Servizi finanziari e IVA: ipotesi di superamento dell’esenzione per ristabilire la neutralità e l’equilibrio nel mercato
Di Stefano Pavesi e Natascia Palumbo
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Abstract (*)
Cogliendo lo spunto offerto da un recente studio del Parlamento Europeo, l’articolo opera una riflessione critica sulla (più volte auspicata ma finora mai compiuta) riforma del trattamento IVA dei servizi finanziari che si potrebbe sostanziare nell’estensione – ad una più ampia gamma di servizi – della facoltà, già riconosciuta dal legislatore IVA unionale, di optare per l’applicazione dell’imposta o la non imponibilità invece che per il naturale regime di esenzione. Lo scopo di tale riforma sarebbe, in principio, quello di rimediare alle distorsioni (soprattutto in rapporto al principio di neutralità dell’imposta) che l’applicazione generalizzata del regime di esenzione IVA ha inevitabilmente causato agli operatori del settore. La concreta attuazione di una simile riforma si scontrerebbe, tuttavia, con la storica (annosa) difficoltà di determinare la base imponibile dei servizi finanziari, oltre che con la (sempre impellente) esigenza di assicurare un adeguato gettito fiscale all’Erario (che un più ampio ricorso all’applicazione dell’IVA andrebbe sicuramente a modificare).
Financial services and VAT: proposal to eliminate the exemption in order to restore neutrality and balance in the market – Prompted by a recent study from the European Parliament, this article offers a critical reflection on the long-discussed – but still unimplemented – reform of the VAT treatment of financial services. The reform could consist in extending, to a broader range of services, the option (already recognized by EU VAT legislation) to apply VAT or opt for non-taxability, instead of defaulting to the exemption regime.
The primary aim of such a reform would be to address the distortions – especially in relation to the principle of tax neutrality – that the widespread application of VAT exemption has inevitably caused for operators in the sector. However, the practical implementation of such a reform would face long-standing challenges, particularly the difficulty in determining the taxable base for financial services, as well as the ever-pressing need to ensure adequate fiscal revenue for the Treasury – something that a broader application of VAT would certainly impact.
Sommario: 1. Introduzione. – 2. I servizi finanziari tra Direttiva IVA e giurisprudenza UE. – 3. Lo studio di ipotesi di riforma della normativa unionale. – 4. L’ipotesi di applicazione in Italia dei risultati dello studio. – 5. Considerazioni finali.
1. In aderenza al dettato normativo unionale, si qualifica come “esente” quell’operazione economica che, pur integrando tutti i presupposti per l’assoggettamento all’imposta (i.e. presupposto oggettivo, soggettivo e territoriale), è di fatto esonerata dall’applicazione del tributo in ragione della propria natura e/o della propria funzione (politica e/o economica e/o sociale).
In particolare, il legislatore IVA unionale ha ricompreso nell’alveo delle esenzioni di cui al Titolo IX della Direttiva 2006/112/CE (la “Direttiva IVA”) sia le operazioni “esenti con diritto alla detrazione”, la cui detassazione generalmente opera in ragione del relativo consumo fuori dallo Stato membro del cedente/prestatore (i.e. operazioni non imponibili) sia le operazioni per le quali la detassazione opera tout court (i.e. operazioni propriamente esenti), ma comportando limitazioni al diritto di detrazione dell’IVA sugli acquisti ad esse afferenti.
A livello nazionale, il legislatore IVA ha, fin dai tempi dell’entrata in vigore del D.P.R. n. 633/1972 (il “Decreto IVA”), circoscritto l’ambito applicativo dell’esenzione alle sole operazioni per le quali, da un lato, è garantita una completa detassazione dell’IVA a valle (ossia la disapplicazione dell’IVA tout court, a prescindere dal luogo di consumo del bene e/o servizio) e, dall’altro, è posto un limite al diritto di detrazione dell’IVA a monte. Tali operazioni sono elencate all’art. 10 Decreto IVA (che recepisce le disposizioni di cui ai capi 2 e 3 del predetto Titolo IX della Direttiva IVA).
Ciò che, in ogni caso, contraddistingue le operazioni propriamente esenti è, tanto a livello unionale quanto a livello nazionale, la sostanziale contrapposizione tra la completa detassazione dell’IVA a valle e la limitazione della detrazione dell’IVA a monte.
Questa contrapposizione implica che, nell’ambito delle operazioni esenti, l’IVA non assolva la propria canonica funzione di imposta sul “valore aggiunto” di un bene e/o servizio all’atto della sua immissione finale in consumo (ossia all’atto di vendita nei confronti del consumatore finale) e possa, altresì, diventare un elemento di costo che concorre alla formazione del prezzo di vendita del bene e/o servizio in tutte le operazioni intermedie che precedono la sua immissione finale in consumo.
In altri termini, l’applicazione del regime di esenzione IVA – anche nei confronti di soggetti passivi IVA che, in generale, sono titolati ad esercitare la detrazione dell’imposta – comporta una duplice conseguenza: in primis, una sostanziale deviazione dal generale principio di neutralità che, di norma, dovrebbe assicurare al soggetto passivo (che agisca in quanto tale) di non restare inciso dall’applicazione dell’imposta nelle fasi di produzione e/o distribuzione occorse precedentemente all’immissione finale in consumo di un bene e/o servizio; in secundis, una progressiva distorsione della concorrenza nel mercato, giacchè non tutti gli operatori riescono in egual misura a traslare sui propri clienti il costo associato all’indetraibilità dell’IVA assolta a monte.
In teoria, la produzione di simili “conseguenze” troverebbe giustificazione nella natura e/o nella funzione stessa dell’operazione esente, che risiede di norma in un interesse tutelato quale la salute, l’istruzione, l’abitazione e, per certi versi, anche l’accesso alle risorse finanziarie.
Nell’ambito delle operazioni finanziarie, tuttavia, l’esenzione IVA è, a detta della giurisprudenza unionale, giustificata anche dalla pratica necessità di ovviare «alle difficoltà finanziarie collegate alla determinazione della base imponibile sulla quale applicare l’imposta» (Corte di Giustizia dell’Unione Europea – “CGUE”, sentenza del 19 aprile 2007, Causa C-455/05, Velvet & Steel).
Seppur comprensibile sul piano teorico, non sempre l’applicazione del regime di esenzione IVA può dirsi, dunque, concretamente chiara e/o giustificabile, soprattutto quando, in casi come quello delle appena menzionate operazioni finanziarie, la necessità pratica di ridimensionare gli effetti negativi prodotti dall’impossibilità di detrarre l’IVA sugli acquisti ha indotto molti operatori del settore finanziario a fare dell’IVA una voce di costo occulta, da addebitare ai propri clienti in sede di determinazione del prezzo di vendita delle proprie prestazioni.
In altre parole, nell’ambito dei servizi finanziari resi a soggetti passivi IVA, tale pratica si traduce in un aggravio di costi del tutto assimilabile ad una doppia tassazione; difatti, il fornitore non detrae l’IVA sui propri acquisti, ma la addebita al committente in addizione al prezzo e quest’ultimo non può conseguentemente operarne la detrazione, scaricandone così l’onere a valle.
Sotto il profilo sostanziale, non va tuttavia sottaciuto che, in generale, il costo dell’IVA indetraibile – che peraltro costituisce anche un onere deducibile ai fini delle imposte sul reddito – è di norma largamente inferiore rispetto all’IVA ipoteticamente applicabile ai corrispettivi delle operazioni esenti. Ne consegue che tale meccanismo, pur se in forma affievolita, tende comunque a raggiungere lo scopo perseguito, nell’ambito delle prestazioni rese nei confronti dei consumatori finali, ma non nella misura sperata.
In ambito immobiliare, il legislatore italiano ha accordato agli operatori la possibilità di optare per l’applicazione dell’IVA in merito a talune operazioni naturalmente esenti, consentendo così agli operatori di poter raggiungere un adeguato equilibrio nel difficile connubio tra esenzione/imponibilità e diritto alla detrazione. Altrettanto non è avvenuto con riferimento ai servizi finanziari, con l’ulteriore considerazione che essi sono in continua e rapida evoluzione e costringono gli operatori a difficili interpretazioni, esponendoli così anche al rischio di contestazioni.
Tali considerazioni suggeriscono di valutare se un’evoluzione della normativa possa garantire le tutele che le esenzioni intendono perseguire, assicurando al contempo la possibilità per gli operatori di differenziare le proprie scelte di applicazione dell’imposta in funzione delle controparti e della natura delle prestazioni.
2. A livello europeo, la Direttiva 67/228/CEE (la “Seconda Direttiva”) aveva inizialmente connotato l’esenzione IVA – in termini estremamente generali – come una forma di detassazione delle operazioni intracomunitarie (i.e. cessioni di beni con trasporto al di fuori di uno Stato membro e prestazioni correlate) e, eventualmente, i servizi relativi alle importazioni, restando una mera e generalissima facoltà in relazione ad una (imprecisata) gamma di ulteriori transazioni.
In sede di elaborazione della proposta per (quella che sarebbe poi stata ufficialmente promulgata come) la Sesta Direttiva (ossia la Direttiva 77/388/CEE), la Commissione europea delineò i veri contorni dell’esenzione IVA (nell’accezione oggi contemplata), attraverso un dettagliato elenco di operazioni propriamente esenti.
Tale elenco, oltre a recepire le esenzioni già normate in alcuni Stati membri (sanità, previdenza sociale, istruzione), introduceva, con il punto B) dell’art. 13 della Sesta Direttiva, anche un’articolata serie di operazioni finanziarie adducendo, quale giustificazione per l’esenzione, «motivi di politica generale comuni agli Stati Membri» (si veda, in proposito, l’art. 14 della Proposta di Sesta Direttiva del Consiglio «in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati Membri relative all’imposta sulla cifra d’affari – Sistema comune dell’imposta sul valore aggiunto: Base imponibile uniforme»).
Quello stesso elenco fu, poi, trasposto nell’art. 135 Direttiva n. 2006/112/CE (la “Direttiva IVA”), tuttora vigente. Nelle intenzioni del legislatore comunitario, l’esenzione IVA introdotta da tale norma era volta ad incoraggiare l’accesso dei piccoli risparmiatori a nuove forme di investimento mediante la riduzione del costo che li avrebbe gravati in caso di addebito dell’IVA – a cascata – a carico dei risparmiatori stessi. Interessante osservare che l’elencazione riportata nella norma risulta in larga parte riferibile a sevizi riservati agli intermediari finanziari e da tanto consegue il legittimo dubbio circa un requisito soggettivo posto alla base delle esenzioni in questione.
Tale apparente limitazione è stata tuttavia superata dalla giurisprudenza della CGUE, secondo la quale l’applicazione dell’esenzione IVA deriva dalla qualificazione oggettiva della prestazione come “finanziaria”, a nulla rilevando – al contrario – lo status soggettivo del prestatore (ex multis, CGUE, sentenza 25 luglio 2018, C-5/17, DPAS; sentenza 26 maggio 2016, C-607/14, Bookit Ltd; sentenza 28 ottobre 2010, C-175/09, Axa UK; sentenza 5 giugno 1997, C-2/95, Sparekarssernes Datacenter).
Per altro verso, la sostanziale deroga alla neutralità, sottesa al regime delle esenzioni che limitano la detrazione, impone una lettura circoscritta del loro ambito di applicazione. Tale necessità risulta ben colta dalla Suprema Corte dell’UE, che ha optato per un approccio restrittivo, sulla base della duplice considerazione che «le esenzioni di cui all’articolo 135, paragrafo 1, della direttiva IVA costituiscono nozioni autonome del diritto dell’Unione, che mirano ad evitare divergenze nell’applicazione del sistema dell’IVA da uno Stato membro all’altro» (cfr. GGUE, sentenza 10 marzo 2011, C‑540/09, Skandinaviska Enskilda Banken; sentenza 22 ottobre 2015, C‑264/14, Hedqvist) e che «i termini con i quali sono state designate dette esenzioni devono essere interpretati restrittivamente, dato che le stesse costituiscono deroghe al principio generale secondo cui l’IVA è riscossa per ogni prestazione di servizi effettuata a titolo oneroso da un soggetto passivo» (cfr.CGUE, sentenza 28 luglio 2011, C‑350/10, Nordea Pankki Suomi).
La lettura restrittiva appena evidenziata trova una sua estensione nell’ambito delle prestazioni (c.d. relative) che costituiscano un insieme distinto nella sua globalità, idoneo a svolgere le funzioni specifiche ed essenziali per l’espletamento delle operazioni finanziarie cui esse si riferiscono quando comportano per il prestatore l’assunzione di responsabilità in merito all’esecuzione dei servizi finanziari sottostanti (cfr. CGUE, sentenza 4 maggio 2006, C-169/04, Abbey National plc; sentenza 13 dicembre 2001, C-235/00, CSC Financial Services Ltd; sentenza 5 giugno 1997, C-2/95, Sparekarssernes Datacenter).
La nozione appena illustrata pone evidenza sullo sforzo interpretativo che gli operatori sono chiamati a compiere per determinare se le proprie prestazioni beneficino dell’esenzione IVA, a maggior ragione del fatto che l’offerta di soluzioni finanziarie è in continua evoluzione. Tale valutazione è ulteriormente complicata dalla circostanza che ad operarla sono chiamati operatori anche non-istituzionali, che devono decidere – da un lato – se gravare o meno dell’IVA i propri clienti e –dall’altro – se poter operare o meno la detrazione dell’imposta assolta sugli acquisti necessari per la loro attività.
Il legislatore comunitario era verosimilmente consapevole anche dei potenziali effetti distorsivi che le esenzioni avrebbero potuto generare, tanto che ha introdotto agli artt. 109 e seguenti (nonchè all’art. 395) della Direttiva IVA la possibilità riconosciuta a ciascuno Stato membro di concedere, nella propria norma di recepimento interno, l’opzione per l’applicazione dell’imposta in alternativa al regime naturale di esenzione.
Tale regime opzionale era funzionale a consentire agli operatori di adottare in via specifica il trattamento IVA più idoneo per il caso di concreto interesse, scegliendo tra esenzione e imponibilità. L’esenzione, come detto, è calcolata su corrispettivi in certa misura gravati del costo dell’indetraibilità a monte, ma è verosimilmente preferibile nelle operazioni verso soggetti non-passivi che non possono detrarre l’IVA eventualmente loro addebitata. Diversamente, l’opzione per l’imponibilità sarebbe in generale preferibile nelle prestazioni rese a committenti soggetti passivi che agiscano in quanto tali, giacché in generale potrebbero operarne la detrazione.
A dispetto di tale apertura da parte del legislatore IVA unionale, la gran parte delle legislazioni nazionali ha tuttavia optato per un recepimento pressoché automatico delle disposizioni in materia di esenzione – senza recepire la possibilità di optare per l’imponibilità – e questo, se da un lato ha favorito l’uniformità della relativa disciplina, ha dall’altro determinato un’applicazione essenzialmente indifferenziata di un regime i cui limiti circa il rispetto della neutralità e l’ampio margine interpretativo di talune fattispecie sono perdurati.
Proprio allo scopo di assicurare, soprattutto in settori di rilievo quale quello finanziario, la necessaria stabilità normativa e applicativa, nel corso degli anni diversi organi istituzionali dell’Unione Europea hanno auspicato un’incisiva riforma delle norme in materia di esenzione IVA (ex multis, la Proposta di Regolamento COM(2007) 746 final del 28 novembre 2007) che, tuttavia, non è intervenuta, con la conseguenza che l’interpretazione dei casi dubbi è demandata in sostanza alla giurisprudenza.
Lo sforzo ermeneutico finora compiuto dalla giurisprudenza unionale non è stato, tuttavia, sufficiente ai fini della definitiva risoluzione delle problematiche connesse all’esenzione.
3. Come sopra anticipato, le ipotesi di riforma avanzate nel tempo in merito all’esenzione IVA dei servizi finanziari sono state diverse.
A livello unionale, l’occasione più recente è stata fornita dal Parlamento Europeo che, su impulso della sottocommissione per le questioni fiscali (“FISC”) ha pubblicato, nel mese di giugno 2025, uno studio avente ad oggetto “The taxation of the EU’s financial sector” (nel prosieguo, per brevità, lo “Studio”).
Muovendo da una mappatura delle imposte attualmente applicate al settore finanziario nei Paesi membri dell’UE (di cui vengono riassunte le evidenze empiriche relative ai diversi effetti ad esse associati), lo Studio delinea alcune possibili ipotesi di riforma, ritenute idonee a migliorare la coerenza della tassazione del settore finanziario.
Con specifico riferimento all’imposta sul valore aggiunto, lo Studio rileva come l’opzione per l’imponibilità IVA dei servizi finanziari (ordinariamente) esenti sia stata attualmente recepita (e concessa) solo da nove Stati membri (Austria, Belgio, Bulgaria, Croazia, Estonia, Francia, Germania, Lituania e Polonia) e, spesso, non sia nemmeno fruita dagli intermediari finanziari, perpetrando così gli effetti negativi dell’esenzione che sono stati precedentemente illustrati.
In aggiunta, lo Studio evidenzia che l’applicazione generalizzata dell’esenzione stimola gli intermediari ad internalizzare la produzione dei fattori produttivi (ad esempio, i servizi IT) rispetto al loro acquisto e ciò spesso, a discapito dell’efficienza, giacché la loro scelta è unicamente volta alla riduzione del costo dell’IVA indetraibile.
Per altro verso, l’introduzione generalizzata dell’imponibilità IVA sui servizi finanziari sortirebbe effetti negativi sul gettito fiscale degli Stati in relazione ai servizi forniti ai soggetti passivi, essendo questi ultimi prevalentemente titolati a detrarre l’imposta e chiederla a rimborso; la stessa generalizzazione inciderebbe, invece, positivamente sul gettito in relazione ai servizi resi a chi non può operare la detrazione. Sul punto, si osserva che la prevalenza tra l’effetto negativo e quello positivo sul gettito di uno Stato non è di agevole determinazione.
Esclusi i casi di generalizzata applicazione di un regime – esente o imponibile – lo Studio individua diverse forme che consentano una più puntuale circoscrizione dell’ambito delle opzioni esercitabili.
Le principali casistiche che lo Studio reputa percorribili possono così sintetizzarsi:
un primo approccio consisterebbe nel prevedere che le operazioni effettuate verso soggetti passivi IVA (in generale titolati a detrarre l’imposta) possano essere rese imponibili dietro opzione del prestatore, mentre quelli resi a committenti non-soggetti passivi mantengono l’esenzione;
una seconda possibilità sarebbe quella di rendere imponibili IVA servizi finanziari resi dietro pagamento di un corrispettivo variamente determinabile, mantenendo l’esenzione per le commissioni pagate per strumenti finanziari venduti alla clientela. La tassazione della prima categoria citata comporterebbe un incremento di gettito fiscale, ma anche aumento del costo dei servizi finanziari, se resi a soggetti che non possono detrarre l’imposta. Tale maggiore costo potrebbe essere compensato riconoscendo ai consumatori finali e alle piccole imprese una corrispondente deduzione dal proprio reddito tassato;
l’ultima ipotesi consisterebbe nel rendere non imponibili – con diritto alla detrazione – i servizi resti a soggetti passivi, mantenendo l’esenzione per quelli resi ai consumatori finali. La non imponibilità in luogo dell’esenzione accorderebbe il pieno diritto alla detrazione dell’IVA agli intermediari finanziari, così eliminando o riducendo gli effetti distorsivi connessi all’esenzione IVA. I servizi resi ai consumatori non muterebbero il proprio trattamento.
La prima delle ipotesi sopra riportate ha il pregio di consentire al prestatore di servizi finanziari di operare una scelta specifica, tra esenzione e imponibilità, nei confronti dei propri clienti business, mantenendo impregiudicata la tutela offerta dall’esenzione ai consumatori finali.
La seconda ipotesi, che già trova applicazione in alcune giurisdizioni extra-UE, appare di più complessa attuazione, giacchè differenzia il trattamento IVA in base al metodo di determinazione del corrispettivo dei servizi e richiede dei correttivi a valle, da operarsi nell’ambito delle imposte sul reddito eventualmente dovute dagli acquirenti.
L’ultima ipotesi ha il pregio della massima semplicità di applicazione, in quanto prevede un trattamento differenziato basato solo sulle macro-categorie di committenti (business o consumatori), i quali ugualmente non si vedrebbero applicare l’IVA dagli operatori finanziari (chi per non imponibilità e chi per esenzione). Gli intermediari godrebbero di un maggiore diritto alla detrazione dell’IVA sugli acquisti, in virtù della quale potrebbero vantare crediti d’imposta da chiedere a rimborso, vista l’impossibilità di addebitare selettivamente e per opzione l’imposta a taluni clienti, come è invece possibile fare nella prima ipotesi.
4. In sintonia rispetto a quello unionale, il nostro legislatore ha deciso di riservare alle operazioni finanziarie (da intendersi come quelle creditizie, assicurative, valutarie o relative a strumenti finanziari) un regime naturale di esenzione IVA, ma senza avvalersi della già menzionata facoltà, pur prevista dalla Direttiva IVA, di accordare agli operatori la possibilità di optare per l’imponibilità ad IVA in relazione alle proprie prestazioni. Invero, l’ordinamento italiano prevede una simile possibilità di opzione che, tuttavia, è riservata ad operazioni che avvengono in ambito immobiliare.
Difatti, l’art. 10, comma 1, n. 8, 8-bis) e 8-ter), Decreto IVA accorda tale facoltà, con riferimento alle cessioni e locazioni immobiliari esenti, relativamente ai quali il cedente o locatore ha facoltà di optare in atto per l’assoggettamento ad imposta. Peraltro, in ambito immobiliare il regime opzionale si accompagna a deroghe circa la sua applicabilità (imponendo talune esenzioni e imponibilità) e ad una differenziazione di aliquote applicabili, così da compendiare le esigenze di gettito alla tutela delle necessità di business e abitative della popolazione.
In materia di servizi finanziari, la decisione di adeguarsi al dettato normativo unionale (non recependone, tuttavia, la possibile opzione per la tassazione) ha, prevedibilmente, comportato la replica, a livello nazionale, delle problematiche – già esaminate nei precedenti paragrafi – relative sia all’incertezza applicativa delle norme in materia di esenzione sia alle distorsioni che l’applicazione generalizzata dell’esenzione causa alla neutralità dell’imposta e alla concorrenza nel mercato.
Sovente, l’incertezza interpretativa ha reso necessario ricorrere all’interpretazione della prassi e della giurisprudenza nazionali che, aderendo all’approccio della giurisprudenza unionale, hanno ristretto l’ambito di applicazione dell’esenzione ai casi nei quali possa dirsi effettivo il contenuto finanziario dell’operazione. Circostanza, questa, non certo semplice ove l’interpretazione si spinga dalle operazioni strictu sensu a quelle latu sensu finanziarie. Ne è un esempio il caso delle operazioni che accedono all’esenzione propria di taluni strumenti finanziari, in ragione dell’essere “relative” ad essi. Il caso, già accennato, ha trovato soluzioni interpretative specifiche dei casi che di volta in volta erano sottoposti all’interpello delle Autorità. Il riferimento muoveva sempre dalla giurisprudenza, ma la continua convergenza tra servizi finanziari e servizi elettronici, unita alla proliferazione di sempre nuove soluzioni offerte sul mercato, tende a rendere incerta l’interpretazione circa l’esentabilità dei servizi, con conseguente accesso all’istituto dell’interpello quale soluzione obbligata per gli operatori che non intendano soggiacere al rischio di contestazioni.
Uno strumento normativo che conferisca agli operatori certezza circa la legittimità del trattamento IVA accordato alle loro prestazioni, senza dover ricorrere all’interpello sarebbe certamente di ampio beneficio per il settore finanziario.
In Italia, delle tre casistiche individuate dallo Studio di cui al precedente paragrafo, due appaiono di più agevole applicazione pratica.
In particolare, l’ipotesi di consentire agli operatori di optare per l’imponibilità IVA con riferimento alle prestazioni finanziarie rese nei confronti di soggetti passivi IVA, mantenendo inalterata l’esenzione nei confronti dei consumatori finali, sarebbe coerente con l’analogo diritto che l’ordinamento italiano accorda in ambito immobiliare.
Dal canto suo, la soluzione che vedrebbe applicata la non imponibilità alle operazioni finanziarie verso soggetti passivi appare di ancora più semplice applicazione pratica e non pone dubbi o necessità di calcolo in merito al diritto di detrarre l’imposta in capo agli operatori finanziari. Invero, essa comporta la verosimile emersione di crediti IVA da recuperare a rimborso o da riportare agli anni successivi (anche se dei correttivi circa i tempi di rimborso potrebbero migliorarne l’impatto finanziario).
Una valutazione concreta in merito a dette soluzioni richiederebbe una riforma della normativa IVA che segua una valutazione preliminare dell’impatto che una simile riforma eserciterebbe sul gettito erariale; una quantificazione, peraltro, di difficile determinazione.
5. Il recente studio del Parlamento Europeo alla base del presente lavoro evidenzia che l’applicazione generalizzata dell’esenzione IVA tende a porsi in contrasto con il principio di neutralità dell’IVA e di libera concorrenza del mercato nel settore dei servizi finanziari. La Direttiva IVA già consente agli Stati Membri di adottare un sistema che consenta agli operatori di optare per l’imponibilità, ma tale possibilità non ha trovato accoglimento, in particolare, in Italia.
Il pregio dello Studio risiede nell’aver identificato una pluralità di soluzioni pratiche e di averne evidenziato le peculiarità, sulla base di concrete esperienze adottate in diverse giurisdizioni, anche non europee. Chi scrive coglie i vantaggi e svantaggi tecnico-operativi che tali soluzioni comportano, mentre gli Stati possono valutarne l’impatto sui mercati e sul gettito erariale.
Ove una delle soluzioni fosse reputata attuabile, il legislatore delegato potrebbe cogliere l’occasione fornita dalla legge delega n. 111/2023 per recepirla, così da meglio orientare la disciplina IVA domestica dei servizi finanziari verso un più compiuto equilibrio, da un lato, tra esenzione e neutralità dell’IVA e, dall’altro, tra tutela della libera concorrenza e tutela del consumatore.
(*) Il saggio è stato sottoposto a double blind peer review con valutazione positiva. Esso confluirà nel fascicolo n. 2/2025 (semestrale) della Rivista telematica di diritto tributario.
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trattati con il supporto di mezzi cartacei, informatici o telematici e con l’impiego di misure di sicurezza atte a garantire la riservatezza del soggetto interessato cui i dati si riferiscono e ad evitare l’indebito accesso a soggetti terzi o a personale non autorizzato.
Natura del conferimento
Il conferimento di alcuni dati personali è necessario. In caso di mancato conferimento dei dati personali richiesti o in caso di opposizione al trattamento dei dati personali conferiti, potrebbe non essere possibile dar corso alla richiesta e/o alla gestione del servizio richiesto e/o alla la gestione del relativo contratto.
Comunicazione dei dati
I dati personali raccolti sono trattati dal personale incaricato che abbia necessità di averne conoscenza nell’espletamento delle proprie attività. I dati non verranno diffusi.
Diritti dell’interessato.
Ai sensi degli articoli 15-20 del GDPR l’utente potrà esercitare specifici diritti, tra cui quello di ottenere l’accesso ai dati personali in forma intelligibile, la rettifica, l’aggiornamento o la cancellazione degli stessi. L’utente avrà inoltre diritto ad ottenere dalla Società la limitazione del trattamento, potrà inoltre opporsi per motivi legittimi al trattamento dei dati. Nel caso in cui ritenga che i trattamenti che Lo riguardano violino le norme del GDPR, ha diritto a proporre reclamo all’Autorità Garante per la Protezione dei Dati Personali ai sensi dell’art. 77 del GDPR.
Titolare e Responsabile per la protezione dei dati personali (DPO)
Titolare del trattamento dei dati, ai sensi dell’art. 4.1.7 del GDPR è Pacini Editore Srl., con sede legale in 56121 Pisa, Via A Gherardesca n. 1.
Per esercitare i diritti ai sensi del GDPR di cui al punto 6 della presente informativa l’utente potrà contattare il Titolare e potrà effettuare ogni richiesta di informazione in merito all’individuazione dei Responsabili del trattamento, Incaricati del trattamento agenti per conto del Titolare al seguente indirizzo di posta elettronica: privacy@pacinieditore.it. L’elenco completo dei Responsabili e le categorie di incaricati del trattamento sono disponibili su richiesta.
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Il Titolare del trattamento
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I dati personali oggetto di trattamento saranno custoditi in modo da ridurre al minimo, mediante l’adozione di idonee e preventive misure di sicurezza, i rischi di distruzione o perdita, anche accidentale, dei dati stessi, di accesso non autorizzato o di trattamento non consentito o non conforme alle finalità della raccolta.
Diritti degli interessati
Ai soggetti cui si riferiscono i dati spettano i diritti previsti dall’art. 7 del D.Lgs. 196/2003 che riportiamo di seguito:
1. L’interessato ha diritto di ottenere la conferma dell’esistenza o meno di dati personali che lo riguardano, anche se non ancora registrati, e la loro comunicazione in forma intelligibile.
2. L’interessato ha diritto di ottenere informazioni:
a) sull’origine dei dati personali;
b) sulle finalità e modalità del trattamento;
c) sulla logica applicata in caso di trattamento effettuato con l’ausilio di strumenti elettronici;
d) sugli estremi identificativi del titolare, dei responsabili e del rappresentante designato ai sensi dell’articolo 5, comma 2;
e) sui soggetti o delle categorie di soggetti ai quali i dati personali possono essere comunicati o che possono venirne a conoscenza in qualità di rappresentante designato nel territorio dello Stato, di responsabili o incaricati.
3. L’interessato ha diritto di ottenere:
a) l’aggiornamento, la rettificazione ovvero, quando vi ha interesse, l’integrazione dei dati;
b) la cancellazione, la trasformazione in forma anonima o il blocco dei dati trattati in violazione di legge, compresi quelli di cui non è necessaria la conservazione in relazione agli scopi per i quali i dati sono stati raccolti o successivamente trattati;
c) l’attestazione che le operazioni di cui alle lettere a) e b) sono state portate a conoscenza, anche per quanto riguarda il loro contenuto, di coloro ai quali i dati sono stati comunicati o diffusi, eccettuato il caso in cui tale adempimento si rivela impossibile o comporta un impiego di mezzi manifestamente sproporzionato rispetto al diritto tutelato.
4. L’interessato ha diritto di opporsi, in tutto o in parte:
a) per motivi legittimi al trattamento dei dati personali che lo riguardano, ancorché pertinenti allo scopo della raccolta;
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