Il caso Nordcurrent Group UAB: l’interpretazione da parte della CGUE della normativa antiabuso europea e i possibili riflessi sull’art. 10-bis dello Statuto del contribuente
Di Alessandro Savorana e Fabrizio Vismara
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Abstract (*)
La sentenza Nordcurrent Group UAB (C-228/24) della Corte di Giustizia dell’Unione Europea rappresenta un passaggio evolutivo di rilievo nella definizione dei criteri e delle condizioni che configurano un abuso del diritto in ambito tributario. Pur originata dall’interpretazione della clausola antiabuso contenuta nella Direttiva madre-figlia, la decisione estende i propri effetti all’intero diritto fiscale unionale, delineando un principio generale applicabile anche alle altre Direttive e alla clausola generale antielusione di cui all’art. 6 della Direttiva ATAD. La Corte ribadisce la necessità del concorso di un elemento oggettivo (costruzione non genuina) e di uno soggettivo (conseguimento di un effettivo vantaggio fiscale indebito), imponendo alle Amministrazioni nazionali una valutazione complessiva, proporzionata e sistemica dei fatti. Tale approccio incide sull’interpretazione dell’art. 10-bis dello Statuto del contribuente, orientando la prassi e la giurisprudenza italiane verso una nuova lettura unitaria e sostanziale dell’abuso del diritto.
The Nordcurrent Group UAB case: the CJEU’s interpretation of European anti-abuse legislation and its potential implications for Article 10-bis of the Taxpayer’s Statute – The Nordcurrent Group UAB judgment (Case C-228/24) of the Court of Justice of the European Union constitutes a significant evolutionary step in defining the criteria and conditions that characterize an abuse of rights in the field of taxation. Although originating from the interpretation of the anti-abuse clause contained in the Parent-Subsidiary Directive, the decision extends its effects to the entire body of EU tax law, outlining a general principle applicable also to other directives and to the general anti-abuse rule (GAAR) set forth in Article 6 of the ATAD Directive. The Court reaffirms the need for the concurrence of both an objective element (a non-genuine arrangement) and a subjective element (the attainment of an actual undue tax advantage), requiring national authorities to conduct an overall, proportionate, and systemic assessment of the facts. This approach affects the interpretation of Article 10-bis of the Italian Taxpayer’s Bill of Rights (Statuto dei diritti del contribuente), steering Italian administrative practice and case law toward a new, unified, and substantive understanding of the abuse of rights doctrine.
Sommario:1. Premessa. – 2. Il caso Nordcurrent Group UAB. – 3. L’interpretazione dell’abuso da parte della Corte di Giustizia dell’Unione Europea. – 4. Recente prassi e giurisprudenza italiana sull’abuso e conseguenti effetti del caso Nordcurrent Group. – 5. Conclusioni.
1. La Corte di Giustizia dell’Unione Europea (in seguito CGUE) è stata recentemente chiamata a interpretare la norma antiabuso contenuta nella Direttiva c.d. “madre-figlia” (2011/96/UE) nella causa C‑228/24, Nordcurrent Group UAB, declinata nella sentenza 3 aprile 2025.
Nel caso in esame la CGUE affronta per la prima volta la questione delle circostanze in cui lo Stato membro di una società madre ha il diritto di negare l’esenzione da imposizione, ai sensi dell’art. 4, par. 1, lett. a), Direttiva sulle società madri-figlie, in caso di abuso.
È una sentenza che è (quasi) passata inosservata, ma che sviluppa aspetti di principio e procedurali di sicuro interesse.
Infatti, come avremo modo di descrivere, la Corte, rispetto ad altre sentenze, ha fatto un passo in avanti nell’enucleare la procedura attraverso la quale le Amministrazioni fiscali sono tenute a soppesare correttamente i fatti e le circostanze pertinenti nel contestare una costruzione abusiva, caratterizzata dall’assenza di valide ragioni commerciali che riflettano la realtà economica.
Gli effetti erga omnes che ne derivano, atteso, come noto, che le sentenze della CGUE costituiscono un precedente vincolante anche per giudici di altri Stati membri, non sono di poco conto e dovranno trovare accoglimento nella prassi interna delle Amministrazioni degli Stati UE e conseguenti riflessi in sede di giudizio.
In particolare, le conclusioni della sentenza sono rilevanti anche per l’interpretazione di altre disposizioni antiabuso del diritto tributario dell’UE, in particolare l’art. 6 della Direttiva anti-elusione (2016/1164/UE ATAD 1; su cui, anche per i rapporti con la clausola antiabuso italiana, v. Gallo F., L’abuso del diritto nell’art. 6 della Direttiva 2016/1164/UE e nell’art. 10-bis dello Statuto dei diritti del contribuente: un confronto tra le due nozioni, in Rass. trib., 2018, 2, 271 ss.; Stevanato D., La norma antielusiva è conforme alla Direttiva ATAD?, in Corr. trib., 2019, 7, 623 ss.), l’art. 5, parr. 1 e 2, Direttiva sugli interessi e i canoni (2003/49/CE) e l’art. 15, par. 1, Direttiva sulle fusioni (90/434/CEE). Resta da valutare l’impatto della sentenza sull’interpretazione del criterio dell’obiettivo principale di cui all’art. 29, par. 9, Modello di Convenzione dell’OCSE1.
2. Il caso riguardava una società madre lituana, Nordcurrent (in seguito la Madre), che aveva creato una filiale britannica per la distribuzione di videogiochi. Quando la Madre ha applicato l’esenzione dal reddito dei dividendi ricevuti dalla Figlia (controllata) britannica nel corso degli anni 2018 e 2019, l’Autorità fiscale lituana ha negato l’esenzione2, sostenendo che la struttura era una costruzione non genuina senza una valida ragione commerciale.
Negli atti di causa, la Madre ha sostenuto che la società Figlia UK le aveva procurato reali benefici commerciali. Costituita nel 2009 e liquidata nel 2021, la società Figlia UK sarebbe stata necessaria nel ruolo di intermediaria tra la Madre e le piattaforme degli inserzionisti e quelle di distribuzione dei giochi fino a quando quest’ultima non fosse riuscita a concludere contratti diretti con tali piattaforme. Negli anni 2018 e 2019, la Madre non avrebbe avuto la possibilità di vendere giochi direttamente a partire dalla Lituania.
Le funzioni di distribuzione svolte dalla società Figlia UK erano state parzialmente trasferite alla Madre nel corso del 2017, dopo la conclusione di un accordo con la piattaforma Google. Nel corso del 2018, l’organizzazione delle attività sarebbe stata modificata e tutti i rischi connessi alla creazione di giochi, al finanziamento di tale creazione e alle spese pubblicitarie sarebbero stati trasferiti dalla società Figlia alla Madre. La Madre, dunque, sarebbe divenuta titolare di tutti i diritti sui giochi, mentre la società Figlia UK sarebbe rimasta incaricata unicamente della loro distribuzione. A partire dalla fine del 2019, non sarebbe stata più esercitata alcuna attività di distribuzione di giochi e di acquisto di pubblicità attraverso la società Figlia e sarebbe stato deciso di liquidarla.
Secondo l’Amministrazione finanziaria lituana, l’esistenza di una costruzione non genuina è dimostrata dal fatto che, negli anni 2018 e 2019, la società Figlia UK non disponeva di risorse umane corrispondenti all’elevato numero di giochi distribuiti, di clienti e di canali di vendita, essendo l’unica impiegata di quest’ultima la sua dirigente, che gestiva contemporaneamente altre sette società.
Ancora, secondo l’Amministrazione, la società Figlia UK non disponeva né della propria sede operativa né di beni materiali nel Regno Unito. Infatti, numerose imprese, vale a dire 97.110, sarebbero state registrate allo stesso indirizzo della società Figlia, il quale era fornito tramite un servizio di registrazione di sedi di imprese in tale Paese. L’Amministrazione finanziaria ha quindi considerato che, negli anni 2018 e 2019, le attività relative alla creazione e alla distribuzione di giochi da parte della società Figlia erano state, in realtà, svolte dai dipendenti della Madre stessa, i quali avevano accesso alle piattaforme utilizzate dalla società Figlia per gli inserzionisti e la distribuzione dei giochi.
Va peraltro evidenziato che, secondo quanto emerso in causa e rilevato dal giudice del rinvio, (i) la società Figlia UK percepiva i redditi dell’attività da essa svolta in nome proprio e che agiva quindi non già come un’entità intermedia inserita nella struttura del gruppo di cui faceva parte, bensì come un’entità che generava essa stessa tali redditi; (ii) non vi sarebbe stato un reale vantaggio fiscale, in quanto la società Figlia, stabilita nel Regno Unito, generava utili imponibili soggetti a un’aliquota dell’imposta sulle società del 24%, contro l’inferiore aliquota del 15% applicabile agli utili imponibili dalla Lituania.
Parimenti, stante l’eccezione mossa dalla Madre, la conclusione di accordi standard per la distribuzione di giochi o per l’acquisto di pubblicità da parte della società Figlia UK non avrebbe richiesto personale ulteriore rispetto alla sola direttrice3.
Il giudice del rinvio ha quindi sottoposto alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
se sia conforme agli obiettivi della norma antiabuso della Direttiva 2011/96/UE, una prassi nazionale che nega a una società Madre in uno Stato membro l’esenzione dall’imposizione dei dividendi percepiti da una società Figlia stabilita in un altro Stato membro se qualificata come una costruzione non genuina;
in caso di risposta affermativa alla prima questione, se sia conforme agli obiettivi della norma antiabuso una prassi nazionale in base alla quale, ai fini della qualificazione come costruzione non genuina di una società Figlia stabilita in un altro Stato membro, viene effettuata una valutazione delle circostanze al momento del pagamento dei dividendi, anche se al momento della costituzione della società Figlia questa fosse sia giustificata da ragioni commerciali;
se la norma antiabuso possa essere interpretata nel senso che, qualora una società Madre abbia percepito dividendi da una società Figlia stabilita in un altro Stato membro e qualificata come costruzione non genuina, tale qualificazione sia di per sé sufficiente per concludere che la società Madre, attraverso l’applicazione dell’esenzione dall’imposta sui dividendi, ha ottenuto un vantaggio fiscale che è in contrasto con l’oggetto o la finalità della Direttiva 2011/96/UE. Inoltre, se le circostanze relative al fatto che gli utili realizzati da una società Figlia, che è stata qualificata come costruzione non genuina, erano soggetti all’imposta sulle società nello Stato membro di stabilimento in conformità delle norme nazionali in vigore in tale Stato, debbano essere considerate pertinenti al fine di contestare la constatazione dell’ottenimento di un vantaggio fiscale o dell’esistenza di una costruzione.
3. In ordine alla prima questione la Corte, partendo dal tenore letterale dell’art. 1, parr. 2 e 3, Direttiva 2011/96/UE, precisa che una controllata possa costituire una costruzione non genuina anche se non è una società interposta.
La norma, quindi, non suggerisce che sia applicabile soltanto a casi o a tipi di costruzione specifici, ma adotta, al contrario, una prospettiva complessiva consistente nell’individuare l’eventuale carattere non genuino di una costruzione alla luce di tutti i fatti e le circostanze pertinenti, poiché tale costruzione è caratterizzata dall’assenza di valide ragioni commerciali che riflettano la realtà economica.
L’ipotesi di una società interposta è solo uno dei vari esempi di applicazione del principio del divieto di abuso, ma non è il solo (cfr. sentenza 26 febbraio 2019, T Danmark e Y Denmark, C‑116/16 e C‑117/16, e sentenza 12 settembre 2006, Cadbury Schweppes e Cadbury Schweppes Overseas, C‑196/04 in merito alle società “fantasma” o “schermo”).
Fermo restando che spetta al giudice verificare, alla luce dell’insieme delle circostanze, la sussistenza degli elementi che caratterizzano una pratica abusiva, secondo la Corte di Giustizia l’art. 1, parr. 2 e 3, Direttiva, deve essere interpretato nel senso che non osta a una prassi nazionale secondo la quale a una società Madre non è concessa, nel suo Stato membro di residenza, l’esenzione dall’imposta sulle società a titolo dei dividendi percepiti da una società Figlia, stabilita in un altro Stato membro, se tale società Figlia è qualificata come una costruzione non genuina, e questo indipendentemente dal fatto che la società Figlia sia considerata o meno società intermedia, a condizione che sussistano gli elementi costitutivi di una pratica abusiva.
Sulla seconda questione la Corte era chiamata a pronunciarsi se la disposizione antiabuso è applicabile in via generale alla situazione esistente alle date del pagamento dei dividendi, ove il conseguimento degli utili (tassati) da parte della società Figlia era giustificato da valide ragioni commerciali e l’effettività della sua attività prima di tali date non viene rimessa in discussione dall’Amministrazione finanziaria, vale a dire prima degli anni 2018 e 20194.
Secondo la CGUE la valutazione non può essere limitata al momento del pagamento dei dividendi. Questo perché non si può prescindere, al fine di constatare un abuso, dalle circostanze presenti alla data della costituzione della società Figlia o, in ogni caso, anteriori alla fase della costruzione non genuina in questione, fase costituita dal pagamento dei dividendi.
In sostanza, la possibilità di applicare la disposizione antiabuso a fasi non genuine di una costruzione deve essere intesa nel senso che possono essere prese in considerazione circostanze successive alla creazione della costruzione per valutare l’autenticità o meno della fase di costruzione, ma prendendo in considerazione tutti i fatti e le circostanze pertinenti al fine di stabilire se vi sono una o più fasi non autentiche.
Dalla giurisprudenza della Corte relativa alla Direttiva 90/435 emerge altresì che è l’esame di un complesso di fatti che consente di verificare la sussistenza degli elementi costitutivi di una pratica abusiva (cfr. sentenza 26 febbraio 2019, T Danmark e Y Denmark, C‑116/16 e C‑117/16, punto 98).
Il che porta a concludere che gli utili prodotti dalla società Figlia in periodo temporale in cui la costruzione si considera genuina devono fruire dell’agevolazione recata dalla Direttiva (esenzione da imposizione) al momento della distribuzione, e di converso confligge con il diritto unionale una norma domestica che prende in considerazione soltanto la situazione esistente alle date del pagamento dei dividendi, anche se la costituzione di tale società Figlia era giustificata da valide ragioni commerciali e l’effettività della sua attività prima di tali date non è stata messa in discussione dall’Amministrazione finanziaria.
Con la terza questione la CGUE delinea un procedimento rigoroso nell’accertamento dell’abuso o di una pratica abusiva, di fatto implementando la giurisprudenza sulle note sentenze “danesi”5.
Il giudice del rinvio chiedeva, in sostanza, se la disposizione antiabuso contenuta nell’art.1, parr. 2 e 3, Direttiva 2011/96/UE doveva essere interpretata nel senso che, qualora una società Madre abbia percepito dividendi da una società Figlia qualificata come costruzione non genuina, tale qualificazione è di per sé sufficiente per constatare che la società Madre, beneficiando di un’esenzione dall’imposta sulle società sui dividendi percepiti, ha ottenuto un vantaggio fiscale in contrasto con l’oggetto e la finalità della Direttiva, considerando che gli utili imponibili della Figlia erano stati assoggettati nel Regno Unito ad una aliquota del 24%, inferiore rispetto alla corporate tax in Lituania, pari invece al 15%.
Secondo la Corte, affinché i benefici della Direttiva siano negati devono sussistere due condizioni: una oggettiva, l’altra soggettiva.
Infatti, non è sufficiente dimostrare che la costruzione non è stata posta in essere per valide ragioni commerciali. Occorre, inoltre, dimostrare che la costruzione sia attuata allo scopo principale di ottenere un vantaggio fiscale in contrasto con l’oggetto o con la finalità della Direttiva.
In sintesi, la prova di una pratica abusiva richiede, da una parte, un insieme di circostanze oggettive dalle quali risulti che, nonostante il rispetto formale delle condizioni previste dalla normativa dell’Unione, l’obiettivo perseguito da tale normativa non sia stato conseguito e, dall’altra, un elemento soggettivo consistente nella volontà di ottenere un vantaggio derivante dalla normativa dell’Unione per mezzo della creazione artificiosa delle condizioni necessarie per il suo ottenimento.
Se, per constatare che la società Madre ha ottenuto un vantaggio fiscale, fosse sufficiente qualificare la società Figlia come non genuina sulla base degli elementi addotti dall’Amministrazione, vale a dire una mancanza di risorse umane e materiali nonché l’assenza di un’attività economica reale, l’elemento soggettivo connesso al vantaggio fiscale non sarebbe preso in considerazione quale elemento distinto, il che invece è richiesto per dimostrare l’esistenza di un abuso di diritto.
Di conseguenza, non si può ritenere che la qualificazione della società Figlia come costruzione non genuina sia sufficiente per negare alla società Madre l’esenzione dall’imposta sulle società a titolo dei dividendi percepiti dalla società Figlia, in forza della disposizione antiabuso contenuta nell’art. 1, parr. 2 e 3, Direttiva 2011/96UE.
Peraltro, per quanto riguarda la nozione di vantaggio fiscale, la Corte constata che esso non è definito nella Direttiva 2011/96/UE. In tal guisa il solo tenore letterale della disposizione antiabuso di cui all’art. 1, parr. 2 e 3, Direttiva 2011/96/UE non impone di ritenere che il vantaggio fiscale debba essere valutato isolatamente, ma al contrario, attesa l’esigenza di tener conto di tutti i fatti e le circostanze, depone a favore della presa in considerazione dell’effetto fiscale complessivo derivante dallo stabilimento della costruzione nello Stato (allora membro) UK.
In mancanza di una tale visione d’insieme, è parimenti difficile valutare l’elemento soggettivo richiesto per constatare l’esistenza di un abuso di diritto. Pertanto, il fatto, dedotto dalla Nordcurrent, che gli utili realizzati dalla società Figlia siano stati assoggettati, nel Regno Unito, a un’aliquota d’imposta superiore a quella dell’imposta sulle società che sarebbe stata applicata in Lituania, è un elemento pertinente, tra gli altri, per valutare se l’obiettivo principale o uno degli obiettivi principali dell’esistenza della società Figlia alle date del pagamento dei dividendi di cui trattasi fosse quello di beneficiare di un vantaggio fiscale.
In conclusione, lo scopo di ottenere un vantaggio fiscale deve essere preso in considerazione come elemento distinto per la qualificazione di abuso. In assenza di un vantaggio fiscale, anche una costruzione non autentica non può essere qualificata come abusiva.
4. La clausola antiabuso italiana di cui all’art. 10-bis L. 27 luglio 2000, n. 212 (su cui, limitandosi alle opere monografiche e collettanee, Della Valle E. – Ficari V. – Marini G., a cura di, Abuso del diritto ed elusione fiscale, Torino, 2016; Glendi C. – Consolo C. – Contrino A., a cura di, Abuso del diritto e novità del processo tributario, Milano, 2016, 3 ss.; Miele L., a cura di, Il nuovo abuso del diritto. Analisi normativa e casi pratici, Torino, 2016; Versiglioni M., Abuso del diritto. Logica e Costituzione, Pisa, 2016; Carpentieri L., a cura di, L’abuso del diritto, profili civilistici e fiscali, 2019; Beghin M., L’elusione fiscale e il principio del divieto di abuso del diritto, Padova, 2021; Zizzo G., La clausola generale antiabuso tra certezza del diritto e equità del prelievo, Pisa, 2022), andrà riletta e re-interpretata alla luce della sentenza Nordcurrent se non altro nelle operazioni transnazionali che rilevino per il diritto dell’Unione Europea (cfr. Falsitta G., Unità e pluralità del concetto di abuso del diritto nell’ordinamento interno e nel sistema comunitario, in Riv. dir. trib., 2018, 4, I, 333 ss.)
Questo per un duplice ordine di motivi.
In primo luogo, sotto il profilo normativo, l’art. 10-bis fa notoriamente perno sui tre elementi costitutivi dell’abuso: (i) il conseguimento di vantaggi fiscali indebiti; (ii) l’assenza di “sostanza economica” dell’operazione o delle operazioni; (iii) l’essenzialità del vantaggio indebito.
È quanto rimarcato anche nell’atto di indirizzo del MEF (Atto di indirizzo, 27 febbraio 2025, prot. 7; per taluni rilievi critici, Zizzo G., L’atto di indirizzo e le criticità irrisolte in tema di abuso del diritto, in questa Rivista, 2025, 1 e pubblicato online il 15 aprile 2025, www.rivistadirittotributario.it), e tra questi elementi il vantaggio fiscale indebito appare come elemento prioritario e rappresenta il discrimine tra abuso e lecito risparmio di imposta.
Sulla scorta della recente sentenza della CGUE oggetto della presente analisi, ciò imporrà all’Amministrazione finanziaria un concorrente duplice esame:
la valutazione della struttura/operazione presupposta non genuina;
se, unitariamente considerate, le imposte pagate dalla società Figlia, cumulate con quelle dovute dalla Madre, che possono o meno fruire della PEX6, costituiscano un risparmio d’imposta indebito, indipendentemente dalla carenza di sostanza economica e anche laddove la società Figlia sia o meno da qualificarsi meramente interposta.
L’essenzialità del vantaggio indebito, verificate le due condizioni, è in re ipsa a meno che il contribuente provi valide ragioni extrafiscali, non marginali.
Appare quindi dubbia l’affermazione nell’atto d’indirizzo che, a proposito dell’assenza di sostanza economica, «occorre guardare agli esiti “oggettivi” dell’operazione o delle operazioni, non all’intento soggettivo del contribuente», stante i canoni indicati dalla giurisprudenza europea.
Il discorso è ovviamente diverso allorquando si sia in presenza di una società “fantasma” (il leading case è la sentenza 2 maggio 2006, C-341/04, Eurofood), cioè di una struttura del tutto artificiosa: qui però la fattispecie è da qualificare come evasione fiscale, e non abuso/elusione, situazione avulsa dalla procedura di garanzia prevista dal comma 12 dall’art. 10-bis (per la delimitazione dei confini delle diverse figure, Contrino A., La trama dei rapporti tra abuso del diritto, evasione fiscale e lecito risparmio d’imposta, in Dir. prat. trib., 2016, 4, I, 1407 ss.).
Come ritenuto dalla CGUE, in assenza di un vantaggio fiscale anche una costruzione non autentica (quindi priva di sostanza economica) non può essere qualificata come abusiva.
L’indagine e l’analisi dell’Amministrazione finanziaria, oltre a ripercorre la storia della società, limitando l’eventuale contestazione all’esenzione dei dividendi ai periodi in cui la struttura poteva considerarsi non genuina, perché priva di reale sostanza economica, dovrà comunque cumulare le imposte complessive pagate per verifica dell’elemento soggettivo legato al vantaggio fiscale conseguito.
In sede giurisprudenziale la recente sentenza della Corte di Cassazione 17 febbraio 2025, n.1693 offre un chiarimento in materia di abuso del diritto tributario. Il caso riguardava una complessa operazione societaria, ma il principio affermato ha una portata generale: il giudice non può limitarsi a esaminare la legittimità dei singoli passaggi, ma deve valutare l’intera operazione nel suo complesso, ricercandone la reale sostanza economica.
Se da un lato il giudizio deve avere una visione d’insieme dell’operazione abusiva (quindi in modo non “atomistico”), come indicato dalla CGUE, la suprema Corte si ferma però a valutare la sostanza economica, in assenza della quale la costruzione e/o operazione deve considerarsi abusiva.
Ciò non toglie che rimane necessaria un’attenta valutazione della sostanza economica della struttura/operazione, ma la questione non è se le operazioni riflettono, attraverso artifici negoziali, assetti di “anormalità” economica isolatamente considerati, quanto piuttosto il mezzo attraverso il quale il contribuente ha inteso raggiungere un effettivo vantaggio fiscale indebito (cfr. Corte di Cassazione, sentenze 6 ottobre 2021, n. 21758; 27 maggio 2024, n. 14674; 29 ottobre 2024, n. 27905).
La Corte insiste sul risparmio di imposta precisando che, se le operazioni, pur se effettivamente realizzate, «riflettono, attraverso artifici negoziali, assetti di “anormalità” economica, può verificarsi una ripresa fiscale là dove è possibile individuare una strada fiscalmente più onerosa»7.
Occorre tuttavia ricordare che, a norma del comma 4 dell’art. 10-bis dello Statuto, «resta ferma la libertà di scelta del contribuente tra regimi opzionali diversi offerti dalla legge e tra operazioni comportanti un diverso carico fiscale». A questo riguardo non sembra revocabile in dubbio che le ragioni operative delle imprese sfuggono da una rigida interpretazione prettamente giuridica, essendo la combinazione di decisioni prese in ragione degli scenari, esogeni ed endogeni, cui le aziende devono confrontarsi nel quotidiano.
Per cui se l’indagine sulla sostanza economica è certamente un’indagine di stampo oggettivo, a questa deve accompagnarsi l’intento definito e soggettivo di una condotta che, in concreto, produce unicamente (o pressoché unicamente) vantaggi fiscali indebiti, del tutto assente laddove il tax rate effettivo sia equivalente o leggermente inferiore al carico fiscale che il contribuente avrebbe dovuto sostenere se avesse scelto un’altra impostazione.
Ne consegue che l’abuso sarebbe inesistente se le imposte pagate dalla Figlia (e, secondo noi, cumulando anche quelle delle Madre sulla stessa fonte di reddito), fossero superiori, pari (o anche leggermente inferiori), a quelle che sarebbero state dovute nello Stato della Madre. Diversamente, nell’ipotesi di un carico fiscale significativamente inferiore, verrebbero in ausilio «valide ragioni extrafiscali, non marginali, anche di ordine organizzativo o gestionale, che rispondono a finalità di miglioramento strutturale o funzionale dell’impresa ovvero dell’attività professionale del contribuente» (comma 3 dell’art. 10-bis).
5. Dalla sentenza Nordcurrent Group UAB pare corretto dedurre che non si può presumere un abuso senza un elemento soggettivo, vale a dire l’intenzione di ottenere un vantaggio fiscale che vanifichi l’oggetto o lo scopo della Direttiva. L’applicazione della disposizione antiabuso richiede cioè sia l’esistenza di una costruzione non genuina, sia la volontà di ottenere un vantaggio fiscale; inoltre, tale sentenza chiarisce che tutti i fatti e le circostanze devono essere presi in considerazione per la verifica di una costruzione non genuina e di un vantaggio fiscale che vanifica l’oggetto o la finalità della Direttiva (come sinteticamente concluso nella Dichiarazione di parere preparato dalla Task Force CFE ECJ il 3 aprile 2025).
La sentenza integra le conclusioni delle “sentenze danesi” e chiarisce l’interpretazione della CGUE in merito alla nozione di abuso nel diritto tributario, facendo seguito alla sua giurisprudenza in materia di lotta contro gli abusi, nei casi Cadbury Schweppes (sentenza 12 settembre 2006, C‑196/04), Eqiom SAS (sentenza 7 settembre 2017, C-6/16) e Deister Holding AG e Juhler Holding A/S (sentenza 20 dicembre 2017, C-504/16).
Nella sua analisi, inoltre, la Corte si indirizza verso un approccio proporzionato per l’applicazione della norma antiabuso: ne consegue che, se una parte dei profitti fosse generata da un’attività effettiva, anche l’esenzione dai redditi da partecipazioni dovrebbe essere concessa solo in parte.
Sono principi acquisiti in sede unionale, che non possono essere ignorati o elusi sia in sede di accertamento, sia in sede di giudizio domestico.
La portata della sentenza dovrà, quindi, trovare spazio sia nella prassi degli Uffici impositori, sia nella valutazione dei giudici delle Corti di merito e di legittimità, qualificando le ipotesi di abuso attraverso un approccio olistico e di un orizzonte temporale più ampio.
Si tratta di un cambio di paradigma nell’impostazione procedurale per l’accertamento dell’abuso, che imporrà una visione sistemica e sistematica della struttura societaria, dell’operazione, ovvero delle singole fasi dell’operazione e delle motivazioni imprenditoriali sottostanti, al fine di stabilire il confine tra vantaggi fiscali abusivi e legittimo risparmio d’imposta.
(*) Il saggio è stato sottoposto a double blind peer review con valutazione positiva. Esso confluirà nel fascicolo n. 2/2025 (semestrale) della Rivista telematica di diritto tributario.
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
Beghin M., L’elusione fiscale e il principio del divieto di abuso del diritto, Padova, 2021
Carpentieri L. (a cura di), L’abuso del diritto, profili civilistici e fiscali, Torino, 2019
Contrino A., La trama dei rapporti tra abuso del diritto, evasione fiscale e lecito risparmio d’imposta, in Dir. prat. trib., 2016, 4, I, 1407 ss.
Della Valle E. – Ficari V. – Marini G. (a cura di), Abuso del diritto ed elusione fiscale, Torino, 2016
Falsitta G., Unità e pluralità del concetto di abuso del diritto nell’ordinamento interno e nel sistema comunitario, in Riv. dir. trib., 2018, 4, I, 333 ss.
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Piantavigna P., Abuso del diritto fiscale nell’ordinamento europeo, Torino, 2011
Stevanato D., La norma antielusiva è conforme alla Direttiva ATAD?, in Corr. trib., 2019, 7, 623 ss.;
Velluzzi V., Abuso del diritto ed interpretazione giuridica. Alcune questioni ed una proposta, in Riv. dir. trib., 2019, 5, I, 497 ss.
Versiglioni M., Abuso del diritto. Logica e Costituzione, Pisa, 2016
Zizzo G., La clausola generale antiabuso tra certezza del diritto e equità del prelievo, Pisa, 2022
1 Al par. 9 dell’art. 29 è stata prevista una specifica disposizione che riguarda la regola del c.d. Principal purpose test. Quest’ultimo ha l’obiettivo di contrastare gli arrangements allorquando uno degli obiettivi principali di una transazione o di una struttura sia quello di ottenere i benefici del trattato.
2 L’Amministrazione finanziaria lituana ha richiesto alla Nordcurrent la corrispondente imposta sulle società su un importo imponibile di oltre tre milioni di euro. Inoltre, l’Amministrazione finanziaria, da quanto è dato capire per gli stessi motivi (costruzione abusiva), ha contestato alla Nordcurrent un’indebita riduzione del reddito imponibile per gli stessi anni (2018-2019), deducendo le commissioni pagate alla Figlia UK per la distribuzione di giochi, per un importo totale di oltre 700 mila euro. Nel corso del giudizio non è dato rilievo (né lo ha fatto il giudice del rinvio), a quest’ultima contestazione, incentrata esclusivamente sull’esenzione da imposta dei dividendi percepiti.
3 Il tema annoso delle c.d. “strutture leggere” è da sempre al centro di controversie tributarie, vincolando il contribuente a dimostrare la sostanza economica del suo business solo se supportato da un adeguato assetto organizzativo in termini di locali, di personale e attrezzature. Spesso questo si risolve in una forzatura, senza considerare che al legittimo risparmio d’imposta si accompagna la legittima massimizzazione dei profitti, anche tramite un contenimento dei costi di struttura, che peraltro, proprio in funzione dell’attività esercitata, devono essere strettamente necessari a produrre proventi.
4 Anche se non espressamente esplicitato nel testo della sentenza, tenuto conto della ridotta attività della società Figlia già a partire dal 2017, in seguito liquidata nel 2021, appare evidente che si sia trattato, in prevalenza, di distribuzione di riserve di utili accumulati negli anni precedenti.
5 Sentenze CGUE tutte del 26 febbraio 2019, cause riunite C-116/16 e C-117/16 – T Danmark e Y Denmark (in ordine alla Direttiva Madre-Figlia) e cause riunite C-115/16, C-118/16, C-119/16 e C-299/16 – N Luxembourg 1 – X Denmark A/S- C Danmark I, Z Denmark ApS, (in relazione alla Direttiva interessi-royalties).
6 Artt. 87 e 89 D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (TUIR).
7 La Suprema Corte continua a sostenere che ricorre l’abuso del diritto ogni qual volta si sia in presenza di una o più costruzioni realizzate al fine di eludere l’imposizione e siano prive di sostanza commerciale ed economica; di talché, per configurare la condotta abusiva è necessaria un’attenta valutazione delle “ragioni economiche” delle operazioni negoziali che sono poste in essere, in quanto, se le stesse sono giustificabili in termini oggettivi, in base alla pratica comune degli affari, minore o del tutto assente è il rischio della pratica abusiva; se, invece, tali operazioni, pur se effettivamente realizzate, riflettono, attraverso artifici negoziali, assetti di “anormalità” economica, può verificarsi una ripresa fiscale là dove è possibile individuare una strada fiscalmente più onerosa. In tal senso, la prova dell’elusione deve incentrarsi sulle modalità di manipolazione funzionale degli strumenti giuridici utilizzati, nonché sulla loro mancata conformità ad una normale logica di mercato.
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2. L’interessato ha diritto di ottenere informazioni:
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