Diritti di confine nell’ambito della riforma doganale e profili di coordinamento con il diritto dell’Unione Europea
Di Fabrizio Vismara
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Abstract (*)
L’articolo esamina la nozione di diritti di confine e il percorso giurisprudenziale, nazionale e dell’Unione Europea, volto a darne una definizione. Vengono poi esaminate le norme introdotte dalla recente riforma del diritto doganale in tema di soggetti obbligati all’IVA all’importazione e la loro compatibilità con i principi del diritto dell’Unione Europea e, in particolare, con il principio di proporzionalità.
Boundary rights in the context of customs reform and coordination with European Union law – This article examines the definition of boundary rights and the case-law path, both national and EU, aimed at defining them. It then examines the rules introduced by the recent reform of customs law with reference to the persons liable for VAT on importation and their compatibility with the principles of European Union law and, in particular, the principle of proportionality.
Sommario:1. Diritti doganali e diritti di confine: il perimetro della definizione. – 2. La prospettiva aperta dalla Corte di Giustizia (C-2020) e l’intervento del legislatore della riforma. Le relative implicazioni. – 3. I limiti della discrezionalità degli Stati nell’attuazione dell’art. 201 Direttiva 2006/112/CE. – 4. La rilevanza del principio di proporzionalità. – 5. Lo scrutinio dell’art. 30, All. 1, D.Lgs. n. 141/2024 alla luce dei principi del diritto dell’Unione Europea. Rilievi conclusivi.
1. L’espressione “diritti di confine” si riscontra nella normativa postunitaria italiana già nel Testo Unico delle leggi doganali del 1889, entrato in vigore il 1° gennaio 1890 (cfr. art. 7, rubricato “Pagamento e riscossione dei diritti”, il cui primo comma prevede: «I diritti di confine, quelli di bollo e qualsiasi altro diritto inerente alle operazioni doganali sono regolati e riscossi secondo le speciali leggi e tariffe». Sulla normativa doganale postunitaria cfr. Nicali A., Storia delle dogane: profili storici della politica doganale italiana, Roma, 1997, 45 ss.). Per contro, il R.D. 11 settembre 1862, n. 867 che approvava un nuovo regolamento doganale, utilizzava l’espressione “diritti doganali” (cfr. art. 12) o semplicemente “diritti” (cfr. art. 9). Nel R.D. 26 gennaio 1896, n. 20, che approvava il Testo Unico delle leggi doganali, i diritti di confine venivano individuati come sottoinsieme dei diritti inerenti alle operazioni doganali, includendo, per espressa previsione normativa «i dazid’entrata, quelli di uscita e le sopratasse» (cfr. art. 9, comma 4. In relazione alla già vigente disciplina, con particolare riferimento al tema dei soggetti passivi, cfr. Pesenti A.M., I soggetti passivi dell’obbligazione doganale, Padova, 1934. In relazione alla distinzione tra diritti doganali e diritti di confine cfr. Fiorenza S., Diritti doganali e diritti di confine, in Riv. dir. fin., 1976, 418 ss.). La legge doganale 25 settembre 1940, n. 1424, ha mantenuto tale nozione, con la chiara distinzione tra i diritti doganali, quale insieme più generale di prelievi funzionali o connessi alle operazioni doganali e i diritti di confine, aventi natura tributaria (cfr. art. 7 secondo cui «Si considerano “diritti doganali” tutti quei diritti che la dogana è tenuta a riscuotere in forza di una legge, in relazione alle operazioni doganali. Fra i diritti doganali costituiscono “diritti di confine”: i dazi di importazione e quelli di esportazione, ed inoltre, per quanto concerne le merci in importazione, i diritti di monopolio, le sovrimposte di fabbricazione ed ogni altra imposta o sovrimposta di consumo a favore dello Stato»).
Nella successiva e già vigente disciplina di cui al Testo Unico delle leggi doganali approvato con D.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43 (TULD), l’art. 34 ha sostanzialmente ripreso la predetta distinzione tra diritti doganali e diritti di confine (per riferimenti anche bibliografici cfr. De Cicco A., Diritto doganale, in Dig. disc. priv. sez. comm., Agg., 2007, 322 ss. Più in generale cfr. Ardizzone G., Presupposto del tributo e utilizzazione della merce nel diritto doganale, Rimini, 1984). Inoltre, l’art. 38 TULD ha previsto che al pagamento della imposta doganale fossero obbligati il proprietario della merce, a norma del suo art. 56, e, solidamente, tutti coloro per conto dei quali la merce fosse stata importata o esportata (al riguardo la giurisprudenza aveva ritenuto che il richiamo operato dal predetto art. 56, ai fini della individuazione dei soggetti passivi dell’obbligazione doganale, configurasse, sia pure ricorrendo ad una fictio iuris, come proprietario della merce anche colui che la presenta in dogana, ovvero che la detiene al momento della entrata nel territorio doganale o dell’uscita dal territorio medesimo. Cfr. Cass., Sez. Un., 15 gennaio 1993, n. 499).
L’art. 56 TULD prevedeva che ogni operazione doganale dovesse essere preceduta da una dichiarazione in dogana da rendersi ai sensi dell’art. 64 Regolamento (CEE) n. 2913/92 del Consiglio, del 12 ottobre 1992, richiamando così, peraltro con riferimento al previgente codice doganale, le relative disposizioni in tema di presentazione della dichiarazione in dogana. Come emerge dalla giurisprudenza, il soggetto passivo dell’obbligazione doganale restava l’importatore, ancorché si fosse avvalso di un rappresentante in dogana (in tal senso cfr. Cass., 8 gennaio 2004, n. 85, secondo cui lo spedizioniere doganale, il quale abbia pagato l’imposta doganale, può pretendere in base alle norme sul mandato il rimborso dal soggetto che gli ha conferito l’incarico di compiere le operazioni doganali, dovendo altrimenti indirizzare la pretesa nei confronti del proprietario della merce che, nonostante il ricorso all’attività dello spedizioniere, rimane il soggetto passivo del rapporto tributario), fermo in capo al dichiarante il diritto di ripetere dall’importatore quanto avesse versato a tale titolo (cfr. Cass., 26 gennaio 1999, n. 675). In tale contesto la giurisprudenza evidenziava come l’inclusione dell’IVA nell’ambito dei diritti di confine non ne implicasse un’assimilazione rispetto ai dazi (cfr. Cass., 23 settembre 2016, n. 18643, secondo cui «È ben vero che secondo “la normativa nazionale nei “diritti doganali” costituenti l’obbligazione doganale sono compresi i “diritti di confine”, a loro volta comprensivi non solo dei dazi doganali all’importazione, ma anche dell’IVA all’importazione e delle accise (art. 34 TULD), ma ciò non consente di confondere, unificandoli nella sostanza e negli effetti, i dazi doganali e l’IVA all’importazione anche se entrambi traggono origine dal medesimo fatto, che è l’importazione della merce nell’Unione»).
Al di là della descritta assimilazione operata dalla giurisprudenza, sul piano normativo vi è un ulteriore richiamo alle regole in materia di diritti di confine con riferimento all’IVA dovuta all’importazione. L’art. 70, comma 1, D.P.R. n. 633/1972, prevede, infatti, che l’imposta relativa alle importazioni sia accertata, liquidata e riscossa per ciascuna operazione e che si applichino per quanto concerne le controversie e le sanzioni, le disposizioni delle leggi doganali relative ai diritti di confine (per un’analisi della previsione cfr. Cerioni F., Art. 70, in Galleani d’Agliano N., a cura di, Codice IVA nazionale e comunitaria, Milano, 2023, 1467 ss.). I dazi all’importazione, inoltre, vengono a integrare la base imponibile a fini IVA: la Corte di Giustizia ha, infatti, confermato che l’IVA viene ad applicarsi anche sui dazi doganali e le tasse di effetto equivalente dovuti all’importazione delle merci (ciò sulla base dell’art. 11, parte B, n. 3, lett. a), Sesta direttiva. Cfr. Corte di Giustizia, sentenza 29 luglio 2010, causa C-248/09, Pakora, Racc., 2010, I-07701).
2. Nello scenario descritto nel paragrafo che precede, una rilevante implicazione consisteva nel qualificare il rappresentante doganale indiretto quale debitore d’imposta a fini IVA, con applicazione delle regole contenute nel codice doganale in tema di solidarietà tributaria (cfr. Cass., 17 aprile 2013, n. 9271). Va al riguardo ricordato che la rappresentanza in dogana, secondo la disciplina unionale, può assumere la forma diretta o quella indiretta (cfr. l’art. 1, comma 1, seconda parte, Regolamento (UE) 952/2013. Sulle problematiche connesse alla rappresentanza indiretta in ambito doganale cfr. Trivellin M., Rappresentanza indiretta nel regime dell’immissione in libera pratica: problematiche aperte sulla soggettività passiva in materia di dazi e di IVA all’importazione, in Dir. prat. trib., 2004, 3, I, 551 ss. Più in generale, sulla disciplina della rappresentanza cfr. Stella G., La rappresentanza, in Roppo V., diretto da, Trattato del contratto, Milano, 2006, 721 ss.; De Nova G., La rappresentanza, in Sacco R. – De Nova G., Il contratto, vol. 2, Torino, 1993, 175 ss.; D’Amico P., Rappresentanza [dir. civ.], in Enc. giur., XXV, Roma, 1991, 1 ss.; Visintini G., Della rappresentanza, in Commentario del codice civileScialoja Branca,Art. 1387, Bologna – Roma, 1993). Come è noto, sussiste la prima forma di rappresentanza quando il rappresentante doganale agisce in nome e per conto di un’altra persona, mentre si configura la rappresentanza indiretta quando chi agisce opera in nome proprio, ma per conto di un’altra persona. Consegue a quanto precede che nell’ambito della rappresentanza diretta, il dichiarante in dogana è il rappresentato, cioè la persona in nome della quale è effettuata la presentazione della dichiarazione, mentre nell’ambito della rappresentanza indiretta il dichiarante è il rappresentante, in quanto soggetto che presenta la dichiarazione a nome proprio (si veda, tra le tante, Cass. civ., 29 maggio 2013, n. 13307), fermo restando che, in caso di rappresentanza indiretta, è debitrice anche la persona per conto della quale è fatta la dichiarazione in dogana (cfr. Cass. n. 13307/2013, cit., dove si osserva, peraltro con riferimento al già vigente codice doganale, che quest’ultimo stabilisce la solidarietà passiva dello spedizioniere doganale o di chiunque presenti la merce per conto di altri con il soggetto passivo dell’obbligazione tributaria, quando agisce nell’ambito della rappresentanza indiretta, diventando lui stesso dichiarante e dunque responsabile solidale con il rappresentato nell’obbligazione doganale, sicché appare giustificato ritenere lo spedizioniere doganale professionale responsabile in solido con il debitore per il pagamento della pretesa erariale).
La prospettiva precedente alla riforma ha trovato un correttivo grazie ad un recente intervento della Corte di Giustizia. Si tratta della sentenza 12 maggio 2022, C-714/20 (cfr. ECLI:EU:C:2022:374. Per un commento a tale sentenza cfr. Messina S., Iva all’importazione e responsabilità del rappresentante doganale indiretto: la Corte di giustizia ribalta la giurisprudenza della Corte di cassazione, in Dir. prat. trib. int., 2022, 4, 1736 ss.) resa nell’ambito di un rinvio pregiudiziale proposto dalla Commissione tributaria provinciale di Venezia, in relazione all’interpretazione dell’art. 201 Direttiva 2006/112/CE del Consiglio del 28 novembre 2006 relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto (l’art. 201 Direttiva prevede: «All’importazione l’IVA è dovuta dalla o dalle persone designate o riconosciute come debitrici dallo Stato membro d’importazione»). La Corte ha sviluppato le sue considerazioni valorizzando il principio della certezza del diritto che esige che le norme giuridiche siano chiare, precise e prevedibili nei loro effetti, in particolare qualora esse possano avere conseguenze sfavorevoli per gli individui e le imprese (in argomento cfr. Tufano M.L., La certezza del diritto nella giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea, in Dir. Un. eur., 2019, 4, 767 ss.). Sulla base di questa premessa, la Corte di Giustizia ha ritenuto che il combinato disposto delle previsioni nazionali invocate dall’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli a fondamento della solidarietà a fini IVA del dichiarante doganale non superasse la soglia minima di sufficiente chiarezza quale postulata dal principio di certezza del diritto (cfr. Cass., 27 luglio 2022, n. 23526, secondo cui «nell’ordinamento interno una norma espressa che individui nel dichiarante doganale il debitore a fini IVA non è rinvenibile»). La Corte di Giustizia ha quindi rilevato che l’art. 201 Direttiva 2006/112/CE deve essere interpretato nel senso che non possa essere riconosciuta la responsabilità del rappresentante doganale indiretto per il pagamento dell’imposta sul valore aggiunto all’importazione, in solido con l’importatore, in assenza di disposizioni nazionali che lo designino o lo riconoscano, in modo esplicito e inequivocabile, come debitore di tale imposta.
Mentre nel periodo immediatamente successivo alla pubblicazione della sentenza della Corte di Giustizia 12 maggio 2022, C-714/20 si formava una giurisprudenza volta ad escludere che il debito relativo all’IVA all’importazione facesse capo al dichiarante doganale (si veda, in particolare, Cass., 23 maggio 2024, n. 14382, nonché Cass., 3 agosto 2023, n. 23661), a distanza di due anni interveniva il legislatore della riforma, di cui al D.Lgs. n. 141/2024 (in G.U. 3 ottobre 2024, n. 232), adottando una soluzione che nella sostanza ripristinava il regime anteriore al suddetto pronunciamento della Corte di Giustizia. Infatti, mediante l’art. 30, All. 1, D.Lgs. n. 141/2024 (testualmente l’art. 30 prevede: «I soggetti obbligati al pagamento dei diritti di confine sono individuati in base alla normativa doganale unionale che regola l’obbligazione doganale») è stato disposto un rinvio formale alla disciplina unionale, stabilendo che i soggetti obbligati al pagamento dei diritti di confine siano individuati in base alla normativa doganale unionale che regola l’obbligazione doganale. Ciò sul presupposto, la cui sostanza normativa è nell’art. 27, All. 1, D.Lgs. n. 141/2024 (secondo cui «1.Sono diritti doganali tutti quei diritti che l’Agenzia è tenuta a riscuotere in forza di vincoli derivanti dall’ordinamento dell’Unione europea o da disposizioni di legge. 2. Fra i diritti doganali di cui al comma 1 costituiscono diritti di confine, oltre ai dazi all’importazione e all’esportazione previsti dalla normativa unionale, i prelievi e le altre imposizioni all’importazione o all’esportazione, i diritti di monopolio, le accise, l’imposta sul valore aggiunto e ogni altra imposta di consumo, dovuta all’atto dell’importazione, a favore dello Stato»), che l’IVA riscossa in dogana rientri a pieno titolo nell’alveo dei diritti di confine.
Nel mutato scenario, il rinvio disposto dall’art. 30, All. 1, D.Lgs. n. 141/2024 deve intendersi, in primo luogo, all’art. 77 del vigente codice doganale (per un commento a tale articolo cfr. Scuffi M., Art. 77, in Scuffi M. – Vismara F., Il codice doganale dell’Unione, Milano, 2021, 247 ss.), che disciplina l’obbligazione doganale all’importazione individuando quali debitori tre categorie di soggetti: trattasi del dichiarante doganale, ovvero colui che presenta la dichiarazione doganale in nome proprio, dell’importatore e del soggetto che abbia fornito i dati necessari per la stesura della dichiarazione pur sapendo (o dovendo sapere) che si trattasse di dati errati, tali da determinare la mancata riscossione totale o parziale dei dazi all’importazione (speculare previsione attiene all’obbligazione doganale all’esportazione, che tuttavia non trova applicazione per l’assenza di prelievi in uscita nella tariffa doganale. Cfr. art. 81 codice doganale di cui al Regolamento (UE) n. 952/2013). In secondo luogo, il rinvio suddetto deve intendersi all’art. 82, comma 3, del vigente codice doganale, che disciplina l’individuazione del soggetto debitore nel caso di obbligazione doganale sorta per inosservanza.
3. Nella sentenza 12 maggio 2022, C-714/2020 la Corte di Giustizia svolge considerazioni di rilievo in merito all’individuazione dei soggetti debitori dell’IVA all’importazione, focalizzandosi sul margine di discrezionalità di cui godono gli Stati membri. Essa rileva che dalla formulazione dell’art. 201 Direttiva IVA, secondo cui l’IVA all’importazione è dovuta dalla o dalle persone designate o riconosciute come debitrici dallo Stato membro d’importazione, risulta che tale articolo lascia «un potere discrezionale agli Stati membri per designare i soggetti debitori di tale imposta, come confermato dal considerando 43 della medesima direttiva allorché enuncia che questi ultimi devono avere piena facoltà di designare il debitore dell’imposta all’importazione» (il considerando n. 43 della Direttiva 2006/112/CE prevede che «è, altresì, opportuno che gli Stati membri abbiano piena facoltà di designare il debitoredell’imposta all’importazione»).
Nell’ambito della discrezionalità attribuita agli Stati membri dell’UE rileva altresì l’indicazione di cui al considerando 44 Direttiva 2006/112/CE ai sensi del quale è opportuno che gli Stati membri possano adottare disposizioni secondo le quali una persona diversa dal debitore dell’imposta sia responsabile in solido per il pagamento della stessa. Sulla base di questa indicazione normativa, la Corte ha rilevato come sia consentito agli Stati membri di prevedere «che i debitori dei dazi doganali siano debitori anche dell’IVA all’importazione e, in particolare, che il rappresentante doganale indiretto sarà responsabile in solido del pagamento di tale imposta con la persona che gli ha conferito un mandato e che esso rappresenta».
Va tuttavia ricordato che l’assoggettamento degli Stati membri ai principi del diritto UE (sui principi del diritto dell’Unione Europea cfr. Mengozzi P., Les principes fondamentaux du droit communautaire et le droit des Etats membres, in Rev. droit Un. eur., 2002, 3, 435 ss. Si veda anche Rizzo A., Il “problema” della tutela dei diritti fondamentali nell’Unione europea, in Europa e diritto privato, 2001, 1, 59 ss.) e al rispetto dei diritti fondamentali assume centrale rilevanza nell’attuazione della normativa unionale: nel recepire le Direttive gli Stati membri sono infatti tenuti ad assicurare non solo la piena efficacia del diritto dell’Unione, in virtù del principio di leale cooperazione (sul principio di leale cooperazione, cfr. Casolari F., Leale cooperazione tra Stati membri e Unione europea. Studio sulla partecipazione all’Unione al tempo delle crisi, Napoli, 2020. Sulla portata dell’obbligo di cooperazione di cui già all’art. 10 Trattato CE cfr. Temple Lang J., Developments, issues and new remedies: the duties of national authorities and courts under articole 10 of the EC Treaty, in Ford. Int. law Jour., 2004, 1904 ss.; Id., Community Constitutional Law: Artiche 5 EEC Treaty, in Comm. Mar. Law Rev., 1990, 645 ss. In tema di leale cooperazione cfr. Atripaldi V., Leale cooperazione comunitaria ed obbligo degli Stati al riesame degli atti amministrativi definitivi contrari al diritto comunitario, in Dir. pubbl. comp. eur., 2004, 883 ss.; Iannone C., The duty of cooperation between national courts and authorities and community institutions for the purposes of artiche 10 of the Treaty of Rome, in Dir. Un. eur., 2001, 495 ss.; Goletti G.B., Cooperazione leale e controlli comunitari, in Riv. dir. eur., 1990, 881 ss.) di cui all’art. 4, par. 3, TUE, ma anche il rispetto dei principi del diritto UE.
Consegue a quanto precede che la previsione contenuta nell’art. 201 Direttiva 2006/112/CE non consente di ignorare gli obblighi degli Stati membri nell’attuazione del diritto dell’Unione Europea. Per quanto tale previsione appaia concepita come piena apertura alle soluzioni che ciascuno Stato membro ritenga di adottare nell’individuazione della o delle persone designate o riconosciute come debitrici per l’importazione di merci, rilevando anche nel senso di ammettere forme di solidarietà passiva, tale ampio riconoscimento non pare andare oltre un rinvio alle regole nazionali come espressione dell’esercizio della facoltà così delineata dall’art. 201 Direttiva IVA, ma pur sempre nei limiti e subordinatamente ai superiori principi del diritto dell’Unione Europea, cui peraltro si riconosce idoneità a produrre effetti diretti.
Al riguardo va ricordato come in materia di IVA all’importazione non sussiste l’esclusiva competenza dell’Unione, invece come previsto dall’art. 3, par. 1, TFUE in tema di unione doganale (tale previsione attribuisce competenza esclusiva all’Unione Europea nel settore dell’unione doganale [lett. a] e della politica commerciale comune [lett. e]. Sulla distinzione tra competenze esclusive e concorrenti cfr. Adam R. – Tizzano A., Manuale di diritto dell’Unione europea, Torino, 2014, 436 ss.; Mengozzi P. – Morviducci C., Istituzioni di diritto dell’Unione europea, Padova, 2014, 79 ss. Si vedano altresì Ziller J., Diritto delle politiche e delle istituzioni dell’Unione europea, Bologna, 2013, 131 ss.; Strozzi G. – Mastroianni R., Diritto dell’Unione europea, Parte istituzionale, VI ed., Torino, 2013, 73 ss.); l’imposta sul valore aggiunto, per quanto specificamente declinata nella genesi del relativo presupposto nell’ambito di operazioni doganali, opera al di fuori di detto ambito riservato, sicché gli Stati membri mantengono uno spazio d’azione sul piano normativo, nel rispetto in ogni caso dei principi stabiliti dai Trattati (in argomento cfr. Massera A., I principi generali dell’azione amministrativa tra ordinamento nazionale e ordinamento comunitario, in Dir. amm., 2005, 4, 728 ss. Più in generale, Toriello F., I principi generali del diritto comunitario, Milano, 2000). Gli Stati membri, quando esercitano le competenze loro riconosciute sulla base dell’ordinamento dell’Unione Europea, sono quindi tenuti a rispettare il diritto dell’Unione nonché i suoi principi generali (cfr. Corte di Giustizia, sentenza 19 luglio 2012, Rēdlihs, C‑263/11, EU:C:2012:497, punto 44).
4. Tra i principi cui gli Stati membri sono tenuti ad attenersi nel recepimento della normativa unionale particolare rilevanza, ai fini che qui interessano, assume il principio, di proporzionalità (sul principio di proporzionalità, cfr. Galetta D.U., Principio di proporzionalità e sindacato giurisdizionale nel diritto amministrativo, Milano, 1998; Id., Il principio di proporzionalità nella Convenzione europea dei diritti dell’uomo fra principio di necessarietà e dottrina del margine di apprezzamento statale: riflessioni generali su contenuti e rilevanza effettiva del principio, in Riv. it. dir. pubbl. com., 1999, 743 ss. Si veda altresì Id., Il principio di proporzionalità, in Renna M. – Saitta F., Studi sui principi del diritto amministrativo, Milano, 2012; Villamena S., Contributo in tema di proporzionalità amministrativa. Ordinamento comunitario, italiano e inglese, Milano, 2008. Nella letteratura straniera cfr. Ellis E. [ed.], The Principle of Proportionality in the Laws of Europe, Oxford, 1999. Per una prospettiva comparata cfr. Emiliou N., The principle of Proportionality in European Law: a Comparative Study, Londra, 1996), in base al quale le istituzioni e gli organi degli Stati membri, nell’esercitare i loro poteri, devono aver cura di evitare che gli oneri imposti agli operatori economici superino la misura necessaria al raggiungimento degli scopi che le istituzioni e gli organi stessi stesse devono perseguire (sul piano giurisprudenziale si veda, in particolare, la sentenza 16 ottobre 1991, causa 24/90, in Foro it., 1992, IV, 377 ss.).
Va ricordato che tale principio, che opera sia come vincolo alle misure adottate dagli organi dell’Unione Europea, sia in relazione all’attività degli Stati membri, implica la considerazione di tre elementi, ovvero l’idoneità dell’azione in relazione al raggiungimento dell’obiettivo prefissato, la natura necessaria per il conseguimento del risultato e la valutazione di adeguatezza (cfr. Meloncelli A., Il controllo di proporzionalità e la giurisprudenza comunitaria in materia fiscale, in Riv. dir. trib., 2005, 7/8, I, 784 ss.). Come emerge dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia, al fine di stabilire se una norma sia conforme al principio di proporzionalità, si deve accertare se i mezzi da essa contemplati siano idonei a conseguire lo scopo perseguito e non eccedano quanto necessario per raggiungerlo (cfr. sentenza 9 novembre 1995, causa C‑426/93, Germania/Consiglio, in Racc., I‑3723, punto 42).
La rilevanza del principio di proporzionalità con riguardo all’individuazione dei soggetti debitori dell’IVA è stata recentemente analizzata dalla Corte di Giustizia (cfr. Corte di Giustizia, sentenza 12 dicembre 2024, C‑331/23, ECLI:EU:C:2024:1027). La Corte ha rilevato che l’art. 205 Direttiva 2006/112/CE (secondo cui «nelle situazioni di cui agli articoli da 193 a 200 e agli articoli 202, 203 e 204, gli Stati membri possono stabilire che una persona diversa dal debitore dell’imposta sia responsabile in solido per l’assolvimento dell’IVA»), letto alla luce del principio di proporzionalità, deve essere interpretato nel senso che esso non osta a una disposizione nazionale che, per garantire la riscossione dell’IVA, preveda la responsabilità in solido oggettiva di un soggetto passivo diverso da quello che sarebbe di norma debitore di tale imposta. Nel rilevare che tale previsione non specifica tuttavia né le persone che gli Stati membri possono designare come debitori in solido né le situazioni in cui tale designazione può essere effettuata, la Corte ha sottolineato, conformemente alla propria giurisprudenza (cfr. sentenza 20 maggio 2021, C‑4/20, ECLI:EU:C:2021:397) come spetti agli Stati membri determinare le condizioni e le modalità di attuazione della responsabilità in solido prevista da tale articolo e ciò, tuttavia, nel rispetto dei principi della certezza del diritto e di proporzionalità (nella medesima pronuncia la Corte, in ossequio al principio di proporzionalità, rileva che a fronte della norma nazionale che estenda l’ambito dei soggetti debitori del tributo, il giudice nazionale può esercitare un potere di valutazione in funzione della partecipazione delle diverse persone coinvolte in una frode fiscale, purché tale soggetto abbia la possibilità di dimostrare di aver adottato ogni misura che può essergli ragionevolmente richiesta per garantire che le operazioni da esso realizzate non facessero parte di tale frode).
5. Sulla base del principio di proporzionalità, l’estensione tout court all’IVA all’importazione della disciplina prevista dal codice doganale in tema di soggetti debitori dei dazi palesa alcune criticità. Va considerato che tale estensione comporta l’applicazione all’IVA all’importazione della previsione di cui all’art. 77 (per un’analisi delle implicazioni sul piano soggettivo cfr. Vismara F., L’obbligazione doganale nel diritto dell’Unione europea, Torino, 2020, 29 ss. Si veda altresì Puri P., I soggetti passivi nella disciplina dei dazi doganali, in Scuffi M. – Albenzio G. – Miccinesi M., a cura di, Diritto doganale, delle accise e dei tributi ambientali, Milano, 2013, 201 ss.), che riflette quella già contenuta nel Regolamento (CE) n. 450/2008 (art. 44) e, prima ancora, nel regolamento (CEE) n. 2913/1992 (art. 201), rilevando ai fini della determinazione dei soggetti debitori, sia in un contesto “fisiologico”, sia in un contesto “patologico”, laddove risultino erroneamente rappresentati i dati della dichiarazione doganale. Nel contesto “fisiologico”, come è noto, l’obbligazione in capo al soggetto che assume la paternità della dichiarazione doganale (sulla dichiarazione doganale cfr. Cerioni F., Dichiarazione e controlli doganali nel nuovo codice dell’Unione europea, in Corr. trib., 2013, 48, 3823 ss. Si veda in argomento anche Lo Nigro A., Lo svolgimento del rapporto doganale, in Diritto doganale, delle accise e dei tributi ambientali, in Diritto doganale, delle accise e dei tributi ambientali, Milano, 2013, 239 ss. Nella letteratura meno recente cfr. Fiorenza S., Dichiarazione e destinazione doganale, Padova, 1982) e in capo all’importatore sorge al momento dell’accettazione della dichiarazione in dogana. In tale prospettiva, la qualifica di debitore a fini IVA spetta automaticamente al dichiarante, che sia rappresentante doganale indiretto, così come spetta all’importatore, che pure si pone in una posizione nettamente differenziata rispetto al dichiarante, avendo titolo per avvalersi della detrazione sull’IVA liquidata in dichiarazione. Sotto questo profilo, l’estensione del debito tributario ad un soggetto che opera in veste professionale e che non ha titolo per accedere alla detrazione va valutata anche alla luce del principio di neutralità (sul principio di neutralità cfr. Comelli A., Iva comunitaria e IVA nazionale, Padova, 2000, 302 ss.; Fazzini E., Il diritto di detrazione nel tributo sul valore aggiunto, Padova, 2000).
La Corte di Giustizia nella sentenza 12 dicembre 2024, C‑331/23 sopra richiamata ha chiarito che il principio di proporzionalità deve essere interpretato nel senso che esso non osta a una disposizione nazionale che, per garantire la riscossione dell’IVA, preveda la responsabilità in solido oggettiva di un soggetto passivo diverso da quello che sarebbe di norma debitore di tale imposta; tuttavia, tale pronuncia si riferisce ad un contesto dove sussiste la possibilità per il terzo di sottrarsi al pagamento dell’imposta per lui indetraibile fornendo adeguata dimostrazione della sua estraneità all’attività in frode alla legge. A ben vedere, si tratta dell’applicazione del noto principio per cui non rileva la neutralità fiscale in presenza di condotte che possano qualificarsi come fraudolente, in quanto la neutralità fiscale non può essere invocata da un soggetto passivo che, avendo partecipato intenzionalmente a una frode fiscale, abbia messo a repentaglio il funzionamento del sistema comune dell’IVA (cfr. punto 33, sent. cit. Sulle frodi IVA si rinvia a Giovanardi A., Le frodi Iva, Profili ricostruttivi, Torino, 2013. Si vedano anche Miccinesi M., Le frodi carosello nell’IVA, in Riv. dir. trib., 2011, 12, I, 1089 ss.; Beghin M., Le frodi Iva e il malleabile concetto di neutralità del tributo, in Corr. trib., 2010, 19, 1511 ss.; Cerioni F., “Frodi carosello” senza detrazione dell’IVA per le operazioni soggettivamente inesistenti, in Boll. trib., 2010, 1077 ss.; De Girolamo D., L’evoluzione della giurisprudenza comunitaria in tema di responsabilità del cessionario nelle frodi IVA, in il fisco, 2007, 31, 4571 ss.). Tale scenario è indubbiamente rilevabile nell’ipotesi di cui all’art. 77, comma 3, seconda parte, del codice doganale in forza del quale, nel caso in cui una dichiarazione in dogana sia redatta in base a dati che determinano la mancata riscossione totale o parziale dei dazi all’importazione, la persona che ha fornito i dati necessari per la stesura della dichiarazione ed era, o avrebbe dovuto ragionevolmente essere, a conoscenza della loro erroneità è anch’essa debitrice. In relazione a tale previsione la Corte di Giustizia, nella sentenza 19 ottobre 2017, causa C-522/16, ha evidenziato una serie di parametri di riferimento per l’individuazione della relativa portata applicativa. La Corte ha rilevato che i dati utilizzati per la stesura di una dichiarazione doganale devono essere considerati erronei quando hanno determinato la mancata riscossione, totale o parziale, dei dazi all’importazione dovuti per legge. Da questa premessa essa ha stigmatizzato la rilevanza dell’elemento soggettivo: più precisamente, secondo la Corte, quando una dichiarazione doganale è redatta in base a dati relativi a operazioni commerciali realizzate allo scopo di diminuire artificiosamente l’importo dei dazi all’importazione da versare, tali dati devono essere considerati erronei, in quanto determinano per le merci interessate la mancata riscossione, totale o parziale, dei dazi all’importazione. Ne risulta che possono essere debitori dell’obbligazione doganale non soltanto il dichiarante o, in caso di rappresentanza indiretta, la persona per conto della quale è presentata la dichiarazione doganale, ma anche le persone che hanno fornito i dati necessari alla stesura della dichiarazione, con ciò rispondendosi alla sottesa ratio di facilitare la riscossione dell’obbligazione doganale ampliando la cerchia di persone che possono esserne riconosciute debitrici e di contrastare condotte volte a eludere l’applicazione del tributo. Viene poi osservato nella sentenza da ultimo citata che la ratio della normativa è quella di estendere la nozione di debitore a persone diverse dal dichiarante, la cui azione abbia indotto le autorità doganali a fissare erroneamente l’importo dei dazi dovuti per legge in base a dati erronei. Analoghe considerazioni valgono per l’obbligazione tributaria sorta per inosservanza, che pure trova applicazione per l’IVA all’importazione per effetto del rinvio operato dall’art. 30, All. 1, D.Lgs. n. 141/2024. Infatti, l’identificazione dei soggetti passivi, nell’ipotesi in cui il momento genetico dell’obbligazione doganale sia configurabile quale forma di irregolarità, risulta particolarmente estesa in considerazione non solo del ruolo primario e attivo tenuto dal soggetto che abbia dato corso alla irregolarità in questione nonché a forme di concorso nella stessa (cfr. quanto previsto al riguardo dall’art. 79, comma 3, codice doganale), ma anche della circostanza di aver ritenuto una qualche utilità dall’inosservanza altrui della normativa doganale. Risulta soggetto all’obbligazione doganale in tale ipotesi la persona tenuta a rispettare gli obblighi previsti dalla normativa doganale nonché qualsiasi persona che sapeva o avrebbe dovuto ragionevolmente sapere che non era stato rispettato un obbligo previsto dalla normativa doganale e che ha agito per conto di chi era tenuto a rispettare l’obbligo violato, oppure che ha partecipato all’atto che ha determinato la violazione dell’obbligo. La responsabilità è posta altresì a carico della persona che ha acquistato o detenuto le merci o che sapeva o avrebbe dovuto sapere nel momento in cui le ha acquistate o ricevute che non era rispettato un obbligo previsto dalla normativa doganale (si veda Corte di Giustizia, sentenza 17 novembre 2011, C-454/10, Jestel, EU:C:2011:752, secondo cui va considerato debitore dell’obbligazione doganale sorta per effetto dell’introduzione irregolare di merci nel territorio doganale dell’Unione Europea colui che, pur senza concorrere direttamente all’introduzione, vi abbia partecipato come intermediario ai fini della conclusione di contratti di compravendita relativi alle merci medesime, qualora sapesse o dovesse secondo ragione sapere che tale introduzione sarebbe stata irregolare).
Nel caso invece della disciplina di cui all’art. 77, comma 3, prima parte, codice doganale, di cui al Regolamento (UE) n. 952/2013, la responsabilità a fini IVA, per effetto del rinvio operato dall’art. 30, All. 1, D.Lgs. n. 141/2024, diviene automatica e oggettiva, con conseguente assoggettamento ad imposta in via solidale del dichiarante doganale, al quale, qualora si tratti di soggetto diverso dall’importatore, sarà preclusa la detrazione dell’IVA assolta in dogana. Va ricordato che la Corte di Giustizia ha ritenuto che gli operatori, i quali adottano qualsiasi misura che possa essere ragionevolmente pretesa nei loro confronti al fine di assicurarsi che le loro operazioni non facciano parte di una catena abusiva o fraudolenta, devono poter fare affidamento sulla liceità di tali operazioni senza rischiare di essere obbligati in solido a versare l’imposta dovuta da un altro soggetto passivo (cfr. sentenza 20 maggio 2021, ALTI, C‑4/20, EU:C:2021:397, punto 36). In tale contesto, la delineata responsabilità oggettiva posta dall’art. 30, All. 1, D.Lgs. n. 141/2024 potrebbe ritenersi eccedere i limiti di quanto è necessario per salvaguardare i diritti dell’Erario e lottare contro la frode fiscale. La corrispondenza della norma al principio di proporzionalità implica la verifica del fatto che i mezzi da essa contemplati risultino idonei a conseguire lo scopo perseguito e non eccedano quanto necessario per raggiungerlo. Sotto questo profilo, l’obiettivo, da un lato, di garantire il recupero dell’imposta e, dall’altro, di operare una dissuasione da condotte volte all’elusione delle norme applicabili, può ottenersi gravando il dichiarante doganale dell’obbligo tributario solo se risulti partecipe dell’inosservanza o dell’errata dichiarazione. L’estensione automatica al dichiarante doganale dell’obbligazione relativa all’IVA all’importazione, ottenuta attraverso il rinvio operato dall’art. 30, All. 1, D.Lgs. n. 141/2024 all’art. 77, comma 3, prima parte, codice doganale, non pare invece essere il solo strumento adottabile per conseguire gli obiettivi posti dalla norma. L’attribuzione del debito fiscale in capo al dichiarante in assenza della detraibilità dell’IVA a prescindere a qualsiasi coefficiente di partecipazione all’attività che abbia determinato la mancata riscossione del tributo pone in capo al dichiarante un onere eccessivo rispetto agli obiettivi della norma, potendo i medesimi obiettivi essere raggiunti mediante il coinvolgimento in via solidale del dichiarante doganale (che non sia importatore) qualora non possa dimostrare la sua estraneità all’inosservanza o all’errore in dichiarazione.
(*) Il saggio è stato sottoposto a double blind peer review con valutazione positiva. Esso confluirà nel fascicolo n. 2/2025 (semestrale) della Rivista telematica di diritto tributario.
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