arbitrario ipotizzare che i prelievi ingiustificati da conti correnti bancari effettuati da un lavoratore autonomo siano destinati ad un investimento nell’ambito della propria attività professionale e che ciò, a sua volta, sia produttivo di un reddito».

Il legislatore, preso atto di tale pronunciamento, ha espunto il termine “compensi” dalla disposizione in parola, escludendo di conseguenza l’operatività di tale meccanismo presuntivo nei confronti dei professionisti.

Sono stati, infine, posti dei limiti massimi entro cui la norma potrà operare, ed in particolare, occorre che sussistano importi superiori a 1.000 euro giornalieri o comunque eccedenti i 5.000 euro mensili.

 

3. La pronuncia della Corte ed il quadro normativo in estrema sintesi ricostruito ci permettono di svolgere un paio di riflessioni.

In primo luogo, la pronuncia in commento ha il sicuro pregio di superare quell’inspiegabile discriminazione per cui la deduzione forfettaria dei costi fosse riconosciuta solamente in caso di accertamento induttivo “puro” e non in caso di accertamento induttivo analitico o analitico presuntivo.

Sul punto deve essere sottolineato come la Corte costituzionale, nella già menzionata pronuncia 8 giugno 2005, n. 225, si fosse espressa, in termini generali e senza fare distinzioni di tal sorta, a favore della deducibilità delle componenti negative dal maggior reddito di impresa accertato.

Tuttavia, la giurisprudenza di legittimità sembra essersi conformata alle indicazioni del Giudice delle leggi soltanto ora, in quanto per quasi vent’anni è andata affermando, spesso apoditticamente, che la deduzione de qua dovesse escludersi in caso di accertamento induttivo analitico-presuntivo, concedendola invece nel caso dell’accertamento induttivo “puro”.

Paradossalmente tale concessione veniva motivata facendo riferimento all’impossibilità di una ricostruzione complessiva della contabilità o ad una generalizzata inattendibilità della stessa del soggetto sottoposto a controlli, talché il fatto di aver tenuto una contabilità generalmente attendibile imponeva l’assolvimento di un onus probandi più rigido per il soggetto accertato, il quale avrebbe potuto farsi dedurre i costi solamente se risultanti da elementi certi e precisi.

Va notato, peraltro, come solamente quella fornita dalla pronuncia in commento sia l’interpretazione conforme rispetto al principio di capacità contributiva, il quale deve fare riferimento ad un’attitudine effettiva del contribuente al concorso alle spese pubbliche (non può imporsi un obbligo di partecipazione alle spese dello Stato collegato a ricchezze inesistenti!).

In secondo luogo, ad avviso di chi scrive, l’ordinanza in commento, nella parte in cui afferma che è lo stesso Ufficio finanziario ad essere onerato di determinare induttivamente non solo i ricavi ma anche i maggiori costi sostenuti, propende implicitamente per conferire alla norma che ci interessa non già la natura di presunzione legale bensì quella di norma procedimentale.

Chiarendo meglio questo punto, va premesso che la sede più consona in cui l’Ente impositore dovrà premurarsi di stabilire con il contribuente una percentuale forfettaria dei costi pare essere quella del contraddittorio endoprocedimentale.

Ne discende che implicitamente viene rimarcata la necessità di instaurare il contraddittorio, nella cui sede il risultato delle indagini finanziarie dovrà passare attraverso uno scambio dialettico tra le parti.

Traguardando la questione da un altro angolo visuale, se si fa riferimento alla littera legis, il significato proprio da attribuire al riferimento alla dimostrazione contraria che viene posta in capo all’imprenditore potrebbe essere quello di un invito all’instaurazione del contraddittorio procedimentale (Marcheselli A., Ancora fraintendimenti sull’onere della prova negli accertamenti bancari, in Corr. trib., 2011, 1, 24 ss.)

Del resto, pare potersi affermare che il contraddittorio endoprocedimentale sia proprio lo strumento indicato dalla norma per poter verificare se le operazioni presunte sulla base dei dati desunti dalle indagini bancarie siano state sottratte all’imposizione o meno – e ciò deve essere prodromico rispetto al fondare sulla base di tali dati un accertamento o una rettifica.

Ragionando in questi termini – ma ci si rende conto che la Cassazione non sia di questo avviso – si potrebbe affermare che il vero senso della norma dovrebbe essere quello di un avvertimento al contribuente che dai dati emergenti dalle indagini bancarie possono ricavarsi presunzioni semplici.

In conclusione e sulla scorta di quanto detto da ultimo, pare auspicabile, dopo questo condivisibile overruling, una chiara presa di posizione della Suprema Corte che sancisca apertis verbis la nullità dell’avviso di accertamento emesso in mancanza di un effettivo contraddittorio.

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

Ambrosi L. – Iorio A., Deduzione forfettaria dei costi per ricavi occulti, in Il Sole 24 Ore, 23 febbraio 2023

Contrino A. e altri/ et al., Fondamenti di diritto tributario, Padova, 2020

Guastini R., Interpretare e argomentare, Milano, 2011

Marcheselli A., Accertamenti bancari: regole rigide producono risultati irragionevoli e implausibili, in G.T. – Riv. giur. trib., 2010, 1, 48 ss.

Marcheselli A., Ancora fraintendimenti sull’onere della prova negli accertamenti bancari, in Corr. trib., 2011, 1, 24 ss.

Marcheselli A., Contraddittorio e procedimento tributario, un passo indietro e due avanti, in Corr. trib., 2011, 5, 376 ss.

Marcheselli A. – Dominici R., Giustizia tributaria e diritti fondamentali, Torino, 2016

Marino G., Prelievi sul conto non giustificati: sono ricavi dell’imprenditore?, (nota a Corte Costituzionale, 31 gennaio 2023, n. 10), in www.dirittoegiustizia.it, 2 febbraio 2023

Palumbo G., La Corte Costituzionale conferma, con paletti, la legittimità delle presunzioni da accertamenti bancari (nota a Corte costituzionale, 31 gennaio 2023, n. 10), in iltributario.it, 15 marzo 2023

Rossi M., Accertamenti bancari: presunzioni e giustificazioni fornite dal contribuente (nota a Corte di Cassazione, 9 marzo 2016, n. 4580) in Innovazione e diritto, Riv. dir. trib. ec., 2016, 4, 139 ss.

Serranò M.V., Prelevamenti bancari ed incidenza in misura percentuale dei costi (nota a Comm. trib. reg. Lazio, sez. XXXVIII, 2 aprile 2012, n. 124), in Dir. prat. trib., 2012, 6, 1039 ss.

Stufano S., Ruolo presuntivo delle risultanze bancarie e contraddittorio preventivo, in Corr. trib., 2001, 11, 777 ss.

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