Sul ridimensionamento dell’efficacia del giudicato penale assolutorio nel processo tributario, fra nomofilachia e sconfinamento nella sfera riservata al potere legislativo (Parte prima)

Di Giorgia Tombesi -

Abstract (*)

Con l’ordinanza interlocutoria n. 5714 del 4 marzo 2025, la Sezione tributaria della Corte di Cassazione, rilevato il contrasto interpretativo formatosi in ordine alla portata dell’art. 21-bis D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74 – che ha, da ultimo, disciplinato l’efficacia del giudicato penale assolutorio con formula piena nell’ambito del giudizio tributario – ha rimesso gli atti alla Prima Presidente per l’eventuale assegnazione della questione alle Sezioni Unite. Secondo un primo orientamento, gli accertamenti in fatto compiuti in via definitiva dal giudice penale, nei confronti del medesimo soggetto e sugli stessi fatti materiali, in virtù della novella legislativa, devono considerarsi vincolanti per il giudice tributario rispetto all’intero oggetto della lite fiscale. A tale impostazione si contrappone un orientamento restrittivo, che circoscrive l’efficacia della norma al solo profilo sanzionatorio, ritenendo che l’assoluzione penale in relazione ai medesimi fatti incida esclusivamente sulla disapplicazione delle sanzioni amministrative.

On the downsizing of the effects of criminal acquittal in tax proceedings, between nomofilachia and encroachment upon the sphere reserved for legislative power (Part One) – With interlocutory order n. 5714 of March 4, 2025, the Tax Section of the Court of Cassation, having noted the interpretative conflict concerning the scope of Article 21-bis, Legislative Decree n. 74 of March 10, 2000 – which has, most recently, regulated the legal effect of a full criminal acquittal in tax proceedings – referred the matter to the First President for a possible assignment to the United Sections. According to a first orientation, the factual findings definitively made by the criminal judge, concerning the same person and the same material facts, pursuant to the new legislation, must be considered binding on the tax judge with regard to the entire subject matter of the tax dispute. Opposed to this approach is a restrictive interpretation, which limits the provision’s effect to the sole sanctioning aspect, arguing that the criminal acquittal on the same facts affects exclusively the disapplication of the administrative penalties.

Sommario: 1. Premesse. – 2. Lineamenti del contrasto interpretativo.

1. Con l’ordinanza in commento sono stati rimessi gli atti alla Prima Presidente della Corte di Cassazione per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, poi avvenuta, della questione di massima di particolare importanza relativa all’interpretazione del neo-introdotto art. 21-bis, comma 1, D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, che regola la valenza nel processo tributario della sentenza penale assolutoria con formula piena, divenuta irrevocabile. La disposizione è stata introdotta ad opera dell’art. 1, comma 1, lett. m), D.Lgs. 14 giugno 2024, n. 87 (c.d. decreto sanzioni), attuativo della recente riforma fiscale e, in particolare, dei principi e criteri direttivi fissati all’art. 20 della legge delega 9 agosto 2023, n. 111 (su cui v. Mongillo V., Il “particolarismo” cangiante del diritto penale tributario: riflessioni introduttive sul D.Lgs. n. 87/2024, in Dir. pen. proc., 2024, 12, 1558 ss.; Giovannini A., Sui rapporti fra principio di proporzionalità, ne bis in idem e specialità nel riformato sistema punitivo tributario, in Riv. tel. dir. trib., 2024, 2, 836 ss.), ed è, poi, confluita nell’art. 119 D.Lgs. 14 novembre 2024, n. 175 (Testo unico della giustizia tributaria), la cui entrata in vigore è, al momento in cui si scrive, prevista per il 1° gennaio 2026.

La medesima, al primo comma, segnatamente, recita: «La sentenza irrevocabile di assoluzione perché il fatto non sussiste o l’imputato non lo ha commesso, pronunciata in seguito a dibattimento nei confronti del medesimo soggetto e sugli stessi fatti materiali oggetto di valutazione nel processo tributario, ha, in questo, efficacia di giudicato, in ogni stato e grado, quanto ai fatti medesimi».

Il contrasto ermeneutico rilevato dalla Suprema Corte investe, nello specifico, l’estensibilità dell’efficacia vincolante dell’accertamento fattuale compiuto dal giudice penale, che, mentre, per un primo orientamento, andrebbe riferita all’intero oggetto della lite fiscale, coinvolgendo anche la valutazione sulla debenza dell’imposta, per un diverso ordine di idee, imporrebbe, invece, un necessario adeguamento limitatamente alla dimensione sanzionatoria.

L’intervento normativo in parola, che, come è noto, si inserisce nel solco di una imponente opera di riforma, si dirige verso una rimeditazione della fisionomia dei rapporti tra processo penale e processo tributario, tema che da decenni alimenta un vivace dibattito giurisprudenziale e dottrinale, e che, grazie alla disposizione la cui interpretazione è oggetto di rimessione, conosce oggi un rinnovato interesse (tra i numerosi lavori che hanno indagato le possibili forme di interazione tra giudizio penale e tributario, con specifico riferimento al profilo della rilevanza che il giudicato o l’accertamento dei fatti storici accertati in un processo possono assumere ai fini dell’altro, si annoverano, senza pretese di esaustività, nella dottrina tributaria, Russo P., Problemi in tema di rapporti tra processo penale e processo tributario, in Riv. dir. fin. sc. fin., 1984, I, 427 ss.; Glendi C., L’oggetto del processo tributario, Padova, 1984, 784 ss.; Comelli A., Rapporti tra procedimento penale e processo tributario, in diretto da A. Cadoppi A. -, S. Canestrari S. -, A. Manna A., M. Papa M., diretto da, Diritto penale dell’economia, tomo I, Torino, 2017, 1271 ss.; Schiavolin R., L’utilizzazione fiscale delle risultanze penali, Milano, 1994; Caianiello M., Giudicato penale e processo tributario: una questione ancora non risolta, in Rass. trib., 1996, 2, 498 ss.; Fransoni G., Rilevanza processuale penale del “fatto fiscale” e rilevanza processuale fiscale del “fatto penale”, in Riv. dir. trib., 2016, 1, 1 ss.; Manoni E., Riflessioni sul rapporto tra sistema penale e sistema tributario, in Rass. trib., 2014, 5, 1034 ss.; Di Siena M., Doppio binario tra procedimento tributario e penale: una metafora ferroviaria in crisi?, in il fisco, 2014, 43, 4259 ss.; Marongiu P., Ancora una pronuncia del Supremo Collegio in tema di rapporti fra giudizio penale e processo tributario, in Dir. prat. trib., 2011, 1, 319 ss.; Nicótina L., Le interferenze tra processo tributario e processo penale: pregiudizialità, autonomia o coordinazione critica, in Riv. dir. trib., 2011, 10, 455 ss.; Mazza O., I controversi rapporti fra processo penale e tributario, in Rass. trib., 2020, 1, 233 ss.; nella dottrina penalistica, si vedano Biscardi G., Processo per reati tributari: tramonto o ascesa del doppio binario?, in Proc. pen. e giust., 2019, 5, 1188 ss.; Guidi D., I rapporti tra processo penale e processo tributario ad oltre dieci anni di distanza dal d.lgs. n. 74 del 2000, in Dir. pen. proc., 2012, 11, 1384 ss.; Vigoni D., Giudicato penale e processo tributario [dopo due riforme], in Dir. pen. proc., 2023, 4, 564 ss.).

Per certi versi, la novella legislativa riecheggia il disposto dell’art. 12 D.L. 10 luglio 1982, n. 429 (convertito con modificazioni in L. 7 agosto 1982, n. 516, meglio conosciuta con la nota formula di “manette agli evasori”) (il quale prevedeva, al comma 1, che «[i]n deroga a quanto disposto dall’articolo 3 del codice di procedura penale il processo tributario non può essere sospeso; tuttavia la sentenza irrevocabile di condanna o di proscioglimento pronunciata in seguito a giudizio relativa a reati previsti in materia di imposte sui redditi e di imposta sul valore aggiunto ha autorità di cosa giudicata nel processo tributario per quanto concerne i fatti materiali che sono stati oggetto del giudizio penale»), l’ultima disposizione intestina al sistema tributario recante un vincolo legale per il giudice a conformarsi ai giudizi di fatto emergenti dalla sentenza penale.

Difatti, in controtendenza rispetto all’opzione legislativa votata all’adozione di un sistema di “doppio binario”, informato alla reciproca autonomia dei due processi (Ardito F., Giudicato penale e giudizio tributario, in Rass. trib., 2010, 3, 899, osserva come «l’operatività dell’art. 12 era ancorata al mero fattore casuale della maggiore o minore celerità del processo penale rispetto a quello tributario»; cfr. altresì Tabet G., Collegamento tra fattispecie tributaria e fattispecie penale: riflessi di diritto processuale, in Rass. trib., 2015, 2, 303 ss., spec. 307), confermato nel D.Lgs. n. 74/2000, mediante l’art. 20 (su cui v. Guadalupi S., Efficacia del giudicato penale nel procedimento tributario tra abrogazione dell’art. 12 legge 516/1982 e principio di specialità, in GT – Riv. giur. trib., 2001, 9, 1105 ss.), il citato art. 12 attribuiva efficacia di giudicato nel processo tributario, in relazione ai fatti materiali oggetto del procedimento penale, alla sentenza penale di assoluzione o di condanna, emessa all’esito di giudizi su reati in materia di imposte sui redditi e di imposta sul valore aggiunto.

Sennonché, dalla formulazione letterale dell’art. 21-bis si avverte immediatamente un patente distacco dall’omologa disposizione citata, della quale la norma de qua conserva soltanto l’“involucro” esterno.

Rispetto alla costruzione previgente, il legislatore ha infatti corretto il tiro, corredando la regola di giudizio – non riproposta nella sistematica del decreto n. 74/2000 e, secondo taluno, sostituita dall’art. 654 c.p.p., in quanto norma avente valenza generale (cfr. Gallo S., Riaffermato il principio del doppio binario nei rapporti tra processo penale e processo tributario, in il fisco, 2005, 48, 7514; norma che però risulta, di fatto, inattuata o, comunque, con operatività estremamente ridotta, come sottolinea Comelli A., La circolazione del materiale probatorio dal procedimento e dal processo penale al processo tributario e l’autonomia decisoria del giudice, in Dir. prat. trib., 2019, 5, 2032 ss., in ragione dei numerosi limiti imposti dall’art. 654 c.p.p. all’efficacia della sentenza penale nel processo tributario; cfr. Cass. civ., sez. trib., ord. 3 aprile 2024, n. 8719; Cass. civ., sez. trib., ord. 2 dicembre 2020, n. 21121; Cass. civ., sez. VI – 5, ord. 28 giugno 2017, n. 16262; Cass. civ., sez. VI – 5, ord., 24 novembre 2017, n. 28174; Cass. civ., sez. trib., 22 maggio 2015, n. 10578; Cass. civ., sez. trib., 23 maggio 2012, n. 8129.) – di alcuni correttivi.

Risulta, in primo luogo, sanato il deficit di determinatezza che poteva additarsi alla precedente enunciazione – in cui la sentenza penale veniva identificata, in termini estremamente laconici e generici, come «pronunciata in seguito a giudizio» – essendo qui, invece, specificato in modo esplicito che la stessa debba seguire il dibattimento ed essere «irrevocabile» e, dunque, che la possibilità di invocare una sentenza assolutoria sia condizionata al passaggio in giudicato formale della statuizione penale.

Tramite il requisito dell’adozione della sentenza in seguito alla celebrazione del «dibattimento», si introduce, inoltre, nell’attuale formulazione uno “sbarramento” temporale nell’ambito del rito ordinario. È esclusa, ad esempio, la sentenza di non luogo a procedere ex art. 425 c.p.p., pronunciata nell’ambito dell’udienza preliminare, presumibilmente sul rilievo che si tratti di una sentenza «intrinsecamente “debole”» (Corso P., Sterilizzazione [discutibile] della sentenza penale agli effetti tributari, in GT – Riv. giur. trib., 2007, 1, 57 ss., nota 4), poiché insuscettibile di passare in giudicato stricto sensu, ma solo di produrre effetti preclusivi allo stato degli atti, potendo essere oggetto di revoca ai sensi dell’art. 434 c.p.p. al sopraggiungere di nuove fonti di prova che, da sole o unitamente a quelle già acquisite, siano idonee a determinare la riapertura delle indagini, con eventuale rinvio a giudizio. Tra i provvedimenti esclusi si deve menzionare anche la sentenza di non doversi procedere ex art. 529 c.p.p., in quanto sentenza di proscioglimento (ma non di assoluzione) dibattimentale che non reca un accertamento storico dei fatti, limitandosi a constatare l’assenza di una condizione di procedibilità o di proseguibilità dell’azione penale.

Il menzionato requisito comporta, poi, una limitazione con riferimento alla pronuncia assolutoria eventualmente ottenuta dall’imputato all’esito di procedimenti speciali che evitano lo svolgersi del dibattimento (c.d. riti deflativi del dibattimento). Pur riflettendo sull’applicabilità dell’art. 654 c.p.p. al processo tributario, una parte della dottrina ritiene ammissibile la pronuncia adottata all’esito di procedimenti nei quali risulti omessa la fase dell’udienza preliminare ma che constino del dibattimento, come i giudizi direttissimo ed immediato (v., sul punto, Vigoni D., Giudicato penale e processo tributario [dopo due riforme], cit., 570). Deve ritenersi, per contro, esclusa la sentenza di applicazione della pena ex art. 444 c.p.p., c.d. “patteggiamento”, che, alla luce del comma 1-bis dell’art. 445 c.p.p., come novellato dal D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 (c.d. “Riforma Cartabia”), «anche quando è pronunciata dopo la chiusura del dibattimento, non ha efficacia e non può essere utilizzata a fini di prova nei giudizi civili, disciplinari, tributari o amministrativi, compreso il giudizio per l’accertamento della responsabilità contabile». Parimenti esclusi sono i provvedimenti decisori adottati all’esito del rito abbreviato ed il decreto penale di condanna (così, v. Santoriello C., Rapporti fra processo penale e giudizio tributario: verso un punto di equilibrio?, in il fisco, 2024, 15, 1394).

Tale demarcazione riflette la precisa volontà del legislatore di riconoscere efficacia di giudicato extra-penale ai soli accertamenti fattuali che, in quanto emessi all’esito della fase dibattimentale, siano verosimilmente muniti di un maggior livello di approfondimento istruttorio, garantendo al contempo una ricostruzione dei fatti avvenuta nel pieno rispetto del principio del contraddittorio (arg. ex art. 526, comma 1, c.p.p.).

Da segnalare è, poi, l’elisione del sintagma “di condanna”, per circoscrivere la valenza esterna ai soli accertamenti fattuali contenuti all’interno di una pronuncia irrevocabile di assoluzione con formula piena (“perché il fatto non sussiste” o “l’imputato non lo ha commesso”).

Ne consegue, così, l’integrale esclusione:

a) delle sentenze aventi contenuto condannatorio, rispetto a cui sono già emersi rilevanti sospetti di illegittimità costituzionale (sia consentita, a margine, una digressione sul punto: la mancata inclusione della formula condannatoria, a scapito delle ragioni erariali, costituisce uno dei profili di irragionevolezza della normativa evidenziati in Corte Giustizia tributaria II grado Piemonte, sez. III, ord. 10 marzo 2025, n. 64, con nota critica di Lovisolo A., Processo tributario e sentenze penali di assoluzione: questione [infondata] di legittimità costituzionale, in Quotidiano Ipsoa, 27 marzo 2025, e di Succio R., Sorgono dubbi di costituzionalità sulla estensione del giudicato penale al processo tributario in attesa delle Sezioni Unite, in Riv. tel. dir. trib., 2025, 1 e pubblicato online il 12 giugno 2025, www.rivistadirittotributario.it, che ha rimesso alla Consulta il sindacato di legittimità costituzionale dell’art. 21-bis D.Lgs. n. 74/2000, per asserita violazione degli artt. 3, 24 e 97 Cost. Tale lacuna veniva già rilevata da Glendi C., Riforma del sistema sanzionatorio. Cosa cambia per l’efficacia delle sentenze penali nel processo tributario?, in Dir. prat. trib., 2024, 4, 1366, il quale, nondimeno, considera tuttora vigente per il processo tributario, accanto all’art. 21-bis, l’art. 654 c.p.p., nel cui perimetro di efficacia è invece contemplata la sentenza penale di condanna. Nell’ordinanza di rimessione alla Corte costituzionale, il giudice di merito osserva altresì che la norma in parola introdurrebbe anche una sperequazione tra reati tributari ed extra tributari, dal momento che, solo per questi ultimi, la sentenza assolutoria produce effetti vincolanti ex art. 652 c.p.p. nei confronti del danneggiato costituitosi parte civile o posto in condizione di farlo, salvo il caso di esercizio autonomo dell’azione civile ex art. 75, comma 2, c.p.p. I dubbi di legittimità costituzionale investono, inoltre, la possibile lesione del diritto di difesa della parte pubblica, in quanto l’art. 21-bis la esporrebbe agli effetti di un giudizio al quale non può partecipare per tutelare l’interesse di cui è istituzionalmente depositaria – quello alla corretta percezione del tributo evaso – distinto da quello dello Stato alla repressione dell’illecito penale, affidato alla figura del pubblico ministero. Inadeguata, a tal fine, parrebbe la possibilità per l’Agenzia fiscale di costituirsi parte civile, difettando la previa notifica nei confronti di quest’ultima dell’avviso di cui all’art. 419 c.p.p. e potendo essa, al più, agire per ottenere il risarcimento del danno patrimoniale da evasione, che deve consistere in un pregiudizio “ulteriore e diverso”, non potendo coincidere con il mancato introito corrispondente all’imposta evasa, su cui v. Cass. civ., Sez. Un., 12 ottobre 2022, n. 29862; in dottrina, si veda, in questi termini, Salvini L., A margine della sentenza “Dolce & Gabbana”: la costituzione di parte civile dell’amministrazione finanziaria, in Dir. prat. trib., 2012, 5, 987 ss., spec. 997. Con motivazioni sostanzialmente analoghe, ha, da ultimo, sollevato d’ufficio la questione di legittimità costituzionale, con riferimento agli artt. 3, comma 1, 53, 24, 97, 111, commi 1 e 2, Cost., anche Corte Giustizia tributaria I grado Roma, sez. n. XIII, ord. 16 giugno 2025, n. 1838);

b) di quelle che si fondano su una differente formula assolutoria tra quelle indicate al primo comma dell’art. 530 c.p.p. Viene, in tal modo, preclusa la spendibilità degli accertamenti contenuti nell’assoluzione penale che risulti fondata sull’insussistenza ovvero sulla mancata dimostrazione della sussistenza dell’elemento psicologico del dolo specifico di evasione, dovendo in questo caso essere adottata la formula “perché il fatto non costituisce reato”, non menzionata dal cennato art. 21-bis (v. ad esempio Tribunale Pescara, 28 giugno 2024, n. 994);

c) di taluni provvedimenti che, pur aventi contenuto assimilabile, si è scelto di non richiamare: esula dalla definizione normativa il provvedimento che dispone l’archiviazione, con il quale il giudice accoglie la richiesta avanzata dal pubblico ministero di procedere all’interruzione del procedimento penale, per carenza di elementi sufficienti a sostenere un’azione penale, anche qualora dagli stessi elementi istruttori raccolti nel corso delle indagini preliminari sia scaturito l’accertamento fiscale (cfr., in tal senso, Cass. civ., sez. trib., ord. 8 agosto 2024, n. 22433; Cass., sez. trib., ord. 20 gennaio 2025, n. 1292; esclusione ritenuta irragionevole da parte di Galieni L. M., La riforma penal-tributaria “dimentica” di valorizzare l’archiviazione nel giudizio tributario, in il fisco, 2024, 28, 2663 ss. e Salvati A., Riflessioni sulla mancata considerazione del ruolo dell’archiviazione nel decreto legislativo sulle sanzioni tributarie, in Riv. trim. dir. trib., 2024, 3, 545 ss.).

Ad ogni buon conto, sembra poi possibile sostenere, difettando qualsiasi indicazione al riguardo, che l’idoneità di tale accertamento a spiegare effetti preclusivo-conformativi si esaurisca nella dimensione processuale, non avendo l’intervento riformatore contemplato anche un coordinamento obbligato sul piano del procedimento amministrativo di accertamento dell’imponibile (a differenza di quanto prevedeva espressamente il secondo comma del cennato art. 12 D.L. n. 429/1982, a mente del quale «[i]n base ai fatti di cui al comma precedente gli uffici delle imposte sui redditi e gli uffici dell’imposta sul valore aggiunto, se non è scaduto il termine per l’accertamento, procedono ad accertamenti e possono integrare, modificare o revocare gli accertamenti già notificati nonché irrogare o revocare le pene pecuniarie previste per i fatti stessi dalle disposizioni in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto», su cui v. Fransoni G., Considerazioni “a caldo” a proposito dell’obbligatorietà della conformazione dell’Amministrazione finanziaria al giudicato penale, in Rass. trib., 1998, 1, 261 ss.).

Diversamente dall’art. 654 c.p.p., invece, il “grande assente” nella novella legislativa è il requisito oggettivo dell’insussistenza di «limitazioni alla prova della posizione soggettiva controversa» poste dalla «legge civile» (espressione da non intendere alla lettera e che, nel presente dibattito, è stata interpretata in senso ampio, come «omogeneità istruttoria» tra i sistemi processuali, e diretta essenzialmente ad evitare l’aggiramento di eventuali limitazioni probatorie nel giudizio extra-penale – tributario – ospitante; in questi termini, v. Consolo C., Nuovo processo penale, procedimento tributario e rapporti tra giudicati, in Giur. it., 1990, 8-9, 1001, nota 19).

In tal senso, parte della dottrina ha ritenuto che il riferimento contenuto nell’enunciato ai giudizi sui fatti materiali costituirebbe a latere il veicolo per permettere al giudice tributario di recepire soltanto quegli elementi fattuali la cui dimostrazione sia stata offerta attraverso mezzi istruttori ammissibili nel processo tributario, non essendo più richiesto un astratto raffronto tra regimi probatori bensì un’indagine in concreto che tenga conto delle effettive prove adottate (così, v. la postilla di Lupi R. in calce al contributo di Ingrao G., Sui retroscena processuali della sentenza di Cassazione n. 3800/2025: una reazione ad una assoluzione penale sbrigativa e mal motivata?, in Riv. tel. dir. trib., 2025, 1 e pubblicato online il 29 marzo 2025, www.rivistadirittotributario).

Detta conclusione suscita, tuttavia, alcune perplessità, scontrandosi, principalmente, con la circostanza che l’art. 21-bis non disponga alcunché in ordine alla salvezza delle limitazioni probatorie imposte dalla legge tributaria, quasi a voler suggerire che il venir meno delle profonde differenze tra i regimi probatori dei due modelli processuali abbia reso superfluo il permanere della predetta causa di esclusione.

Si rammenta che la permanenza di un regime di rigida autonomia processuale tra i giudizi tributario e penale fosse già stata posta apertamente in discussione, stante la decisiva incidenza che ha avuto, in tale direzione, la L. 31 agosto 2022, n. 130, alla quale si deve, tra le altre cose, l’introduzione della regola speciale rispetto all’art. 2697 c.c. sul riparto dell’onus probandi, al comma 5-bis dell’art. 7 D.Lgs. n. 546/1992, nonché la caducazione del divieto di prova testimoniale in precedenza previsto ai sensi del comma 4 del medesimo art. 7, quantomeno nella forma scritta. Tali innovazioni, secondo un’opinione largamente condivisa (cfr. Melis G., L’onere della prova nel diritto tributario dopo la legge n. 130 del 2022 e il d.lgs. n. 219 del 2023, in Dir. prat. trib., 2024, 5, 1700-1701; Marcheselli A., Dal doppio binario al capolinea del giusto processo, in Riv. tel. dir. trib., 2025, 1 e pubblicato online il 1° marzo 2025, www.rivistadirittotributario; Viotto A., Prime riflessioni sulla riforma dell’onere della prova nel giudizio tributario, in Rass. trib., 2023, 2, 334 ss.), avrebbero aperto la strada all’adozione di uno standard probatorio pieno e sostanzialmente equiparabile a quello richiesto nel processo penale (in particolare, per quanto qui d’interesse, Lovisolo A., Sull’onere della prova e sulla prova testimoniale nel processo tributario: prime osservazioni in merito alle recenti modifiche ed integrazioni apportate all’art. 7 D.lgs. n. 546 del 1992, in Dir. prat. trib., 2023, 1, 55, prospetta quale «[u]teriore conseguenza (forse non voluta ed inconsapevole)» della rimozione del divieto di prova testimoniale scritta nel giudizio tributario, la possibilità di ammettere la diretta applicazione degli effetti del giudicato penale nella materia tributaria, dunque, il pieno esplicarsi dell’art. 654 c.p.p.).

In definitiva, si può supporre che l’intenzione del legislatore della riforma fosse quella di serbare sul punto un silenzio “qualificato”.

L’assenza di una esplicita previsione diretta a limitare l’efficacia del giudicato penale nel processo tributario ai soli accertamenti fattuali fondati su prove ivi ammissibili appare, in fin dei conti, coerente con la progressiva attenuazione delle distanze tra i rispettivi sistemi istruttori, evitando che il giudice tributario sia chiamato, di volta in volta, a compiere un ulteriore approfondimento circa la tipologia di prova impiegata per approdare ad un determinato accertamento (opinione espressa anche nella Relazione all’anno giudiziario 2025 della Presidente della Corte di Cassazione Margherita Cassano, la quale ha chiarito che, nella novella legislativa de qua, il “fare stato” «avviene a prescindere dal diverso regime probatorio tra i due giudizi: la norma comporterebbe, dunque, un mutamento dei criteri di valutazione del fatto poiché, in presenza di sentenza assolutoria, non varrebbero più i criteri di accertamento validi in sede tributaria»).

2. Premesse tali sintetiche considerazioni esegetiche fondate sul precetto normativo, occorre rilevare che, sebbene su taluni profili applicativi della novella legislativa si sia registrato un tendenziale consenso (ad esempio, in relazione alle questioni di diritto intertemporale, cfr. Cass., sez. trib., ord. 20 giugno 2024, n. 23570; Cass., sez. trib., ord. 3 settembre 2024, n. 23609; Cass., sez. trib., 2 dicembre 2024, n. 30814; Cass. civ., sez. trib., 16 gennaio 2025, n. 1021; contra De Bonis V., La circolazione e la rilevanza del giudicato tra processo penale e processo tributario: le ricadute della L. n. 130 del 2022 e gli approdi del D.lgs. n. 87 del 2024, in Dir. prat. trib., 2024, 6, 2149), a destare le maggiori perplessità si è rivelata la concreta definizione dei margini di applicabilità dell’accertamento fattuale compiuto dal giudice penale nell’ambito del contenzioso tributario ai sensi del predetto art. 21-bis.

Tale interrogativo ha dato luogo al delinearsi di due contrapposte soluzioni interpretative, delle quali la Corte diffusamente tratteggia i contorni nell’ordinanza in rassegna.

Segnatamente, secondo un primo indirizzo formatosi all’indomani dell’intervento riformatore – che, per semplificare, verrà in seguito denominato “estensivo” – il significato da ascrivere alla novella sarebbe quello immediatamente ricavabile dalla lettera dell’enunciato normativo. Difatti, quest’ultimo, nel disporre che la sentenza dibattimentale di assoluzione con formula piena «ha, in questo [nel processo tributario – n.d.r.], efficacia di giudicato, in ogni stato e grado, quanto ai fatti medesimi», starebbe riconoscendo inequivocabilmente efficacia vincolante generalizzata agli accertamenti compiuti in via definitiva dal giudice penale, in relazione a fatti coincidenti con quelli posti alla base delle riprese fiscali e devoluti alla cognizione del giudice tributario (tra le pronunce favorevoli ad una lettura estensiva della disposizione in parola, richiamate dall’annotata ordinanza, vi sono Cass. civ., sez. trib., ord. 31 luglio 2024, n. 21584; Cass., sez. trib., 3 settembre 2024, n. 23570, cit.; Cass., sez. trib., ord. 3 settembre 2024, n. 23609, cit.; Cass. civ., sez. trib., ord. 28 novembre 2024, n. 30675; Cass., sez. trib., 2 dicembre 2024, n. 30814, cit.; Cass. civ., sez. trib., 15 gennaio 2025, n. 936; Cass. civ., sez. trib., 16 gennaio 2025, n. 1021, cit.).

In quest’ordine di idee, stabilita positivamente l’identità, sotto il versante naturalistico, tra i fatti materiali rilevanti ai fini della decisione nel merito da parte dei due organi giudicanti, la pronuncia penale che presenti tutti i requisiti previsti all’art. 21-bis dovrebbe poter spiegare effetti automatici di giudicato con riferimento al rapporto giuridico d’imposta complessivamente inteso.

Il tutto con la doverosa precisazione che la valenza di giudicato non cade sul dispositivo della sentenza, bensì sul «valore extra-penale degli accertamenti di fatto» espletati dal giudice penale (Cass., sez. trib., ord. 4 marzo 2025, n. 5714, punto 7.2) e formalizzati nel decisum. In altri termini, ad essere recepito nel processo tributario non è il giudizio assolutorio cristallizzato nel dispositivo penale – che si riferisce, a monte, ad uno specifico capo d’imputazione formulato dal pubblico ministero e, a valle, all’assenza di responsabilità penale dell’imputato per il reato ascrittogli – ma l’esito della verifica della sussistenza o meno (o del modo di essere) dei fatti controversi che integrano il fatto di reato nella sua oggettività, e che assumono rilevanza anche ai fini della ripresa fiscale.

Secondo un consolidato orientamento formatosi in ordine all’efficacia del giudicato penale nei giudizi civili o amministrativi di danno, per “fatto” accertato dal giudice penale deve intendersi «il nucleo oggettivo del reato nella sua materialità fenomenica, costituita dall’accadimento oggettivo, accertato dal giudice penale, configurato dalla condotta, evento e nesso di causalità materiale tra l’una e l’altro (fatto principale) e le circostanze di tempo, luogo e modi di svolgimento di esso» (si vedano, ex multis, Cass. civ., sez. III, ord. 8 aprile 2025, n. 9204; Cass. civ., sez. III, 12 settembre 2022, n. 26811; Cass. civ., sez. III, 13 giugno 2018, n. 15392; Cass. civ., sez. III, 29 agosto 2013, n. 19863).

In altri termini, i “fatti materiali” oggetto del giudizio penale sono costituiti dai «fatti nella loro oggettività naturalistica ignudi dell’elemento psicologico e quindi anche dell’antigiuridicità e quindi della loro qualificazione giuridica» (così, l’efficace definizione fornita da Guarneri G., voce Giudizio [Rapporto tra il giudizio civile e il penale], in Noviss. Dig. It., Torino, 1975, 893, con riferimento all’abrogato art. 28 c.p.p. 1930).

Ad ulteriore suffragio della tesi estensiva, non sarebbe priva di rilievo la circostanza che, in sede di compilazione dei testi unici, l’art. 21-bis sia confluito nel D.Lgs. 14 novembre 2024, n. 175 (Testo Unico della giustizia tributaria), e non abbia invece mantenuto l’originaria collocazione venendo attratto nel D.Lgs. 5 novembre 2024, n. 173 (Testo Unico delle sanzioni tributarie amministrative e penali).

Oltre al dato letterale e sistematico, tale indirizzo valorizza anche il profilo teleologico. Si osserva, in proposito, come la finalità perseguita dall’intervento riformatore vada ricercata nell’attuazione dei principi di non contraddizione e di coerenza del sistema, per arginare la formazione di due verità processuali fra loro incompatibili – a parità di fatti sul piano storico-fenomenico – e la dispersione di un accertamento giudiziale assistito da standard probatori particolarmente elevati, in quanto promanante da una pronuncia emessa all’esito di un giudizio dibattimentale e consolidatasi in res iudicata.

Viene, dunque, rimarcata la distinzione tra i compiti affidati al legislatore delegato dall’art. 20, comma 1, nn. 1 e 3, legge delega n. 111/2023. Da un lato, si colloca la razionalizzazione del sistema sanzionatorio amministrativo e penale, per garantire una maggiore integrazione della risposta punitiva, dall’altro, la revisione dei rapporti tra processo penale e processo tributario, da attuare, per espressa indicazione del principio enunciato nella legge delega, «prevedendo, in coerenza con i principi generali dell’ordinamento, che, nei casi di sentenza irrevocabile di assoluzione perché il fatto non sussiste o l’imputato non lo ha commesso, i fatti materiali accertati in sede dibattimentale facciano stato nel processo tributario quanto all’accertamento dei fatti medesimi (…)»; l’art. 21-bis sarebbe, giustappunto, preordinato all’attuazione di quest’ultimo principio.

Sotto tale profilo, la previsione de qua costituirebbe la spinta verso un ripensamento (o, finanche, verso il definitivo abbandono) di un regime processuale fondato sul “doppio binario” processuale penale-tributario (Glendi C., Riforma del sistema sanzionatorio. Cosa cambia per l’efficacia delle sentenze penali nel processo tributario?, cit., 1366, ritiene che la medesima «quand’anche discutibile a livello teorico, esprime in concreto una voluntas legis incontrovertibilmente chiara in senso “abrogativo” dell’ormai frusto stereotipo del c.d. doppio binario e impone al giudice tributario di tener conto della sentenza penale pronunciata in seguito a dibattimento quanto ai medesimi fatti materiali oggetto di accertamento e di valutazione nell’uno e nell’altro processo») – il cui stato di crisi è da tempo sotto la lente della dottrina (sul tema, si rinvia alle riflessioni di Traversi A., La crisi del “doppio binario” tra contenzioso fiscale e processo penale, in il fisco, 2011, 24, 3800 ss.; Pistolesi F., Crisi e prospettive del principio del “doppio binario” nei rapporti fra processo e procedimento tributario e giudizio penale, in Riv. dir. trib., 2014, I, 32 ss.; Mazza O., I controversi rapporti fra processo penale e tributario, cit., 235 ss., spec. 250-251; Fazio A., I rapporti tra processo tributario e processo penale: la crisi del principio del “doppio binario” nella prospettiva dello scambio internazionale di informazioni fiscali, in Dir. prat. trib., 2020, 5, 1955 ss., spec. 1959; Marello E., Evanescenza del principio di specialità e dissoluzione del doppio binario: le ragioni per una riforma del sistema punitivo penale tributario, in Riv. dir. trib., 2013, 12, III, 269 ss., spec. 278 ss.) – proseguendo l’opera avviata con la riforma del 2022, che ha agito nella direzione di un progressivo superamento delle limitazioni probatorie che ostacolavano l’operatività dell’art. 654 c.p.p.

L’orientamento di segno opposto (inaugurato con la pronuncia Cass., sez. trib., 14 febbraio 2025, n. 3800; a seguire, in senso conforme, Cass., sez. trib., 25 febbraio 2025, n. 4916; Cass. civ., sez. trib., 25 febbraio 2025, n. 4921; Cass., sez. trib., 7 aprile 2025, n. 9157), con un approccio quasi iconoclastico, disattende le pronunce di legittimità rese in fase di prima applicazione della disposizione, proponendo una ricostruzione dell’art. 21-bis che ne restringe sensibilmente la portata applicativa.

Più nel dettaglio, secondo tale prospettiva, la sfera di vincolatività esterna della sentenza penale assolutoria nel giudizio tributario si riferirebbe al solo trattamento sanzionatorio, rivelandosi tale lettura l’unica, in thesi, in grado di assicurare la piena compatibilità della norma con il dettato costituzionale e con la normativa sovranazionale.

Sul versante finalistico, la novella sarebbe posta a presidio dell’unitarietà nella quantificazione del trattamento sanzionatorio, in applicazione del principio di proporzionalità e del ne bis in idem, considerato che «il rapporto di imposta che intercorre tra il contribuente e l’erario – incardinato tra dovere contributivo e capacità contributiva in funzione della giusta imposizione – non partecipa, in quanto tale, al rapporto penale» (Cass., sez. trib., 14 febbraio 2025, n. 3800, cit., punto 14.1). La funzione espletata dalla normativa si arresterebbe, dunque, alla razionalizzazione nell’applicazione delle sanzioni tributarie e penali, da realizzare attraverso la trattazione «in termini unitari, per evitare criticità o incongruenze, [de]gli esiti finali sanzionatori derivanti dalla necessaria separatezza dei giudizi, penale e tributario, e del procedimento amministrativo tributario» (Cass., sez. trib., ord. 4 marzo 2025, n. 5714, cit., punto 8.3).

Di conseguenza, la valutazione delle risultanze della sentenza penale, con riferimento ai riflessi sull’accertamento del tributo, continuerebbe a seguire i previgenti criteri valutativi (doviziosamente descritti da Comelli A., La circolazione del materiale probatorio dal procedimento e dal processo penale al processo tributario e l’autonomia decisoria del giudice, cit., 2042), potendo la stessa valere, al più, come possibile “elemento di prova”, rimesso al libero apprezzamento del giudice e da valutare – non già atomisticamente e con effetti automatici di giudicato ma – insieme ai rilievi emergenti dal compendio probatorio acquisito agli atti del processo (per alcune osservazioni sull’orientamento “restrittivo”, si vedano le stimolanti analisi compiute da Marcheselli A., Dal doppio binario al capolinea del giusto processo, cit.; Salvati A., Innocenti evasori: la Cassazione verso il triplo binario [e oltre]. Osservazioni a Cass., Sez. V, 14 febbraio 2025, n. 3800, in Riv. tel. dir. trib., 2025, 1, e pubblicato online il 20 febbraio 2025, www.rivistadirittotributario.it; Carinci A., “Quer pasticciaccio brutto” dell’art. 21-bis del D.lgs. n. 74 del 2000, in il fisco, 2025, 6, 1421 ss.; Colaianni F., Prime osservazioni sulla sentenza della Cassazione civile n. 3800/2025 in tema di efficacia del giudicato penale nel processo tributario, in Giur. pen., 5 marzo 2025; Migazzi M., Dalla Cassazione uno stop alla riforma fiscale: sentenze penali di assoluzione efficaci solo per le sanzioni, in Quotidiano Ipsoa, 7 marzo 2025; Kostner A., Sull’ordinanza interlocutoria per l’eventuale rimessione alle Sezioni Unite del nuovo art. 21-bis D.lgs. n. 74/2000: prime osservazioni, in Riv. tel. dir. trib., 2025, 1 e pubblicato online il 20 marzo 2025, www.rivistadirittotributario.it; Ingrao G., con postilla di Lupi R., Sui retroscena processuali della sentenza di Cassazione n. 3800/2025: una reazione ad una assoluzione penale sbrigativa e mal motivata?, cit.).

A suffragio di tale lettura, vengono addotte diverse motivazioni.

In primo luogo, da un punto di vista topografico-sistematico, viene messa in luce la collocazione della novella legislativa, elaborata nel quadro dei principi stabiliti in materia sanzionatoria ed inserita nel decreto che regola la materia delle sanzioni penali tributarie (il D.Lgs. n. 74/2000) (v. Cass., sez. trib., 14 febbraio 2025, n. 3800, cit., punto 10.1). La Corte valorizza, altresì, le indicazioni rese nella Relazione illustrativa al D.Lgs. n. 87/2024, nella parte in cui si afferma: «Con riguardo ai nuovi articoli 21-bis e 21-ter del d.lgs. n. 74/2000 (…) vengono disciplinati, rispettivamente, l’efficacia delle sentenze penali nel processo tributario e l’applicazione ed esecuzione delle sanzioni penali e amministrative, rafforzando l’integrazione dei sistemi sanzionatori nella prospettiva del principio del ne bis in idem (criterio di delega di cui all’art. 20, comma 1, lett. a), n. 1), con cui il legislatore propone la razionalizzazione del sistema sanzionatorio amministrativo e penale, anche attraverso una maggiore integrazione tra i diversi tipi di sanzione, ai fini del completo adeguamento del ne bis in idem)».

In secondo luogo, alla possibilità di assegnare alla disposizione una portata più estesa si frapporrebbe la circostanza che alla sua introduzione non si accompagni la contestuale previsione di meccanismi di coordinamento tra lo svolgimento del processo penale e di quello tributario (prevedendo, ad esempio, una fattispecie di sospensione necessaria per pregiudizialità-dipendenza del processo tributario, tramite una modifica del disposto degli artt. 19, 20 e 21 D.Lgs. n. 74/2000, la cui formulazione è rimasta pressoché inalterata).

Gli stessi restano, pertanto, informati ad una logica di rigida separazione, continuando a dipendere l’armonizzazione tra gli esiti dei due giudizi dalla mera (e soltanto eventuale) chiusura del processo penale in un momento antecedente rispetto alla definizione di quello fiscale. Sfuggendo tale circostanza al controllo delle parti, non sarebbe quindi possibile parlare di un effettivo superamento del “doppio binario”.

In relazione ai profili di compatibilità con il dettato costituzionale, si rileva anzitutto il differente impatto che la disposizione avrebbe sulle varie categorie di contribuenti. Viene sottolineato come, specialmente nelle fattispecie incriminatrici caratterizzate dalla previsione di soglie di punibilità, alle quali è subordinata la rilevanza penale o meno dell’illecito, solo alcuni contribuenti (i destinatari di una pretesa impositiva eccedente le predette soglie) sarebbero ammessi a beneficiare del regime probatorio previsto per il procedimento penale, nel quale il relativo onere è integralmente a carico della magistratura requirente. Tale discrepanza rileva anche in quanto il giudizio penale non è assistito da meccanismi presuntivi che consentono un’inversione dell’onere probatorio in favore dell’Amministrazione, come è il caso dei versamenti e prelevamenti non giustificati sul conto corrente ex art. 32 D.P.R. n. 600/1973 (cfr. Cass., sez. trib., 14 febbraio 2025, n. 3800, cit., punto 25.2).

Per di più, l’esito assolutorio potrebbe discendere anche dal mancato raggiungimento della piena prova “oltre ogni ragionevole dubbio”, in ossequio al principio “in dubio pro reo da cui è governato il processo penale.

Un’ulteriore aporia che viene rintracciata attiene alla compressione del diritto di difesa in capo all’ente impositore che, laddove non abbia preso parte al giudizio penale, finirebbe per subire gli effetti di un dictum al quale non ha contribuito con proprie allegazioni, poiché rimasto estraneo al relativo processo. Ad ogni buon conto, detto vulnus derivante dalla mancata partecipazione verrebbe superato intendendo la norma come riferita alla sola pretesa sanzionatoria, talché l’art. 21-bis si limiterebbe ad anticipare al giudizio di cognizione un intervento sulle sanzioni che l’Amministrazione dovrebbe comunque porre in essere nella fase della riscossione in virtù degli artt. 21 e 21-ter del medesimo decreto, che attengono, rispettivamente, al momento dell’esecuzione delle sanzioni amministrative in relazione a violazioni ritenute penalmente rilevanti e al momento della quantificazione delle sanzioni. Secondo la Corte, tale funzione anticipatoria emergerebbe indirettamente dall’art. 21, comma 2, D.Lgs. n. 74/2000, al quale il D.Lgs. n. 87/2024 ha aggiunto la locuzione «[r]esta fermo quanto previsto dai successivi art. 21-bis e 21-ter», che avrebbe natura strumentale rispetto al principio di specialità sancito all’art. 19 del medesimo decreto, concretizzandone altresì i contenuti (cfr. Cass., sez. trib. 14 febbraio 2025, n. 3800, cit., punto 12.4).

Quanto alla compatibilità con la normativa sovranazionale, si osserva come, nell’ipotesi in cui la pronuncia penale sia lesiva del diritto dell’Unione Europea, una interpretazione estensiva dell’efficacia di giudicato (esterno) permetterebbe a tale violazione di riverberarsi anche nei successivi giudizi tributari nei quali si controverta sui medesimi fatti (Corte Giustizia UE, Grande Sez., 2 aprile 2020, CRPNPAC e Vueling Airlines, C-370/17 e C-37/18, punti 92-98), precludendo irrimediabilmente ogni possibilità di correzione dell’accertamento stesso o, comunque, un differente apprezzamento della questione fattuale ormai risolta in spregio al diritto e agli interessi unionali.

Anche in questo caso, ricondurre la norma al solo ambito sanzionatorio e non anche alla situazione impositiva sostanziale consentirebbe di uscire da questa impasse, in quanto «l’ambito delle sanzioni esula dalle materie di rilievo unionale ed è governato, anche nella sede unionale, dal principio di proporzionalità (oltre che di effettività ed equivalenza), di cui il nuovo impianto normativo è in realtà portatore» (Cass., sez. trib., 14 febbraio 2025, n. 3800, cit., punto 24.3).

Un diverso argomento, stavolta di tipo testuale, si impernia sul terzo comma della disposizione, il quale prevede che i primi due commi si applicano, limitatamente alle ipotesi in cui la sentenza invocata rechi la formula “perché il fatto non sussiste”, «anche» alla persona fisica o alla società nonché ai soci o agli associati nel cui interesse ha agito il dipendente, il rappresentante legale o negoziale ovvero l’amministratore.

Tale disposto, si afferma, non potrebbe che essere letto in chiave sanzionatoria, dacché l’uso della particella «anche» fa ricadere la sentenza penale, pronunciata nei confronti degli autori materiali della violazione (che non rivestono la qualifica di soggetti passivi d’imposta e ai quali, dunque, non si rivolge l’accertamento del tributo), sull’imprenditore individuale, sulla società ovvero sull’ente nel quale i primi sono organicamente inquadrati e nel cui interesse hanno agito.

Tutte le criticità appena descritte, sulla base del delineato orientamento, si prestano ad essere superate aderendo all’opzione interpretativa secondo cui l’art. 21-bis sarebbe «suscettibile di esplicare i suoi effetti in termini diretti esclusivamente con riguardo alla sanzione irrogata, mentre con riguardo all’imposta la valutazione della sentenza penale di assoluzione resta tuttora ancorata ai principi, prima illustrati, afferenti alla circolazione della prova, esclusa ogni automatica estensione al giudizio tributario» (Cass., sez. trib., 14 febbraio 2025, n. 3800, cit., punto 16).

Vi è, infine, una seconda questione allo scrutinio delle Sezioni Unite, in ordine all’opportunità di accordare gli effetti extra moenia di cui all’art. 21-bis anche alle decisioni dibattimentali c.d. “dubitative”, vale a dire pronunciate ai sensi dell’art. 530, secondo comma, c.p.p., che si riferisce, com’è noto, ai casi in cui l’assoluzione dipende dalla mancanza, insufficienza o contraddittorietà della prova che il fatto sussiste o che l’imputato lo ha commesso. La questione si è posta in ragione del fatto che nel procedimento penale alla formula assolutoria fondata sulla prova positiva ex art. 530, comma 1, c.p.p., è equiparata a tutti gli effetti la formula “dubitativa” di cui al secondo comma della medesima disposizione (cfr. ex multis Cass. pen., sez. III, 27 ottobre 2022, n. 43598; Cass. pen., sez. II, 5 settembre 2018, n. 39960).

Secondo l’orientamento restrittivo, che si allinea sul punto al costante insegnamento della giurisprudenza civile e amministrativa (in base al quale, atteso il carattere di tassatività ed eccezionalità degli artt. 651, 652, 653 e 654 c.p.p., si deve ammettere l’idoneità della sentenza di assoluzione a produrre effetti preclusivi in altri giudizi soltanto nella misura in cui la stessa contenga un positivo accertamento circa la non commissione del fatto di reato ovvero l’impossibilità di attribuire lo stesso all’imputato «e non anche nell’ipotesi in cui l’assoluzione sia determinata dall’accertamento dell’insussistenza di sufficienti elementi di prova circa la commissione del fatto o l’attribuibilità di esso all’imputato e cioè quando l’assoluzione sia stata pronunziata a norma dell’art. 530, comma 2, c.p.p.»; cfr. Cass. civ., Sez. Un., 26 gennaio 2011, n. 1768, e, in senso conforme, Cass. civ., sez. III, 11 marzo 2016, n. 4764; Cass. pen., sez. III, 12 gennaio 2022, n. 497; Cass. civ., Sez. III, ord., 15 febbraio 2024, n. 4201; nella giurisprudenza amministrativa, v. da ultimo Cons. Stato, sez. II, 15 marzo 2024, n. 2509), andrebbe negata ogni efficacia vincolante alla sentenza assolutoria pronunciata per insufficienza di prove, stante l’assenza di un accertamento positivo, specifico e circostanziato dei fatti suscettibili di trasmigrare nel processo tributario (si veda, per tutte, Cass., sez. trib., 7 aprile 2025, n. 9157; in dottrina, Carinci A., “Quer pasticciaccio brutto” dell’art. 21-bis del D.lgs. n. 74 del 2000, cit., 1422-1423, reputa tale soluzione la più ragionevole, atteso che, in questo caso, l’assoluzione poggerebbe «sulla mera presa d’atto dell’impossibilità di provare adeguatamente la sua [dell’imputato – n.d.r.] responsabilità per insufficienza degli elementi di prova»).

L’orientamento estensivo, all’opposto, sostiene che, in quanto norma speciale e autonoma, anche nei presupposti applicativi (cfr. Cass., sez. trib., ord. 4 marzo 2025, n. 5714, cit., punti 11.2 e 11.3), rispetto agli artt. 652 e 654 c.p.p., all’art. 21-bis non possano estendersi meccanicamente gli arresti giurisprudenziali raggiunti in relazione a tali ultime disposizioni, lasciando, così, aperto uno spiraglio circa la possibile attribuzione di margini di vincolatività anche all’assoluzione pronunciata ex art. 530, secondo comma, c.p.p.

(*) Il saggio è stato sottoposto a double blind peer review con valutazione positiva. Esso confluirà nel fascicolo n. 2/2025 (semestrale) della Rivista telematica di diritto tributario.

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