Imposta di soggiorno e giurisdizione tributaria

Di Mario Aulenta -

Abstract

Il saggio esamina la disciplina originaria e attuale dell’imposta di soggiorno, affrontando la questione della giurisdizione, oggetto di numerose pronunce della Corte dei Conti e delle Corti tributarie. Si propone poi un inquadramento tributario dell’imposta, che ne consentirebbe un assetto stabile, superando le attuali criticità.

The paper analyses the historical background, the original statute, and the interventions to the tourist tax. It then highlights the shortcomings of the original law, which compelled the Court of Auditors to intervene in disputes concerning the tax. Finally, it proposes a systematic tax classification that would provide the levy with a stable and coherent structure.

Sommario: 1. La funzione del prelievo di soggiorno. – 2. Lo stato dell’arte: la mancanza del regolamento governativo. – 3. Profili gius-contabili e penali. – 4. L’orientamento della Corte dei Conti. – 5. Inquadramento tributario e funzione fiscale. – 6. La soggettività. – 7. L’eterogenesi dei fini.

1. Introdotto per finanziare i servizi turistici, il prelievo di soggiorno si caratterizza per un’ampia diffusione nel continente europeo: anche l’Italia si era dotata già nel 1910 di tale strumento fiscale per poi abrogarlo nel 1989 e quindi “rispolverarlo”, sia pure come modello facoltativo, nelle disposizioni attuative della legge delega sul federalismo fiscale (L. n. 42/2009).

L’art. 4 D.Lgs. 14 marzo 2011, n. 23 dà facoltà ai soggetti attivi (Comuni capoluogo di provincia, Unioni di Comuni, Comuni inclusi negli elenchi regionali delle località turistiche e delle città d’arte) di istituire un prelievo, secondo un successivo regolamento governativo, non più pubblicato, sui soggiornanti in strutture turistiche del Comune, in importo fisso, ma modulabile (ad esempio, in relazione alla categoria dell’albergo)  da ciascun Comune, con proprio regolamento, fino ad un massimo di 5 euro per notte, il cui gettito finanzia il sostegno delle strutture ricettive, gli interventi di manutenzione, fruizione e recupero dei beni culturali ed ambientali locali e dei relativi servizi pubblici locali, nonché i costi relativi al servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti. Il regolamento comunale deve essere adottato avendo previamente sentito le associazioni maggiormente rappresentative dei titolari delle strutture ricettive.

2. Il regolamento governativo non vide mai la luce, e i regolamenti comunali si trovarono a dover supplire, non senza perplessità in tema di violazione del principio di legalità, da parte della giurisdizione amministrativa, disciplinando le modalità di attuazione del prelievo e persino completando la disciplina della soggettività passiva. Ne sono seguite questioni interpretative che hanno reso necessari ulteriori interventi del legislatore sull’art. 4 D.Lgs. n. 23/2011, tra il 2020 e il 2021, e cioè l’art. 180, comma 3, D.L. n. 34/2020 (conv. in L. n. 77/2020, c.d. decreto Rilancio), con il quale vennero integrate le disposizioni dell’art. 4 D.Lgs. n. 23/2011, principalmente con la figura del responsabile d’imposta e altre disposizioni di attuazione, e l’art. 5-quinquies D.L. n. 146/2021 (conv. in L. n. 215/2021), con il quale venne chiarito che la succitata disposizione del decreto Rilancio era da intendersi riferita (e produttiva di effetti) anche in relazione ai fatti anteriori all’entrata in vigore della prima disposizione (19 maggio 2020).

Permaneva la questione della natura del rapporto tra gestore della struttura ricettiva ed ente impositore, non potendo il primo assumere, nel silenzio della legge (2011-2020), ruolo tributario alcuno, e neanche avrebbe potuto essergli ascritto da un regolamento comunale.

In mancanza di norma che qualificasse gli assetti procedimentali, in capo al gestore turistico veniva richiamata la figura dell’agente contabile.

I giudici amministrativi e i giudici gius-contabili sono quindi giunti a pronunciarsi sul tema: mentre i primi lo hanno fatto in prima battuta, in ordine ai primi regolamenti comunali adottati (Verrigni C., Prime riflessioni sull’imposta di soggiorno, in Trib. loc. reg., 2012, 3, 25 ss.), i secondi dal 2018 (Tenore V., Sulla pacifica giurisdizione contabile sul mancato versamento dell’imposta di soggiorno da parte degli albergatori, in Riv. trim. dir. trib., 2018, 2, 476 ss.), forti della nota pronuncia del giudice regolatore della giurisdizione (Cass. civ., Sez. Un., ord. 24 luglio 2018, n. 19654, con nota di Farri F., Imposta di soggiorno alla Corte dei Conti, in Riv. tel. dir. trib., 2018, 2, 91 ss.), configurarono una responsabilità contabile.

3. È derivata, per conseguenza, l’applicazione dell’art. 314 c.p. e la fattispecie delittuosa di peculato, su cui poi è intervenuto l’art. 5-quinquies D.L. n. 146/2021 chiarendo come la disposizione fosse da intendersi riferita (e produttiva di effetti) anche in relazione ai fatti anteriori (Cass. n. 6187/2024) all’entrata in vigore dell’art. 180, comma 3, D.L. n. 34/2020 (19 maggio 2020).

Dopo le prime pronunce di condanna penali, intervenne così il legislatore a mitigare con un intervento, come su citato, con il comma 1-ter dell’art. 4 D.Lgs. n. 23/2011, riferendo al gestore la qualifica di responsabile del pagamento dell’imposta (Selicato G., Verso la depenalizzazione dell’omesso ritardato o parziale versamento dell’imposta di soggiorno, in Riv. trim. dir. trib., 2020, 2, 58 ss.) con legge di interpretazione autentica.

Escluse le conseguenze penali, come voluto dal legislatore (cfr. Cassazione, sentenze n. 30227/2020 e n. 36317/2020 che hanno escluso il reato di peculato a decorrere dall’entrata in vigore delle modifiche), restavano invece quelle gius-contabili.

4. A seguito del mutamento normativo recato dall’art. 180, comma 3, D.L. n. 34/2020 e dall’art. 5-quinquies D.L. n. 146/2021, la Corte dei conti ha affermato che, nonostante detta novella, non sarebbe stato intaccato il rapporto di servizio del gestore della struttura ricettiva, con compiti eminentemente contabili, completamente avulso da quello tributario, intercorrente tra il gestore della struttura ricettiva e il Comune; permaneva quindi la qualifica di agente contabile del primo, e la conseguente giurisdizione della Corte dei Conti a conoscere della responsabilità amministrativo-contabile nei casi di mancato versamento.

La Corte dei Conti continua a postulare la qualifica di agente contabile. A tal riguardo, talune posizioni (Tenore V., La giurisdizione della Corte dei conti, in Guidara A., a cura di, Specialità delle giurisdizioni ed effettività delle tutele, Torino, 2021, 709-711) ritengono che la qualifica di responsabile di imposta faccia venir meno il rapporto di servizio con l’ente impositore, posto che detto responsabile avrebbe un rapporto esclusivamente tributario, conseguendone che le somme percepite non avrebbero più natura pubblica e quindi non si avrebbe il maneggio di pubbliche risorse, discendendone il venir meno della giurisdizione gius-contabile (Corte dei Conti, sez. giur. Lombardia n. 38/2021, nn. 89, 242/2022; sez. giur. Lazio n. 596/2022, n. 31/2023, n. 137/2024; sez. giur. Puglia n. 529/2022). Ci sono posizioni che ritengono che, nonostante la novella che ha istituito il responsabile di imposta, il gestore rimarrebbe assoggettato alla giurisdizione della Corte dei Conti. La dialettica in seno alla Corte dei Conti vede la prevalenza, soprattutto nelle sezioni di appello, del filone che insiste nella qualità di agente contabile, in capo al gestore. Le ultime sentenze delle sezioni di appello della Corte dei Conti propendono infatti per la concorrenza di entrambe le giurisdizioni (Corte dei Conti, sezioni centrali, I app. n. 93/2025; II app. n. 2/2025).

Secondo tale prospettazione, quello di responsabile del pagamento dell’imposta sarebbe un ruolo ancillare, con funzione di rafforzamento della garanzia patrimoniale, senza che al responsabile possa ascriversi una piena soggettività passiva, che rimane gravante sui soggiornanti.

La Cassazione, investita della questione in punto di regolamento di giurisdizione, non ha ancòra statuito per la giurisdizione tributaria, perché finora le sono giunte cause relative a periodi di imposta antecedenti il 19 maggio 2020, data di entrata in vigore del D.L. n. 34/2020, che aggiunse il comma 1-ter all’art. 4, D.Lgs. n. 23/2011, e incardinate prima del 21 dicembre 2021, data di entrata in vigore della norma di interpretazione autentica di cui all’art. 5-quinquies D.L. n. 146/2021: esse sono state pertanto risolte con il principio della perpetuatio iurisdictionis, ex art. 5 c.p.c. (Cass., Sez. Un., 21 maggio 2024, n. 14028; Cass., Sez. Un., 3 giugno 2024, n. 15388/2024; Cass., Sez. Un., 9 agosto 2025, n. 22963).

Ma per i processi incardinati dopo tale data, seppure del pari riguardanti periodi di imposta antecedenti il 19 maggio 2020, è plausibile che la Cassazione decida per la giurisdizione spettante alle Corti di Giustizia tributaria, ex art. 2 D.Lgs. n. 546/1992, e, dal 1° gennaio 2026, ex art. 46 D.Lgs. n. 175/2024.

Non sembra infatti ragionevole l’idea che, anche dopo gli interventi del legislatore, le garanzie tributarie possano essere di fatto vanificate dalla scelta, peraltro dello stesso ente comunale, di informare la procura contabile in luogo dell’avvio dell’azione impositiva. E va contestato i due ruoli sarebbero “diversi e concorrenti” (Corte dei Conti, sez. giur. Liguria, 20 marzo 2024, n. 21) perché assolvendo a funzioni diverse con titoli autonomi di responsabilità, «sono complementari e concorrono a garantire l’incameramento effettivo dell’imposta di soggiorno» (Corte dei Conti, sez. Lombardia, 27 marzo 2023, n. 5): da questo punto di vista, una seconda giurisdizione gius-contabile, è del tutto ridondante, se quella tributaria già copre l’adempiuto e l’inadempiuto, come anche afferma Cass. 7 marzo 2024, n. 6187, ai punti 5.2 e 6.

É una situazione dovuta ai pudori del legislatore, che non voleva imputare al gestore la soggettività passiva, ed ha carattere paradossale, perché finisce col raddoppiare i procedimenti amministrativi, giudiziari e riscossivi in capo agli albergatori.

Con un’unica condotta, il gestore sopporterebbe le sanzioni pecuniarie di cui al D.Lgs. n. 471/1997 e la condanna per danno erariale, con una duplicazione ritenuta inammissibile dalla giurisprudenza costituzionale (Corte cost. n. 46/2023), criticabile, giusta art. 4 del Protocollo n. 7 CEDU, per violazione del principio del ne bis in idem, e stigmatizzata di recente anche dalla delega per il riordino del sistema fiscale (art. 20 L. 9 agosto 2023, n. 111).

5. Perché l’imposta di soggiorno è un’imposta indiretta (imposta di consumo, secondo Cass., Sez. Un., n. 14028/2024), perché rende più costoso un determinato tipo di consumo, e cioè il soggiorno in strutture ricettive, e per questo può anche definirsi imposta speciale.

L’imposta di soggiorno è monofase come l’IGE (vd. art. 2 D.L. 9 gennaio 1940, n. 2), o come le sales taxes degli Stati americani. È un’imposta in misura fissa, che si applica una volta, per ogni notte di soggiorno (che è l’unità che misura il consumo) assolta dall’imprenditore turistico, che ne trasla il controvalore sul turista. Trattandosi di imposta speciale monofase sui consumi, la verifica relativa alla rispondenza al principio di capacità contributiva appare intuitivamente agevole, emergendo ad ogni pernotto che si fruisca presso una località turistica. Non è ad essa ascrivibile un rischio di divieto per duplicazione del carattere di imposta sulla cifra d’affari, di cui all’art. 401, Direttiva 28 novembre 2006, n. 112. Comunque, come riveniente dalla nota sentenza sull’IRAP della Corte di Giustizia UE, del 3 ottobre 2006, C-475/03, per aversi duplicazione, occorre che l’imposta sui consumi da compararsi sia anch’essa ad valorem, mentre l’imposta di soggiorno, come su descritto, non lo è, e occorre che sia plurifase, mentre l’imposta di soggiorno, come su narrato, non lo è.

La Corte dei Conti ha pure intravisto l’impressione di uno scopo extrafiscale (Corte dei Conti, sez. giur. Emilia-Romagna, 18 febbraio 2022, n. 27) nell’imposta di soggiorno, conseguendone l’inquadramento nelle imposte di scopo improprie, cioè quelle per cui il collegamento con lo scopo non riguarda il presupposto di imposta, ma solamente la destinazione del gettito. Per questo può occorrere porsi il tema della necessità di perimetrare la pubblica spendita del bilancio pubblico dell’imposta di soggiorno, perché l’intera spendita del soggetto attivo-Comune è destinata al più lato scopo istituzionale e coincide con la promozione dell’attrattività della località turistica-Comune, financo comprendendo la raccolta dei rifiuti (che consiste, nella stragrande maggioranza dei Comuni, nella spesa corrente quantitativamente più importante), e, nei casi di Comuni finanziariamente più gravi, finanzia indistintamente la spesa corrente (come il contributo di soggiorno per Roma capitale, di cui all’art. 14, comma 16, lett. e), D.L. n. 78/2010, conv. in L. n. 122/2010).

L’esplicazione della tipologia di spesa del bilancio dell’ente pubblico finanziata dall’imposta di soggiorno, secondo l’elencazione dell’art. 4 D.Lgs. n. 23/2011, non reca quindi vantaggi specifici a favore del singolo operatore o della categoria degli operatori turistici, per l’ampiezza delle tipologie di spesa finanziata con l’imposta di soggiorno: e infatti, tutti e ciascuno dei vincoli, compreso financo quello a favore della spesa per la raccolta dei rifiuti (Guidara A., Tassazione del turismo e tassazione dei rifiuti: interrelazioni tra tributi ambientali e possibile concorso della prima al finanziamento della gestione dei rifiuti, in Riv. dir. trib., 2023, 6, I, 619 ss.), si protendono verso l’incremento dell’attrattività della località turistica.

Inoltre, va tenuto in conto che non tutti i Comuni possono stabilire e applicare l’imposta di soggiorno, ma solo quelli che godano di una differenziazione, e cioè che costituiscano quella che comunemente è descritta come località turistica («i comuni capoluogo di provincia, le unioni di comuni nonché i comuni inclusi negli elenchi regionali delle località turistiche o città d’arte»). Quindi una perimetrazione, spaziale ma non settoriale, per cui si possa distinguere il maggior servizio pubblico finanziato è possibile, ma avendo quale perimetro la parte spesa del bilancio del Comune-località turistica.

Insomma, l’imposta di soggiorno, da un punto di vista di Contabilità di Stato, sembra proprio imporre al Comune una destinazione a “maglie larghe”, quasi per “materia”, fortunatamente senza vincoli di programmazione temporale (comunque gestibili attraverso l’imputazione a Fondo pluriennale vincolato, nel bilancio pubblico) e senza contestuale individuazione di specifiche opere ed interventi da finanziare con gli introiti che ne derivino: un più preciso vincolo sul gettito non è automatico, proprio alla luce della numerosità delle destinazioni di legge (rinvenibili anche nei regolamenti comunali) e della loro intrinseca ampiezza (Sciancalepore C., I vincoli di destinazione delle imposte turistiche locali nell’ordinamento giuridico tributario e finanziario, in Diritto&Conti. Bilancio, Comunità, Persona, 2020, 1, 168 ss., spec. par. 4).

Tanto va riferito, anche al fine di mitigare il rischio che, seguendo la tesi delle pronunce della Corte dei Conti sulla destinazione “stretta” (Corte dei Conti, sez. di contr. Campania, delib. N. 114/2018/PAR) del gettito dell’imposta di soggiorno, non venga in mente di additare un aiuto (Salvini L., Gli aiuti di Stato in materia fiscale, Padova, 2007) di Stato, a favore degli operatori turistici, finanziato con i proventi dell’imposta di soggiorno: perché il sostegno alle strutture ricettive è solo uno dei molteplici scopi cui è destinato il gettito dell’imposta; o perché non è possibile attribuire una quota parte del gettito dell’imposta di soggiorno a titolo di “ristoro” o “rimborso spese” ai gestori delle strutture ricettive per l’attività di riscossione e riversamento del tributo; o perché basta inquadrare la misura nel regime de minimis (vd. Regolamento (UE) 2023/2831).

Dunque, l’imposta di soggiorno è un’imposta speciale monofase di consumo, in cui è facilmente rinvenibile la capacità contributiva, data dalla manifestazione indiretta del consumo particolare di soggiorni in località turistiche da parte dei soggiornanti, cui si appunta un riferimento ampio a vincoli plurideterminati, nella parte spesa del bilancio pubblico del Comune, accomunati dalla promozione della complessiva attrattività turistica dello stesso.

6. Se, come scritto fin qui, di tributo trattasi, la giurisdizione pertiene automaticamente alle Corti di Giustizia tributaria, secondo l’art. 2 D.Lgs. n. 546/1992, che dal 1° gennaio 2026 sarà sostituito dall’art. 46 D.Lgs. n. 175/2024. Tanto è sufficiente per dirimere la questione della giurisdizione gius-contabile, a favore della giurisdizione tributaria.

Ma la Corte dei Conti continua a sostenere la coesistenza di una propria giurisdizione, che iniziò ad aggiungersi alla prima, in virtù della precedente formulazione legislativa, che ben si guardava dal porre qualifica tributaria alcuna in capo al ceto degli operatori turistici.

Ed invero, mancavano, nella disciplina iniziale, le disposizioni di attuazione del tributo, sulla dichiarazione, sull’accertamento e sulla riscossione: la struttura tributaria era legislativamente monca di elementi indefettibili. E giustamente la Corte dei Conti intervenne riempiendo un vuoto, attribuendo giurisdizionalmente la qualità di agente contabile di fatto, e la Cassazione giustamente corroborò, per condivisibile horror vacui, nel silenzio della norma, questa impostazione (ord. sez. Un., n. 19654/2018). Ma dopo la novella del 2020 la struttura tributaria è stata completata (sebbene non del tutto appropriatamente, come vedremo nell’ultimo paragrafo), attribuendo la qualifica di responsabile del pagamento dell’imposta all’operatore turistico. Purtuttavia, la Corte dei Conti ha continuato ad occuparsene: e allora può essere opportuno riprendere taluni assunti tradizionali delle varie figure che si interpongono nella riscossione dei tributi.

Vi possono essere, nei tributi, e segnatamente nelle imposte indirette, varie figure che si intromettono nel meccanismo di attuazione del tributo, mercé la prefigurazione normativa di fattispecie intermedie, preordinate alla produzione di effetti.

Con riguardo ai tributi indiretti, è indubitabile l’esistenza di una molteplicità di effetti (e quindi di corrispondenti fattispecie) da cui deriva l’acquisizione del gettito tributario a favore dell’ente impositore. Il prelievo si attua, quantomeno, attraverso una molteplicità di obbligazioni, peraltro gravanti su più soggetti non necessariamente coincidenti con il “contribuente” (Fransoni G., Il presupposto dei tributi regionali e locali. Dal precetto costituzionale alla legge delega, in Riv. dir. trib., 2011, 3, 267 ss., spec. par. 1), come nell’IVA, ove il contribuente-consumatore finale è coinvolto in minima parte nel meccanismo di realizzazione del prelievo, il quale si attua mediante più obbligazioni (effetti) dipendenti da altrettante “fattispecie”, e cioè mediante rivalse e detrazioni tra i vari operatori economici fino ad arrivare al consumatore finale.

E, sebbene nell’imposta di soggiorno (monofase) il numero di intervenienti che gestiscano le fattispecie semplicemente non ci sia, rispetto all’esempio dell’IVA plurifase, va riferito che nelle imposte, vi possono comunque essere figure intermedie che presidiano spezzoni dell’attuazione del tributo.

Ed invero, va riferito che tradizionalmente, il responsabile di imposta interviene in fase attuativa, come prefigurato dalla tecnica legislativa, a tutela delle ragioni dell’“interesse fiscale”. Fa parte, insomma, dei terzi, ossia «coloro che non realizzano la fattispecie dalla quale discende lo specifico effetto giuridico corrispondente all’obbligazione d’imposta» (Giovannini A., Soggettività tributaria e fattispecie impositiva, Padova, 1996, 297).

In altre parole, l’istituto del responsabile d’imposta propriamente detto sottende l’imputazione, in capo ad un soggetto estraneo rispetto al presupposto di imposta, dell’obbligo di pagare il tributo all’Erario accanto e in alternativa con il contribuente, per fatti o situazioni esclusivamente riferibili a questi, salvo a rivalersi nei confronti del medesimo, svolgendo una funzione, in senso ampio, di rafforzamento della garanzia di adempimento del credito tributario, collegato da un nesso di pregiudizialità-dipendenza (Fiorentino S., Contributo allo studio della soggettività tributaria, Napoli, 2000, 161).

Quindi, vi è distinzione tra chi realizza il presupposto e deve l’imposta, e cioè gli operatori economici, e chi è portatore della capacità contributiva, e cioè i consumatori, che la esprimono in modo mediato, attraverso il loro consumo particolare, e cioè il soggiorno nella località turistica.

Per tirare le fila del paragrafo, allora, occorre esplicitare che il consumatore è estraneo alla struttura giuridica dell’imposta, e non può essere perciò soggetto passivo. Soggetto passivo, anzi, debitore dell’imposta monofase sullo speciale consumo, è l’operatore turistico. Ma lo stesso operatore è stato qualificato, in base alla denominazione ex lege del rapporto impressa dal comma 1-ter dell’art. 4, un responsabile del pagamento dell’imposta, con diritto di rivalsa verso il soggetto passivo.

La responsabilità attuativa dell’imposta di soggiorno è incardinata negli operatori turistici, che non erano affatto denominati, come su scritto, nella prima versione dell’art. 4 D.Lgs. n. 23/2011, e che solo con il comma inserito dall’art. 180, comma 3, D.L. n. 34/2020, sono stati qualificati quali responsabili di imposta. Giammai soggetti passivi. I soggetti passivi rimangono, ancora oggi, i soggiornanti.

Quanto alla soggettività del gestore turistico, quando la norma mal concepita e peggio modificata ne ha dapprima omesso ogni configurazione e ne ha poi dettato la qualificazione come responsabile d’imposta, con ciò apprendendo da una sagoma strutturalmente e tradizionalmente estranea alla soggettività del titolare del debito di imposta, ne ha sbagliato l’individuazione.

Ma peggio ha potuto fare l’interpretazione della Corte dei Conti, che ha effettuato una frammentazione dell’unitario rapporto.

La Corte dei Conti vi ha giustapposto un ulteriore rapporto rispetto a quello tributario, attingendo alla su riportata tradizionale estraneità del responsabile di imposta rispetto al presupposto tributario, ma dimenticando che tutte e ciascuna le figure che si interpongono nell’attuazione del tributo partecipano di detta realizzazione, che riguarda un unico rapporto, in una prospettiva che, anche alla stregua del disposto di cui all’art. 10 L. n. 212/2000, declina il dovere contributivo di cui all’art. 53 Cost. non solo sul piano sostanziale, in punto di adempimento delle prestazioni tributarie a ciascuno facenti carico, ma anche su quello procedurale (Castaldi L., La solidarietà tributaria, in Guidara A., a cura di, Soggettività e situazioni tributarie, Napoli, 2023, 62).

La giustapposizione, pur prendendo le mosse dalla spiegazione tradizionale del soggetto responsabile di imposta, ha il difetto di una rappresentazione volutamente atomistica di quest’ultimo, come ci fosse, oltre all’operatore turistico, un altro “ologramma” che non deve far parte del rapporto tributario: mentre, di detta rappresentazione, occorre assumersene tutte le parti (come richiamate, fin qui), che compongono il tutto. Un tutto, che è tutto – e solo – tributario. Si lascia in ombra che in tanto sussiste un responsabile di imposta, che la Corte pretende di biforcare, in quanto sussista un’imposta, che è tributo, rientrante nell’ampio insieme “di ogni genere e specie”, di cui all’art. 2 D.Lgs. n. 546/1992 (dal 2026, identicamente: art. 46 D.Lgs. n. 175/2024). Articolo che (per la Corte dei Conti) è, come non fosse, norma della Repubblica.

7. Un legislatore che volesse ottenere il gettito di un’imposta, senza nemmeno denominare i soggetti passivi, non s’era ancòra visto.

Tant’è che dal 2011 e fino al 20 maggio 2020 il gestore redigeva i formulari delle presenze limitandosi, senza preoccupazione alcuna, a trascrivere i nominativi dei soggiornanti di coloro che avessero pagato, senza che alcunché potesse addebitarsi allo stesso gestore, quanto ai non paganti.

E, come sopra riportato, all’epoca, bene fece la Corte dei Conti e la Cassazione, in vigenza della originaria formulazione dell’art. 4 D.Lgs. n. 23/2011, a reagire, con l’attribuzione della qualità di agente contabile in capo agli operatori turistici.

Ma, come dimostrato nei paragrafi precedenti, che la Corte dei Conti continui ad occuparsi dell’imposta di soggiorno, è ormai spiegabile solo con la nota congettura di Niskanen (Forte F., Causa del potere finanziario e capacità contributiva, in Corr. trib., 2007, 24, 1948), quando invece dovrebbe trattarsi «di una conseguenza automatica» (Fedele A., La Corte ritorna sulla definizione del tributo e sui limiti alla sua legittimità costituzionale, in Giur. cost., 2017, 6, 3105 ss., spec. par. 2), quella della devoluzione alla giurisdizione tributaria (Marini G., La problematica individuazione del giudice sull’imposta di soggiorno, in Riv. trim. dir. trib., 2018, 2, 502 ss.). La sistemazione della questione appare comunque alla portata della Cassazione (punti 5.2 e 6, Cass., sez. trib., 7 marzo 2024, n. 6187).

Ma se la Cassazione, esaurito il periodo entro il quale le giungerà, in regolamento di giurisdizione, un processo da regolarsi con la perpetuatio iurisdictionis, non dovesse declinare la giurisdizione gius-contabile a favore della sola giurisdizione tributaria, allora, ancòra una volta, il legislatore dovrà intervenire e affidare direttamente la qualifica di soggetto passivo (o debitore di imposta) agli operatori turistici, di guisa che i soggiornanti rimangano solo incisi dal tributo, quali meri consumatori. Solo così, nessuno potrà più affermare che detti operatori gestiscano soldi non loro, trattenuti per munus pubblico di fatto, poiché da quel momento pagheranno in assolvimento di un proprio obbligo esclusivamente tributario.

Insomma, la prima cortesia che il legislatore farà agli inutilmente coccolati (per ben tre lustri) operatori turistici, avendo prodotto, come nella più classica eterogenesi dei fini, l’effetto di duplicare le procedure giurisdizionali ad essi imputabili e le connesse intimazioni ad esito, sarà quello di denominarli, finalmente, soggetti passivi di imposta.

(*) Il saggio è stato sottoposto a double blind peer review con valutazione positiva. Esso confluirà nel fascicolo n. 2/2025 (semestrale) della Rivista telematica di diritto tributario.

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