IL PUNTASPILLI: segnalazioni dalla redazione

Di Alessia Fidelangeli -

Il regime fiscale delle borse di ricerca e la riforma del pre-ruolo: un segnale preoccupante per il sistema universitario (*)

Negli ultimi anni il sistema universitario italiano è stato attraversato da una stagione di riforme, spesso frammentarie e poco coordinate tra loro. Tra queste, una in particolare ha suscitato sorpresa e qualche inquietudine: la modifica del regime fiscale delle borse di ricerca post-laurea, un intervento apparentemente tecnico ma dal significato profondo per i più precari tra i precari della ricerca.

Con il Decreto PNRR-scuola (D.L. n. 45/2025), il legislatore ha abrogato l’esenzione IRPEF e IRAP prevista dall’art. 4, comma 3, L. n. 210/1998, determinando l’applicazione alle borse di ricerca post-laurea del regime ordinario di tassazione. L’intento dichiarato era quello di “coordinare la materia”, ma il risultato è stato tutt’altro che armonico e ha colto di sorpresa Università e ricercatori: le prime si sono trovate con oneri fiscali non previsti nei bilanci; i secondi con importi netti improvvisamente ridotti.

A rendere il quadro più critico, l’assenza di una disciplina transitoria. La norma si è applicata dal giorno stesso dell’entrata in vigore della legge di conversione (7 giugno 2025), coinvolgendo borse già bandite o in corso di erogazione. Di fronte alle proteste degli Atenei, il Ministero dell’Università e della Ricerca ha tentato di rassicurare, sostenendo che il principio di irretroattività avrebbe salvaguardato le borse assegnate prima di quella data. Un’interpretazione, tuttavia, più politica che tecnica: nel sistema dei redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente vale infatti il principio di cassa, e non quello di competenza, sicché rileva il momento della percezione, non quello dell’assegnazione della borsa. Anche lo Statuto dei diritti del contribuente (art. 3) avrebbe potuto eventualmente impedire la tassazione delle somme erogate nel 2025, ma non che una borsa stanziata e bandita nel 2025 fosse imponibile per la parte erogata dal 1° gennaio 2026.

La situazione è stata chiarita qualche settimana più tardi con il D.L. n. 90/2025, poi convertito nella L. n. 109/2025, che all’art. 5-bis ha introdotto una disposizione di interpretazione autentica: la nuova disciplina si applica esclusivamente alle borse conferite a decorrere dal 7 giugno 2025. Una precisazione doverosa, che tuttavia non cancella la sensazione di una norma scritta in modo affrettato.

Sullo sfondo resta la questione sostanziale: la tassazione di un reddito atipico, che continua a non riconoscere diritti previdenziali, di maternità o di disoccupazione, e che ora viene equiparato ai redditi di lavoro dipendente ma esclusivamente quando si tratta della tassazione. Il risultato pertanto comporta un’asimmetria evidente, tanto più incoerente se si considera che le borse di dottorato e di specializzazione medica restano esenti.

Sul piano finanziario, il gettito aggiuntivo per l’Erario sarà minimo – i numeri delle borse post-laurea sono limitati e gli importi modesti – e, anzi, almeno in parte riassorbito da detrazioni e trattamento integrativo. Ma sul piano simbolico, la riforma pesa molto di più: trasmette l’idea che la ricerca resti un terreno di sperimentazione normativa, dove l’urgenza prevale sulla coerenza. A ciò si aggiunge che tali borse concorrono a determinare la base imponibile IRAP (aliquota ordinaria dell’8,5%): nel contesto della finanza pubblica allargata, ciò può avere un effetto tendenzialmente compensativo, poiché l’IRAP affluisce alle Regioni ma al tempo stesso grava sui bilanci universitari. Ne deriva comunque che al maggior gettito per alcuni enti del conto consolidato delle Pubbliche Amministrazioni si accompagna un aumento della spesa per altri, con effetti redistributivi complessivi non facilmente valutabili.

Forse non si tratta che di una svista (le borse di ricerca avrebbero dovuto essere abolite tout court e sostituite dai nuovi incarichi di ricerca, detassati). O forse, più semplicemente, di un riflesso culturale: la difficoltà a considerare la ricerca non come un costo da contenere, ma come un investimento da tutelare. Questa seconda visione sarebbe peraltro avvalorata dal regime impositivo che lo stesso Decreto PNRR-Scuola prevede per le nuove figure dei contratti di ricerca e degli incarichi post-doc, destinati a sostituire progressivamente i tradizionali e ormai abrogati assegni di ricerca.

Nel dubbio, lo “spillo” è questo: ogni volta che si sottopone a imposizione la ricerca prima di valorizzarla, si trasmette alle nuove generazioni accademiche un segnale chiaro, difficilmente interpretabile come un atto di fiducia.

(*) La rubrica ospita gli spunti di riflessione emersi nelle riunioni del Comitato di redazione, che non confluiranno nel fascicolo della Rivista telematica di diritto tributario né nella rivista digitale.

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