Riflessioni in tema di esenzione IMU per gli immobili di enti pubblici destinati ad attività assistenziali
Di Fabio Benincasa
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Abstract (*)
Il lavoro esamina la tematica dell’esenzione IMU per gli immobili degli enti pubblici destinati ad attività assistenziali, subordinata allo svolgimento con modalità non commerciali. A tal fine, il quadro normativo interno, interpretato alla luce degli orientamenti europei in materia di aiuti di Stato, e la giurisprudenza di legittimità valorizzano la gratuità o, almeno, la simbolicità dei corrispettivi. La rigida applicazione di tale criterio ad enti pubblici convenzionati che operano all’interno di un regime che è istituzionalmente privo finalità lucrative desta però qualche perplessità perché mal si concilia con la richiamata funzione degli stessi enti e con la ratio dell’esenzione che dovrebbero indurre a non ritenere configurabile l’attività economica ai sensi dell’art. 107 TFUE, anche in presenza di corrispettivi sotto forma di rette che coprano parzialmente il costo del servizio.
Reflections on the IMU Exemption for Public Entities’ Buildings Used for Social Assistance Activities – The essay examines the IMU exemption applicable to properties owned by public entities and used for social assistance activities, clarifying that such exemption is subject to the condition that the activity is carried out on a non-commercial basis. The domestic legal framework – interpreted in light of EU rules on State aid – and the position of the Italian Supreme Court of Cassation emphasize the requirement of gratuitousness or symbolic user fees. However, the automatic application of this criterion to public entities operating under a public law regime and without profit-making purposes appears inconsistent with their institutional function and with the rationale of the exemption itself. In such cases, even where user fees partially cover the cost of the service, the activity should not be regarded as economic in nature within the meaning of Article 107 TFEU.
Sommario: 1. Il contesto normativo di riferimento. – 2. La pronuncia della Commissione europea e la questione della configurabilità dell’esenzione in termini di aiuto di Stato. – 3. La lettura della giurisprudenza di legittimità. – 4. Le criticità emergenti con riferimento agli enti pubblici che esercitano attività assistenziali.
1. Come noto, l’art. 7 D.Lgs. n. 504/1992, in materia di ICI, disponeva l’esenzione da imposta, tra le altre ipotesi, per gli immobili utilizzati dai soggetti di cui all’articolo 73, comma 1, lett. c), D.P.R. n. 917/1986 (fatta eccezione per gli immobili posseduti da partiti politici), destinati esclusivamente allo svolgimento con modalità non commerciali di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, di ricerca scientifica, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive, nonché delle attività di cui all’art. 16, lett. a), L. 20 maggio 1985, n. 222.
La perimetrazione delle attività da considerare svolte con modalità non commerciali è stata rimessa dall’art. 91-bis, comma 3, D.L. n. 1/2012, al D.M. 19 novembre 2012, n. 200, poi confermato, nella sua applicazione, dal disposto dell’art.1, comma 759, lett. g), L. n. 160/2019, che, all’art. 3 ha stabilito che le attività istituzionali sono svolte con modalità non commerciali quando l’atto costitutivo o lo statuto dell’ente non commerciale prevedono:
il divieto di distribuire, anche in modo indiretto, utili e avanzi di gestione nonché fondi, riserve o capitale durante la vita dell’ente, in favore di amministratori, soci, partecipanti, lavoratori o collaboratori, a meno che la destinazione o la distribuzione non siano imposte per legge, ovvero siano effettuate a favore di enti che per legge, statuto o regolamento, fanno parte della medesima e unitaria struttura e svolgono la stessa attività ovvero altre attività istituzionali direttamente e specificamente previste dalla normativa vigente;
l’obbligo di reinvestire gli eventuali utili e avanzi di gestione esclusivamente per lo sviluppo delle attività funzionali al perseguimento dello scopo istituzionale di solidarietà sociale;
l’obbligo di devolvere il patrimonio dell’ente non commerciale, in caso di suo scioglimento per qualunque causa, ad altro ente non commerciale che svolga un’analoga attività istituzionale, salvo diversa destinazione imposta dalla legge.
Con riferimento alle attività assistenziali e sanitarie, lo stesso D.M., all’art. 4, comma 2, ha previsto ulteriori requisiti e affermato che si ritengono effettuate con modalità non commerciali quando le stesse:
sono accreditate e contrattualizzate o convenzionate con lo Stato, le Regioni e gli enti locali e sono svolte, in ciascun ambito territoriale e secondo la normativa ivi vigente, in maniera complementare o integrativa rispetto al servizio pubblico, e prestano a favore dell’utenza, alle condizioni previste dal diritto dell’Unione Europea e nazionale, servizi sanitari e assistenziali gratuiti, salvo eventuali importi di partecipazione alla spesa previsti dall’ordinamento per la copertura del servizio universale;
se non accreditate e contrattualizzate o convenzionate con lo Stato, le Regioni e gli enti locali, sono svolte a titolo gratuito ovvero dietro versamento di corrispettivi di importo simbolico e, comunque, non superiore alla metà dei corrispettivi medi previsti per analoghe attività svolte con modalità concorrenziali nello stesso ambito territoriale, tenuto anche conto dell’assenza di relazione con il costo effettivo del servizio.
Le disposizioni di cui sopra, in una lettura combinata, evidenziano l’intento di esentare da imposta amministrazioni ed enti che svolgono funzioni pubbliche, e questo per evitare cortocircuiti e prelievi, finanziariamente inutili, con i quali lo Stato tassa sè stesso (in questo senso si veda, di recente e sulla specifica questione, Cartanese G.M., Conflitto tra enti impositori: sulla tassazione comunale degli immobili provinciali adibiti ad edifici scolastici, in Riv. tel. dir. trib., 2025, 1 e pubblicato online il 17 giugno 2025, su www.dirittotributario.it).
Integrando il quadro normativo con le disposizioni in materia di imposizione diretta si rileva, in ambito IRES, da un lato, che non sono soggetti ad imposta gli organi e le Amministrazioni dello Stato, i Comuni, le Province, le Regioni et similia (art. 74, comma 1, TUIR), e, dall’altro, che, per gli enti pubblici non commerciali, non costituiscono esercizio di attività commerciali (art. 74, comma 2, TUIR): a) l’esercizio di funzioni statali da parte di enti pubblici; b) l’esercizio di attività previdenziali, assistenziali e sanitarie da parte di enti pubblici istituiti esclusivamente a tal fine, comprese le aziende sanitarie locali, nonché, come disposto dall’art. 38, comma 11, D.L. 31 maggio 2010, n. 78 convertito con modificazioni dalla L. 30 luglio 2010, n. 122, l’esercizio di attività previdenziali e assistenziali da parte di enti privati di previdenza obbligatoria.
Il riconoscimento, a fini IRES, della natura non commerciale non solo per le attività che integrano le funzioni proprie dello Stato, ma anche per quelle che costituiscono espressione di attività istituzionali e di valori fondamentali, sia pure esercitate da enti pubblici, induce ad auspicare la definizione di un sistema ad hoc per gli enti pubblici che svolgono attività lato sensu assistenziali che, per le caratteristiche intrinseche, non possono essere considerate commerciali.
2. La questione della compatibilità dell’esenzione IMU in parola con il diritto dell’Unione Europea, ed in particolare con l’art. 107 TFUE,è stata oggetto di numerosi interventi giurisprudenziali, anche di legittimità, che hanno consolidato un orientamento restrittivo che muove i propri passi dalla nota decisione della Commissione dell’Unione Europea n. 2013/284/UE del 19 dicembre 2012, resa sul previgente regime di esenzione dall’ICI per gli immobili utilizzati da enti non commerciali che, dopo aver premesso che per accertare se una misura costituisca aiuto di Stato la Commissione deve valutare se la misura in questione soddisfi tutte le condizioni di cui all’art. 107, par. 1, del Trattato (che dispone: «Salvo deroghe contemplate dai trattati, sono incompatibili con il mercato interno, nella misura in cui incidano sugli scambi tra Stati membri, gli aiuti concessi dagli Stati, ovvero mediante risorse statali, sotto qualsiasi forma che, favorendo talune imprese o talune produzioni, falsino o minaccino di falsare la concorrenza»), ha precisato che la nozione di impresa abbraccia qualsiasi entità che esercita un’attività economica, a prescindere dallo status giuridico di detta entità e dalle sue modalità di finanziamento con la conseguenza che è ininfluente lo status che una legge nazionale specifica conferisce a un determinato soggetto, così come ininfluenti sono la forma giuridica e organizzativa, essendo rilevante solo se il soggetto interessato svolga o meno un’attività economica. Di tal guisa l’applicazione della normativa sugli aiuti di Stato non dipende dal fatto che un soggetto venga costituito per conseguire utili, poiché anche un ente costituito senza fine di lucro può offrire beni e servizi sul mercato e, quindi, essere soggetto alla normativa de quo, pur riconoscendo che alcune attività che adempiono una funzione puramente sociale possono comunque essere considerate non economiche, soprattutto in settori collegati ai doveri e alle responsabilità fondamentali dello Stato.
Sulla base di queste premesse, la Commissione ha, poi, valutato i requisiti di cui al D.M. n. 200/2012 e, ad esempio, con riguardo alle attività nel comparto sanitario che sono accreditate dallo Stato e sono fornite nell’ambito di un contratto o di una convenzione con lo Stato, le Regioni o gli enti locali e sono svolte in maniera complementare o integrativa rispetto al servizio pubblico, ha evidenziato come gli enti interessati, per poter beneficiare dell’esenzione, debbano formare parte integrante del sistema sanitario nazionale, in cui gli ospedali pubblici sono finanziati direttamente dai contributi sociali e da altre risorse statali e forniscono il servizio a titolo gratuito sulla base della copertura universale o dietro versamento di un importo ridotto, che copre soltanto una piccola frazione del costo effettivo del servizio. Gli enti non commerciali che rientrano nella stessa categoria e che soddisfano le stesse condizioni sono anch’essi considerati facenti parte integrante del sistema sanitario nazionale, soddisfacendo tutte le condizioni previste dalla legge, non possono essere considerati imprese.
Con riguardo alle attività non accreditate e svolte nell’ambito di un contratto o una convenzione, la Commissione ha sottolineato, poi, la necessità che esse siano svolte a titolo gratuito ovvero dietro versamento di corrispettivi di importo simbolico (il compenso non deve essere commisurato al costo del servizio) e che il limite della metà del prezzo medio, fissato per le stesse attività svolte nello stesso ambito territoriale con modalità concorrenziali, può essere utilizzato solo per escludere il diritto all’esenzione (come indicano le parole «in ogni caso») e non implica, al contrario, che possano beneficiare dell’esenzione i fornitori di servizi che applicano un prezzo al di sotto di tale limite.
La gratuità o esiguità del corrispettivo, dunque, sarebbero indispensabili per ritenere l’attività non economica.
3. Quest’ultimo concetto, come si diceva, è stato più volte ripreso dalla Corte di Cassazione, che ha circoscritto il perimetro dell’ammissibilità dell’esenzione, collegata all’esercizio dell’attività con modalità non commerciali, dentro i confini della gratuità o del versamento di un corrispettivo simbolico (Cass., sez. V, 12 febbraio 2019, n. 4066; Cass., sez. V, 12 aprile 2019, n. 10288; Cass., sez. VI, 10 settembre 2020, n. 18831; Cass., sez. V, 11 febbraio 2021, nn. 3443, 3444 e 3446; Cass., sez. VI, 13 maggio 2022, n. 15364; Cass., sez. V, 15 giugno 2023, n. 17142; Cass., sez. V, 12 marzo 2024, n. 6501), precisando che le condizioni per l’esenzione «sono subordinatealla compresenza di un requisito soggettivo, costituito dallo svolgimento di determinate attività – descritte dalla disposizione – da parte di un ente che non abbia come oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali, e di un requisito oggettivo, rappresentato dallo svolgimento esclusivo nell’immobile di attività di assistenza o di altre attività equiparate, il cui accertamento deve essere operato in concreto, verificando che l’attività cui l’immobile è destinato, pur rientrando tra quelle esenti, non sia svolta con le modalità di un’attività commerciale» (così Cass., sez. V, 16 dicembre 2024, n. 32690).
Questi arresti sono confermativi dell’orientamento espresso dalla Corte, anche in fattispecie riferibili a periodi di imposta precedenti alla modifica normativa di cui al citato art. 7, comma 1, lett. i), D.Lgs. n. 504/1992, ad opera dell’art. 91-bis, comma 1, D.L. n. 1/2012, nelle quali si è rilevato che il diritto all’esenzione dall’ICI presuppone che l’utilizzo, pur indiretto, dell’unità immobiliare avvenga con modalità non commerciali, e questo in conformità alla decisione della Commissione europea, al fine di evitare che il regime dell’esenzione si risolva in un aiuto di Stato (Cass., 30 settembre 2019, n. 24308; Cass., 5 settembre 2019, n. 22223; Cass., 15 marzo 2019, n. 7415; Cass., 8 luglio 2016, n. 13970).
E tanto è stato riferito anche all’IMU, ritenendo che l’esenzione dall’imposta sia fruibile solo qualora l’immobile sia utilizzato direttamente da soggetti pubblici o privati che non abbiano come oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali ed ivi svolgano effettivamente (sempre con modalità non commerciali) attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, di ricerca scientifica, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive, nonché (quelle) di cui all’art. 16, lett. a), L. 20 maggio 1985, n. 222 (attività di religione e di culto), purché gli immobili siano direttamente utilizzati dall’ente possessore e siano destinati esclusivamente ad attività peculiari non produttive di reddito, non spettando il beneficio in caso di utilizzazione indiretta, seppur assistita da finalità di pubblico interesse (Cass., sez. V, 15 giugno 2023, n. 17100; cfr. anche Cass., sez. V, 16 dicembre 2024, n. 32690).
Ancora di recente, analogo orientamento è stato espresso con riferimento allo svolgimento di attività didattica (cfr. Cass., 26 luglio 2024, n. 20971; Cass., 9 febbraio 2024, n. 3674; Cass., 13 aprile 2023, n. 9927; Cass., 16 febbraio 2023, n. 4946; Cass., 29 novembre 2022, n. 35123) specificando che per l’attività didattica, il corrispettivo simbolico è quello caratterizzato da un ricavo irrisorio, marginale e del tutto residuale rispetto alla natura della prestazione, tale da non potersi porre in relazione con il servizio reso, in quanto avente natura meramente formale e utile a rendere la prestazione più prossima a un’erogazione gratuita che a quella sotto-remunerata rispetto ai parametri medi di settore (così Cass., 2 ottobre 2023, n. 27821) e in tema di esenzione prevista per lo svolgimento di attività ricettive (Cass., 27 luglio 2023, n. 22954; Cass., 14 settembre 2021, n. 24655; Cass., 14 maggio 2020, n. 8964; Cass., 15 marzo 2019, n. 7415).
In sostanza, la giurisprudenza di legittimità ritiene che «a fare il discrimine in questo caso è la retta» (così Cass., 14 maggio 2025, n. 12947) perché sarebbe proprio il dato normativo ad imporre una valutazione puntuale, non predeterminata ma riferita alle specifiche condizioni in cui opera il singolo contribuente, per verificare che l’irrisorietà del corrispettivo consenta di considerarlo inidoneo a porsi pure come larvata forma retributiva dell’attività didattica prestata.
4. L’orientamento restrittivo emerso nel contesto dell’applicazione del diritto dell’Unione Europea in materia di aiuti di Stato, fondato sulla necessità che le attività esenti da imposta siano svolte in assenza di fini economici, non può, però, non sollevare dubbi quando viene applicato senza distinzione anche agli enti pubblici che svolgono attività assistenziali in convenzione con soggetti istituzionali.
Gli immobili degli enti pubblici, adoperati in tale contesto, sono finalizzati ad un uso puramente pubblicistico e la ratio dell’esenzione è collegata alla loro destinazione a fini istituzionali, allo scopo di salvaguardare e tutelare il migliore esercizio delle finalità pubbliche, evitando quella sottrazione di risorse che deriverebbe dall’assoggettamento ad imposta, essendo indiscutibile che il pagamento di un’imposta patrimoniale come l’IMU determinerebbe una ingiusta compressione delle risorse disponibili per le attività assistenziali, compromettendone l’efficienza e incidendo negativamente sull’equilibrio economico-finanziario dell’ente.
L’elemento qualificante dell’utilizzo non commerciale dell’immobile non può, quindi, essere ricercato unicamente nel criterio della gratuità o della simbolicità della retta, come accade nel caso degli enti privati non commerciali, ma deve essere valutato alla luce delle peculiarità del regime giuridico pubblicistico in cui l’ente opera.
Se la valutazione della fattispecie deve essere puntuale e adattata al caso concreto, allora devono essere considerate:
la presenza di convenzioni con enti statali o territoriali per l’esercizio di attività rientranti nei livelli essenziali delle prestazioni;
la soggezione a vincoli normativi e contabili stringenti, come l’obbligo di pareggio di bilancio e il rispetto dei criteri di efficienza, efficacia ed economicità;
l’assenza di scopo di lucro e la previsione di reinvestimento degli eventuali avanzi nella gestione dell’attività;
la sottoposizione a vincoli stringenti per quanto concerne l’acquisizione dei fattori produttivi (personale e beni e servizi) rispetto al libero mercato e alla soggezione degli stessi al controllo del concedente.
In questo contesto, gli importi richiesti all’utenza – pur non qualificabili come simbolici in senso stretto – non assumono una funzione remunerativa, ma rappresentano una forma di partecipazione alla spesa ammessa dall’ordinamento, coerente con la logica del servizio pubblico universale.
Lo stesso art. 4 D.M. n. 200/2012, peraltro, ammette espressamente tale possibilità, senza imporre il requisito della simbolicità nei confronti degli enti accreditati e convenzionati, quando non esclude dalla configurabilità di attività non commerciali la presenza di «eventuali importi di partecipazione alla spesa previsti dall’ordinamento per la copertura del servizio universale», senza menzionare il termine “simbolici” in relazione agli eventuali importi di partecipazione alla spesa. E, del resto, anche la circolare n. 2DF/2009 del MEF aveva precisato che si intendono svolte con modalità non esclusivamente commerciali le attività convenzionate o contrattualizzate per le quali sono previste “rette” nella misura fissata in convenzione, a condizione che l’attività non chiuda con un risultato superiore al pareggio economico.
Sarebbe, quindi, auspicabile, una migliore valorizzazione del contesto complessivo in cui opera l’ente pubblico, con la distinzione delle situazioni in cui la copertura parziale dei costi tramite rette rientra in un equilibrio istituzionale imposto per legge, rispetto ai casi in cui essa dissimuli un’attività economica. A tal fine, il solo fatto che un ente pubblico richieda un contributo agli utenti non dovrebbe implicare, di per sé, la natura commerciale dell’attività, almeno se le rette praticate sono inferiori al costo sopportato dall’ente pubblico, che poi riceve finanziamenti dal concedente la convenzione per poter continuare l’esercizio dell’attività.
In conclusione, qualora l’ente pubblico svolga attività assistenziali in regime convenzionale, nel rispetto dei vincoli pubblicistici sopra richiamati, e utilizzi l’immobile direttamente e stabilmente per tali fini, l’attività non dovrebbe considerarsi economica ai sensi dell’art. 107 TFUE, e l’esenzione IMU prevista in tali casi non dovrebbe configurarsi come aiuto di Stato. Diversamente opinando, si rischierebbe di assimilare in modo acritico enti pubblici e soggetti privati, vanificando la funzione sociale della fiscalità locale e generando un irragionevole cortocircuito tra principio di solidarietà e disciplina tributaria.
(*) Il saggio è stato sottoposto a double blind peer review con valutazione positiva. Esso confluirà nel fascicolo n. 2/2025 (semestrale) della Rivista telematica di diritto tributario.
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I dati personali sono trattati con strumenti manuali e automatizzati, per il tempo necessario a conseguire lo scopo per il quale sono stati raccolti e, comunque per il periodo imposto da eventuali obblighi contrattuali o di legge.
I dati personali oggetto di trattamento saranno custoditi in modo da ridurre al minimo, mediante l’adozione di idonee e preventive misure di sicurezza, i rischi di distruzione o perdita, anche accidentale, dei dati stessi, di accesso non autorizzato o di trattamento non consentito o non conforme alle finalità della raccolta.
Diritti degli interessati
Ai soggetti cui si riferiscono i dati spettano i diritti previsti dall’art. 7 del D.Lgs. 196/2003 che riportiamo di seguito:
1. L’interessato ha diritto di ottenere la conferma dell’esistenza o meno di dati personali che lo riguardano, anche se non ancora registrati, e la loro comunicazione in forma intelligibile.
2. L’interessato ha diritto di ottenere informazioni:
a) sull’origine dei dati personali;
b) sulle finalità e modalità del trattamento;
c) sulla logica applicata in caso di trattamento effettuato con l’ausilio di strumenti elettronici;
d) sugli estremi identificativi del titolare, dei responsabili e del rappresentante designato ai sensi dell’articolo 5, comma 2;
e) sui soggetti o delle categorie di soggetti ai quali i dati personali possono essere comunicati o che possono venirne a conoscenza in qualità di rappresentante designato nel territorio dello Stato, di responsabili o incaricati.
3. L’interessato ha diritto di ottenere:
a) l’aggiornamento, la rettificazione ovvero, quando vi ha interesse, l’integrazione dei dati;
b) la cancellazione, la trasformazione in forma anonima o il blocco dei dati trattati in violazione di legge, compresi quelli di cui non è necessaria la conservazione in relazione agli scopi per i quali i dati sono stati raccolti o successivamente trattati;
c) l’attestazione che le operazioni di cui alle lettere a) e b) sono state portate a conoscenza, anche per quanto riguarda il loro contenuto, di coloro ai quali i dati sono stati comunicati o diffusi, eccettuato il caso in cui tale adempimento si rivela impossibile o comporta un impiego di mezzi manifestamente sproporzionato rispetto al diritto tutelato.
4. L’interessato ha diritto di opporsi, in tutto o in parte:
a) per motivi legittimi al trattamento dei dati personali che lo riguardano, ancorché pertinenti allo scopo della raccolta;
b) al trattamento di dati personali che lo riguardano a fini di invio di materiale pubblicitario o di vendita diretta o per il compimento di ricerche di mercato o di comunicazione commerciale.
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