I trust “interposti” e la “finzione” dell’applicazione dell’imposta sulle successioni nella circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 34/E del 20 ottobre 2022

Di Stefano Massarotto -

Abstract

Lo scorso 20 ottobre, a seguito dei contributi ricevuti in sede di consultazione pubblica, è stata pubblicata in via definitiva la circolare n. 34/E sulla fiscalità diretta e indiretta dei trust. Con riferimento ai trust “interposti” l’Agenzia ribadisce che le attribuzioni effettuate dal trust non generano redditi imponibili per il beneficiario, se già assoggettate ad imposizione in capo all’interponente. Peraltro, superando alcuni precedenti di prassi, l’Agenzia precisa che qualora il disponente di un trust interposto deceda, sono inclusi nell’attivo ereditario anche i beni e i diritti formalmente nella titolarità del trust qualificato come interposto. Tale interpretazione meriterebbe di essere meglio precisata dall’Amministrazione finanziaria, poiché non sempre le dimensioni civilistica e fiscale del trust coincidono.

The “interposed” trusts and the “fiction” of the application of the inheritance tax in the circular of the Revenue Agency n. 34/E of 20 October 2022 – On 20 October 2022, the Italian Revenue Agency published the long-awaited Circular letter No. 34/E laying down the guidelines concerning the taxation of trusts. Irrespective of their validity from a legal standpoint, trusts may be treated as interposed entities and therefore disregarded for tax purposes only. In this regard the Circular confirmed that the settlor/beneficiary shall be regarded as the owner of the trust’s assets for income tax purposes. Income and gains realized by the trust’s assets are therefore subject to Italian taxation as if they were held directly by the settlor/beneficiary. Moreover, revisiting the previous position of the Italian Revenue Agency, the Circular clarified that assets held by a disregarded trust should be included within the taxable estate of the settlor at the settlor’s decease, irrespective that such assets were no longer part of the settlor’s estate from a legal perspective.

Keywords: 

Sommario: 1. Premessa. – 2. I chiarimenti della circ. n. 34/E/2022 in caso di “interposizione del trust”. – 3. La soggettività tributaria dei trust. – 4. Autonomia tributaria e “porre sotto il controllo”: le dimensioni civilistiche e fiscali di trust coincidono? – 5. La conclusione nel senso dell’applicabilità del tributo donativo (e non successorio) in caso di decesso del disponente.

1. L’Agenzia delle Entrate, a seguito dei contributi ricevuti in sede di consultazione pubblica, ha recentemente pubblicato la circ. n 20 ottobre 2022, n. 34/E che è intervenuta a delineare il quadro della disciplina fiscale dei trust sia ai fini delle imposte sui redditi che ai fini delle imposte indirette, a seguito delle modifiche normative recate alle disposizioni del TUIR dall’art. 13 D.L. 26 ottobre 2019, n. 124 e all’evoluzione degli orientamenti della giurisprudenza di legittimità.

Esula dallo scopo del presente intervento l’analisi del complesso quadro normativo della fiscalità dei trust, in merito alla quale l’Agenzia delle Entrate ha ripercorso organicamente i punti salienti della disciplina, fornendo altresì opportune risposte a diverse criticità sollevate dagli operatori del settore e dalle associazioni di categoria.

In queste brevi note si vogliono offrire alcuni spunti di riflessione in merito ad una questione interpretativa di un certo peso affrontata dalla circolare che, a mio avviso, non è completamente condivisibile e che meriterebbe ulteriori riflessioni. Ci riferiamo, in particolare, alle precisazioni fornite dall’Amministrazione finanziaria in merito al trattamento tributario ai fini dell’imposta sulle successioni e donazioni dei trust “interposti” e già oggetto di un primo commento “a caldo” su questa rivista (Buzzi V. – Sorci G., I trust nelle imposte indirette alla luce della recente Circolare n. 34/E/2022 [tra restyling e novità], in Riv. tel. dir. trib., 11 novembre 2022).

2. I chiarimenti forniti dall’Agenzia delle Entrate nella circ. n. 34/E/2022 (par. 3.4) si possono sintetizzare nei termini che seguono. In primo luogo viene rammentato che, ai fini delle imposte dirette, in caso di trust «interposto formalmente nella titolarità di beni o attività (cosiddetta “interposizione fittizia”)», quest’ultimo non rappresenta un autonomo soggetto passivo d’imposta ex art. 73 TUIR, con la conseguenza che i beni costituenti il trust fund e i correlati redditi dovrebbero essere attribuiti direttamente all’interponente – disponente o beneficiario – e non al trust (cfr. altresì Risposta ad interpello n. 111 del 21 aprile 2020, con riferimento alla validità delle opzioni per i regimi del risparmio amministrato e gestito, di cui agli artt. 6 e 7 D.Lgs. n. 461/1997, esercitate da trustee di un trust revocabile). In quest’ambito, molto opportunamente l’Agenzia ribadisce che le attribuzioni di tali trust non sono tassate ai fini reddituali «a condizione che e nella misura in cui tali attribuzioni derivino da redditi che, in ragione dell’interposizione del trust, sono già stati assoggettati ad imposizione direttamente in capo all’interponente residente in Italia secondo le categorie previste dall’articolo 6 del Tuir».

Tanto premesso, non si condivide pienamente la successiva interpretazione fornita dall’Agenzia delle Entrate ai fini dell’imposta sulle successioni e donazioni, ove, tra l’altro discostandosi da alcuni precedenti di prassi (cfr. da ultimo, Risposta ad interpello n. 359 del 4 luglio 2022), viene precisato che «nell’ipotesi di decesso del soggetto disponente, tenuto conto della interposizione del trust tra i beni e i diritti che compongono l’attivo ereditario di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 346 sono inclusi anche quelli formalmente nella titolarità del trust, qualificato come interposto”.

Invero, l’Agenzia delle Entrate, richiamando il tributo successorio e non l’imposta sulle donazioni, considera tali trust altresì inesistenti dal punto di vista civilistico e dunque, al momento del decesso del soggetto disponente/interponente, vi sarebbe una devoluzione del patrimonio agli eredi del de cuius, a prescindere dal fatto che questi ultimi coincidano o meno (dal punto di vista qualitativo e quantitativo) con i beneficiari del trust.

Questa interpretazione dell’Amministrazione finanziaria, come vedremo successivamente, parrebbe rispondere ad apprezzabili e condivisibili motivi di cautela fiscale, ma, ponendo sullo stesso piano il riconoscimento civilistico del trust (in base alla Convenzione dell’Aja e alla legge regolatrice) e quello fiscale (in termini di soggettività fiscale), meriterebbe, a mio avviso, di essere meglio precisata.

3. Non è questa la sede per entrare nel merito della ricostruzione del dibattito scaturito in sede dottrinale in merito alle condizioni e agli indici che caratterizzano la soggettività passiva del trust ai fini fiscali (sul punto, ci sia consentito rinviare a S. Massarotto, M. Altomare, Il monitoraggio fiscale degli investimenti all’estero e delle attività estere di natura finanziaria, Aa. Vv., Temi di fiscalità nazionale ed internazionale, Padova, 2014, 833 ss.). Vale peraltro la pena evidenziare brevemente che l’indagine in tema di interposizione fittizia – rectius, soggettività passiva – deve necessariamente prendere le mosse dal presupposto dell’imposta sul reddito (sia delle persone fisiche che giuridiche) di cui agli artt. 1 e 72 del TUIR, rappresentato dal “(…) possesso di redditi in denaro o in natura rientranti nelle categorie indicate nell’art. 6”. Un utile riferimento interpretativo può essere altresì individuato nell’art. 37, comma 3, del D.P.R. n. 600/1973, quale misura generale di contrasto all’interposizione (entrambe le disposizioni normative sono infatti volte a garantire una corretta imputazione soggettiva del reddito imponibile, in ossequio al principio della capacità contributiva ex art. 53 della Costituzione), sebbene tale disposizione normativa, essendo applicabile in sede accertativa dall’Amministrazione finanziaria, dovrebbe riguardare esclusivamente le situazioni patologiche.

Il concetto di “possesso di redditi” ha, come noto, connaturato alla sua nozione un principio di “effettività” che impone di disconoscere le situazioni in cui il legame tra il possessore del reddito e la relativa fonte viene a spezzarsi in maniera meramente fittizia o comunque apparente.

Ciò detto, l’art. 73 TUIR ha ricondotto tra i soggetti passivi ai fini IRES sia «i trust, residenti nel territorio dello Stato» sia «i trust, con o senza personalità giuridica, non residenti nel territorio dello Stato».

Secondo l’Amministrazione finanziaria (cfr. la circ. 6 agosto 2007, n. 48/E), le modifiche alla soggettività passiva del trust avrebbero una valenza meramente ricognitiva, «posto che già prima delle disposizioni in esame i trusts erano considerati soggetti IRPEG (e poi IRES) quali enti, commerciali o non commerciali, ai sensi dell’art. 73, comma 2, del TUIR», riconducendoli tra le «altre organizzazioni non appartenenti ad altri soggetti passivi, nei confronti delle quali il presupposto dell’imposta si verifica in modo unitario ed autonomo» (in questo modo, ponendosi in linea con la dottrina che attribuisce al comma 2 dell’art. 73 il carattere di criterio unitario di identificazione di tutti i soggetti passivi IRES).

In tale prospettiva, poiché il trust sarebbe riconducibile, dal punto di vista tributario, ad un fenomeno di soggettività se e in quanto “organizzazione” di beni (che dovrebbe essere una nozione diversa da quella di semplice “patrimonio” poiché presuppone un quid pluris, rappresentato dalla presenza di strumenti – i.e. mezzi e persone – per raggiungere uno scopo mediante l’esercizio di una attività) non appartenenti ad altro soggetto passivo e dotata di “autonomia” decisionale (e quindi richiedendo che l’organizzazione sia “padrona di sé stessa”), laddove emerga che il trustee sia privo di poteri sostanziali sul trust fund, il patrimonio, seppure “formalmente” segregato, risulterebbe appartenente ad altro soggetto passivo e il trust – sebbene persegua interessi meritevoli di tutela e risulti compatibile con le regole e i princìpi stabiliti dall’intero sistema giuridico privatistico italiano – non costituirebbe un autonomo soggetto passivo d’imposta ex art. 73 TUIR.

Detto altrimenti, ai fini delle imposte sui redditi, i trust dovrebbero essere caratterizzati da una gestione ed amministrazione del fondo in trust che dovrebbe essere svolta in “autonomia” rispetto ai disponenti e/o beneficiari. Sicché dovrebbe essere escluso che questi ultimi possano disporre di sostanziali poteri decisionali o comunque possano ingerire – in maniera significativa – nella gestione del trust fund. Senza questa autonomia, a prescindere dalla loro validità civilistica, non avrebbero la capacità di essere un centro di imputazione per il diritto tributario.

Ed in questo senso dovrebbe essere letta, e a mio avviso circoscritta, la portata di talune prese di posizione dell’Amministrazione finanziaria – è il caso, ad esempio, della nota circ. 27 dicembre 2010, n. 61/E – ove l’Agenzia delle Entrate si è spinta in esemplificazioni di tipologie di trust «inesistenti in quanto interpost[i]» o forse, più propriamente, superando la contraddizione in termini, sarebbe più opportuno dire semplicemente “inesistenti” in quanto non riconosciuti quali soggetti passivi di imposta (in merito alle esemplificazioni di trust “inesistente” – che paiono, in ogni caso, a nostro avviso, connotate da una visione patologica del trust, anche alla luce, forse, di taluni fatti di cronaca dell’epoca – non è il caso di soffermarsi: cfr. Contrino A., Recenti indirizzi interpretativi sul regime fiscale di trust trasparenti, interposti e transnazionali: osservazioni critiche, in Riv. dir. trib., 2011, 6, II, 317 ss.; Stevanato D., “Stretta” dell’Agenzia delle entrate sulla fiscalità dei trust: a rischio un sereno sviluppo dell’istituto?, in Corr. trib., 2011, 7, 537 ss.).

Questa ricostruzione pare trovare altresì una chiara conferma in alcune recenti Risposte ad interpello pubblicate dall’Agenzia delle Entrate (cfr. Risposta ad interpello n. 381 dell’11 settembre 2019, Risposta ad interpello n. 111/2020, Risposta ad interpello n. 796 del 1° dicembre 2021) ove è stato precisato che: i) «affinché un trust possa essere qualificato soggetto passivo ai fini delle imposte sui redditi costituisce elemento essenziale l’effettivo potere del trustee di amministrare e disporre dei beni a lui affidati dal disponente», mentre ii) «si ritiene, invece, fiscalmente “inesistente” il trust in tutti quei casi in cui, per effetto delle disposizioni contenute nel proprio atto istitutivo ovvero in base ad elementi di mero fatto, il potere di gestire e disporre dei beni permanga in tutto o in parte in capo al disponente».

4. A questo punto, una notazione s’impone: anche in considerazione dell’estrema versatilità dell’istituto, laddove l’Agenzia delle Entrate ha disconosciuto la soggettività passiva di un trust ai fini delle imposte dirette, non ne ha mai messo in discussione la validità civilistica (cfr. ad esempio la recente Risposta ad interpello n. 359/2022 ove le considerazioni dell’Amministrazione finanziaria muovono dal «presupposto che, sotto il profilo civilistico, le partecipazioni in questione non siano cadute in successione, ma facciano tuttora parte del patrimonio segregato nel Trust»).

Ma non poteva essere diversamente, trattandosi, tra l’altro, di due dimensioni – quella civilistica e quella fiscale – che non sempre coincidono (l’autonomia tributaria del concetto di trust è, tra l’altro, un principio pacificamente riconosciuto nelle giurisdizioni di consolidata conoscenza del trust come il Regno Unito e gli USA; cfr. Brabazon M., International taxation of Trust Income, Cambridge University press, 2019, 27 ss.).

D’altronde, basti pensare che l’art. 2 della Convenzione dell’Aja, dopo aver precisato nel comma 2 le caratteristiche dei trust che rientrano nell’ambito applicativo della detta Convenzione, prosegue al comma 3 precisando che «The reservation by the settlor of certain rights and powers, and the fact that the trustee may himself have rights as a beneficiary, are not necessarily inconsistent with the existence of a trust». Lo stesso rapporto esplicativo alla Convenzione dell’Aja chiarisce sul punto che «(…) contrary to the “traditional” image of trusts, the roles of the different persons involved may be mingled» (cfr. Explanatory Report by Alfred E. von Overbeck, n. 47). O ancora, posto che la nozione di “porre sotto il controllo” dovrebbe essere intesa – quantomeno nelle giurisdizioni di common law – quale semplice sinonimo di “trasferimento” (cfr. Explanatory Report by Alfred E. von Overbeck, n. 39), come è stato sostenuto «(…) il controllo sul trustee e l’influenza sulla formazione della sua volontà sono elementi connaturati al moderno diritto dei trust» (Lupoi M., Il “controllo” in materia di trust, autodichiarato e non, in Trusts e attività fiduciarie, 2020, 2, 121 ss.).

Di talché, a mio avviso, non è possibile affermare che, dal punto di vista civilistico – e, quindi, con un chiaro disallineamento con la prassi ormai consolidata dell’Amministrazione finanziaria –, la ritenzione di diritti o poteri da parte del disponente sia di per sé in contrasto con la nozione di trust come dettata dalla Convenzione dell’Aja (in senso contrario, anche rispetto alla concetto di sottoposizione a controllo dei beni nella Convenzione dell’Aja, Contrino A., Recenti indirizzi interpretativi sul regime fiscale di trust trasparenti, interposti e transnazionali: osservazioni critiche, cit., e, più di recente, Id., Osservazioni [in parte adesive, e in parte critiche] sulla nozione fiscale di trust “interposto” di fonte amministrativa, in Riv. tel. dir. trib., 2019, 2, VIII, 401 ss.).

Si condividono, dunque, le osservazione di chi (Marchese S., I trust “fiscalmente riconosciuti”, in Dir. prat. trib., 2020, 6, 2418 ss.) ritiene che la stessa dottrina che afferma la soggettività tout court dei trust «si trova di fronte ad un dilemma: se accetta che il trust non venga riconosciuto fiscalmente, è costretta ad affermarne altresì l’invalidità secondo la legge regolatrice o, quantomeno, la sua non riconoscibilità ai sensi della Convenzione dell’Aja, ma non è detto che questo sia sempre vero; se invece contesta il disconoscimento fiscale, non può che farlo sul piano della sua validità civilistica e della sua riconoscibilità secondo la convenzione dell’Aja, senza avvedersi che ciò è condizione necessaria ma non sufficiente per l’attribuzione della soggettività tributaria al trust».

Alla luce di quanto sopra rappresentato, mi pare allora che (come ho già avuto modo di rappresentare in passato, Massarotto S. – Vicari A., Il trust e la soggettività passiva: un’analisi realistica del concetto di interposizione fittizia nelle imposte sui redditi, in Strumenti Finanziari e Fiscalità, 2020, 49, 41 ss.; in senso sostanzialmente conforme Marchetti F., La crisi della soggettività del trust e la disciplina fiscale della fiducia come possibile soluzione, in Trust e attività fiduciarie, 2013, 4, 383 ss.), sia ragionevole sostenere che:

(i) da un lato, in tutti i casi anomali (per non dire patologici) di nominee agreement aventi la mera denominazione di trust (o altro istituto analogo), caratterizzati dalla circostanza che il trustee è, di fatto, un mero prestanome (o testa di legno, uomo di paglia), tenuto a seguire la volontà altrui nell’attività di amministrazione e disposizione dei beni in trust e dei relativi redditi, è lecito dubitare che ricorrano quei requisiti minimi affinché l’ordinamento attribuisca rilevanza all’effetto segregativo e, quindi, all’esistenza stessa del trust (qui il contenuto dell’atto [di trust] è – probabilmente – incompatibile con lo schema tipico del negozio di cui riporta [solo] il nomen iuris);

(ii) dall’altro lato, al di là delle ipotesi patologiche, potrebbero ben sussistere ipotesi di trust che – sebbene perseguano interessi meritevoli di tutela e risultino compatibili con le regole e i princìpi stabiliti dall’intero sistema giuridico privatistico italiano e non possono essere qualificati come nominee agreements – non siano, tuttavia, dotati della sufficiente autonomia nell’amministrazione e disposizione dei beni in trust e dei relativi redditi.

Nei casi sopramenzionati ritengo sia corretto negare soggettività passiva al trust ex art. 73 TUIR, attribuendo i beni costituenti il trust fund (e i correlati redditi) al disponente, ovvero a uno o più beneficiari.

5. Tornando ai chiarimenti forniti dall’Agenzia delle Entrate, nella citata circ. n. 34/E/2022 è stato precisato che in ipotesi di trust interposti – rectius non soggetti passivi – al momento del decesso del soggetto disponente/interponente, vi sarebbe una devoluzione mortis causa del trust fund agli eredi del de cuius, con conseguente applicazione dell’imposta sulle successioni.

I motivi di cautela fiscale sottesi al chiarimento dell’Amministrazione finanziaria sono abbastanza evidenti e del tutto condivisibili: poiché tanto i beni costituenti il trust fund quanto i correlati redditi sono, ai fini fiscali, attribuiti al disponente/interponente, devono essere assoggettati all’imposta sulle successioni e donazioni non soltanto la dotazione iniziale ma altresì i redditi medio tempore realizzati dall’interponente.

Ma ciò che colpisce è il richiamo al tributo successorio piuttosto che all’imposta sulle donazioni, laddove viene precisato che, in caso di decesso del disponente, «tra i beni e i diritti che compongono l’attivo ereditario di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 346 sono inclusi anche quelli formalmente nella titolarità del trust, qualificato come interposto».

È evidente, infatti, che questa soluzione, motivata più che altro da una considerazione pragmatica (per la verità, forse legata alla precedente visione dell’Amministrazione finanziaria secondo cui l’imposta sulle successioni e donazioni era dovuta in sede di apporto dei beni in trust e non in sede di attribuzione ai beneficiari: sul tema v., per tutti, Salanitro G., Imposta principale postuma e registrazione di atto istitutivo di trust, in Dir. prat. trib., 2019, 3, II,1243 ss.), si basa sull’equazione “trust non soggetto passivo” = “trust inesistente civilisticamente” che, in realtà, richiede una valutazione caso per caso e, come visto, non può dunque considerarsi sempre valida.

Inoltre, così facendo, si determina una sorta di “corto-circuito” in tutti i casi in cui, al di fuori dei casi patologici, l’istituto del trust persegue un interesse meritevole di tutela e conserva la sua validità ai sensi della legge regolatrice e della Convenzione dell’Aja: l’onere dell’imposta sulle successioni e donazioni deve ricadere sui beneficiari del trust e non sugli eredi del disponente, i quali potrebbero – legittimamente – non coincidere (in tutto o in parte) con i primi e ben potrebbero essere ignari dell’esistenza stessa del trust. In altri termini, la soluzione adottata dall’Agenzia delle Entrate pare difficilmente razionalizzabile e, al di là dei problemi pratici che può procurare (basti pensare, come evidenziato dalla Circolare ABI n. 21 del 10 novembre 2022, alla necessità di chiarire come la precisazione dell’Agenzia delle Entrate si coordini con l’art. 48 D.Lgs. n. 346/1990 in tema di “Divieti e obblighi a carico di terzi”) sarà sicuramente foriera di contenziosi: invero, nei confronti degli eredi del disponente/interponente, in assenza di un effettivo trasferimento di ricchezza, non si realizza alcun presupposto del tributo donativo-successorio (come riconosciuto dalla stessa circ. n. 34/E/2022, il «presupposto stabilito per tale imposta dal d.lgs. n. 346 del 1990 … impone la sussistenza “del reale trasferimento di beni o diritti e quindi del reale arricchimento dei beneficiari”»).

Ciò detto, una soluzione alternativa che condurrebbe al medesimo risultato di evitare salti d’imposta – i.e. tassazione, ai fini dell’imposta sulle successioni e donazioni, sia della dotazione iniziale sia dei redditi realizzati medio tempore da parte del disponente/interponente –, ma che avrebbe altresì il pregio di essere in linea con l’interpretazione sistematica delle disposizioni normative in tema di imposta sulle successioni e donazioni, potrebbe essere la seguente.

In caso di decesso del disponente/interponente, verrebbero meno i poteri di revoca del trustee e gli altri poteri da “dominus” che quest’ultimo si era riservato, e ci troveremmo quindi di fronte alla sopravvenuta insussistenza delle circostanze di fatto che hanno portato a ritenere un determinato trust come non riconoscibile quale autonomo soggetto passivo ai fini fiscali. In altri termini, il decesso del disponente/interponente determinerebbe la rimozione degli elementi ostativi al riconoscimento della soggettività tributaria del trust, con la conseguenza che quest’ultimo assumerà, nel medesimo periodo d’imposta, quella soggettività passiva di cui, in precedenza, difettava.

La sopravvenuta rilevanza fiscale del trust dovrebbe comportare che sia ragionevole ipotizzare, ai soli fini fiscali (e, quindi, a mio avviso, senza violare il divieto dei patti successori di cui all’art. 458 c.c.), un apporto in trust da parte del disponente al momento del suo decesso, apporto rappresentato dall’intero trust fund (dotazione iniziale e redditi medio tempore realizzati) che, come detto, deve ritenersi attribuito ai fini fiscali al disponente/interponente. Conseguentemente, in modo del tutto analogo a quanto accadrebbe con un trust testamentario, troverebbe applicazione l’imposta sulle donazioni (e non quella sulle successioni) in sede di attribuzione (e non di apporto) ai beneficiari del trust (e non agli eredi del disponente che, in quanto tali, non ricevono alcun trasferimento di ricchezza).

Un’ultima notazione di chiusura. Laddove, a seguito del decesso del disponente/interponente, vi sia invece una trasmissione dei poteri da “dominus” che quest’ultimo possedeva a favore dei beneficiari del trust, la soluzione potrebbe rinvenirsi nella stessa circ. n. 34/E/2022 (cfr. par. 4.4.3) laddove, se da noi ben inteso, l’Agenzia delle entrate si occupa, ai fini dell’imposta sulle successioni e donazioni, di situazioni non patologiche quali quelle dei trust nudi (c.d. bare trust), ove, in conseguenza di eventi intervenuti nel corso della vita del trust i beneficiari divengono “vested” e più precisamente “vested in possession” e, pertanto, può dirsi che «il fondo in trust appartiene loro di diritto» e «il compito del trustee è limitato agli atti necessari per la consegna del fondo a costoro» (Lupoi M., Istituzioni del diritto dei trust negli ordinamenti di origine e in Italia, Padova, 2020, 140 ss.; Tassani T., Le diverse tipologie di trust tra imposizione “in entrata” ed “in uscita”, in Trusts e attività fiduciarie, 2020, 4, 361 ss.).

Invero, anche in questo caso avremmo un apporto (rappresentato dall’intero trust fund) in trust da parte del disponente/interponente al momento del suo decesso. Peraltro, in linea con quanto rappresentato dalla circ. n. 34/E/2022 (cfr. par. 4.4.3), il momento in cui si realizzerebbe «l’effettivo trasferimento di ricchezza mediante un’attribuzione “stabile” dei beni confluiti nel trust a favore del beneficiario» sarebbe, in questo caso, rinvenibile già all’atto della dotazione del trust, con conseguente immediata applicazione, anche in questo caso, dell’imposta sulle donazioni (e non del tributo successorio) in capo ai beneficiari del trust (e non agli eredi del disponente che, in quanto tali, non si arricchiscono).

Confidiamo che l’Agenzia delle Entrate avrà modo di precisare il suo pensiero in future risposte ad istanze di interpello.

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

Ballancin A., Riflessioni sull’acquisita soggettività tributaria degli OICR, in Dir. prat. trib., 2013, 3, 707 ss.

Barba V., Negozi post mortem ed effetti di destinazione. Interferenze con la disciplina dei legittimari: la riduzione delle liberalità indirette, in Riv. dir. priv., 2016, 1, 49 ss.

Brabazon M., International taxation of Trust Income, Cambridge University press, 2019

Buzzi V. – Sorci G., I trust nelle imposte indirette alla luce della recente Circolare n. 34/E/2022 (tra restyling e novità), in Riv. tel. dir. trib., 11 novembre 2022

Carinci A., L’invalidità del contratto nelle imposte sui redditi, Padova, 2003, 84 ss.

Consiglio nazionale del Notariato, Studio n. 219-2019/C, Il trust in funzione successoria tra divieto dei patti successori e tutela dei legittimari, approvato dalla Commissione Studi Civilistici il 30 marzo 2021

Contrino A., Recenti indirizzi interpretativi sul regime fiscale di trust trasparenti, interposti e transnazionali: osservazioni critiche, in Riv. dir. trib., 2011, 6, II, 317 ss.

Contrino A., Osservazioni (in parte adesive e in parte critiche) sulla nozione di trust “interposto” di fonte amministrativa, in Riv. tel. dir. trib., 2019, 2, VIII, 401 ss.

Contrino A., Trust, vincoli di destinazione e sistema tributario. Un itinerario di ricerca, Pisa, 2021

Falsitta G., Spunti critici e ricostruttivi sull’errata commistione di simulazio-ne ed elusione nell’onnivoro contenitore detto “abuso del diritto”, Riv. dir. trib., 2010, 6, 349 ss.

Gallo F., La soggettività ai fini IRPEG., in Aa.Vv., Il reddito d’impresa nel nuovo testo unico, Roma-Milano, 1990, 662 ss.

Gallo F., Prime riflessioni su alcune recenti norme antielusione, in Dir. prat. trib., 1992, 1761 ss.

Giusti G., La nozione di trust nella dimensione internazionale, in Riv. dir. fin. sc. fin., 2019, 505 ss.

Lovisolo A., Possesso di reddito e interposizione di persona, in Dir. prat. trib., 1993, 1665 ss.

Lupoi M., Trust, in Matucelli S. – Pescatore V. (a cura di), Diritto Civile, Milano, 2011

Lupoi M., Istituzioni del diritto dei trust negli ordinamenti di origine e in Italia, Padova, 2020

Lupoi M., Il “controllo” in materia di trust, autodichiarato e non, in Trusts e attività fiduciarie, 2020, 2, 121 ss.

Lupoi M. – Tassani T., Il c.d. “scioglimento consensuale” del trust: diritto civile e diritto tributario, in Trusts e Attività fiduciarie, 2020, 5 ss.

Marchetti F., La crisi della soggettività del trust e la disciplina fiscale della fiducia come possibile soluzione, in Trust e attività fiduciarie, 2013, 4, 383 ss.

Marchese S., I trust “fiscalmente riconosciuti”, in Dir. prat. trib., 2020, 6, 2407 ss.

Massarotto S. – Altomare M., Il monitoraggio fiscale degli investimenti all’estero e delle attività estere di natura finanziaria, Aa.Vv., Temi di fiscalità nazionale ed internazionale, Padova, 2014, 833 ss.

Massarotto S. – Vicari A., Il trust e la soggettività passiva: un’analisi realistica del concetto di interposizione fittizia nelle imposte sui redditi, in Strumenti Finanziari e Fiscalità, 2020, 49, 41 ss.

Paparella F., Possesso di redditi ed interposizione fittizia, Milano, 2000, 123 ss.

Salanitro G., Imposta principale postuma e registrazione di atto istitutivo di trust, in Dir. prat. trib., 2019, 3, II,1243 ss.

Stevanato D., “Stretta” dell’Agenzia delle entrate sulla fiscalità dei trust: a rischio un sereno sviluppo dell’istituto?, in Corr. trib., 2011, 7, 537 ss.

Tassani T., Le diverse tipologie di trust tra imposizione “in entrata” ed “in uscita”, in Trusts e attività fiduciarie, 2020, 4, 361 ss.

Tosi L., La nozione di reddito, in Tesauro F. (diretta da), Giur. Sist. Dir. Trib. – Imposta sul reddito delle persone fisiche, Tomo I, Torino, 1994, 42 ss.

Vicari A., La scelta della legge regolatrice del trust: una questione di principio, in Trusts e attività fiduciarie, 2011, 364 ss.

Violetta G., Il trust fiscalmente “neutro” come tertium genus. L’interposizione fiscale nell’interpretazione recente dell’Agenzia delle Entrate. Il Registro dei Titolari Effettivi, in Trust, Impresa e Famiglia, 2022, 3, 25 ss.

Zizzo G., I trust non residenti tra sistema e timori di abusi, in Corr. trib., 2020, 4, 366 ss.

Scarica il commento in formato pdf

Tag:, , , , , , , ,