Plusvalenze e Superbonus: profili di costituzionalità della nuova disciplina impositiva
Di Angelo Galante
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Abstract (*)
La Legge di Bilancio 2024 ha introdotto una nuova disciplina di tassazione delle plusvalenze derivanti dalla cessione di immobili oggetto di interventi agevolati con Superbonus, modificando gli artt. 67 e 68 TUIR. Il contributo analizza i profili di incostituzionalità della novella, in particolare sotto il profilo della violazione del principio di capacità contributiva (art. 53 Cost.), della ragionevolezza del prelievo (art. 3 Cost.) e della lesione del legittimo affidamento del contribuente (artt. 3, 23, 97 Cost.). Si propone una lettura costituzionalmente orientata che richiama i precedenti della Corte costituzionale e della giurisprudenza europea in materia di retroattività delle norme tributarie.
Capital gains and Superbonus: constitutional profiles of the new tax regime – The 2024 Budget Law introduced a new rule for taxing capital gains on real estate sales after state-funded renovations under the Superbonus scheme. This essay explores the constitutional concerns raised by the amended articles 67 and 68 of the Italian Income Tax Code, focusing on potential violations of the principles of tax capacity, reasonableness, and legitimate expectations. Drawing from Italian Constitutional Court case law and European jurisprudence, the paper suggests a constitutionally compliant interpretation.
Sommario: 1. Premessa e quadro normativo. – 2. La violazione del principio di capacità contributiva e l’irragionevolezza del nuovo sistema impositivo. – 3. Profili di lesione dell’affidamento e retroattività normativa.
1. La Legge di Bilancio n. 213/2023, art. 1, commi 64 – 67, ha introdotto una nuova fattispecie di plusvalenze immobiliari imponibili, relativa alle cessioni di immobili che siano stati oggetto di interventi agevolati ai sensi dell’art. 119 D.L. n. 34/2020 (Superbonus). In particolare, è stata aggiunta la lettera b-bis) al comma 1 dall’art. 67 TUIR in materia di redditi diversi, che ha previsto l’imponibilità e la tassazione delle plusvalenze realizzate mediante cessione a titolo oneroso di beni immobili, successive al 1° gennaio 2024, sui quali il cedente o gli altri aventi diritto abbiano eseguito i citati interventi agevolati, e che all’atto della cessione si siano conclusi da non più di dieci anni (esclusi gli immobili acquisiti per successione e quelli che siano stati adibiti ad abitazione principale del cedente o dei suoi familiari per la maggior parte dei dieci anni antecedenti alla cessione o per la maggior parte di tale periodo, qualora tra la data di acquisto o di costruzione e la cessione sia decorso un periodo inferiore a dieci anni).
Con il comma 1 dell’art. 68 D.P.R. n. 917/1996 sono stati definiti i parametri ed i termini per la quantificazione di tali plusvalenze «costituite dalla differenza tra i corrispettivi percepiti nel periodo di imposta e il prezzo di acquisto o il costo di costruzione del bene ceduto, aumentato di ogni altro costo inerente al bene medesimo». Si è poi specificato che: «Per i medesimi immobili di cui alla lettera b-bis) del comma 1 dell’articolo 67, acquisiti o costruiti, alla data della cessione, da oltre cinque anni, il prezzo di acquisto o il costo di costruzione, determinato ai sensi dei periodi precedenti, è rivalutato in base alla variazione dell’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati».
In sostanza, il legislatore ha distinto tra coloro che hanno usufruito dell’agevolazione a costo zero, mediante cessione di credito o sconto in fattura (artt. 119 e 121, comma 1, lett. a) e b), D.L. n. 34/2020), e coloro che, invece, hanno sopportato in proprio la spesa dei lavori per recuperare, poi, l’agevolazione tramite compensazione fiscale entro i successivi 4 anni in base alla loro capacità reddituale. Per i primi si prevede, ai fini della quantificazione della plusvalenza, che, entro i primi cinque anni dalla conclusione dei lavori, non sia possibile portare in detrazione dal prezzo di vendita le spese relative all’intervento, mentre le stesse potranno essere detratte per il 50% se la cessione è successiva; per i secondi, invece, sarà possibile avvalersi della detrazione interamente e fin da subito.
La ratio dichiarata attiene al recupero a tassazione dei benefici patrimoniali derivanti dall’intervento pubblico, ritenuti potenzialmente speculativi. Tuttavia, la norma estende la tassazione anche a fattispecie non riconducibili a questa specifica ipotesi, incidendo su vendite infra-decennali di immobili posseduti da lungo tempo e oggetto di ristrutturazione in buona parte finanziata dal contribuente. In sostanza, in ipotesi di cessione infra-decennale, il contribuente che abbia acquisito l’immobile in epoca remota e vi abbia eseguito interventi agevolati ai sensi dell’art. 119 D.L. n. 34/2020, sostenendone direttamente il costo con recupero mediante detrazione IRPEF, si vede assoggettato a imposta su una plusvalenza calcolata quale differenza tra il corrispettivo di vendita e il prezzo di acquisto, rivalutato con gli indici ISTAT, al netto delle spese di ristrutturazione.
Tale criterio conduce, in molteplici casi, a una base imponibile non coerente con l’effettiva manifestazione di capacità contributiva. A ciò si aggiunga che, qualora il contribuente non abbia potuto compensare integralmente le detrazioni per sopravvenuta incapienza reddituale o per eventi interruttivi (ad esempio, decesso), il beneficio fiscale risulta solo potenziale o addirittura inesistente, con effetti distorsivi e sproporzionati sul piano impositivo.
2. Come già illustrato, la lett. b-bis) dell’art. 67 TUIR, la cui portata sistematica merita ulteriore approfondimento, ha introdotto una nuova ipotesi di tassazione delle plusvalenze immobiliari, estendendone l’ambito oggettivo alle ipotesi già richiamate e colpendo le cessioni infra-decennali di immobili oggetto di interventi Superbonus.
Tale intervento normativo, benché giustificato sul piano politico con l’esigenza di disincentivare fenomeni di speculazione immobiliare legati all’uso strumentale dell’incentivo pubblico, si discosta in modo sensibile dalla logica impositiva della preesistente lett. b), la quale ancora l’assoggettabilità a imposta all’esistenza di una presunzione legale di intento speculativo, desunta dalla vendita infraquinquennale dell’immobile rispetto al suo acquisto.
La nuova disciplina non solo prescinde da tale criterio temporale, ma opera un salto concettuale: fa discendere la tassazione dalla mera esistenza di un beneficio statale, attribuendo al contribuente un vantaggio reddituale in via presuntiva, anche in assenza di qualunque elemento oggettivo di speculazione. In questo modo, l’imposizione colpisce fattispecie in cui il contribuente può aver acquistato l’immobile molti anni prima, per finalità estranee a intenti lucrativi, e averlo ristrutturato con fondi propri confidando in un recupero graduale del costo tramite detrazione IRPEF.
Il criterio di determinazione della plusvalenza, basato sul confronto tra il prezzo di vendita e il valore storico di acquisto rivalutato in base agli indici ISTAT, risulta inidoneo a riflettere il reale incremento patrimoniale ascrivibile agli interventi incentivati. Come noto, la rivalutazione ISTAT intercetta esclusivamente l’erosione monetaria su base inflattiva e non tiene conto del forte apprezzamento del valore immobiliare avvenuto negli ultimi decenni. Si produce così una distorsione: la plusvalenza imponibile può incorporare incrementi del tutto sganciati dall’agevolazione e risalenti a epoche precedenti la sua introduzione.
Tale assetto determina effetti regressivi e irragionevoli, soprattutto nei confronti dei contribuenti che abbiano sostenuto direttamente i costi dei lavori. In queste ipotesi, l’intervento pubblico si risolve in un beneficio solo potenziale, da recuperare nel tempo in base alla capacità contributiva del soggetto, senza alcuna certezza di integrale fruizione. Circostanze come la sopravvenuta incapienza reddituale o il decesso del contribuente possono infatti impedire, in tutto o in parte, la compensazione delle somme anticipate, rendendo il beneficio fiscale non effettivo e aggravando l’impatto dell’imposta sulla plusvalenza.
In tale contesto, la norma appare in contrasto con i principi di proporzionalità, ragionevolezza e capacità contributiva sanciti dagli artt. 3 e 53 della Costituzione, poiché assoggetta a imposizione una ricchezza meramente presunta e non sempre attuale o effettivamente riferibile al contribuente.
3. A quanto sopra si aggiunge un ulteriore profilo di illegittimità, concernente la lesione del principio del legittimo affidamento. Come noto, tale principio è fondamentale per il nostro sistema ed è desumibile già dagli artt. 3, 23, 53 e 97 della Costituzione, oltre che essere positivizzato nello Statuto dei diritti del contribuente.
La giurisprudenza di legittimità e costituzionale ha più volte ribadito che il principio del legittimo affidamento impone all’ordinamento tributario di garantire la prevedibilità delle conseguenze fiscali delle condotte poste in essere dal contribuente in base alla normativa vigente al momento della loro realizzazione (Cass., sez. V, 6 ottobre 2006, n. 21513; Corte cost., 27 giugno 2017, n. 149).
Nel caso di specie, la disposizione introdotta con l’art. 1, comma 67, lett. b-bis), L. n. 213/2023 interviene in un momento in cui numerosi contribuenti avevano già concluso gli interventi di efficientamento energetico oggetto di Superbonus, completando la relativa procedura amministrativa ed eseguendo le spese necessarie, anche con il supporto di professionisti incaricati della progettazione, asseverazione e gestione della pratica.
In tale contesto, l’eventuale intenzione del contribuente di alienare il bene successivamente all’intervento non poteva che fondarsi sull’assetto normativo vigente al momento dell’avvio dei lavori, il quale non prevedeva alcuna forma di tassazione della plusvalenza generata dalla valorizzazione dell’immobile agevolato.
L’introduzione sopravvenuta di un’imposta su tali operazioni determina, quindi, un effetto retroattivo sostanziale, in quanto incide su scelte ormai irreversibili, già perfezionate sul piano economico e giuridico. Se la nuova disciplina fosse stata conosciuta ex ante, il contribuente avrebbe potuto valutare soluzioni differenti, come rinunciare all’agevolazione, limitare l’entità degli interventi o optare per una diversa tempistica nella vendita. In ogni caso, la decisione sarebbe stata assunta con piena consapevolezza delle conseguenze fiscali.
A ciò si aggiunga che l’onerosità dell’intervento è stata spesso aggravata dall’aumento dei costi determinato proprio dall’introduzione dell’incentivo, nonché dalla necessità di sostenere spese specialistiche per finalità unicamente funzionali alla fruizione del beneficio fiscale. In taluni casi, e come già ricordato, tali costi sono stati sostenuti in assenza di una garanzia effettiva di recupero, specie per contribuenti con capienza fiscale limitata o con orizzonte temporale breve (si pensi al decesso, all’incapienza sopravvenuta, all’impossibilità di trasferire l’agevolazione agli eredi). In queste ipotesi, l’obbligo di versare l’intera imposta sulla plusvalenza al momento della vendita dell’immobile, a fronte del solo diritto – incerto e differito – di recuperare nel tempo l’agevolazione, risulta particolarmente gravoso e iniquo.
Si tratta, dunque, di una situazione in cui la tassazione sopravviene a presupposti fattuali e giuridici già realizzatisi, alterando unilateralmente l’equilibrio economico su cui si è fondata la decisione del contribuente di accedere al beneficio edilizio. Tale effetto si configura come una retroattività impropria, che, pur non integrando formalmente una violazione dell’art. 11 delle preleggi, contrasta con i principi di certezza del diritto e tutela dell’affidamento del contribuente, come interpretati dalla giurisprudenza costituzionale (Corte cost., 23 maggio 1966, n. 44) e dalla Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU, 14 febbraio 2012, Arras c. Italia), secondo cui l’adozione di misure retroattive, specie in materia tributaria, deve essere giustificata da motivazioni imperative e interpretata in senso restrittivo.
Alla luce di quanto esposto, la disciplina introdotta sembrerebbe contrastare con il principio di irretroattività sostanziale delle norme tributarie, con il principio di capacità contributiva e con i canoni di ragionevolezza, proporzionalità e coerenza sistemica propri dell’ordinamento costituzionale.
Un’impostazione maggiormente conforme al dettato costituzionale avrebbe richiesto l’adozione di criteri alternativi di determinazione della base imponibile, quali: (i) l’ancoraggio al valore di mercato dell’immobile antecedente all’intervento agevolato, eventualmente certificabile tramite perizia; (ii) la determinazione forfettaria del valore iniziale in base a un termine prossimo alla conclusione dei lavori (ad esempio, cinque anni prima); oppure (iii) l’introduzione, per i soggetti che abbiano sostenuto in proprio la spesa, di un regime opzionale di imposta sostitutiva parametrata al reale recupero della detrazione fiscale in sede di dichiarazione dei redditi.
Tali soluzioni avrebbero permesso di evitare un prelievo eccessivo, formalmente giustificato ma sostanzialmente disallineato rispetto al presupposto economico dell’imposizione, assicurando al tempo stesso il rispetto dei principi fondamentali dell’ordinamento tributario.
(*) Il saggio è stato sottoposto a double blind peer review con valutazione positiva. Esso confluirà nel fascicolo n. 2/2025 (semestrale) della Rivista telematica di diritto tributario.
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
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Colli Vignarelli A., L’art. 10, comma 2, nello Statuto del contribuente riformato: tutela o discriminazione?, in Riv. tel. dir. trib., 2024, 1, 9 ss.
Della Valle E., La valorizzazione dell’affidamento del contribuente, in in Riv. tel. dir. trib., 2024, 1, 18 ss.
Orlando A., Cessione di immobili interessati dal c.d. Superbonus e plusvalore fiscalmente rilevante: fra finalità perequative e disposizioni attuative, in Innovazionee Diritto, 2025, 1, 39 ss.
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