Integrazione europea e salvaguardia delle prerogative nazionali degli Stati membri: il caso della tassazione belga degli “RDT”
Di Fabio Fiduccia
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Abstract (*)
La disciplina belga volta ad evitare la doppia imposizione economica dei dividendi transfrontalieri in ambito UE, basata su un meccanismo di “inclusione-deduzione” di quei dividendi nella base imponibile della società madre, è stata più volte censurata dalla Corte di Giustizia UE per la sua incompatibilità con le previsioni della Direttiva c.d. “madre-figlia” (90/435/CEE nella versione modificata dalla Direttiva 2003/123/CE). Tuttavia, con la sentenza 20 ottobre 2022, causa C-295/21, la Corte di Giustizia UE sembra aver mutato orientamento sancendo la compatibilità prima negata. Tale esito, che la dottrina belga maggioritaria non aveva affatto pronosticato, ha dato luogo ad un vivace confronto in sede scientifica, con diffuse e talora aspre censure rivolte tanto alla tecnica argomentativa impiegata, quanto alle implicazioni sistematiche della pronuncia. In questo contesto si inserisce, poi, la recente sentenza sulla causa C-135/24 in cui la Corte torna a censurare quel meccanismo ravvisandone la contraddittorietà rispetto alle previsioni della Direttiva. L’ondivago orientamento della CGUE, se da un lato rende difficile rispondere al quesito se la normativa belga sia o meno rispettosa dei parametri europei, dall’altro lato consente di riflettere su una tematica di portata più generale. Il “caso” belga, infatti, sembra emblematico di quanto sia delicato l’equilibrio tra il processo di integrazione sovranazionale all’interno dell’Unione Europea e la volontà degli Stati membri (in questo caso il Belgio) di “salvaguardare” le loro prerogative nazionali.
European integration and the safeguarding of national prerogatives of member States: the case of Belgian taxation of ‘RDT’ – The Belgian regime aimed at avoiding the economic double taxation of cross-border dividends within the EU, based on an “inclusion-deduction” mechanism for those dividends in the tax base of the parent company, has been repeatedly criticized by the Court of Justice of the EU for its incompatibility with the provisions of the “mother-daughter” directive (Council Directive 90/435/EEC, as amended by Directive 2003/123/EC). However, with the ruling of 20/10/2022, in case C-295/21, the Court of Justice of the EU seems to have changed its approach and, contrary to the provisions of the Belgian doctrine itself, confirmed the compatibility that had previously been denied. In this context, the recent ruling in case C-135/24, where the Court again criticizes that mechanism, finding it contradictory to the provisions of the directive, follows. The fluctuating stance of the CJEU, while making it difficult to answer the question of whether Belgian legislation is in compliance with European standards, also allows for reflection on a broader issue. The Belgian “case” appears emblematic of how delicate the balance is between the process of supranational integration within the European Union and the desire of Member States (in this case, Belgium) to “safeguard” their national prerogatives.
Sommario:1. La disciplina belga in tema di inclusione-deduzione dei redditi definitivamente tassati. – 2. Le ripetute censure della CGUE al meccanismo belga per sua incompatibilità con la Direttiva madre-figlia. – 3. La sentenza 13 marzo 2025 (causa C-135/24) della CGUE. – 4. Il diverso approccio della CGUE nel caso Allianz Benelux SA. – 5. I dubbi “di sistema” sollevati dalla sentenza Allianz Benelux SA. – 6. Rilievi conclusivi.
1. La compatibilità della disciplina belga in tema di esenzione dei dividendi con la Direttiva c.d. madre-figlia (90/435/CEE nella versione modificata dalla Direttiva 2003/123/CE del Consiglio applicabile ratione temporis ai fatti di causa, oggi, sebbene non applicabile al caso in esame, rifusa nella Direttiva 2011/96/UE, successivamente modificata ed integrata), con particolare riferimento al regime concernente il riporto dei “redditi definitivamente tassati” (di seguito RDT), sembra essere emblematica di quanto sia delicato l’equilibrio tra il processo di integrazione sovranazionale all’interno dell’Unione Europea e la volontà degli Stati membri (in questo caso il Belgio) di “salvaguardare” le loro prerogative nazionali (sul tema, di recente, Amatucci F., La sovranità fiscale nazionale, tra erosione e consolidamento, Torino, 2022; Perrone A., Sovranità tributaria, territorialità e mercato globale: una sfida ancora aperta, in Mastroiacovo V., a cura di, Le sovranità nell’era della post-globalizzazione, Pisa, 2019, 99 ss.; Saponaro F., L’attuazione amministrativa del tributo nel diritto dell’integrazione europea, Padova, 2017).
L’occasione per riflettere su tale tematica è data dalla (forse trascurata in letteratura) sentenza 20 ottobre 2022 (causa C-295/21) della Corte di Giustizia dell’Unione Europea e dal raffronto con la precedente giurisprudenza della Corte stessa, nonché con la più recente sentenza 13 marzo 2025 (causa C-135/24).
La questione specifica affrontata in tali pronunce mostra dei profili tecnici di una certa complessità e non si può, pertanto, prescindere da una ricostruzione, seppur sintetica, del sistema – che non esiteremmo a definire “singolare” – attraverso il quale il Regno del Belgio ottempera alle prescrizioni della Direttiva “madre-figlia” allo scopo di evitare la doppia imposizione (economica) dei RDT.
In particolare, la “singolarità” della disciplina in esame risiede nel fatto che il combinato disposto dell’art. 202, par. 1, 204, par. 1 e 205, par. 3, del Code des Impôts sur les Revenus del 1992 (di seguito CIR), facendo leva su una tacita libertà d’implementazione concessa agli Stati membri dalla Direttiva madre-figlia, prevede un meccanismo che sembra essere non perfettamente allineato rispetto all’alternativa indicata al primo paragrafo dell’articolo 4 della stessa.
Occorre premettere che, secondo la giurisprudenza della CGUE, la Direttiva madre-figlia, oltre ad offrire espressamente agli Stati membri la facoltà di scegliere tra il meccanismo dell’esenzione e quello del credito d’imposta, lascia liberi quegli Stati nell’implementazione dello strumento scelto (cfr. CGUE, ordinanza 4 giugno 2009, cause riunite, KBC Bank /Belgische Staat e Beleggen, Risicokapitaal, Beheer/Belgische Staat, C-439/07 e C-499/07, ECLI:EU:C:2009:339, punto 50).
Orbene, alla luce delle sopra richiamate disposizioni del CIR del 1992, il meccanismo adottato dal Belgio consiste nell’includere, in un primo momento, il dividendo distribuito da parte della società figlia nella base imponibile della società madre, e, in un secondo momento, nel dedurre tale dividendo da detta base imponibile fino a concorrenza del 95% del suo importo, a titolo di reddito definitivamente tassato (RDT). Qualora, poi, non sia possibile dedurre per intero il RDT, nella misura del 95% del suo importo, l’ammontare non dedotto potrà essere riportato negli esercizi fiscali successivi.
Dall’analisi di tale meccanismo di “inclusione-deduzione” si dovrebbe dedurre, in prima battuta, che esso rispecchia la logica dell’esenzione, ancorché non la replichi in toto. Sotto il profilo strutturale, infatti, se il meccanismo dell’esenzione, di cui alla Direttiva, si fonda concettualmente sull’“astensione” dal ricomprendere le componenti reddituali da esentare – nel nostro caso i dividendi – dalla base imponibile, il meccanismo belga comporta, invece, una “contaminazione” della stessa da cui possono derivare effetti negativi poiché, tout court, esso assoggetta l’esenzione dei dividendi all’andamento della gestione e alle dinamiche contabili (l’asservimento alle “dinamiche contabili” rappresenta, se vogliamo, uno degli effetti più subdoli del passaggio obbligatorio dei dividendi dal reddito imponibile; a titolo di esempio, si consideri la sentenza 12 febbraio 2009, Cobelfret, causa C-138/07, ove si discute circa l’ordine delle deduzioni che ai sensi dell’art. 205, comma 2, CIR ciascun contribuente belga può effettuare sulla base imponibile, esponendo oltremodo i dividendi al rischio di doppia imposizione economica nella misura in cui gli utili fossero stati in tutto o in parte consumati dalle deduzioni di cui all’art. 199 CIR). Inoltre, dal punto di vista fattuale, la soppressione della duplicazione impositiva è subordinata alla capienza degli utili del periodo d’imposta di competenza e, in mancanza (come visto), alla previsione di un riporto delle eccedenze di RDT agli esercizi successivi.
2. La CGUE ha più volte rimarcato l’incompatibilità del diritto belga con il diritto euro-unitario (cfr. CGUE, ordinanza 4 giugno 2009, nelle cause riunite KBC Bank /Belgische Staat e Beleggen, Risicokapitaal, Beheer/Belgische Staat, C-439/07 e C-499/07, ECLI:EU:C:2009:339 e Corte di Giustizia UE, sentenza 12 febbraio 2009, Cobelfret/ Belgische Staat, C-138/07, ECLI:EU:C:2008:268), anche riunendo più cause concernenti l’applicazione della medesima disciplina, pervenute in periodi piuttosto ravvicinati e che avevano fatto seguito a rinvii pregiudiziali da parte dei giudici nazionali.
Procedendo con ordine, va dapprima segnalato che la Corte europea, nei suoi precedenti, ha diffusamente enfatizzato la crucialità dell’art. 288 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (ex art. 249 CE) a mente del quale «gli Stati membri possono scegliere la forma e i mezzi di attuazione delle direttive che meglio permettono di garantire il risultato che queste ultime devono raggiungere» (v., in tale senso, le sentenze 16 giugno 2005, causa C‑456/03, Commissione/Italia, Racc. p. I‑5335, punto 51; 5 luglio 2007, causa C‑321/05, Kofoed, Racc. p. I‑5795, punto 43, e 8 maggio 2008, causa C‑491/06, Danske Svineproducenter, Racc. p. I‑3339, punto 27). Con l’ordinanza 4 giugno 2009, cause riunite, KBC Bank /Belgische Staat e Beleggen, Risicokapitaal, Beheer/Belgische Staat (C-439/07 e C-499/07; punto 50), la Corte ha, poi, statuito che «gli Stati membri sono liberi di determinare, tenuto conto delle necessità del loro ordinamento giuridico interno, le modalità per conseguire il risultato prescritto dall’art. 4, comma 1, primo trattino». Così, malgrado da un lato nessuna restrizione delle modalità esecutive insisterebbe direttamente sugli Stati membri, dall’altro la scelta delle forme e dei mezzi attuativi deve scontare il vincolo più importante: quello finalistico (il raggiungimento del “risultato” prescritto dall’art. 4).
Quanto alla disciplina belga sui RDT, la Corte europea ha persino spiegato che il verbo “astenere” (art. 4, comma 1, primo trattino, Direttiva madre figlia), in luogo del verbo “esentare”, non abilita gli Stati membri a individuare mezzi attuativi della Direttiva che, pur conformandosi alle caratteristiche dell’ordinamento interno, non assicurino ai dividendi l’immunità dalla duplice imposizione economica. Così, ad esempio, con la sentenza 12 febbraio 2009 (Cobelfret, causa C-138/07, punto 36), si è dichiarato inammissibile il requisito, richiesto da quella disciplina, di una necessaria esistenza di utili imponibili (da cui dedurre i dividendi) per la società madre, inquadrandolo come un palese impedimento alla fruizione dei benefici della Direttiva madre-figlia. Ciò in quanto siffatta disciplina consente, per via del concorso degli RDT alla formazione della base imponibile, una implicita rimodulazione in diminuzione delle perdite riportabili. Il che si traduce, nei periodi d’imposta successivi, in una maggiore base imponibile e, quindi, in un prelievo indiretto che vìola le prescrizioni della Direttiva.
In più, la Corte ha censurato la tesi sostenuta dal governo belga sulla compatibilità del diritto interno alla ratio della Direttiva che ne occupa. Stando all’esecutivo belga, infatti, la conciliabilità sarebbe giustificata dalla previsione, nel diritto nazionale, dello stesso trattamento fiscale per i dividendi percepiti dalle società controllate stabilite in Belgio e quelli delle società controllate aventi sede in altri Stati membri. Argomentazione, questa, respinta dalla CGUE che ha osservato che l’eguaglianza del trattamento fiscale dei dividendi “interni” e di quelli provenienti da controllate di altri Stati membri non è argomentazione pertinente a giustificare il mancato allineamento con le previsioni della Direttiva (in questi termini le sentenze 28 gennaio 1986, causa 270/83, Commissione/Francia, Racc. p. 273, punto 13; 29 aprile 1999, causa C‑311/97, Royal Bank of Scotland, Racc. p. I‑2651, punto 22, e 23 febbraio 2006, causa C‑253/03, CLT‑UFA, Racc. p. I‑1831, punto 13).
A placare, almeno in un primo momento, il discordante rapporto tra Direttiva madre-figlia e diritto tributario belga, cristallizzato dalla giurisprudenza della CGUE, è intervenuta la L. 21 dicembre 2009 che ha introdotto il riporto illimitato dell’eccedenza di RDT al paragrafo 3 dell’art. 205 CIR. Tale disposizione, per quanto abbia segnato un passo decisivo verso il ricongiungimento del sistema belga ai propositi della Direttiva, oltre a indugiare concettualmente, e ancora una volta, sullo stesso meccanismo di “inclusione-deduzione”, dimostrava, comunque, un alto tasso di perfettibilità. Difatti, la nuova disciplina non si è dimostrata esente da censure. Ne è prova la sentenza della CGUE 19 dicembre 2019, Brussels Securities (C-389/18), che è dovuta tornare, a distanza di qualche anno, sull’architettura normativa belga concernente la neutralità fiscale degli RDT intracomunitari.
Ad essere imputato era, questa volta, l’ordine delle deduzioni ammesse dal diritto tributario belga all’abbattimento della base imponibile. Alla deduzione prioritaria degli RDT seguivano, infatti, le deduzioni per il capitale di rischio (“DCR”) e le perdite riportabili. In nuce, secondo la Corte europea, la precedenza degli RDT avrebbe ingenerato un onere fiscale maggiorato nella misura in cui tutte le deduzioni successive fossero state temporalmente limitate o non riportabili in base al diritto interno belga, talché – erosi gli utili – non sarebbe stato più possibile riportarle a nuovo. In sintesi, la gerarchia delle deduzioni del diritto interno belga collideva (secondo la CGUE) con i target della Direttiva madre-figlia allorquando il carico impositivo (in generale) avesse subìto una variazione al rialzo.
3. In questo contesto si inquadra la recente sentenza 13 marzo 2025 (causa C-135/24) che comprova alcuni timori più volte affiorati nei dibattiti della dottrina belga e pertinenti la questione che ne occupa.
Nello specifico, nel caso in esame, l’applicazione del descritto sistema belga di inclusione-deduzione dalla base imponibile dei dividendi, aveva prodotto i suoi effetti negativi all’interno dell’istituto del consolidato fiscale nazionale, in quanto l’Amministrazione finanziaria, così come statuito dall’art. 207, comma 8, CIR 19921, aveva disconosciuto alla società belga John Cockerill SA la deduzione degli RDT per l’esercizio fiscale 2020 nel quale la stessa società aveva beneficiato di un trasferimento infragruppo ammesso dal regime nazionale del consolidato fiscale (art. 185, par. 4, CIR 1992).
In buona sostanza, l’ordinamento belga proibiva specifiche deduzioni sulla parte del trasferimento infragruppo di RDT che eccedesse le perdite del beneficiario.
La John Cockerill SA, in sede contenziosa, ha contestato che il meccanismo belga, e il vincolo citato, comportassero l’assoggettamento a imposta “laddove non lo sarebbe stata”. Difatti, l’adozione di un sistema di esenzione pura degli RDT, più aderente alla Direttiva madre-figlia, congiuntamente a un risultato d’esercizio negativo, non avrebbe procurato – in capo alla ricorrente – l’insorgenza di alcun dovere contributivo.
D’altro canto, in qualità di parte resistente, il Belgio aveva giustificato il meccanismo di diniego previsto dalla normativa interna facendo appello alle caratteristiche antiabuso della disciplina dei trasferimenti infragruppo. In sostanza, la norma censurata avrebbe funzionato come disincentivo per tutti quei gruppi d’imprese che avessero mirato al conseguimento di vantaggi fiscali di gruppo per mezzo di trasferimenti infragruppo eccedenti in modo cospicuo le perdite del destinatario. In assenza della norma censurata, infatti, si sarebbe configurato un risparmio d’imposta, a livello di gruppo, consistente in un profit shifting sul quale non sarebbe stato effettuato, a seconda dei casi in tutto o in parte, il prelievo fiscale sul soggetto passivo belga ricevente (la parte del trasferimento infragruppo eccedente la perdita sarebbe stata, infatti, scomputata delle deduzioni sulla base imponibile previste dal CIR 1992). Val quanto dire, insomma, che il legislatore belga aveva voluto incorporare nell’art. 207, comma 8, CIR 1992, non una qualunque “clausola” antiabuso, bensì una presunzione assoluta o generale del tutto arbitraria di operazione elusiva.
La CGUE, richiamando sua precedente giurisprudenza, ove aveva dichiarato inammissibile la subalternità delle prerogative della Direttiva madre-figlia rispetto alle condizioni imposte da uno specifico ordinamento, ha affermato che, se è vero che la Direttiva madre-figlia non sopprime il potere di uno Stato membro di disapplicare, attraverso un atto normativo nazionale, gli effetti fiscali della stessa nelle ipotesi in cui sia dato riscontrare un impianto abusivo, è altrettanto vero che qualsiasi Stato membro non ha facoltà di disattendere i vantaggi fiscali istituiti da quella Direttiva fintantoché non si “accerti” che l’erogazione degli RDT sia associata ad un’effettiva e dimostrata costruzione abusiva.
In ultima analisi, rapportata alle sentenze precedenti, quest’ultima pronuncia della CGUE ha stigmatizzato ancora una volta e, a nostro avviso, più incisivamente la variante belga di esenzione degli RDT nonché, al contempo, l’approccio unilaterale di cui si è avvalso il legislatore belga nel prevenire l’elusione all’interno del consolidato fiscale nazionale.
4. L’essenziale panoramica sin qui svolta, ci consente ora di esaminare la sentenza della Corte di Giustizia UE del 20 ottobre 2022, Allianz Benelux SA/Belgische Staat (C-295/21), con riguardo alla quale occorre preliminarmente precisare che, ai fatti di causa, si rendeva applicabile ratione temporis la Direttiva 90/435/CEE (come modificata dalla Direttiva 2003/123/CE del Consiglio, del 22 dicembre 2003).
La questione rimessa ai giudici del Lussemburgo vedeva contrapposti Allianz Benelux SA e l’Ètat belge, SPF Finances (Amministrazione finanziaria belga).
Allianz Benelux SA nasceva, sul finire del 1999, a seguito della fusione per incorporazione di AGF l’Escaut in Assubel-Vie, due società operanti nel mercato assicurativo belga. Siffatta operazione straordinaria aveva trasferito all’avente causa (id est Allianz Benelux SA) RDT o, meglio, eccedenze di RDT originati dall’incapienza dei rispettivi bilanci delle incorporate2. In altri termini, le incorporate, prima della fusione, non avevano potuto dedurre per intero il 95% degli RDT e vi erano quindi delle eccedenze non riportate.
Orbene, ai sensi dell’art. 206 CIR 1992 (applicabile ratione temporis), in caso di fusione, le perdite subite dalla società incorporata prima di detta fusione erano deducibili in capo alla società incorporante in proporzione alla quota che l’attivo netto fiscale ante fusione degli elementi incorporati della società incorporata rappresentava rispetto al totale, anch’esso ante fusione, dell’attivo netto fiscale della società incorporante e del valore netto fiscale degli elementi incorporati. Di conseguenza, l’incorporante avrebbe potuto dedurre le eccedenze di RDT soltanto entro tale limite; la differenza non riportabile sarebbe stata, pertanto, assoggetta (nuovamente) a tassazione.
La Allianz Benelux SA, confidando nel divieto di doppia imposizione di cui alla Direttiva 90/435, ha invece riportato integralmente tali eccedenze negli esercizi dal 2004 al 2007.
Il riporto è stato contestato dall’Amministrazione finanziaria belga con decisione del direttore regionale competente del 12 dicembre 2012, adducendo che tale operazione non era consentita da alcun articolo del CIR 1992 e individuando, di contro, come unica disciplina applicabile quella riservata al riporto delle perdite recuperabili di cui al richiamato art. 206 CIR 1992.
Avverso il provvedimento in questione la compagnia assicurativa ha proposto ricorso al Tribunal de Première Instance Francophone de Bruxelles (Tribunale di primo grado di Bruxelles di lingua francese). La sentenza del tribunale di prime cure del 20 maggio 2016 ha confermato pienamente la posizione dell’Amministrazione finanziaria belga.
La Benelux SA ha quindi impugnato la sentenza dinanzi alla Cour d’Appel de Bruxelles (Corte d’appello di Bruxelles), adducendo che il mancato riconoscimento del riporto di cui trattasi avrebbe determinato una nuova tassazione dei RDT in capo alla neonata società, la conseguente violazione dell’art. 4, par. 1, Direttiva 90/435 e, infine, l’inosservanza del principio di neutralità fiscale relativo alle operazioni straordinarie.
La Cour d’Appel de Bruxelles ha optato per la sospensione del procedimento al fine di interpellare la CGUE chiedendo: «Se l’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva […] debba essere interpretato nel senso che osti ad una normativa nazionale, per effetto della quale gli utili distribuiti, disciplinati dalla direttiva, siano ricompresi nella base imponibile della società beneficiaria dei dividendi prima di essere da essa dedotti a concorrenza del 95% del loro importo e siano, se del caso, riportati ai periodi d’imposta successivi ma che, in assenza di specifica disposizione che preveda, nel caso di un’operazione di riorganizzazione societaria, che le deduzioni così riportate in capo alla società conferente siano integralmente trasferite alla società beneficiaria, implichi che gli utili medesimi siano tassati indirettamente all’atto di tale operazione in forza dell’applicazione di una disposizione che limiti il trasferimento di dette deduzioni in proporzione alla quota che l’attivo netto fiscale ante fusione degli elementi incorporati della società incorporata rappresenti rispetto al totale, anch’esso ante fusione, dell’attivo netto fiscale della società incorporante e del valore netto fiscale degli elementi incorporati».
La CGUE, accertata la ricevibilità della questione pregiudiziale, con sentenza 20 ottobre 2022 (causa C-295/21) ha sancito che: «L’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 90/435/CEE del Consiglio, del 23 luglio 1990, concernente il regime fiscale comune applicabile alle società madri e figlie di Stati membri diversi, deve essere inteso nel senso che: esso non osta alla normativa di uno Stato membro ai sensi della quale i dividendi percepiti da una società sono ricompresi nella sua base imponibile prima di essere dedotti da quest’ultima fino a concorrenza del 95% del loro importo ed è consentito, se del caso, riportare tale deduzione a periodi di imposta successivi, ma tuttavia, in caso di incorporazione di tale società nell’ambito di una fusione, il trasferimento del riporto di tale deduzione alla società incorporante è limitato in proporzione alla quota che l’attivo netto fiscale della società incorporata rappresenta rispetto al totale dell’attivo netto fiscale della società incorporante e della società incorporata».
In particolare, la Corte europea, pur richiamando le sue precedenti censure al regime belga di cui si discute (punti 32 e 33 della sentenza), ha sottolineato la “particolarità” della fattispecie su cui era chiamata a pronunciarsi – osservando che «[n]el caso di specie, il procedimento principale riguarda non già una situazione in cui i dividendi versati da una società figlia alla propria società madre siano stati sottoposti ad imposizione a carico di quest’ultima, bensì una situazione in cui, per analogia con quanto previsto dalla legislazione nazionale in materia di trasferimento delle perdite di una società incorporata alla società incorporante in caso di fusione, l’amministrazione finanziaria belga ha ammesso solo parzialmente il trasferimento alla società incorporante delle eccedenze di RDT di cui disponeva la società incorporata […]» (punto 35). In ragione di tale ricostruzione, la Corte si è interrogata sulla compatibilità del regime fiscale belga concernente i RDT con l’art. 4, par. 1, primo trattino, della Direttiva 90/435 (punto 39), nella misura in cui esso potesse comportare una (doppia) tassazione diretta o indiretta dei dividendi.
Esclusa la tassazione diretta, la Corte ha osservato che anche l’imposizione “indiretta” sarebbe stata comunque contraria alla Direttiva (punto 41) e, per valutare l’eventuale sussistenza di quest’ultima forma di imposizione (indiretta), ha ritenuto di dover procedere con il metodo “comparativo”, ponendo – cioè – a raffronto «una situazione come quella di cui trattasi nel procedimento principale, nella quale, in sede di fusione per incorporazione, un’identica limitazione a una percentuale è stata applicata sia al riporto delle perdite sia al riporto delle eccedenze di RDT della società incorporata, con la situazione in cui lo Stato membro interessato abbia istituito un regime di mera esenzione comportante l’esclusione dei dividendi dalla base imponibile e in cui la limitazione a una percentuale si applichi unicamente al riporto delle perdite e non già al riporto delle eccedenze di RDT» (punto 44).
In sostanza la Corte europea, al fine di stabilire se, nella fattispecie esaminata, vi fosse una tassazione indiretta delle eccedenze di RDT, ha comparato il regime belga con un diverso regime in cui i dividendi erogati dalla “figlia” fossero esclusi dalla base imponibile della “madre” (e quindi un regime in cui non operasse il meccanismo belga della “inclusione-deduzione”).
Riprendendo, sul punto, le conclusioni dell’avvocato generale, la CGUE ha ritenuto che «da tale confronto emerge che la situazione in cui la limitazione a una percentuale si applica sia al riporto delle eccedenze di RDT che al riporto delle perdite in caso di fusione non sembra comportare una tassazione più gravosa rispetto all’ipotesi in cui i dividendi siano esclusi dalla base imponibile della società beneficiaria. La neutralità fiscale sembra essere rispettata in entrambe le situazioni» (punto 45).
La CGUE, dunque, raffrontando le due posizioni ha concluso che, se anche la disciplina belga avesse escluso la concorrenza dei dividendi alla base imponibile della società “madre”, non vi sarebbe stata una “tassazione più gravosa” rispetto a quella che si è effettivamente verificata.
5. Indubbiamente, quest’ultima sentenza torna a proporre con forza il tema della neutralità fiscale degli RDT erogati da soggetti residenti in Stati membri diversi dal Belgio proprio quando, a seguito della giurisprudenza della CGUE (sopra esaminata), la materia sembrava essersi allineata alla Direttiva madre-figlia. Certo, la questione principale, nel caso de quo, era difforme rispetto ai casi precedentemente analizzati, involgendo problematiche concernenti un’operazione straordinaria relativa al riporto di eccedenze di RDT delle incorporate compiuto dall’incorporante.
Ciononostante, appare tangibile la controtendenza della pronuncia in esame con la giurisprudenza pregressa in materia di RDT. La Corte europea, infatti, applicando il metodo “comparativo”, non ha ravvisato nella fattispecie di cui alla causa principale un aggravio di imposizione rispetto alla diversa ipotesi di applicazione di un regime integrale di esclusione dei dividendi dal concorso alla base imponibile della beneficiaria degli stessi. È però evidente che, in tal modo, i Giudici del Lussemburgo sembrano aver avallato la compatibilità con la Direttiva madre-figlia di un regime che essi stessi avevano censurato in passato. Nelle sentenze antecedenti a quella in analisi, infatti, l’ottemperanza al divieto di doppia imposizione veniva verificata sì per mezzo dell’onere fiscale a carico del destinatario del dividendo, ma scandagliando l’effettività della deduzione o, ad ogni modo, qualsivoglia congegno orientato ad una indebita tassazione degli RDT dell’incorporante. Qui, al contrario, si realizza una comparazione tra strumenti e discipline concettualmente difformi e applicabile esclusivamente alle operazioni straordinarie.
Ciò, peraltro, apre ad una nuova e più allarmante contraddittorietà: l’assimilazione degli RDT alle perdite da riportare. Non è superfluo, sul punto, precisare che l’orientamento tenuto dall’Amministrazione finanziaria belga nel caso in esame, sembra contrastare con il contenuto della circolare 23 giugno del 2009, emanata dopo le condanne della giurisprudenza europea a discapito della disciplina belga sugli RDT. In quel documento, infatti, si asseriva l’inalterabilità della natura degli RDT affinché essi non potessero essere conglomerati nella disciplina delle perdite oppure, come sosteneva la dottrina, al fine di assicurare la neutralità fiscale nella disciplina delle deduzioni per redditi da brevetti (DCR) e per redditi da innovazione (cfr. Van Robbroeck N. – Kocks M., Projet de réforme: effets sur les holdings et les sociétés d’investissement, in Le Fiscologue, 2023, 1786, 3 ss.; Haelterman A. – Van Robbroeck N., Réforme de l’I.Soc. et RDT: un nouveau ‘Cobelfret’ en gestation?, in Le Fiscologue Int., 2020, 434, passim; Hermand O. – Delacroix P. – Wils C., Une nouvelle déduction fiscale est née: les excédents RDT – Commentaire du nouvel article 205§3 du CIR, in Revue générale de fiscalité, 2010, 2, 7; Garabedian D., “Forme” et “substance” en droit fiscal belge, in Journal de droit fiscal, 2003, 7/8, 195; Van De Woesteyne I., Overdracht DBI-overschotten als secundair kenmerk van overgenomen vennootschap, in Fisc. Act., 2010, 12, 7 ss.).
6. Giunti sin qui, appare problematico dare una risposta convincente al quesito se la disciplina belga degli RDT sia o meno compatibile con la Direttiva madre-figlia. Interrogativo che, peraltro, si è posto la dottrina belga, che non ha esitato a definire come “sconcertante” (cfr. Dewael Y., Report des RDT et opérations de fusion, in Fisc. Act., 2011, 28, nonché N. Van Gils, Het onzekere lot van het dbi-overschot bij reorganisaties , in AFT, 2011, 1, 7) l’orientamento dell’Amministrazione finanziaria, al contempo auspicando un intervento del legislatore per una drastica inversione di rotta (la dottrina belga propenderebbe ragionevolmente per un allineamento del diritto tributario domestico allo schema dell’esenzione pura così da porre fine, definitivamente, al continuo susseguirsi di cause in materia: cfr. Dassesse M., Récupération des pertes fiscales et des excédents de Revenus définitivement taxés (RDT) en cas de fusion/absorption. Incidence de la prohibition des aides d’État sélectives, in Mélanges Pascal Minne, Bruxelles, Bruylant, 2016, 139), che tuttavia non è da escludere possa verificarsi.
Il 31 gennaio 2025, infatti, il Governo belga ha sottoscritto un accordo con il quale intende avviare un graduale progetto di riforma. In linea con quanto è stato asserito dalla dottrina (Haelterman A. – Van Robbroeck N., Refus de RDT sur transfert intra-groupe: contraire à la directive mère-fille, in Le Fiscologue, 2025, 1874, 4 ss.), la riforma dovrebbe inizialmente modificare il regime del consolidato fiscale belga eliminando l’impossibilità di dedurre gli RDT. Mentre, in una seconda fase, l’attuale meccanismo belga volto ad evitare la doppia imposizione economica degli RDT dovrebbe essere sostituito dal più accreditato strumento dell’esenzione.
Attualmente, non ci è dato sapere se la riforma verrà effettivamente attuata nei termini prospettati o se si assisterà a un intervento normativo con risvolti inattesi. Tale incertezza risulta ancora più marcata se si considera la tradizionale fedeltà del legislatore belga alla propria cultura giuridica e soprattutto la tendenza degli Stati membri, nel quadro attuale, ad attuare un recepimento, per così dire, “minimo” del diritto unionale che, pur ossequioso delle sue previsioni, non intacchi più del necessario la loro sovranità fiscale.
Ed è proprio questa tensione, fra processo di europeizzazione e volontà dei singoli Stati di preservare un “nucleo duro” di sovranità fiscale, che sembra emergere con evidenza dalla superiore analisi. Essa, infatti, ci consegna inconfutabilmente uno spaccato di quei limiti endogeni o strutturali al processo di europeizzazione degli ordinamenti dei singoli Stati membri3. Oggi più che mai, tale processo ha raggiunto uno stadio avanzato, sebbene – su di esso – continui ad incombere lo spettro di una sua degenerazione, il cui effetto sarebbe costituito dalla progressiva marginalizzazione dei pluralismi giuridici che compongono il telaio giuridico-istituzionale dell’Unione Europea.
Altrimenti detto, il caso della disciplina belga degli RDT sembra ergersi a emblema di quella tensione, a volte anche latente, tra integrazione sovranazionale e prerogative nazionali orientata a riaffermare l’esigenza di un equilibrio tra uniformità giuridica europea4 e identità giuridica nazionale, lato sensu intesa.
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1 Il suddetto articolo recita: «Nessuna delle deduzioni di cui agli articoli da 199 a 206, 536 e 543 può essere applicata all’importo del trasferimento infragruppo previsto all’articolo 185, (paragrafo 4, primo comma), che è incluso nella base imponibile».
2 Si trattava, nello specifico, di dividendi percepiti dalle società incorporate in periodi d’imposta antecedenti a quello in cui si è giuridicamente perfezionata l’operazione.
3 Cfr., ex multis, Pistone P., Diritto tributario europeo, Torino, 2025, IV ed., 40 ss.
4 Ormai divenuta irrinunciabile alla luce delle sfide fiscali correnti che gli Stati membri si sono ritrovati a dover fronteggiare.
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