Tax Control Framework e sinergie con il Modello di organizzazione, gestione e controllo previsto dal D.Lgs. n. 231/2001

Di Carolina Fontani -

Abstract (*)

Il contributo prende in esame il Regime di adempimento collaborativo introdotto in Italia dal D.Lgs. n. 128/2015, e modificato dal recente D.Lgs. n. 221/2023, con il fine di promuovere forme di comunicazione e di cooperazione rafforzata tra l’Amministrazione finanziaria e i contribuenti. Il contributo analizza le aree di funzione del TCF ed evidenzia, inoltre, i punti di contatto tra lo stesso e il MOGC 231. Un possibile scenario evolutivo potrebbe consistere, infatti, in un’integrazione esplicita del TCF all’interno del Modello 231, in modo da creare un unico sistema di compliance aziendale capace di prevenire sia illeciti penali sia violazioni fiscali.

Tax Control Framework and Synergies with the Organization, Management and Control Model under Legislative Decree No. 231/2001 – The paper examines the collaborative compliance regime introduced in Italy by Legislative Decree no. 128/2015, and amended by the recent Legislative Decree no. 221/2013, with the aim of promoting forms of communication and cooperation between tax authorities and taxpayers. The paper analyzes the functional areas of the TCF and also highlights the points of contact between it and the MOGC 231. A possible evolutionary scenario could consist, in fact, in an explicit integration of the TCF within the Model 231, in order to create a single corporate compliance system capable of preventing both criminal offenses and tax violations.

Sommario: 1. Il “Regime di adempimento collaborativo”: la mappatura dei rischi fiscali. – 2. Uno sguardo d’insieme: aree di funzione, finalità, vantaggi, meccanismi premiali del Tax Control Framework (TCF). Rilievi critici. – 3. La prevenzione con approccio integrato: profili di intersezione tra Modello 231 e TCF. – 4. TCF e Modello 231: la sfida verso modelli integrati di corporate compliance. Considerazioni conclusive.

1. Nell’ultimo trentennio le imprese di maggiori dimensioni, spinte da una cultura sempre più sensibile e attenta alla c.d. compliance aziendale, si sono poste come obiettivo l’adozione di un’organizzazione interna che consenta un maggior rispetto della normativa fiscale in modo tale da contenere i rischi derivanti dall’adempimento degli obblighi a cui sono soggetti, ivi compresi quelli di natura tributaria (Zuccaro C. – Ceccato M. – Cardani G., In che modo è possibile costruire l’architettura di un Tax Control Framework affinché questo possa interagire con il MOG 231 e risultare concretamente efficace al fine di garantire maggiormente la prevenzione di rischi penal-tributari all’interno degli enti?, in La responsabilità amministrativa delle società e degli enti, 2024, 2, 239 ss.). Questa tendenza si è progressivamente estesa dalle aziende maggiormente strutturate ad una platea sempre più diffusa di soggetti, comprese le stesse PMI.

L’esigenza di sviluppare un sistema dedicato alla corretta esecuzione degli adempimenti fiscali e contabili trova la propria genesi negli Stati Uniti, con l’approvazione del Sarbanes Oxley Act (SOX) nel 2002, il quale nasceva dall’esigenza di dotare l’ordinamento statunitense di uno strumento concreto che consentisse di prevenire e di evitare il ripetersi di scandali finanziari come il caso Enron.

Sulla stessa scia si è, successivamente, mossa l’OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) la quale ha redatto e pubblicato nel 2013 un primo rapporto, successivamente integrato nel 2016, nel quale si è posto l’accento sulla centralità dell’adozione da parte degli Stati aderenti di schemi di adempimento collaborativo.

Il “regime di adempimento collaborativo” è un nuovo modello di sinergia tra le Amministrazioni fiscali e i contribuenti attraverso l’implementazione di sistemi di controllo e gestione del rischio fiscale nella rete dei controlli aziendali. Questo “regime di cooperazione fiscale rafforzata” – Cooperative Compliance – si basa sulla fiducia e sul dialogo costruttivo tra le imprese e il Fisco, la cosiddetta “enhanced relationship” (Marino G., La Corporate tax Governance quale nuovo approccio culturale, in Marino G., a cura di, Corporate Tax Compliance. Il rischio fiscale nei modelli di gestione d’impresa, Milano, 2018, 4 ss.), tra i quali si instaura una interlocuzione costante allo scopo di risolvere in anticipo eventuali questioni e problematiche fiscali e garantire una maggior certezza nell’applicazione delle norme.

2. Negli ultimi anni, per effetto dell’evoluzione dei modelli organizzativi e della sempre maggior importanza riconosciuta all’attività di risk management nella creazione di valore all’interno dell’azienda, il ruolo della corporate governance e della compliance ha subito una profonda metamorfosi. I presidi di controllo hanno assunto sempre più una funzione strategica, contribuendo alla gestione dei rischi aziendali e prendendo progressivamente sempre più campo nei processi decisionali dell’impresa. È in questo contesto che si è manifestata l’esigenza di una gestione integrata della compliance, che permette di razionalizzare i processi, migliorare la qualità dei dati disponibili e accrescere l’affidabilità complessiva dell’impresa (Tomassini A. – Pacelli F. – Valenzi G.I, Cooperative compliance e integrazione dei sistemi di controllo interno, in Corr. trib., 2025, 6, 584 ss.).

Per quanto attiene, più nello specifico, alla gestione del rischio fiscale, come anticipato, una maggior attenzione alla compliance integrata si è manifestata in Italia con l’introduzione di un sistema di controllo interno, cosiddetto Tax Control Framework, strumento imprescindibile per la costruzione della procedura di cooperative compliance fra le parti del rapporto tributario. Il regime di adempimento collaborativo è stato introdotto con il D.Lgs. n. 128/2015, al fine di promuovere forme di comunicazione e di cooperazione rafforzata tra l’Amministrazione finanziaria e i contribuenti dotati di un sistema di rilevazione, misurazione, gestione e controllo del rischio fiscale.

L’accesso a questo regime è stato riservato in origine ad imprese di grandissime dimensioni, ossia a contribuenti residenti e non residenti con un volume di affari o di ricavi non inferiore ad un miliardo di euro. Di recente, il legislatore, nell’ottica di una più ampia collaborazione nei rapporti tra soggetti privati e pubbliche istituzioni, ha modificato la normativa in esame estendendone i margini di applicazione, attraverso la previsione di una riduzione dei requisiti dimensionali di accesso.

Il D.Lgs. n. 221/2023, in vigore dal 18 gennaio 2024 e rubricato “Potenziamento del regime di adempimento collaborativo”, ha apportato una serie di modifiche al D.Lgs. n. 128/2015 (c.d. “decreto certezza del diritto”), con cui era stato, appunto, introdotto nel nostro ordinamento il regime di adempimento collaborativo. Il recente testo legislativo ha, inoltre, previsto – per i contribuenti che non possiedono i requisiti soggettivi previsti ex lege per l’ammissione al regime – la facoltà di adottare volontariamente un Tax Control Framework, con opzione biennale rinnovabile, informandone con apposita comunicazione l’Agenzia delle Entrate (c.d. TCF volontario). L’introduzione della possibilità di un TCF volontario ha rappresentato l’innovazione di maggior portata della novella legislativa. La normativa prevede, inoltre, che la «volontaria adesione di un efficace sistema di rilevazione, misurazione, gestione e controllo del rischio fiscale di cui all’art. 4, D.lgs. n. 128/2015, e la preventiva comunicazione di un possibile rischio fiscale da parte di imprese che non possiedono i requisiti per aderire all’istituto dell’adempimento collaborativo» assumano una certa rilevanza al fine di escludere o ridurre l’entità delle sanzioni.

Rispetto alle aree di funzione e di intervento del TCF, la mappatura delle attività sensibili ai fini della stesura e aggiornamento del Modello 231, c.d. MOGC, può costituire il punto di partenza per la progettazione di un efficace sistema di misurazione, valutazione e controllo del rischio fiscale per l’accesso all’adempimento collaborativo.

In questa ottica la certezza e la stabilità dell’effettivo carico fiscale per l’impresa è fattore discriminante e fonte di vantaggio competitivo, come l’adozione di strumenti di fiscalità sostenibile. Infatti, un approccio integrato della strategia fiscale favorisce l’economicità dei processi con ricadute positive in punto di risparmio dei costi, rispetto al danno che potrebbe derivare ad un’impresa per il fatto di non essere adeguatamente rispettosa della normativa.

La finalità del regime di adempimento collaborativo è quella di instaurare un rapporto di fiducia e di leale collaborazione tra Amministrazione e contribuente (Marino G., L’adempimento collaborativo, in Manzon E. – Melis G., a cura di, Il diritto tributario nella stagione delle riforme, Pisa, 2024, 192-193) che miri ad un aumento del livello di certezza sulle questioni fiscali rilevanti. Il TCF non va interpretato soltanto come un mero strumento di riduzione dei rischi fiscali o di prevenzione sanzionatoria, ma come parte integrante di una nuova filosofia tributaria, ispirata alla trasparenza, al dialogo preventivo e alla certezza del diritto. La riforma del regime di adempimento collaborativo rappresenta un tentativo di rendere sistematico il confronto tra Amministrazione e contribuente prima che sorgano contenziosi, favorendo l’emersione spontanea dei rischi fiscali e riducendo l’arbitrio nell’interpretazione amministrativa (Melis G., La cooperative compliance: una visione di sistema, in Dir. prat. trib., 2023, 2, 381-382).

I benefici sono molteplici: da un lato, i contribuenti implementano uno strumento per il monitoraggio dei rischi fiscali che consenta un maggiore controllo di gestione, con un positivo impatto anche di natura reputazionale e di immagine per la società. Dall’altro lato, le Amministrazioni fiscali riescono a migliorare le proprie strategie di gestione del rischio fiscale e di prevenzione del pericolo di evasione da parte dei soggetti aderenti.

Questo risultato è favorito anche da forme di contraddittorio preventivo che informano l’adempimento collaborativo e che caratterizzano lo sforzo del legislatore nel traslare i rapporti Fisco-contribuente da un approccio che è stato definito “patologico” ad uno di condivisione preventiva.

Il contraddittorio preventivo consente di colmare quel divario informativo che ha sempre connotato il rapporto Fisco-contribuente, «consentendo ai Funzionari di raccogliere tutti gli elementi e le informazioni rilevanti delle fattispecie rappresentate al fine di elaborare la posizione sull’applicazione della normativa tributaria, che generalmente è in linea con quella proposta dal Contribuente» (Barbiani E., L’adempimento collaborativo a confronto con le best practice in ambito di Tax Control Framework, in Corr. trib., 2024, 3, 232 ss.).

Tuttavia, l’adozione di un TCF comporta l’investimento di numerose risorse in termini di tempo e di costi; per questa ragione, il legislatore è intervenuto nel senso di estendere e incrementare i meccanismi premiali allo scopo altresì di stimolare il contribuente ad introdurre adeguati meccanismi di gestione del rischio fiscale, agendo, in particolare, sulla riduzione delle sanzioni di tipo amministrativo, sulla non punibilità di alcuni reati penali tributari e sulla riduzione dei termini per l’effettuazione di accertamenti fiscali.

A margine di questa disamina sulle aree di funzione, le finalità ed i vantaggi del TCF, è opportuno dare conto brevemente delle criticità del regime in esame: il legislatore, infatti, nello statuire le modifiche da apportare al sistema di rilevazione, misurazione, gestione e controllo del rischio fiscale, non ha colto tutte le opportunità concesse dalla legge-delega di riforma. L’approccio prudenziale adottato è stato oggetto di critiche. Tuttavia, la linea di tendenza seguita dal legislatore sembra inserirsi perfettamente nel contesto degli obiettivi che la normativa si pone: l’estensione della platea di soggetti che possono accedere al regime conferma la volontà, anche da parte degli stessi contribuenti, di evolvere il rapporto con l’Amministrazione finanziaria verso una maggior collaborazione ed una condivisione preventiva delle criticità.

Inoltre, il “desiderio” di un ampliamento del meccanismo premiale evidenzia, quale ulteriore aspetto di questo cambiamento culturale, il fatto che i contribuenti necessitano di stimoli per l’assunzione dei costi che devono sostenere nell’adozione di Modelli organizzativi e di sistemi di controllo, che impongono un forte cambiamento nelle strutture di governo aziendale.

In ragione delle peculiarità dell’organizzazione di ciascuna compagine aziendale, non si può percorrere la via di un approccio standardizzato. Lo stesso OCSE avverte, infatti, che non è possibile prescrivere un sistema di controllo unico per tutte le imprese e che le specificità del sistema di controllo interno devono rispecchiare le circostanze particolari dell’impresa in questione.

3. L’inclusione dei reati tributari tra i reati presupposto della responsabilità degli enti ha imposto un ripensamento strutturale del perimetro dei Modelli organizzativi, rendendo imprescindibile l’adozione di presìdi specifici per la gestione dei rischi fiscali. In questo nuovo scenario il TCF risulta uno strumento particolarmente idoneo non soltanto a rafforzare il Modello 231, ma anche a stimolare un’evoluzione culturale dell’impresa e della sua organizzazione, basata sulla gestione integrata dei rischi.

La normativa recata dal D.Lgs. n. 231/2001 prevede, infatti, che l’ente possa sottrarsi a responsabilità per il reato commesso laddove provi di aver adottato, prima della commissione del fatto, un Modello di Organizzazione, Gestione e Controllo (c.d. MOGC) dei rischi correlati alla commissione di determinati reati, dotato delle caratteristiche previste nel decreto stesso. Inoltre, affinché l’ente non incorra in responsabilità, occorre che gli apicali o i dipendenti, autori del reato, abbiano fraudolentemente eluso i Modelli di organizzazione e gestione e che comunque non vi sia stata un’omessa o insufficiente vigilanza da parte dell’organismo dell’ente cui è affidato il compito di vigilare sul funzionamento e l’osservanza dei Modelli e di curare il loro aggiornamento (Organismo di Vigilanza, c.d. OdV) ex art. 6 D.Lgs. n. 231/2001 (cfr. Cass. pen., sez. III, 17 maggio 2023, n. 27148 [rv. 284735-04].

Il MOGC è un sistema di gestione aziendale che individua le procedure operative che l’azienda sviluppa per ridurre il rischio che soggetti apicali o dipendenti commettano reati a vantaggio o nell’interesse della società. Questo Modello deve prevedere, in relazione alla natura e alla dimensione dell’organizzazione, nonché al tipo di attività svolta, misure idonee a garantire lo svolgimento delle operazioni nel rispetto della legge e a scoprire ed eliminare tempestivamente situazioni di rischio.

Il Modello deve soddisfare le esigenze individuate nell’art. 6, comma 2, D.Lgs. n. 231/2001 e cioè: individuare le attività nel cui ambito possono essere commessi reati; prevedere specifici protocolli diretti a programmare la formazione e l’attuazione delle decisioni dell’ente in relazione ai reati da prevenire; individuare modalità di gestione delle risorse finanziarie idonee ad impedire la commissione dei reati; prevedere obblighi di informazione nei confronti dell’organismo deputato a vigilare sul funzionamento e l’osservanza dei modelli (OdV); introdurre un sistema disciplinare idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nel modello (Abriani N. – Giunta F., L’organismo di Vigilanza previsto dal d.lgs. n. 231/2001. Compiti e funzioni. La responsabilità amministrativa delle società e degli enti, vol. III, 2013, 191-222;).

I Modelli di organizzazione, gestione e controllo si compongono di una parte generale e di una speciale, dedicata ai singoli reati-presupposto. Inoltre, comprendono la mappatura dei poteri e deleghe; il codice etico e il sistema sanzionatorio. Il cuore del MOGC ex D.Lgs. n. 231/2001 è rappresentato comunque dalla parte speciale, che deve essere costruita “su misura” e modellata sui caratteri peculiari di ciascun ente. Devono essere individuati dei protocolli di prevenzione che si basino sui seguenti principi di carattere generale: devono essere formalmente definite le competenze e responsabilità organizzative:; i poteri autorizzativi e di firma devono essere formalizzati e coerenti con le responsabilità organizzative; la segregazione dei compiti, ossia la necessità che non vi sia identità soggettiva tra coloro che decidono, eseguono e forniscono evidenza contabile e coloro che controllano; le attività svolte devono essere ricostruibili in relazione ai loro contenuti e ai loro autori (tracciabilità); devono essere previste modalità di tenuta dei documenti che non permettano modifiche successive degli stessi, e il loro accesso deve essere consentito sulla base di una disciplina interna formalizzata; infine, la struttura di controllo deve prevedere un sistema di documentazione.

Dunque, negli anni la lista dei reati-presupposto di natura tributaria è stata via via sempre più estesa, imponendo così agli enti la progressiva adozione di Modelli organizzativi sempre più attenti alla mitigazione del rischio fiscale. Pertanto, esiste una evidente sovrapposizione tra la normativa 231 e il regime del TCF.

L’integrazione tra il MOGC ex D.Lgs. n. 231/2001 e il TCF rappresenta una risposta strategica alle crescenti esigenze di compliance fiscale e si pone quale presidio ulteriore per la mitigazione di reati di natura tributaria. Le aziende, quindi, sono chiamate ad aggiornare i propri Modelli organizzativi per evitare di incorrere in ingenti sanzioni pecuniarie e interdittive nel caso in cui risulti integrata una delle fattispecie di reato.

Rispetto alle aree di funzione del regime di adempimento collaborativo, la mappatura delle attività sensibili ai fini della stesura e dell’aggiornamento del Modello 231 può costituire il punto di partenza per la predisposizione del TCF. D’altra parte, l’integrazione tra il MOGC 231 e il TCF si configura come un sistema complesso che richiede una attenta progettazione e implementazione. Gli elementi fondamentali di questa integrazione comprendono la mappatura integrata dei rischi fiscal-penali, l’implementazione di procedure coordinate di controllo, la definizione di ruoli e responsabilità nella gestione del sistema integrato e l’adozione di strumenti di monitoraggio e reporting unificati.

L’aggiornamento del Modello 231, reso necessario dall’introduzione dei reati tributari, dovrebbe quindi essere colto non come mero adempimento, ma come un’occasione per avviare o consolidare la costruzione di un TCF strutturato, capace di governare tutti i rischi fiscali cui l’impresa è esposta, non limitandosi a quelli penalmente rilevanti (Tomassini A. – Pacelli F. – Valenzi G.I., Cooperative compliance e integrazione dei sistemi di controllo interno, cit., 587). L’opportunità che ne deriva è evidente: un’impresa che riesca a integrare efficacemente il Modello 231 con il TCF può non solo rafforzare l’attività di prevenzione di contenziosi, ma anche acquisire un vantaggio competitivo sul piano della governance, della sostenibilità e della reputazione.

Tuttavia, è interessante notare come, sebbene il Modello 231 e il TCF condividano obiettivi di prevenzione e controllo del rischio di commissione di reati, tuttavia, gli stessi operano su piani diversi e sono soggetti a normative di riferimento differenti. Di conseguenza, le responsabilità che derivano da eventuali inadempienze fiscali non coincidono necessariamente con quelle previste dal Modello 231.

La distinzione ha importanti implicazioni pratiche e giuridiche. Innanzitutto, evidenzia la necessità di adottare un approccio integrato alla compliance, che consideri sia gli aspetti che afferiscono alla responsabilità penale sia quelli di responsabilità fiscale, al fine di ridurre i rischi complessivi e di dimostrare, in sede di eventuale accertamento, l’efficacia dei controlli interni. In secondo luogo, la distinzione tra i due modelli sottolinea come la presenza di un MOGC 231 efficace possa rappresentare un elemento in grado di provare la diligenza della compagine aziendale in ambito fiscale, ma non sostituisce l’adozione di procedure specifiche di controllo fiscale.

L’integrazione tra i due Modelli risponde anche ad esigenze difensive: in sede penale, la presenza di un TCF correttamente adottato e operativo può contribuire ad escludere la configurabilità del reato di dichiarazione infedele ex art. 4 D.Lgs. n. 74/2000. In sede di responsabilità 231, l’aver efficacemente implementato il TCF può rappresentare un elemento significativo per dimostrare l’assenza della “colpa di organizzazione”, che costituisce il presupposto per l’imputazione dell’ente (Consulich F., La collaborazione pubblico-privato nello specchio della colpa di organizzazione: il caso del Tax Control Framework, in Riv. dir. trib., 2024, 1, 5 ss.). Infine, la presenza di un TCF maturo può influenzare in modo positivo il livello di rischio percepito dalle Autorità fiscali e investigative, riducendo l’interesse ispettivo (Tomassini A. – Pacelli F. – Valenzi G.I., Cooperative compliance e integrazione dei sistemi di controllo interno, cit., 587-588).

Per concludere, è bene comunque ribadire che il TCF, da solo, non è in grado di sostituire il Modello 231 proprio per la presenza di limiti strutturali che ne impediscono la piena sovrapposizione: non prevede un OdV autonomo e indipendente, non prevede un sistema disciplinare interno, né dispone di strumenti obbligatori di whistleblowing, tutti elementi che sono invece essenziali nel Modello 231. «Da qui la raccomandazione delle Linee Guida di Confindustria: integrare, non duplicare; valorizzare le sinergie tra TCF e 231, costruendo un sistema realmente coeso ed efficace» (così Dorigo S. – Salvi G., Responsabilità da reato degli enti e reati tributari: cumulo sanzionatorio e ruolo dei modelli organizzativi, in Corr. trib., 2021, 1, 99).

4. La riforma del diritto penale-tributario (D.Lgs. n. 221/2023) e lo sviluppo del Tax Control Framework si collocano in un contesto di crescente attenzione al tema della compliance aziendale e alla ricerca di un equilibrio tra esigenze di prevenzione e istanze punitive. Entrambi gli strumenti, infatti, rappresentano tasselli di una strategia più ampia volta a responsabilizzare i contribuenti e, al contempo, a rafforzare la capacità repressiva dell’ordinamento nei confronti delle condotte fraudolente. Tuttavia, la loro interazione con il Modello 231 restituisce un quadro complesso e irrisolto, nel quale le criticità sistemiche appaiono ancora predominanti.

Sul versante penalistico, l’introduzione dell’art. 21-ter D.Lgs. n. 74/2000 recepisce in parte le sollecitazioni provenienti dalle Corti europee in materia di ne bis in idem e proporzionalità sanzionatoria (Corte EDU, Grande Stevens e altri c. Italia, 4 marzo 2014; Corte di Giustizia UE, Menci, C-524/15, 20 marzo 2018). Ciò nondimeno, la soluzione adottata si traduce in un compromesso normativo di dubbia efficacia: la scelta di affidare al giudice un meccanismo di compensazione ex post, dunque “a valle”, non solo rischia di incrementare l’incertezza applicativa, ma mina anche il principio di legalità e determinatezza. Ciò comporta che la tutela dei diritti dell’imputato rimanga subordinata alla logica dell’efficienza repressiva, perpetuando quella tensione tra garanzie processuali e necessità di punizione che caratterizza l’intero settore del diritto penale tributario. In tale prospettiva, più che una riforma risolutiva, l’intervento legislativo sembra configurarsi come una misura tampone, incapace di superare la logica del “doppio binario” e di assicurare un criterio selettivo ex ante, realmente idoneo a evitare duplicazioni processuali (cfr. funditus, Bricchetti R. – Veneziani P., a cura di, I reati tributari, in Palazzo F. – Paliero C.E., dir. da, Trattato teorico pratico di diritto penale, Torino, 2017).

Sul versante organizzativo, il TCF costituisce un passo avanti nel favorire un approccio culturale alla compliance fiscale, stimolando le imprese verso logiche di trasparenza e collaborazione con l’Amministrazione finanziaria (OECD, Co-operative Compliance: A Framework – From Enhanced Relationship to Co-operative Compliance, Paris, 2013); esso riflette un mutamento culturale: dall’idea di un Fisco meramente repressivo a quella di un sistema che premia il comportamento collaborativo, in linea con le raccomandazioni internazionali dell’OCSE e dell’Unione Europea.

Tuttavia, non mancano limiti evidenti: la difficoltà di tradurre i principi generali in prassi operative uniformi, l’eccessiva onerosità per le imprese di dimensioni medio-piccole e il rischio che l’adempimento collaborativo degeneri in un adempimento meramente formale, privo di reale efficacia preventiva.

La criticità principale risiede dunque nella difficoltà di far dialogare efficacemente due sistemi che nascono da presupposti e finalità differenti: il Modello 231, ancorato alla repressione della colpa di organizzazione, e il TCF, volto invece a incentivare la cooperazione e la trasparenza fiscale (Forti G., La colpa di organizzazione tra prevenzione e repressione, Milano, 2015). In assenza di un coordinamento normativo e culturale più organico, le sinergie auspicate rischiano di rimanere sul piano teorico, senza tradursi in una reale complementarità.

L’assenza di un raccordo normativo strutturato determina così una coabitazione problematica, più che una sinergia: da un lato, l’impresa è chiamata ad adottare modelli organizzativi per prevenire reati tributari rilevanti ai sensi del D.Lgs. n. 231/2001; dall’altro, deve implementare un TCF che, pur volto a rafforzare la compliance fiscale, non sempre trova riconoscimento come strumento esimente o attenuante in sede penale.

Alla luce di tali criticità, la prospettiva non può che essere quella di passare per un processo di armonizzazione normativa e culturale. Ciò implica, da un lato, un rafforzamento del principio di determinatezza in materia penale, che eviti il ricorso a soluzioni compromissorie e garantisca un bilanciamento effettivo tra esigenze repressive e tutela dei diritti fondamentali; dall’altro, una maggiore valorizzazione del TCF come strumento di prevenzione e accountability, superando la logica del mero adempimento formale (Panzavolta, La funzione preventiva della compliance fiscale, in Eur. Tax Stud., 2020, 77 ss.).

Un possibile scenario evolutivo potrebbe consistere in un’integrazione esplicita del TCF all’interno del Modello 231, in modo da creare un unico sistema di compliance aziendale capace di prevenire sia illeciti penali sia violazioni fiscali, riducendo così oneri duplici e incertezze interpretative. Esperienze internazionali mostrano come modelli integrati di corporate compliance possano favorire una cultura aziendale più coerente e una maggiore prevedibilità delle regole. Il TCF, infatti, non solo rafforza la capacità preventiva dell’ente rispetto ai rischi fiscali, ma si pone in stretta continuità metodologica con il Modello 231: entrambi fondano la loro efficacia sulla mappatura dei rischi, sulla formalizzazione dei processi e sulla tracciabilità dei flussi informativi (Basile E., Recenti riforme penal-tributarie e responsabilità degli enti. Controverse ricadute di una svolta politico-criminale, in Riv. dir. trib., 2021, 1, III, 1). In tal senso, il TCF può costituire un vero e proprio “braccio fiscale” del Modello 231, capace di colmare le lacune che il doppio binario sanzionatorio continua a mostrare, spostando l’attenzione dal piano repressivo a quello della prevenzione e della responsabilizzazione organizzativa (vd. funditus Marino G., Corporate tax governance, il rischio fiscale nei modelli di gestione d’impresa, Milano, 2022).

Va tuttavia rimarcato che l’efficacia di tale integrazione dipende dalla qualità dell’implementazione dei modelli e dalla loro effettiva attuazione nella prassi aziendale. Un TCF appiattito su mere formalità burocratiche o, al contrario, un Modello 231 privo di reale operatività, rischiano non solo di risultare inefficaci, ma addirittura di aggravare la colpa di organizzazione dell’ente (Gambardella M., Colpa di organizzazione e responsabilità dell’ente: i reati tributari come reati-presupposto, in Riv. it. dir. proc. pen., 2022, 891 ss.). In questa prospettiva, la mancata armonizzazione tra i due sistemi potrebbe trasformarsi in un fattore di rischio ulteriore, capace di minare la credibilità complessiva della compliance societaria.

Proprio per questo, la prospettiva più feconda appare quella di una compliance unitaria e integrata, in cui i presìdi fiscali del TCF siano concepiti come parte integrante del Modello 231. Solo così è possibile evitare duplicazioni, ridurre i margini di incertezza interpretativa e garantire, al contempo, uno scudo efficace contro le responsabilità penali e tributarie (Uckmar V., Diritto tributario internazionale. Manuale, Padova, 2012). In definitiva, il dialogo tra TCF e Modello 231 non si esaurisce in una mera giustapposizione di strumenti, ma rappresenta la chiave per un moderno sistema di governance che, oltre a prevenire l’illecito, rafforza la credibilità dell’impresa, ne tutela la reputazione e contribuisce a consolidare quel principio di leale collaborazione con l’Amministrazione che costituisce l’orizzonte ultimo della riforma.

In conclusione, si deve dare atto della circostanza per cui il sistema attuale sembra più caratterizzato da frammentazione che da coerenza: un diritto penale tributario oscillante tra efficienza repressiva e compromessi con le garanzie, e un TCF che, pur innovativo, fatica a consolidarsi come vero strumento di prevenzione. Il rischio per gli operatori è di restare imprigionati in un quadro normativo gravoso e incerto, con costi organizzativi crescenti e benefici poco tangibili. Solo un ripensamento complessivo, in grado di superare la logica della coabitazione problematica e di orientarsi verso un modello realmente integrato di compliance aziendale, potrà trasformare le attuali tensioni in una concreta opportunità di evoluzione del sistema.

(*) Il saggio è stato sottoposto a double blind peer review con valutazione positiva. Esso confluirà nel fascicolo n. 2/2025 (semestrale) della Rivista telematica di diritto tributario.

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

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