La (non?) impugnabilità del rigetto dell’istanza di annullamento in autotutela alla luce della più recente giurisprudenza e dei documenti di prassi.
Di Matteo Demetri
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(commento a/notes to Corte di Giustizia tributaria di I grado Forlì, 28 gennaio 2025, n. 14)
Abstract (*)
La sentenza in commento costituisce una delle prime fattispecie applicative dalla riforma dell’art. 19, lett. g-bis) e g-ter), D.Lgs. n. 546/1992, che inseriscono tra gli atti impugnabili il “rifiuto espresso o tacito sull’istanza di autotutela” nei casi di autotutela obbligatoria ed il ” rifiuto espresso sull’istanza di autotutela” nei casi di autotutela facoltativa. La conclusione raggiunta non risulta condivisibile alla luce della riforma ma offre l’occasione per alcune sintetiche riflessioni sulla nuova disciplina in materia, alla luce della circ. 7 novembre 2024, n. 21/E e dei più recenti orientamenti giurisprudenziali e dottrinali.
The (non-) appealability of the rejection of the self-mandated annulment request in light of the most recent case law and standard practice documents. – The judgment under comment constitutes one of the first cases of application from the reform of Article 19, letters g-bis) and g-ter), of Legislative Decree No. 546/1992, which include among the appealable acts the “express or tacit refusal on the application for self-protection” in cases of mandatory self-protection and the “express refusal on the application for self-protection” in cases of optional self-protection. The conclusion reached is unsupportable in light of the reform but provides an opportunity for some brief reflections on the new rules on the subject in light of the recent Circular No. 21/E of November 7, 2024.
Sommario: 1. I fatti oggetto del giudizio e la conclusione raggiunta. –2. Autotutela obbligatoria e facoltativa; le novità previste dai decreti legislativi 30 dicembre 2023, nn. 219 e 220. –2.1. Giudicato e definitività –2.2. La limitazione della responsabilità erariale alle ipotesi di dolo. –3. L’incerta applicabilità del contraddittorio endo-procedimentale nell’ambito del procedimento di riesame. –4. Cenni alla circ. 7 novembre 2024, n. 21/E e aspetti procedimentali: l’incidenza dell’istanza del contribuente sull’avvio del procedimento di riesame. –5. I risvolti processuali: l’impugnabilità del diniego di autotutela e del silenzio sull’istanza di autotutela. – 6. Considerazioni critiche sul discutibile discrimen tra rigetto e rifiuto.
1. A seguito delle recenti novità normative, può essere oggetto di ricorso il rifiuto dell’Amministrazione di riesaminare l’atto, ma non il rigetto motivato dell’istanza. Ad affermarlo è la Corte di Giustizia tributaria di I grado Forlì, 28 gennaio 2025, n. 14 che ha stabilito che non sarebbe impugnabile l’esito del riesame in autotutela, ma solo l’eventuale rifiuto di procedere al riesame in questione.
Tale pronunciamento riveste particolare rilievo, essendo tra i primi a prendere posizione sulla nuova autotutela facoltativa (si rammenta quale prima sentenza intervenuta sul tema, giungendo alle medesime conclusioni della pronuncia che si annota, la sentenza della Corte di Giustizia tributaria di I grado Caserta, 15 luglio 2024, n. 3034 e nel medesimo senso recentemente, Corte di Giustizia tributaria di I grado Avellino, sent. 23 dicembre 2024, n. 1541. In senso conforme, la Corte di Giustizia di II grado Lombardia, sent. n. 1140/2025, che ha affermato l’inammissibilità dell’impugnazione del diniego parziale di autotutela facoltativa relativo a pretese tributarie fondate su atti impositivi divenuti definitivi, non configurandosi una nuova pretesa impositiva, né potendo il contribuente, per il tramite dell’impugnazione, estendere il sindacato giurisdizionale alle parti dell’atto originario confermate con diniego parziale).
La soluzione adottata – seppur non sorprendente – appare di interesse sotto molteplici aspetti, offrendo l’occasione per alcune sintetiche riflessioni sulla nuova disciplina in materia.
La vicenda trae origine dall’emissione di un avviso di accertamento IRES relativo al periodo d’imposta 1° giugno 2014 – 31 maggio 2015, con cui si contestava la decadenza dal regime catastale agevolato per i redditi agrari ex art. 32 TUIR, in conseguenza della detenzione di partecipazioni (minoritarie e improduttive di dividendi) in società non agricole.
L’atto, regolarmente notificato in data 6 maggio 2021, non veniva impugnato nei termini dalla società acquisendo quindi carattere definitivo a far data dal 5 luglio 2021.
Successivamente, la Società ricorrente ha proposto una serie di istanze di annullamento in autotutela – la prima nel settembre 2021, una seconda nel giugno 2024, e infine una terza nell’ottobre 2024 – tutte dirette a ottenere l’annullamento o almeno la sospensione degli effetti dell’atto (sulla sospensione degli effetti dell’atto a seguito dell’abrogazione della previgente disciplina che la contemplava esplicitamente, vedasi, tra gli altri, Ferlito G., Riflessioni preliminari sulla sospensione amministrativa quale fattispecie di autotutela di carattere provvisorio,Riv. tel. dir. trib., 2025, 1 e pubblicato online il 10 aprile 2025, www.rivistadirittotributario.it e più diffusamente Ferlito G., L’autotutela provvisoria nel diritto tributario, in Riv. dir. trib., 2025, 2, 233 ss. Non essendo questa la sede opportuna per affrontare tale specifica problematica, si darà per scontato che anche nel nuovo assetto normativo conseguente alla riforma del D.Lgs. n. 219/2023 debba ritenersi configurabile in capo all’Amministrazione finanziaria il potere di sospensione di propri precedenti provvedimenti, pur in mancanza di una espressa previsione dettata a tali fini), in ragione dell’identità della fattispecie accertata rispetto ad altre annualità (2011–2013 e 2015–2016), per le quali taluni avvisi di accertamento sono stati annullati in primo grado con sentenze favorevoli alla società; altri sono stati oggetto di decisioni contrastanti in secondo grado, in parte impugnate in Cassazione.
In tutte le istanze, la ricorrente ha invocato il principio di uniformità di trattamento e la totale natura agricola dei redditi prodotti.
Con Provvedimento 5 novembre 2024, l’Agenzia delle Entrate ha rigettato l’ultima istanza di autotutela, ribadendo la legittimità e definitività dell’avviso di accertamento, nonché l’insussistenza delle condizioni per l’attivazione dell’autotutela obbligatoria ex art. 10-quater dello Statuto del contribuente.
Avverso tale diniego motivato, la Società ha proposto il ricorso ritenuto inammissibile dalla Corte di Giustizia tributaria di I grado Forlì poiché l’atto impugnato costituirebbe un rigetto motivato dell’istanza di annullamento in autotutela e non un rifiuto di riesame, pertanto non impugnabile ex art. 19 D.Lgs. 546/1992.
2. Per procedere alla disamina del portato del pronunciamento in commento occorre soffermarsi succintamente su alcuni aspetti della nuova disciplina dell’autotutela (per una bibliografia sull’autotutela nel diritto tributario, senza alcuna pretesa di completezza, si rimanda a Ficari V., Novità in tema di intervento unilaterale della amministrazione finanziaria in sede di autotutela, in Riv. dir. trib., 1995, I, 477 ss.; Id., Pregi e difetti della disciplina regolamentare dell’autotutela dell’amministrazione finanziaria, in Rass. trib., 1997, 343 ss.; Id., Autotutela e riesame nell’accertamento del tributo, Milano, 1999; La Rosa S., Accertamentotributario, in Dig. disc. priv., sez. comm., IV, Torino, 1987, 1554; Id., Autotutela e annullamento d’ufficio degli accertamenti tributari, in Riv. dir. trib., 1998, 3, I, 1148 ss.; Id., Definitività degli avvisi di liquidazione, autotutela tributaria e ripetibilità delle imposte “principali” nel sistema delle imposte sui trasferimenti, (nota a Cass., sez. trib., n. 13412/2000), in Riv. dir. trib., 2001, 6, II, 468 ss.; Stevanato D., L’autotutela dell’amministrazione finanziaria. L’annullamento d’ufficio a favore del contribuente, Padova, 1996; Id., Autotutela e mediazione di esigenze in conflitto: note a margine del regolamento ministeriale, in Riv. dir. trib., 1997, 4, I, 145 ss.; Id., voce Autotutela (diritto tributario), in Enc. dir., Agg., III, Milano, 1999, 304).
Com’è noto, il legislatore ha introdotto la c.d. autotutela obbligatoria nell’art. 10-quater L. 27 luglio 2000, n. 212 in una serie di ipotesi di manifesta illegittimità dell’atto o dell’imposizione (sulla autotutela dopo la riforma, tra gli altri, Glendi C., L’apice ambiguo dell’autotutela tributaria, in GT –Riv. giur. trib., 2025, 3, 217 ss.; Melis G., L’autotutela tributaria, in Giovannini A., a cura di, La riforma fiscale. I diritti e i procedimenti, Vol. II, I diritti del contribuente, gli adempimenti e la tutelagiurisdizionale, Pisa, 2024, 133; Pistolesi F., La nuova disciplina dell’autotutela tributaria, in Studi Senesi, Napoli, 187 ss.; Ficari V., La “nuova” autotutela tributaria tra dovere e facoltà degli Uffici e confini del potere di accertamento tributario, in Riv. trim. dir. trib., 2024, 4, 693; Tassani T., Profili ricostruttivi e applicativi della nuova autotutela tributaria, in Riv. trim. dir. trib., 2024, 3, 599; Poddighe A., Aspetti procedimentali e processuali dell’autotutela tributaria obbligatoria, in il fisco, 2024, 43, 3977; Poddighe A. – Dian F., L’autotutela, in Ferranti G., a cura di, Adempimento collaborativo, accertamento e contenzioso, 2024, Milano).
In tali casi (sulla non isolabilità del sintagma “manifesta illegittimità” in quanto espressamente collegato dal dettato normativo ai “seguenti casi”, ossia alle fattispecie indicate nelle lettere seguenti, Farri F., Prime riflessioni sul nuovo regime di invalidità degli atti dell’Amministrazione finanziaria, in Riv. dir. trib., 2024, 2, 226, nota 32, il quale mette in evidenza come non compaia tra di essi la sussistenza di profili di nullità dell’atto), peraltro, se l’Amministrazione non esercita il proprio potere di autotutela – e il contribuente la invita a farlo entro un anno dalla definitività dell’atto – il diniego, espresso o tacito, sarà impugnabile (in questa sede si circoscriverà la breve analisi alla cosiddetta autotutela in bonam partem. Sulla distinzione di contenuto delle diverse aggettivazioni –autotutela negativa, autotutela positiva, riesame positivo – si rimanda a Ficari V., Autotutela e riesame nell’accertamento del tributo, cit., spec. 60. Sulla c.d. autotutela in malam partem si segnala la recente – e assai discutibile – pronuncia a Sezioni Unite 21 novembre 2024, n. 30051, ove si afferma da un lato che l’Amministrazione possa legittimamente annullare, sia per vizi formali sia per vizi sostanziali, l’atto impositivo viziato ed emettere, in sostituzione, un nuovo atto anche per una maggiore pretesa – salvi i limiti costituiti dal termine di decadenza e dal giudicato –, dall’altro che, una volta riconosciuto in capo all’Amministrazione finanziaria il potere di ius poenitendi finalizzato alla realizzazione dell’interesse pubblico, non paiono residuare margini per una valorizzazione dell’aspetto soggettivo dell’affidamento del contribuente).
Fuori dalle fattispecie in cui è previsto tale obbligo, l’Ente impositore può procedere all’annullamento, in tutto o in parte, di atti di imposizione, ovvero alla rinuncia alla stessa, senza necessità di istanza di parte, anche in pendenza di giudizio; oppure in caso di atti definitivi, in presenza dell’illegittimità o dell’infondatezza dell’atto o dell’imposizione.
Al riguardo, il riconoscimento dell’impugnabilità del rifiuto è stato inserito nell’elenco di atti impugnabili di cui all’art. 19D.Lgs. 31 dicembre1992, n. 546; e tuttavia con un’importante distinzione: rispetto all’autotutela obbligatoria potrà essere impugnato anche il rifiuto implicito, grazie all’inserimento di questa fattispecie nell’ambito dell’art. 21D.Lgs. n. 546/1992, affiancando il diniego di autotutela a quello di rimborso (sul punto, vedasi, tra gli altri, Basilavecchia M., Autotutela tributaria sugli atti impositivi tra luci, ombre e nubi dalla giurisprudenza, in IPSOA Quotidiano, 3 febbraio 2024).
Nel prevedere un elenco di ipotesi di autotutela obbligatoria, in particolare, il legislatore pare essersi rifatto – più che ai criteri fissati dalla legge delega – ad un obiter dictum della pronuncia della Consulta 13 luglio 2017, n. 181, secondo cui «la non irragionevolezza della disciplina esaminata non comporta che siano precluse al legislatore altre possibili scelte […] in via di principio, il momento discrezionale del potere della Pubblica Amministrazione di annullare i propri provvedimenti non gode in sé di una copertura costituzionale. La previsione legislativa di casi di autotutela obbligatoria è dunque possibile» (sul punto vedasi, tra gli altri, Fransoni G., Il diniego tacito o espresso di autotutela non può essere impugnato, commento a Corte Cost., 13 luglio 2017, sent. n. 181, in Riv. tel. dir. trib., 2017, 2, 49 ss. secondo cui questo passaggio della pronuncia, pur non conferendo il carattere di “monito” alla sentenza, sembra essere espressione, sia pure in forma velata, di un auspicio. Per altri commenti alla pronuncia della Corte Costituzionale Rossi P., L’incensurabilità del diniego tacito di annullamento in autotutela lascia spazio all’inerzia dell’Amministrazione finanziaria, in Giur. cost., 2017, 4, 1699; Piantavigna P., Disorientamenti della Corte costituzionale in materia di autotutela tributaria, in Riv. dir. fin. sc. fin., 2017, 4, II, 96).
2.1. L’Ente impositore, inoltre, non deve esercitare l’autotutela nel caso in cui sussista una sentenza passata in giudicato favorevole all’Amministrazione finanziaria o laddove sia trascorso un anno dalla definitività dell’atto viziato per mancata impugnazione (al riguardo, si veda Tassani T., Profili ricostruttivi e applicativi della nuova autotutela tributaria, in Logozzo M., a cura di, L’attuazione della riforma tributaria, Pisa, 2024, 63, secondo il quale il giudicato e la definitività dell’atto avrebbero la funzione di individuare i parametri formali estremi, oltre i quali si riequilibra a favore del primo il rapporto tra l’interesse alla stabilità dei rapporti giuridici e l’interesse al ripristino dei della giustizia sostanziale).
Il riferimento al “giudicato” riapre la diatriba nata con l’art. 68 D.P.R. n. 287/1992 inerente alla natura del giudicato che inibiva l’esercizio del potere in questione e che era stato risolto dall’art. 2, comma 2, D.M. n. 37/1997 che precisava che la preclusione operava solo «per motivi sui quali sia intervenuta sentenza passata in giudicato favorevole all’Amministrazione finanziaria».
L’autotutela non era pertanto esclusa né nei casi di giudicato formale né se il procedimento di autotutela avesse riguardato motivi estranei a tale giudicato (sul punto, di recente, Poddighe A., Aspetti procedimentali e processuali dell’autotutela tributaria obbligatoria, cit., 3983).
In continuità con tale orientamento – rispetto al quale non si vede perché ci si dovrebbe discostare – è anche la circ. 7 novembre 2024, 21/E del recante “Istruzioni operative agli Uffici in materia di autotutela tributaria, a seguito delle novità introdotte con gli articoli 10-quater e 10- quinquies dello Statuto dei diritti del contribuente”, nella parte in cui, richiamando la relazione illustrativa sulla nuova normativa, ha affermato che non è ostativo all’autotutela né un giudicato processuale né un giudicato sostanziale, qualora nell’istanza si prospettino motivi diversi rispetto a quelli su cui si è pronunciato il giudice (condivide tale opinione Ingrao G., L’autotutela tributaria: nuova regolamentazione e vecchie interpretazioni giurisprudenziali, in Riv. dir. trib., 2025, 3, 316).
Riguardo al limite costituito dal decorso del termine annuale dalla notifica dell’atto impositivo, l’introduzione di un limite temporale alla doverosità dell’autotutela risponde ad un condivisibile obiettivo di certezza del diritto: anche l’atto viziato per “errori manifesti” non può essere eternamente emendabile e, dunque, occorre individuare un termine entro il quale si verifica il totale “consolidamento” (al riguardo, la dottrina ha parlato, con espressioni suggestive ma ossimoriche, di “atti a definitività sospesa” in Melis G., L’autotutela tributaria, cit., 135 e di “definitività a formazione progressiva” in Ficari V., La “nuova” autotutela tributaria tra dovere e facoltà degli Uffici e confini del potere di accertamento tributario, cit., 701). A parere di chi scrive, l’effettiva scelta del termine (un anno dalla definitività dell’atto per mancata impugnazione), tuttavia, non risulta ancorata a solide ragioni giuridiche e, pertanto, sarebbe stata preferibile un’altra soluzione legata a considerazioni d’ordine sistematico. Esso mal si concilia, tra l’altro, con la circostanza per cui con il vano decorrere dei 60 giorni dalla notifica del provvedimento prende avvio il procedimento di riscossione provvisoria o, addirittura, definitiva qualora l’atto non sia stato impugnato (sul punto, Ficari V., La “nuova” autotutela tributaria tra dovere e facoltà degli Uffici e confini del potere di accertamento tributario, cit., 702, il quale auspica una integrazione normativa sulla sospensione della riscossione).
2.2. Da un punto di vista meramente pratico, infine, una novità – forse passata un po’ inosservata – in un’ottica di potenziamento dell’istituto in parola, è costituita dalla limitazione della responsabilità erariale dei dipendenti delle Amministrazioni finanziarie alle sole condotte dolose nell’ambito sia dell’autotutela obbligatoria sia dell’autotutela facoltativa.
Va notato che nel terzo comma dell’art. 10-quater, per quanto riguarda l’eventuale giudizio contabile dinanzi alla Corte dei Conti a fronte dell’avvenuto esercizio dell’autotutela, il D.Lgs. n. 219/2023 ha limitato la responsabilità dei funzionari alle ipotesi di dolo soltanto in relazione alle “valutazioni di fatto”. Si registra pertanto una previsione parzialmente diversa rispetto a quella presente nella legge delega, che estendeva “lo scudo” dei funzionari “con riguardo alle valutazioni di diritto e di fatto operate” in sede di autotutela (ciò comunque non inficia la novità normativa in parola che va accolta con estremo favore. Si tratta di una tendenza della legislazione degli ultimi anni finalizzata a ridurre gli ambiti di responsabilità dei pubblici dipendenti circoscrivendola al solo caso del dolo. Si pensi all’art. 21, comma 2, D.L. n. 76/20 che introduce la sospensione della colpa grave commissiva originariamente fino a luglio 2021, termine prorogato più volte e giunto, per ora, a seguito del D.L. n. 215/2023 conv. in L. n. 18/2024, al 31 dicembre 2024. Si pensi art. 46 L. 23 dicembre 2021, n. 238, che la colpa grave sia esclusa per gli atti finanziati con le risorse stanziate dal PNR e dal PNC, nei casi in cui le Amministrazioni abbiano richiesto alle Sezioni riunite della Corte dei Conti in sede consultiva pareri nelle materie di contabilità pubblica su fattispecie del valore complessivo non inferiore ad un milione di euro, e a questi si siano conformate. Colombini G., Responsabilità erariale: riflessioni a margine del sistema di tutela contabile, in Dir. amm., 2024, 3, 675. In generale sulla responsabilità amministrativa Casetta E., L’illecito degli enti pubblici, Torino, 1953; Alessi R., La responsabilità della pubblica Amministrazione, Milano, 1951; Giannini M.S., Svolgimento della dottrina delle responsabilità contabili, in Studi in onore di E. Betti, vol. V, Milano, 1962, 183 s.; Cannada Bartoli E., voce Illecito (dir. amm.), in Enc. dir., XX, Milano, 1970, 112-127).
3. In assenza di una disciplina procedimentale, occorre chiedersi se l’inclusione del provvedimento di autotutela tra gli atti impugnabili determini l’applicazione dell’obbligo di contraddittorio anticipato. La risposta deve essere articolata.
Schematicamente potrebbe rispondersi con il seguente sillogismo:
Premessa maggiore: l’art 6-bis dello Statuto del contribuente ha introdotto l’obbligo di attivazione del contraddittorio endoprocedimentale tra Amministrazione e contribuente per tutti gli atti autonomamente impugnabili.
Premessa minore: sono esclusi dal diritto al contraddittorio solamente gli atti automatizzati, sostanzialmente automatizzati, di pronta liquidazione e di controllo formale delle dichiarazioni individuati con decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze.
Conclusione: tra le ipotesi di esclusione non figurano i provvedimenti resi al termine di un procedimento di autotutela, dunque anche ad essi si deve applicare il menzionato art. 6-bis.
Soluzione perfettamente logica, ma che ha un punto tutto da verificare: la premessa minore.
Invero, l’art. 7-bis D.L. n. 39/2024, con disposizione di interpretazione autentica ha delimitato il contraddittorio doveroso ai soli atti “recanti una pretesa impositiva” (in particolare, l’art. 7-bis D.L. n. 39/2024 ha disposto che l’art. 6-bis dello Statuto «si interpreta nel senso che esso si applica esclusivamente agli atti recanti una pretesa impositiva, autonomamente impugnabili dinanzi agli organi della giurisdizione tributaria, ma non a quelli per i quali la normativa prevede specifiche forme di interlocuzione tra l’Amministrazione finanziaria e il contribuente ne´ agli atti di recupero conseguenti al disconoscimento di crediti di imposta inesistenti»).
Al riguardo, la menzionata circolare manca di prendere posizione sul tema, e – sebbene parte della dottrina sostenga che debba ritenersi applicabile (Poddighe A., Aspetti procedimentali e processuali dell’autotutela tributaria obbligatoria, cit., 3977 ss. e, salvo errori, Ficari V., La “nuova” autotutela tributaria tra dovere e facoltà degli uffici e confini del potere di accertamento tributario, cit., 712), il tenore letterale della discutibile disposizione di interpretazione autentica non pare lasciare scampo all’esclusione (per una critica all’abuso della tecnica dell’interpretazione autentica vedasi, tra gli altri, Mastroiacovo V., Commento all’art. 1 in Fantozzi A. – Fedele A., a cura di, Statuto dei Diritti del Contribuente, Milano, 2005).
E, tuttavia, estenderne l’applicabilità anche a tale procedimento di secondo grado consentirebbe di colmare le lacune derivanti dall’abrogazione della disciplina procedimentale antecedente. Inoltre, quale corollario, garantirebbe al contribuente il diritto di accesso, che potrebbe sortire l’effetto di “spronare” l’Amministrazione ad esprimersi (sul punto si rimanda ad Poddighe A., Aspetti procedimentali e processuali dell’autotutela tributariaobbligatoria, cit., 3977 ss.).
La soluzione al problema prospettato potrebbe essere quella di ritenere applicabile nell’ambito del procedimento di riesame il diritto di accesso contemplato dalla L. n. 241/1990 (soluzione, peraltro, già intuita nella vigenza della disciplina previgente da Stevanato D., L’autotutela dell’amministrazione finanziaria. L’annullamento d’ufficio a favore del contribuente, cit., 99).
Invero, ferma restando l’esclusione per i procedimenti tributari prevista nell’ambito dell’art. 24 L. n. 241/1990, si può rilevare come la costante giurisprudenza del Consiglio di Stato la interpreti nel senso che «la inaccessibilità agli atti di cui trattasi sia temporalmente limitata alla fase di pendenza del procedimento tributario, non rilevandosi esigenze di segretezza nella fase che segue la conclusione del procedimento con l´adozione del procedimento definitivo di accertamento dell´imposta dovuta sulla base degli elementi reddituali che conducono alla quantificazione del tributo» (così, ex multis, Consiglio di Stato, 26 settembre 2013, n. 4821).
Pertanto, dall’affermazione per cui il diritto di acceso agli atti del procedimento tributario non possa essere esercitato fino all’emanazione dell’avviso di accertamento, si potrebbe evincere, a contrariis, che il procedimento di riesame in autotutela – intervenendo “dopo l’emanazione dell’avviso di accertamento” – non possa risentire della suddetta limitazione.
4. Pur non intervenendo in tema di applicabilità del contraddittorio endo-procedimentale nel procedimento di riesame in autotutela, la circ. n. 21/E/2024, ha escluso esplicitamente l’obbligo di fornire risposte da parte dell’Amministrazione finanziaria limitatamente alle ipotesi in cui le istanze dei contribuenti vertano su procedimenti che prevedano una loro partecipazione preventiva. In particolare, viene affermato che «in ossequio al principio di buon andamento dell’azione amministrativa, davanti ad un’istanza di autotutela facoltativa, gli Uffici non sono tenuti a fornire risposte alle istanze che […] riguardano procedimenti che già comportano una partecipazione preventiva del contribuente, come nelle procedure DOCTE e DOCFA» in quanto la natura partecipativa delle menzionate procedure non sembra essere sempre condizione sufficiente per negare una risposta all’istanza in parola.
Tale previsione – solo apparentemente marginale – ci sollecita un duplice ordine di riflessioni, una particolare ed una generale.
In primo luogo – ad avviso di scrive –, sembrerebbe maggiormente condivisibile distinguere caso per caso sulla base di un criterio di massima (similare a quello previsto in tema di motivazione degli accertamenti originati dalla sopra menzionata tipologia di atto, vedasi tra le altre Cass. n. 23237/2014; Cass. n. 12497/2016; n. 31809/2018; n. 25006/2019; n. 17016/2020), per cui tale obbligo di risposta non dovrebbe sussistere laddove nell’avviso di classamento gli elementi di fatto indicati dal contribuente non siano stati disattesi dall’Amministrazione finanziaria e l’eventuale discrasia tra rendita proposta e rendita attribuita derivi da una valutazione tecnica sul valore economico dei beni classati; mentre, in caso contrario, cioè nell’ipotesi in cui la discrasia non derivi dalla stima del bene ma dalla divergente valutazione degli elementi di fatto indicati dal contribuente, la motivazione dovrà essere più approfondita e specificare le differenze riscontrate sia per consentire il pieno esercizio del diritto di difesa del contribuente, sia per delimitare l’oggetto dell’eventuale contenzioso.
Da un punto di vista generale, inoltre, la circostanza per cui nel documento di prassi sia escluso un obbligo di fornire risposta al contribuente nei menzionati casi specifici fa propendere, a contrario, per un generalizzato obbligo per l’Amministrazione di avviare il procedimento di riesame e di esternarne l’esito.
Al riguardo, va precisato che solo per i casi di autotutela facoltativa pare corretto ancora interrogarsi sulla natura del riesame nell’ambito tributario – dovendosi ritenere ad esito vincolato, laddove ricorra uno dei casi elencati nell’art. 10-quater.
Storicamente, si sono contese il campo due differenti impostazioni. Una parte della dottrina, da un lato, anche per la generale natura vincolata degli atti tributari, ha sostenuto che l’istituto dovesse configurarsi come un potere di natura vincolata, il cui esercizio non avrebbe dovuto implicare alcuna indagine sull’interesse pubblico concreto alla rimozione di un atto illegittimo, ritendendo che la sola illegittimità fosse una ragione di pubblico interesse di per sé idonea e sufficiente all’annullamento (tra gli altri, Tesauro F., Istituzioni di diritto tributario. Parte generale, 2016, Torino, 178).
Diversamente opinando, la giurisprudenza costituzionale, seguita da quella di legittimità, prima dell’introduzione della nuova disciplina introdotta dai decreti legislativi n. 219/2023 e n. 220/2023, affermava che l’autotutela tributaria dovesse ritenersi discrezionale e che l’Ente impositore non fosse obbligato a rispondere emanando un atto amministrativo a seguito di istanza di autotutela di un atto definitivo (così Corte cost., 13 luglio 2017, n. 181). Secondo tale impostazione, pertanto, riconoscere carattere vincolante all’istanza del privato avrebbe significato accordare al contribuente un’indebita forma di tutela anche dopo la scadenza del termine per l’impugnazione dell’atto in sede giurisdizionale.
La giurisprudenza – costituzionale e di legittimità (tra le pronunce più recenti, Cass., 20 settembre 2023, n. 26907; Cass., 4 settembre 2023, n. 25659; Cass., 23 ottobre 2020, n. 23249) – confondeva, infatti, due piani che dovrebbero più correttamente ritenersi distinti, poiché la discrezionalità dell’Amministrazione non dovrebbe caratterizzare l’agire ma soltanto l’emanazione di un certo provvedimento positivo. Non è corretto affermare, infatti, che la discrezionalità sotto il profilo del quomodo, ossia nella determinazione del contenuto del provvedimento, implichi necessariamente la sussistenza della discrezionalità nell’an, ossia la libertà di decidere se emanare o meno un provvedimento (su tale posizione, argomentata nella vigenza della disciplina previgente, Rossi P., Il riesame degli atti di accertamento. Contributo allo studio del potere di annullamento d’ufficio a favore del contribuente, Milano, 2008, 114).
Conseguentemente, anche ammettendo che il potere di riesame ed il consequenziale provvedimento abbiano contenuto discrezionale, non se ne può trarre la conseguenza che l’Ufficio sia libero di decidere se attivarsi o meno in presenza di un atto che potrebbe essere illegittimo.
Alla luce di quanto sopra esposto, pertanto, l’istanza del contribuente volta all’annullamento di un atto impositivo non può più ritenersi una mera sollecitazione priva di conseguenze giuridiche, ma un atto vincolante per l’Amministrazione finanziaria che, ricevuta l’istanza ed effettuata una sommaria delibazione circa la fondatezza della stessa (sulla non sussistenza di un obbligo di pronuncia laddove l’istanza sia irragionevole o priva dei requisiti di ricevibilità e di procedibilità Rossi P., Il riesame degli atti di accertamento. Contributo allo studio del potere di annullamento d’ufficio a favore del contribuente, cit., 123 e 290), dovrà rendere conto delle ragioni che l’hanno condotta all’annullamento dell’atto o al rigetto dell’istanza (sembra giungere a conclusioni simili, Ingrao G., L’autotutela tributaria: nuova regolamentazione e vecchie interpretazioni giurisprudenziali, cit., 318).
5. Altrimenti opinando il mancato inserimento del diniego tacito di autotutela facoltativa tra gli atti impugnabili consentirebbe di trasformare l’inerzia della Pubblica Amministrazione in una tecnica di elusione del sindacato giurisdizionale, in possibile contrasto con gli artt. 24, 97 e 113 Cost. – e con gli artt. 6 CEDU e, limitatamente ai tributi armonizzati, 47 CDFUE (sul punto, Ingrao G., L’autotutela tributaria: nuova regolamentazione e vecchie interpretazioni giurisprudenziali, cit., 323, nota 69, il quale avverte come l’esclusione del silenzio rifiuto nell’autotutela facoltativa dagli atti impugnabili «potrebbe indurre il Fisco a non formulare dinieghi espressi sulle istanze ex art. 10 quinquies eliminando in radice l’eventualità di un sindacato giurisdizionale e facendo così dissolvere ogni portata applicativa alla norma»).
In altri termini, e come si accennava supra, se il non rispondere costituisce il risultato di una valutazione discrezionale deve necessariamente essere sindacabile (così Marcheselli A., Accertamenti tributari, poteri del fisco e strategie del difensore, Milano, 2022, 1187, e a proposito dell’autotutela facoltativa nella nuova disciplina Marcheselli A., Manuale di diritto tributario.Parte generale, Milano, 2024, 290 ss.).
In mancanza di una previsione espressa in tal senso e lungi dall’attendersi un’– illuminata e costituzionalmente orientata – interpretazione giurisdizionale dell’art. 19, lett. g-ter che ritenesse impugnabile anche il rifiuto tacito di autotutela facoltativa, il “palliativo” potrebbe essere quello di riconoscere in capo al contribuente la possibilità di impugnare il primo provvedimento successivo, facendo valere il vizio costituito dal mancato esercizio del potere di secondo grado.
A ciò generalmente si obietta che se l’Amministrazione non risponde ad un’istanza di autotutela volta al ritiro di un precedente atto e poi emana un atto successivo autonomamente impugnabile, «il comportamento potrebbe essere inteso come rigetto implicito dell’istanza di autotutela del contribuente, sicché l’impugnazione avverso l’atto successivo rischierebbe di scontrarsi con l’ impossibilità giuridica di dedurre come vizi riflessi quelli direttamente incidenti sull’atto non impugnato di cui si era chiesto il ritiro in autotutela» (Napolitano A., L’autotutela tributaria, in Chindemi D., a cura di, Diritto tributario giurisprudenziale, Milano, 2021, 178 ss.). E tuttavia la controbiezione – che coglie nel segno – è data dal fatto che l’atto viziato che “contaminerebbe” i successivi, non sarebbe l’atto da ritirare in autotutela ma il mancato esercizio del potere di autotutela (così Marcheselli A., Accertamenti tributari, poteri del fisco e strategie del difensore, cit., 1188. In senso conforme, Rossi P., Il riesame degli atti di accertamento. Contributo allo studio del potere di annullamento d’ufficio a favore del contribuente, cit., 316, la quale qualifica il silenzio dell’Amministrazione finanziaria come «atto endoprocedimentale e prodromico del successivo atto autonomamente impugnabile»).
In mancanza della sopra esposta cornice teorica – nella quale non pare inscriversi la giurisprudenza costituzionale – si viene a creare un assetto assai discutibile. L’insieme dei menzionati fattori, costituti dal discrimen tra autotutela obbligatoria e facoltativa, dall’assenza di un obbligo in capo all’Amministrazione finanziaria di dare avvio al procedimento di riesame e dall’insindacabilità del diniego tacito nei casi di autotutela facoltativa, infatti, potrebbe comportare conseguenze assurde come l’insindacabilità di ipotesi discutibilmente non contemplate nell’elencazione di cui all’art. 10-quater (tra di esse a titolo esemplificativo si può far riferimento al giudicato penale favorevole al contribuente, non previsto tra i casi di autotutela obbligatoria, ma rispetto al quale la Consulta ha avuto modo di affermare che l’Amministrazione finanziaria, in presenza di un giudicato penale, «deve uniformarsi, in sede di autotutela, nell’adozione dei provvedimenti ivi previsti», Corte Cost., 23 luglio 1997, n. 264).
6. Venendo alle riflessioni conclusive sulla pronuncia in commento, a ben vedere, essa si presta ad essere guardata dalla prospettiva che si è tentato di offrire nel presente saggio, in ragione della quale esisterebbero i margini per ritenere sussistente un obbligo di riscontrare l’istanza del privato volta all’annullamento in autotutela. Infatti, la Corte di Giustizia tributaria di I grado di Forlì ha affermato sostanzialmente che il sindacato esperibile dal giudice tributario riguarderà il controllo della legittimità del diniego – espresso o tacito che sia – e dunque il controllo del corretto esercizio del potere discrezionale da parte dell’Ufficio.
In particolare, si afferma che “[solo] laddove si ritenesse impugnabile anche l’atto di motivato rigetto dell’istanza di annullamento in autotutela, si introdurrebbe una sostanziale elusione dei termini decadenziali di impugnativa degli atti impositivi”.
Sino a qui nulla da obiettare alla pronuncia in commento; i problemi discendono dalla parte conclusiva. Invero, secondo la Corte, l’inammissibilità del ricorso deriva dal fatto che, nel caso di specie, non si trattasse, come detto sopra, di un “rifiuto espresso o tacito sull’istanza di autotutela”, ma di un “rigetto” della istanza di autotutela stessa, motivato in modo esaustivo a seguito di compiuto riesame dell’atto.
A tutta prima, leggendo la pronuncia, si potrebbe pensare ad una sorta di lapsus calami: infatti la volontà del legislatore era chiaramente quella di rendere impugnabile il diniego espresso di autotutela facoltativa e non vi è traccia del menzionato discrimen tra rigetto e rifiuto. Condivisibilmente, in riferimento alla già menzionata pronuncia della Corte di Giustizia tributaria di I grado di Caserta (che come già accennato, risulta del medesimo tenore di quella che si commenta) si è osservato come la conclusione raggiunta non sia condivisibile in quanto, se non fosse impugnabile il diniego espresso, verrebbe meno ogni forma di tutela del contribuente attraverso il vaglio giurisdizionale (sul punto vedasi Ficari V., La “nuova” autotutela tributaria tra dovere e facoltà degli uffici e confini del potere di accertamento tributario, cit., 713, nota 41, ove l’Autore si sofferma solo incidentalmente sulla già menzionata pronuncia della Corte di Giustizia tributaria di I grado Caserta, sentenza 15 luglio 2024, n. 3034).
A ciò si aggiunga che, com’è noto, nel medesimo art. 19, compare, tra gli atti impugnabili, anche il “il rifiuto espresso o tacito della restituzione di tributi” rispetto al quale la giurisprudenza non ha mai dato vita alla menzionata dicotomia rifiuto/rigetto, sicché verrebbe sostanzialmente attribuito un significato differente al “rifiuto”, a seconda che ci si trovi dinnanzi ad un’istanza di rimborso o di autotutela. Ciò ci lascia quantomeno perplessi in quanto implica un superamento della presunzione per cui nel linguaggio legislativo – quantomeno all’interno dello stesso documento normativo – ciascun termine assuma lo stesso significato (c.d. argomento della costanza terminologica, sul quale si veda Guastini R., Interpretare e argomentare, Milano, 2011, 299).
Cionondimeno, non sembra peregrino tentare di restituire significato al discrimen menzionato, che vede da un lato l’impugnabilità del rifiuto espresso sull’istanza di autotutela facoltativa, e dall’altro la non impugnabilità del rigetto della istanza di autotutela facoltativa.
Ponendosi nell’ottica – distonica, è bene ribadirlo – della pronuncia in commento, l’inusitato discrimen ci offre alcuni spunti di riflessione. Prendendo in prestito un consolidato orientamento della giurisprudenza amministrativa (ex multis, Cons. Stato, sez. II, 9 aprile 2025, n. 2997 e sez. V, 7 ottobre 2024, n. 8024), da un lato il rifiuto potrebbe essere equiparato a un atto meramente confermativo (ossia adottato senza effettuare una nuova attività istruttoria delle circostanze ritenute rilevanti ai fini della valutazione dell’istanza proposta dal richiedente); dall’altro, il rigetto sarebbe assimilabile alla conferma in senso proprio (caratterizzata dal fatto di essere adottata a seguito di una rinnovata istruttoria).
Fatta tale distinzione, il problema che ci si pone è l’impugnabilità del c.d. rigetto (in ipotesi assimilabile alla conferma in senso proprio).
E ponendoci da tale insolita prospettiva – per coerenza – la strada si biforcherebbe: da un lato il ricorso sorretto da motivi che erano proponibili avverso il primo atto – con conseguente elusione dei termini decadenziali – dovrebbe essere inammissibile (ed è il caso della sentenza in commento), dall’altro lato il ricorso in cui si facciano valere vizi propri del provvedimento di secondo grado, che sarebbe invece l’unica ipotesi ammissibile.
Lo spazio consentito dalle presenti brevi note non permette di enumerare le molteplici ragioni per cui la menzionata conclusione – che, a mio avviso, solo se collocata in questa cornice potrebbe avere una sua coerenza – sarebbe del tutto distonica rispetto alla volontà del legislatore, che, lo si ripete, non ha fatto riferimento da nessuna parte al menzionato discrimen.
Basti qui osservare come sia stata presa in prestito dal diritto amministrativo generale la distinzione tra conferma e atto meramente confermativo – e strumentalizzata – al fine di giungere ad esiti diametralmente opposti rispetto al consolidato orientamento del Consiglio di Stato (rileva tale asimmetria commentando una pronuncia del medesimo tenore di quella che si annota, seppur da una differente prospettiva, Matano E., Sulla natura del diniego espresso nell’autotutela facoltativa: osservazioni a margine di una recente pronuncia, nota a Corte di Giustizi tributaria Avellino, sent. 12 dicembre 2024, n. 1541, in Tax News – Supplemento online alla Riv. trim. dir. trib., 2 settembre 2025), che qualifica la c.d. “conferma propria” come espressione di un rinnovato esercizio del potere, che consente di configurare lʼatto sopravvenuto come sostitutivo rispetto al precedente, con la conseguente possibilità di impugnarlo (sul punto, di recente, nella dottrina amministrativistica, Carbone A., Considerazioni generali sui poteri amministrativi di secondo grado, in Federalismi.it, 16 luglio 2025).
(* )Il saggio è stato sottoposto a double blind peer review con valutazione positiva. Esso confluirà nel fascicolo n. 2/2025 (semestrale) della Rivista telematica di diritto tributario.
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