Opportunità e rischi dell’uso dell’IA nel giudizio tributario

Di Gaetano Ragucci -

Abstract (*)

Il contributo mette in evidenza le opportunità e i rischi connessi all’uso dell’Intelligenza Artificiale nel giudizio tributario, valutandone le criticità circa la tenuta del principio di legalità dell’amministrazione dei tributi e la ridefinizione del ruolo del giudice.

Opportunities and risks of the use of AI in tax judgment – This paper highlights the opportunities and risks associated with the use of Artificial Intelligence in tax proceedings, assessing the critical issues surrounding the principle of legality in tax administration and the redefinition of the role of the judge.

Sommario: 1. Oggetto. – 2. La tenuta del principio di legalità (La resistenza al sindacato di legalità. Il pregiudizio al consenso all’imposta). – 3. Il ruolo del giudice (Il vizio riduzionistico. Gli effetti sul ruolo del giudice). – 4. Conclusione.

1. Il dibattito sull’uso dell’IA nel processo tributario riveste caratteri di stringente attualità, alla luce dell’adozione della nuova infrastruttura operativa, moderna e collaborativa, compendiata nel progetto della c.d. “scrivania del giudice”, su cui il Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria (CPGT) si è espresso con la delibera del luglio scorso (delibera CPGT, 22 luglio 2025, n. 880), e ormai di imminente adozione. Le anticipazioni promettono la creazione di una catena di atti giurisdizionali digitali, su flussi predefiniti tra Presidente, Relatore, Segretario di sezione, che non si limiterà a dematerializzare gli atti del processo, ma codificherà passaggi, ruoli e responsabilità sostituendosi ai titolari delle funzioni direttive che ne hanno avuto sino a oggi la responsabilità. Tra le tecnologie e gli strumenti di supporto al magistrato, ci sarà anche la possibilità di un’analisi degli atti del processo finalizzata alla redazione dell’esposizione del fatto della sentenza, e di una ricerca giurisprudenziale “predittiva”, con riuso della conoscenza, a beneficio della coerenza delle motivazioni e della costanza della giurisprudenza.

Si tratta di una realtà in corso di consolidamento, che, confrontata con le recentissime guide lines del Consiglio Superiore della Magistratura (CSM) sull’uso degli strumenti di IA nell’amministrazione della giustizia (delibera CSM, 8 ottobre 2025, “Raccomandazioni sull’uso dell’intelligenza artificiale nell’amministrazione della giustizia”), e con le analoghe istruzioni diramate dall’Agenzia delle Entrate sul loro impiego nei processi di analisi del rischio e di controllo (audizione del Direttore dell’Agenzia delle Entrate alla Commissione parlamentare di vigilanza sull’Anagrafe tributaria, 29 ottobre 2025), conferisce al rapporto della giurisdizione tributaria con l’IA caratteri peculiari. Caratteri sui quali è opportuno che la comunità degli operatori della giustizia, e tutti i cittadini, siano messi nelle condizioni di riflettere, a evitare che le condizioni strutturali e congiunturali in cui l’innovazione delle tecnologie del processo si sta compiendo (una indipendenza attenuata della magistratura tributaria dal MEF; una neocostituita magistratura di carriera, priva di saldi riferimenti culturali) ne permettano una acritica accettazione.

Senza pretendere di trattare compiutamente il problema, e per limitarmi alle evidenze, direi che l’uso dell’IA nel giudizio tributario si presta a valutazioni complesse, che per stare all’essenziale riconduco a due classici problemi: la tenuta del principio di legalità dell’amministrazione dei tributi, e il ruolo del giudice che ne controlla i risultati. Due problemi che gli interessi che promuovono l’innovazione tecnologica in ogni settore della vita associata, e certa retorica che ne celebra le virtù dal punto di vista più dell’efficienza che della qualità delle funzioni pubbliche che ne fanno uso, tengono in secondo piano, ma che è opportuno avere ben presenti, anche a costo di andare contro corrente. Credo, anzi, che di fronte al fenomeno dell’IA l’atteggiamento del giurista debba essere proprio questo. Sono infatti d’accordo con l’opinione espressa da Oreste Pollicino in recente intervento pubblico, per il quale, di fronte ai processi di disintermediazione innescati dalle moderne tecnologie, il giurista è chiamato a esercitare un ruolo critico, aiutando la società a riconoscere nelle norme più che un insieme di comandi e di tecniche, il riflesso dei valori più profondi, e delle più alte aspirazioni.

2. È diffuso il timore che l’IA favorisca il passaggio da una amministrazione per atti soggetti a principio di legalità, a un’amministrazione di dati soggetta a vincolo tecnologico (Fasola M., L’amministrazione algoritmica dei tributi, Milano, 2025). La prospettiva è reale, e può avere conseguenze anche sul ruolo del giudizio tributario.

In effetti, l’impegno nel creare banche dati pubbliche sempre più interconnesse, e sempre più trattate grazie proprio ai meccanismi di AI, ha assecondato una “bulimia di dati” dell’Amministrazione, pronta a esondare sulle fonti aperte offerte dalla rete, per i ben noti usi ai fini della prevenzione e del contrasto dell’evasione. Tuttavia, credo che occorra ammettere che l’elaborazione di questi dati attraverso strumenti di IA, e il loro utilizzo nel campo dei tributi, non mettano sempre in gioco il tema della legalità del potere pubblico.

L’uso dell’IA nell’analisi del rischio fiscale che si avvale di modelli di tipo deterministico indentifica dati puntuali, utili per invitare all’adempimento volontario, o per recuperare importi evasi. Si potrà criticare la scelta di negare il contraddittorio preventivo per gli accertamenti automatizzati o sostanzialmente automatizzati che ne possono derivare. Ma non mi pare che, per fare un esempio, l’accertamento nei confronti di un carrozziere, sulla base del riscontro puntuale degli indennizzi assicurativi versati dalle compagnie di assicurazioni convenzionate, ceduti dai clienti in conto pagamento dei corrispettivi, e non dichiarati, ponga problemi di legalità formale o sostanziale legati all’uso dell’IA.

Avverto invece controindicazioni nei processi di analisi del rischio secondo modelli probabilistici, e in quello che ne può seguire. Qui intravedo quello che Enrico Marello definisce uno svuotamento subdolo del principio di legalità (Marello E., La digitalizzazione del sistema tributario, in Riv. tel. dir. trib., 2024, 1, 26 ss.).

L’uso della tecnologia sposta l’esercizio del potere da un luogo all’altro, fino a nasconderlo: dalla legge al decreto legislativo; dal decreto legislativo al decreto ministeriale, o al provvedimento del direttore dell’Agenzia, e da questo al titolare della banca dati e al programmatore. Luoghi sempre meno accessibili, in cui vengono elaborati contenuti instabili perché facilmente modificabili, che sollevano riserve perché (a) tendono a sottrarsi al sindacato di legalità, e, a un livello superiore, (b) pregiudicano un meccanismo di risoluzione della lite, essenziale ai fini del consenso all’imposta.

Primo punto, e fondamentale: per il Regolamento UE 2024/1689 sull’IA, la conformità delle attività di raccolta e di conservazione alle regole di protezione dei dati personali assocerebbe al trattamento dei dati con strumenti di IA un basso rischio di lesione dei diritti individuali. Ma vi si riconosce anche che l’impatto sul diritto di difesa e sulla tutela giurisdizionale effettiva «non dovrebbe essere ignorato, in particolare la difficoltà di ottenere informazioni significative sul funzionamento di tali sistemi e la difficoltà che ne risulta nel confutarne i risultati» (Marinello A., L’utilizzo dell’Intelligenza Artificiale da parte del fisco: limiti e prospettive anche alla luce dell’Artificial Intelligence Act dell’Unione Europea, in Riv. tel. dir. trib., 2024, 2, 625 ss.). Il problema è particolarmente delicato quando si pone in un giudizio che sindaca la legittimità dell’operato di un potere pubblico, e da questo punto di vista è già stato affrontato dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato che si è espresso sull’inammissibilità di “decisioni” automatizzate (fin da: Cons. Stato, sent. n. 2270/2019), ponendo la trasparenza e la compressibilità dei procedimenti utilizzati a caposaldo della garanzia di una tutela effettiva dei diritti delle parti del processo.

Non so se queste indicazioni sia stata recepita in tutta la loro portata dagli studiosi, i quali identificano la “decisione” con il “provvedimento”, e perciò non sottopongono a una radicale verifica di compatibilità con il divieto di decisioni automatizzate contenuto nel Regolamento UE 2016/679 atti che provvedimenti non sono, come quelli prodotti dai noti automatismi insiti nella formulazione della proposta di concordato preventivo (Cané D., Profili del nuovo concordato preventivo, rapporti con l’accertamento e con la riserva di legge, in Riv. dir. fin. sc. fin. 2025, I, 78), o la regola dell’art. 47 del decreto sul processo (art. 96 Testo Unico della Giustizia tributaria), che consente ai contribuenti dotati di un ISA elevato di ottenere la sospensione degli effetti esecutivi della sentenza senza prestare garanzie. Ciò non toglie che, nel contesto del Regolamento UE 2016/679, il concetto di decisione abbia un significato molto più ampio di quello coperto dalla nozione interna di provvedimento, tanto che la Corte di Giustizia UE lo ha applicato alla decisione di una banca di negare una linea di credito a un cliente non affidato (Corte di Giustizia UE, Prima Sezione, sent. 7 dicembre 2023, causa C-634-21, parr. 44-46, la quale ha concluso che la nozione «è sufficientemente ampia da ricomprendere il risultato del calcolo della solvibilità di una persona sotto forma di tasso di probabilità relativo alla capacità di tale persona di onorare impegni di pagamento in futuro»). Credo perciò che la questione non sia chiusa, e che la giurisdizione tributaria possa ancora dire qualcosa in proposito.

Un cenno al secondo punto: a livello costituzionale la legalità dell’imposta ne garantisce il consenso, cioè la base democratica. La resistenza dei prodotti dell’IA al controllo di legalità fa dunque venire meno l’apporto che il processo può dare alla soluzione della crisi del consenso che si esprime nella lite tributaria. Una visione ideale presenta il processo come il luogo in cui le parti concorrono alla definizione del contenuto della sentenza, che, quando passa in giudicato, ha effetto di legge nei loro confronti. Siamo sicuri che il prodotto dell’IA che sia passato indenne attraverso il giudizio sia altrettanto persuasivo di una sentenza ben argomentata, e abbia la stessa efficacia nel ricomporre il conflitto nella materia dei tributi? Su questo aspetto sono però opportune anche altre considerazioni.

3. L’IA viene associata all’idea di una “rivoluzione” destinata a modificare per sempre gli assetti del diritto tributario. Ma, se la si osserva dal punto di vista del ruolo del giudice, nella legge delega della riforma sembra avere, al contrario, un ruolo che per alcuni Autori non è diverso dal progetto della codificazione tributaria, cioè di freno del processo evolutivo, culturale e istituzionale, che tra i civilisti ha fatto parlare della “crisi della fattispecie”, e delle tecniche dell’interpretazione ereditate dal positivismo giuridico storico (Irti N., La crisi della fattispecie, in Riv. dir. proc., 2014, 1, 41 ss.).

Ricavo questa impressione della lettura degli scritti di Paolo Grossi sui caratteri di quello che egli definisce il “diritto postmoderno” (Grossi P., Il diritto civile in Italia tra moderno e postmoderno. Dal monismo legalistico al pluralismo giuridico, Roma, 2021). Di un diritto che realizza una rivoluzione copernicana ai danni della pretesa di ottenere la certezza del diritto attraverso un Codice, e attraverso una scienza giuridica che riduce la varietà del reale allo schema della fattispecie, alla cui realizzazione un legislatore preveggente collega effetti che spetta poi al giudice dichiarare. Una prospettiva che al legislatore sostituisce un giudice interprete della “normatività del fatto”, in prima linea nel custodire e proteggere gli interessi e i valori che vi si cristallizzano.

Secondo queste indicazioni, l’operazione che sostiene l’adozione di un Codice sarebbe da considerare viziata dal peccato capitale dell’età moderna, cioè da un drastico “riduzionismo”, consistente nello sforzo (destinato sempre all’insuccesso) di costringere l’intera esperienza negli angusti confini di un paesaggio giuridico ridotto a una realtà formale e semplificata. Con l’effetto di trasformare il giudice nella proverbiale bouche de la loi, cioè di negargli l’onere, e la responsabilità, di concorrere al cambiamento degli assetti economici e sociali costituiti. Credo che l’uso dell’IA, a cui la legge delega della riforma ha aperto la strada, sia affetto dallo stesso vizio riduzionistico, e che provochi effetti forse ancora più spinti sulla definizione del ruolo del giudice.

La riforma ha aperto la strada all’uso di strumenti di IA in molti campi, che vanno dalla collaborazione Fisco-contribuente, alla prevenzione e anche al contrasto dell’evasione. Innanzitutto, nella nuova disciplina dell’interpello, con la norma che subordina l’accesso a questo rimedio al conseguimento di una risposta “non univoca” di una procedura di consultazione gestita da strumenti di IA. E poi nelle forme di potenziamento della prevenzione, della selezione nei soggetti da sottoporre a controllo, e della promozione dell’adempimento spontaneo, imperniata sul sistema degli indici sintetici di affidabilità (ISA), e sul concordato preventivo biennale. È soprattutto attraverso il passante del potere, che l’IA può incidere sui caratteri di un giudizio tributario, che aspira a essere la sede dell’accertamento sostanziale dell’obbligazione d’imposta (Cass. ord. n. 6016/2025).

Non è, del resto, difficile riconoscere il vizio riduzionistico nell’uso dei modelli di IA di tipo probabilistico, per la pretesa di ridurre la varietà del reale allo schema (non più logico come la fattispecie, ma) logico-matematico, basato sulla ricorrenza statistica, che al ripetersi di condizioni date associa effetti predeterminati. Ne sono un’applicazione chiarissima gli ISA, con la loro pretesa di classificare la totalità degli imprenditori e professionisti nelle 10 classi di merito di un ideale esame di profitto – che sono gli stessi indici su cui sono fondate anche le proposte di concordato preventivo biennale, e che cominciano a comparire nelle motivazioni degli accertamenti c.d. “standardizzati”, con conseguenze che attendono ancora di essere vagliate. Alla più o meno fondata fiducia nel legislatore onnisciente e preveggente si è sostituita una fiducia nelle tecnologie informatiche che sostengono gli strumenti di IA. Una fiducia ancora tutta da testare, ma che non è diversa da quella tanto a lungo nutrita nei confronti del legislatore – è solo più al passo con i tempi, che non è sempre una garanzia di un progresso reale!

Nei giorni scorsi Andrea Giovanardi ha segnalato la frequenza di schemi d’atto nei quali l’Agenzia delle Entrate parte dal punteggio ISA dei contribuenti con meno di 8 punti, e dalla bassa redditività manifestata nel periodo di imposta, per accertare un maggior reddito derivante dall’applicazione al costo del venduto della percentuale di ricarico media di un campione formato da contribuenti con punteggio ISA più elevato (Giovanardi A., Dagli ISA all’accertamento induttivo il passo è breve, in Quotidiano IPSOA, 19 settembre 2025). Si tratta di una prassi criticabile, perché gli accertamenti standardizzati non passano attraverso la prova dell’inattendibilità della contabilità; perciò, se a giustificare lo squilibrio tra costi e ricavi, bastasse un ISA basso, l’accertamento si baserebbe esclusivamente su presunzioni semplicissime, che per legge è consentito solo in presenza di accertate gravi irregolarità contabili.

Un punto ineludibile sarà la verifica della ricorrenza dei requisiti della precisione, della gravità e della concordanza degli elementi presuntivi organizzati attorno ha un ISA inferiore a 8. Mi pare però ancora più importante osservare che dalla presenza e dal grado di severità di questa verifica dipende soprattutto la possibilità del giudice di accertare l’obbligazione di imposta. Se una tecnica di accertamento di questo tipo dovesse affermarsi, l’apporto del giudice sarebbe negato, e questo si vedrebbe ridotto da bouche de la loi, a bouche de l’administration, il che mi pare un rischio non ben ponderato dai cantori della rivoluzione digitale nel campo dei tributi!

4. Dicevo della sperimentazione della c.d. “scrivania del giudice”, e credo che in questo strumento si esprimano in modo esemplare molte delle criticità sulla tenuta del principio di legalità, e soprattutto sul rischio di una ridefinizione del ruolo del processo e del giudice, a cui ho fatto cenno. Mi pare anzi che da quanto si può osservare a questo proposito vengano argomenti in favore di una interpretazione, più che cauta, severa del ruolo dell’AI nell’amministrazione della giustizia tributaria.

Strumenti di questo genere sono certamente preziosi nell’esplorazione delle fonti e dei materiali normativi la cui conoscenza è essenziale per il migliore esercizio della giurisdizione. Non possono però alterare le regole e le prassi che riservano al giudice nell’esercizio della sua funzione.

Chiunque abbia pratica della giurisdizione sa bene che l’esposizione dei fatti del processo contenuta nella sentenza non è, di certo, un riassunto impersonale del contenuto degli atti delle parti, perché è invece il frutto di una delicata opera di selezione degli elementi del fatto che il giudice riconosce come rilevanti, in quanto sovrapponibili alla fattispecie astratta ricavabile da una norma che il giudice ha già individuato, alla quale affida la soluzione del caso sottoposto al suo vaglio. Non è, perciò, difficile riconoscere nell’affidamento all’IA dell’elaborazione della parte in fatto della sentenza un primo attentato alla autonoma valutazione del giudice sui fatti della causa.

Anche lo studio dei precedenti giuridici che gli strumenti di IA possono individuare, con tanta maggiore efficienza di quanto non possano le banche dati da anni disponibili, il loro confronto, l’individuazione delle diverse opzioni interpretative emerse, e l’individuazione delle ragioni che le giustificano, sono momenti essenziali di una valutazione autonoma dell’oggetto del giudizio, che l’uso di una forma di ricerca giurisprudenziale “predittiva” svolta dalla macchina compromette, e, al limite, vanifica. Questo è l’esito finale della sostituzione al giudizio critico del giudice della massima giurisprudenziale prevedibile, in base a un criterio di ricorrenza statistica, a cui l’IA si affida.

Siamo partiti dal ruolo di critico riservato al giurista di fronte ai moderni processi di disintermediazione accelerati dagli strumenti di IA, ma alla fine occorre forse fare un passo avanti. E ammettere con Oreste Pollicino che sotto certi aspetti la critica non tema di diventare resistenza. Resistenza alla semplificazione, alla riduzione dell’umano ad algoritmo, al cinismo di chi pensa che tutto sia già deciso dai “codici”, siano essi giuridici o binari.

(*) Testo rivisto, e con note aggiunte, della relazione tenuta al Convegno “La giustizia tributaria nell’epoca dell’Intelligenza Artificiale”, tenuto a Capri il 4 ottobre 2025 su iniziativa del Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria.

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

Cané D., Profili del nuovo concordato preventivo, rapporti con l’accertamento e con la riserva di legge, in Riv. dir. fin. sc. fin., 2025, I, 78 ss.

Fasola M., L’amministrazione algoritmica dei tributi, Milano, 2025

Giovanardi A., Dagli ISA all’accertamento induttivo il passo è breve, in Quotidiano IPSOA, 19 settembre 2025

Grossi P., Il diritto civile in Italia tra moderno e postmoderno. Dal monismo legalistico al pluralismo giuridico, Roma, 2021

Irti N., La crisi della fattispecie, in Riv. dir. proc., 2014, 1, 36 ss.

Marello E., La digitalizzazione del sistema tributario, in Riv. tel. dir. trib., 2024, 1, 26 ss.

Marinello A., L’utilizzo dell’Intelligenza Artificiale da parte del fisco: limiti e prospettive anche alla luce dell’Artificial Intelligence Act dell’Unione Europea, in Riv. tel. dir. trib., Riv. tel. dir. trib., 2024, 2, 625 ss.

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