Riflessioni in tema di imposta sul valore aggiunto per le prestazioni “sanitarie” rese dal fisico medico

Di Giovanni Pasceri -

Abstract (*)

Il fisico medico ancorché svolge un ruolo fondamentale nella gestione delle attività di diagnosi, cura e prevenzione non è inquadrato come operatore socio-sanitario. In una medicina sempre più di precisione e tecnologicamente avanzata il ruolo della fisica medica è imprescindibile per garantire sicurezza e efficacia delle cure. Il mancato coordinamento delle norme sanitarie con quelle tributarie rafforza la frammentarietà e la disomogeneità normativa che governa il sistema sanitario nazionale.

Reflections on the subject of value added tax for “health” services provided by medical physicists – The medical physicist, although he plays a fundamental role in the management of diagnosis, treatment and prevention activities, is not classified as a social-health worker. In an increasingly precise and technologically advanced medicine, the role of medical physics is essential to guarantee the safety and effectiveness of treatments. The lack of coordination of health regulations with tax regulations reinforces the fragmentation and lack of uniformity of regulations that govern the national health system.

 

Sommario: 1. La figura del fisico, specialista in fisica medica, nell’organizzazione sanitaria. – 2. L’esenzione dell’imposta sul valore aggiunto per le prestazioni sanitarie. – 3. Le prestazioni sanitarie di diagnosi, cura e riabilitazione della persona: cenni sui requisiti dell’esenzione. – 4. Il mancato novero del fisico medico e la mancata individuazione delle prestazioni esenti. – 5. Conclusioni.

1. Con la riforma del servizio ospedaliero, il servizio di fisica sanitaria è stato fatto rientrare a pieno titolo nei servizi speciali di diagnosi e cura riconoscendo il ruolo della fisica medica nell’area sanitaria. Il D.P.R. 27 marzo 1969, n. 128 riconosceva al fisico medico precipui compiti sanitari quali quelli di risolvere i problemi di fisica nelle applicazioni elettromedicali, nonché la diagnostica e la ricerca nella sorveglianza fisica.

La figura del fisico specialista, originariamente definita dall’art. 110 ss. L. n. 230/1995, è stata delineata dal decreto del Ministro della Salute e del Ministro dell’Università e della Ricerca scientifica e tecnologica, 21 febbraio 1997 che ha composto il profilo professionale.

Il D.M. 21 febbraio 1997, rubricato “Titoli di studio e qualificazioni professionali richieste per l’esercizio professionale della radiodiagnostica, della radioterapia, della medicina nucleare nonché per le attività diagnostiche complementari all’esercizio clinico e per quelle di competenza del fisico specialista”, dispone che le attività di competenza del fisico specialista di interesse radioprotezionistico sono quelle dirette alla valutazione preventiva, ottimizzazione e verifica delle dosi impartite ai pazienti sottoposti ad indagini diagnostiche o a trattamenti terapeutici con radiazioni, nonché ai controlli di qualità sulle apparecchiature.

La norma, dunque, nell’inquadrare il profilo del fisico medico lo associa strettamente alla attività di prevenzione, diagnosi e cura includendolo, di fatto, tra i professionisti sanitari.

La norma proprio per distinguere il ruolo e le competenze tecniche del “fisico” dal “fisico, specialista in fisica medica” ha stabilito che l’esercizio delle attività “sanitarie” anzidette sono consentite solo ai laureati in fisica in possesso del diploma di specializzazione in fisica sanitaria o in una delle discipline equipollenti e, residualmente, ai laureati in fisica che ancorché privi di specializzazione abbiano svolto, in struttura del servizio sanitario nazionale, cinque anni di servizio nella disciplina di fisica sanitaria o nelle discipline equipollenti di fisica biomedica e fisica medica.

Dalla mera lettura del titolo del citato decreto emerge la volontà del legislatore di muoversi nel solco già tracciato dal D.P.R. n. 128/1969 inteso ad individuare diverse e più ampie competenze per lo specialista in fisica medica rispetto a quelle tradizionali legate alla radioprotezione.

Successivamente, il D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502 “Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell’articolo 1 della l. 23 ottobre 1992, n. 421” nello stabilire che per accedere al primo livello dirigenziale del ruolo sanitario occorre essere in possesso del diploma di specializzazione nella disciplina (fisica sanitaria) riconosce definitivamente che il fisico è compreso tra i professionisti sanitari.

Il successivo D.M. 30 gennaio 1998 ha poi definito le discipline equipollenti previste per l’accesso al secondo livello dirigenziale del personale del ruolo sanitario del servizio sanitario nazionale tra cui quella riferita alla fisica medica.

Il ruolo del fisico medico, così come definito, è quello di interpretare le necessità dei medici, individuando le specifiche tecniche ottimali, in base al progresso tecnologico e alle finalità di utilizzo, avuto riguardo la specifica procedura diagnostica e terapeutica. L’attività del fisico, specialista in fisica medica, a prescindere il riconoscimento normativo, assume un ruolo rilevante nelle prestazioni sanitarie sempre più tecnologiche e di precisione.

Il riconoscimento del ruolo sanitario del fisico specialista in fisica medica in ambito radioprotezionistico avviene con il D.Lgs. 26 maggio 2000, n. 187 “Attuazione della direttiva 97/43/EURATOM in materia di protezione sanitaria delle persone contro i pericoli delle radiazioni ionizzanti connesse ad esposizioni mediche” il quale ha disposto che l’esperto in fisica medica è una persona esperta nella fisica o nella tecnologia delle radiazioni applicata alle esposizioni che agisce o consiglia sulla dosimetria dei pazienti, sullo sviluppo e l’impiego di tecniche e attrezzature complesse, sull’ottimizzazione, sulla garanzia di qualità, compreso il controllo della qualità, e su altri problemi riguardanti la radioprotezione relativa alle esposizioni sanitarie (cfr. art. 2, lett. i), D.Lgs. n. 187/2000). Il successivo art. 7, comma 5, del citato decreto precisava che l’esercizio di tali attività è consentito non già ai laureati in fisica ma solo ai fisici specialisti in fisica sanitaria (rectius fisica medica) o ad esso equipollente ai sensi del richiamato D.M. 30 gennaio 1998.

Con l’entrata in vigore del D.Lgs. 31 luglio 2020, n. 101 il ruolo sanitario del fisico medico si rafforza. L’art. 160 del citato decreto, infatti, stabilisce che lo specialista in fisica medica fornisce consulenza specialistica avendo in via esclusiva la responsabilità della misura e della valutazione delle dosi assorbite dai pazienti nell’ambito delle esposizioni mediche, nonché la responsabilità della scelta della strumentazione da impiegarsi nell’ambito della dosimetria sul paziente e dei controlli di qualità da effettuarsi sulle attrezzature medico-radiologiche.

In particolare lo specialista in fisica medica – specificatamente in ambito sanitario – non si limita ad effettuare le prove di accettazione e di funzionamento delle attrezzature medico-radiologiche e a contribuire a garantire la sorveglianza sulle apparecchiature medico-radiologiche ma definisce i protocolli di effettuazione delle prove di funzionamento delle attrezzature medico-radiologiche ed effettua la pianificazione fisico-dosimetrica nei trattamenti radioterapeutici sulla base delle prescrizioni del medico specialista e assicurare le necessarie verifiche dosimetriche.

2. L’imposta sul valore aggiunto è una imposta indiretta che si applica sulle cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate nel territorio dello Stato nell’esercizio di imprese o nell’esercizio di arti e professioni e sulle importazioni da chiunque effettuate secondo quanto prevede l’art. 1 D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633.

Il legislatore può esentare singoli o gruppi di operazioni dal campo IVA. Le operazioni esenti sono tali per ragioni di politica sociale, in quanto tendono ad agevolare l’acquirente finale; le singole esenzioni hanno carattere eccezionale e non è consentito all’interprete ampliarne l’estensione senza invadere il terreno delle scelte che competono al legislatore (in questo modo, Cass. civ., 4 giugno 2001, n. 7501).

Da qui si ricava che l’imposta sul valore aggiunto è una imposta generale su tutte le cessioni di beni e le prestazioni di servizi salvo i casi specificatamente individuati di esenzione.

Le esenzioni dall’imposta sono predeterminate e individuate tassativamente dal legislatore ragion per cui i casi di esenzione devono essere interpretati restrittivamente dato che costituiscono una deroga al principio generale secondo cui l’imposta sul valore aggiunto è riscossa per ogni prestazione di servizi effettuata a titolo oneroso da un soggetto passivo.

Ne deriva che, a fronte della difficoltà interpretativa, preventivamente, l’interessato si rivolge all’Agenzia delle Entrate per ottenere chiarimenti in relazione a un caso concreto in merito all’interpretazione, all’applicazione o alla disapplicazione della norma tributaria (la richiesta di parere è definita “interpello ordinario” disciplinato dall’art. 11 L. 27 luglio 2000, n. 212 recante “Disposizioni in materia di statuto dei diritti del contribuente”, anche detto “Statuto dei diritti del contribuente”, il quale trova il suo regolamento attuativo nel decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze 26 aprile 2001, n. 209. L’interpello ordinario è una facoltà riconosciuta a ciascun contribuente di porre quesiti interpretativi alla Direzione regionale dell’Agenzia delle Entrate se vi sono obiettive condizioni di incertezza nella normativa fiscale relativamente a casi concreti e personali. Il contribuente oltre a individuare la descrizione puntuale della fattispecie – e, quindi, l’esposizione analitica della situazione concreta che ha generato il dubbio interpretativo – dovrà proporre una sua soluzione interpretativa. L’Amministrazione finanziaria è tenuta a dare risposta entro novanta giorni. In caso di mancata risposta, l’interpretazione della norma tributaria prospettata dal contribuente è da considerarsi corretta – in virtù del c.d. silenzio assenso -, e a condizione che l’istanza sia ammissibile e che sia questa che la stessa soluzione prospettata siano state esposte in modo chiaro e univoco).

L’Amministrazione erariale, infatti, salva la possibilità di rettificare il parere, non può emettere atti impositivi o sanzionatori difformi dal contenuto della risposta fornita in sede di interpello, sempreché i fatti accertati coincidano con quelli rappresentati nell’istanza. Se, invece, quanto emerge in sede di controllo non coincide con la descrizione dei fatti contenuta nell’istanza, la risposta all’interpello non produce effetti vincolanti per l’Amministrazione stessa.

L’interpretazione resa dall’Agenzia delle Entrate, tuttavia, resta un mero parere che, ancorché qualificato, non vincola il soggetto richiedente a uniformarsi.

La decisione circa il fatto che la prestazione resa sia esente o meno spetta solo al giudice.

La risposta dell’Amministrazione finanziaria vincola con esclusivo riferimento alla questione oggetto la sola Amministrazione e limitatamente al richiedente (il parere reso a seguito di istanza d’interpello può produrre effetti nei confronti della generalità dei contribuenti solo se l’Amministrazione in omaggio alle esigenze di trasparenza dell’azione amministrativa, al fine di assicurare la certezza del diritto, provveda a dare pubblicità, mediante risoluzione o circolare, alle risposte fornite). Sul punto, l’art. 11 L. n. 212/2000 è chiaro nel prevedere che qualsiasi atto, anche a contenuto impositivo o sanzionatorio, emanato in difformità dalla risposta è nullo.

Il parere reso dall’Amministrazione finanziaria, come anticipato, è vincolante soltanto per l’Amministrazione e non anche per il contribuente, il quale resta libero di disattenderlo (cfr. Corte cost., 14 giugno 2007, n. 191).

È chiaro che i tempi della giustizia, l’alea del giudizio e soprattutto l’impossibilità di sospendere medio tempore l’imposizione finanziaria favoriscono una adesione del soggetto all’interpretazione resa dalla Pubblica Amministrazione.

3. Ai sensi dell’art. 10, n. 18, D.P.R. n. 633/1972, sono esenti da IVA «le prestazioni sanitarie di diagnosi, cura e riabilitazione della persona rese nell’esercizio delle professioni e arti sanitarie soggette a vigilanza, ai sensi dell’articolo 99 del testo unico delle leggi sanitarie, approvato con regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265, ovvero individuate con decreto del Ministro della salute, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze. L’esenzione si applica anche se la prestazione sanitaria costituisce una componente di una prestazione di ricovero e cura resa alla persona ricoverata da un soggetto diverso da quelli di cui al numero 19), quando tale soggetto a sua volta acquisti la suddetta prestazione sanitaria presso un terzo e per l’acquisto trovi applicazione l’esenzione di cui al presente numero; in tal caso, l’esenzione opera per la prestazione di ricovero e cura fino a concorrenza del corrispettivo dovuto da tale soggetto al terzo».

Dalla lettura della norma emerge che affinché le prestazioni di servizi siano esenti dall’imposta sul valore aggiunto occorre che le stesse abbiano uno scopo “curativo” (requisito oggettivo) nonché chi le rende sia un soggetto esercente una professione sanitaria soggetta a “vigilanza” (requisito soggettivo).

Il requisito oggettivo, secondo la norma, si attua mediante l’esercizio di prestazioni di diagnosi, cura e riabilitazione.

Già dalla lettura della disposizione emerge che la norma necessita di una interpretazione teleologicamente orientata non potendo il requisito oggettivo limitarsi alla sola attività di diagnosi, cura e riabilitazione. La norma, ad esempio, non richiama l’attività di prevenzione che, invece, la scienza moderna considera elemento imprescindibile per promuovere la salute e il benessere individuale e collettivo della salute. Mediante la prevenzione, infatti, si attuano ante litteram misure, azioni e attività che mirano a ridurre la mortalità, la morbilità e gli effetti dovuti a determinati fattori di rischi o a una certa patologia.

La Corte di Giustizia europea interpretando l’art. 132 della Direttiva 2006/112/CEE (che stabilisce che le prestazioni esenti devono essere definite dallo Stato membro interessato) ha ribadito che per “cure mediche” o “prestazioni mediche” devono intendersi tutte quelle prestazioni che hanno lo scopo di diagnosticare, curare o guarire problemi di salute ancorché riferibili alla medicina estetica (Corte di Giustizia europea, sentenza 21 marzo 2013, Causa C-91/12) o trattamenti a carattere profilattico eseguiti nei confronti di persone che non soffrono di alcuna malattia (Corte di Giustizia europea, sentenza 20 novembre 2003, Causa C-307/01).

La Corte di Giustizia ha operato un netto distinguo all’interno delle prestazioni mediche, individuando nella tutela della salute il criterio per ritenere esentato dall’imposta l’intervento di natura sanitaria. Per tali ragioni sono ritenute soggette a imposizione del valore aggiunto le prestazioni sanitarie rese in ambito medico-legale (Corte di Giustizia europea, sentenza 20 novembre 2003, Causa C-212/01), mentre sono esenti le prestazioni rese dal medico competente nell’ambito della sua attività di sorveglianza sanitaria sui luoghi di lavoro (circ. 28 gennaio 2025, n. 4/E) in quanto il bene giuridico primario protetto è la salute dei lavoratori ed in particolare la sicurezza sanitaria dell’ambiente di lavoro.

La prestazione del fisico medico è intimamente connessa alle prestazioni sanitarie nel senso che le stesse non possono essere compiutamente e correttamente rese senza l’attività del fisico medico.

Il fisico, specialista in fisica medica, applica i principi e le metodologie della fisica in medicina, nei settori della prevenzione, della diagnosi e della cura, al fine di assicurare la qualità delle prestazioni erogate e la prevenzione dei rischi per i pazienti, gli operatori e gli individui della popolazione in generale. Il fisico medico ha un ruolo fondamentale in tutti i campi di applicazione della fisica alla medicina e, in particolare, in quello della diagnosi e della cura oncologica.

Il fisico medico, inoltre, garantisce la sicurezza e l’efficacia della diagnosi e della terapia attraverso la valutazione e il monitoraggio periodico sia delle tecnologie utilizzate che della “dose” assorbita nel corso delle indagini radiologiche, medico nucleari e nei trattamenti radioterapici. Il sanitario, infine, svolge anche le attività connesse al controllo e all’analisi di segnali fisiologici, alla sicurezza e alla protezione nell’uso di tutti gli agenti fisici utilizzati in ambito clinico (ad esempio, campi elettromagnetici, ultrasuoni, laser, ecc.) ed inoltre alla scelta e alla valutazione delle tecnologie sanitarie (c.d. health technology assessment).

Il fisico medico si occupa, altresì, di aspetti inerenti alla ricerca e allo sviluppo, collaborando con i medici specialisti per l’implementazione e l’ottimizzazione di nuovi protocolli di diagnosi e cura.

Non v’è dubbio alcuno che il fisico medico (fisico, specialista in fisica medica) soddisfi il requisito oggettivo voluto dall’art. 10, n. 18, D.P.R. n. 633/1972 nel senso che lo specialista rende una prestazione sanitaria alla persona e che la sua prestazione persegue l’obiettivo di prevenire e ridurre il costo delle spese sanitarie.

L’altro requisito richiesto dalla norma, quello soggettivo, impone che la prestazione resa sia effettuata nel contesto dell’esercizio delle professioni mediche e paramediche quali definite dallo Stato membro interessato ovvero che le prestazioni vengano rese nell’esercizio delle professioni e arti sanitarie soggette a vigilanza ai sensi dell’art. 99 del Testo Unico delle leggi sanitarie, approvato con R.D. 27 luglio 1934, n. 1265, e successive modificazioni, ovvero individuate con decreto del Ministro della Sanità, di concerto con il Ministro delle Finanze.

È bene premettere che l’individuazione delle professioni ed arti sanitarie che danno diritto all’esenzione è demandata ai singoli Stati (art. 13, VI Direttiva, n. 77/388/CEE). Questo non significa che tale potere sia discrezionale in quanto la previsione che il singolo Stato adotta è soggetta al vaglio del giudice unionale. Soprattutto il riconoscimento delle figure le cui prestazioni sono esenti IVA non deve creare discriminazioni fra operatori sanitari (in merito la Cassazione, sent. 28 settembre 2023, n. 27549 ha ritenuto le prestazioni rese dal chiropratico esenti da imposta sul valore aggiunto pur essendo inesistente il registro dei dottori in chiropratica e l’attivazione del corso di laurea magistrale).

Sul punto, l’Agenzia delle entrate in risposta a un interpello (cfr. Agenzia delle Entrate, Risposta a interpello n. 208 del 9 luglio 2020) ha affermato che l’attività resa dal fisico medico non rientra tra le prestazioni sanitarie esenti IVA ai sensi dell’art. 10, n. 18, D.P.R. n. 633/1972.

Secondo l’Amministrazione non è sufficiente che il fisico medico sia un soggetto in possesso di una laurea magistrale e che abbia una specializzazione universitaria in fisica medica (oltre a un periodo di formazione pratica) e iscritto nell’apposito albo professionale (l’art. 8 L. 11 gennaio 2018, n. 3 ha previsto l’istituzione della Federazione nazionale dei fisici e dei chimici; con decreto 23 marzo 2018, il Ministero della Salute ha istituito l’Ordinamento della professione dei fisici e dei chimici prevedendo che agli iscritti si applicano le disposizioni di cui al D.Lgs. 13 settembre 1946, n. 233), ma occorre che lo stesso sia necessariamente ricompreso tra i soggetti sottoposti a vigilanza ai sensi dell’art. 99 del Testo Unico delle leggi sanitarie ovvero siano individuati dal decreto interministeriale 17 maggio 2002.

È chiaro che il presupposto richiesto dall’Agenzia delle Entrate è meramente formale dal momento che non può disconoscersi che il fisico medico, alla luce dell’inquadramento della sua figura nell’organizzazione sanitaria, rientri a pieno titolo tra le professioni sanitarie le cui prestazioni devono ritenersi esenti dall’imposta sul valore aggiunto in quanto professionista sanitario (attività di fisica medica) e esercente la sorveglianza sanitaria dei lavoratori (attività di esperto di radioprotezione al pari del medico competente).

L’orientamento restrittivo dell’Agenzia delle Entrate è giustificato dal timore di ampliare irragionevolmente i casi di esenzione delle prestazioni sanitarie. La Corte di Giustizia europea, infatti, ha più volte ricordato che le esenzioni di cui all’art. 13 della Sesta Direttiva devono essere interpretate restrittivamente onde evitare una generalizzata esenzione delle prestazioni sanitarie (cfr. Corte di Giustizia europea sentenza 10 settembre 2002, C-141/00; sentenza 11 gennaio 2001, C-76/99; sentenza 14 settembre 2000, C-384).

La Corte unionale, dunque, nel confermare l’ingiustificato ampliamento dei casi di esenzione, non nega che questi possano essere estensivamente interpretati per dare concretezza e attualità alla luce delle dall’evoluzione medico-scientifica e, soprattutto, quando vi sia un interesse generale alla regolamentazione dell’attività sanitaria.

4. Con il decreto 17 maggio 2002 del Ministero della Salute sono state apportate sostanziali modifiche al trattamento tributario, ai fini IVA, applicabile alle prestazioni sanitarie. Il decreto ha ampliato il regime di esenzione previsto, individuando nuove figure che svolgono a vario titolo attività sanitarie.

L’art. 1 del citato decreto stabilisce che, ai sensi dell’art. 10, n. 18, D.P.R. n. 633/1972 sono esenti dall’imposta le prestazioni di diagnosi, cura e riabilitazione rese alla persona, oltre che dagli esercenti una professione sanitaria o un’arte ausiliaria delle professioni sanitarie indicate all’art. 99 del Testo Unico delle leggi sanitarie anche gli esercenti le professioni di biologo e psicologo, gli esercenti la professione sanitaria di odontoiatra, nonché gli operatori abilitati all’esercizio delle professioni elencate nel D.M. 29 marzo 2001 che eseguono una prestazione sanitaria.

Il successivo art. 2 del citato decreto ministeriale (rispetto al previgente decreto interministeriale 21 gennaio 1994) estende l’esenzione a tutti i soggetti che esercitano attività di cura, prevenzione o diagnosi che siano individuati con decreto del Ministro della Sanità, di concerto con il Ministro delle Finanze. La norma sostanzialmente si allinea alla L. n. 251/2000 che ha integrato e raggruppato le figure professionali di cui al D.Lgs. n. 502/1992 (art. 6, comma 3).

Dette figure sono state recentemente definite dal decreto 29 marzo 2001 del Ministro della Salute. Tra esse vi rientrano: a) le professioni sanitarie di carattere infermieristico e di ostetrico; b) le professioni sanitarie di natura riabilitativa quali il podologo, il fisioterapista, il logopedista, l’ortottista-assistente di oftalmologia, il terapista della neuro e psicomotricità dell’età evolutiva, il tecnico della riabilitazione psichiatrica, il terapista occupazionale, l’educatore professionale; c) le professioni tecnico sanitarie articolate nelle aree tecnico-diagnostica e tecnico-assistenziale.

Manca, anche in tale sede, l’identificazione dell’attività di fisica medica eseguita dal fisico specialista in fisica medica. Da qui la difficoltà dell’Agenzia delle Entrate di riconoscere l’esenzione dall’imposta sul valore aggiunto di una prestazione necessariamente “sanitaria”, d’un soggetto qualificato sottoposto a vigilanza dell’Autorità.

Come è noto non esiste un’elencazione precisa delle diverse attività che lo specialista può compiere e che sono esenti dall’imposta sul valore aggiunto. In altre parole, non esiste una classificazione precisa delle prestazioni che, in base al D.P.R. n. 633/1972, siano esenti oppure imponibili. Questo non avviene nemmeno per il dottore in medicina che, per definizione, esercita attività di cura, diagnosi o prevenzione. Anche per il medico esistono prestazioni che restano imponibili. Gli psicologi, ad esempio, riguardo alla loro attività, hanno realizzato dei criteri “guida” in base ai quali è possibile individuare le prestazioni esenti da quelle non esenti. Detti criteri, dunque, non costituiscono un elenco esaustivo al quale lo specialista deve attenersi rigidamente ma si dovrà, di volta in volta, valutare se la sua prestazione sia effettivamente eseguita per tutelare o ristabilire la salute delle persone.

Per tali ragioni, se l’attività di sorveglianza sanitaria compiuta in veste di esperto di radioprotezione (art. 129 D.Lgs. n. 101/2020) risulta più semplice da delineare in quanto espressamente disciplinata dalla normativa radioprotezionistica quella inerente alla fisica medica propriamente detta appare di più difficile delineazione, posto che le attività che lo specialista compie si indirizza verso diversi campi.

5. La Risposta a interpello n. 208 del 9 luglio 2020 fornita dall’Agenzia delle Entrate nulla obietta circa la sussistenza del requisito oggettivo per esentare la prestazione del fisico, specialista in fisica medica. L’Amministrazione rileva, invece, la mancanza del requisito soggettivo ovvero la circostanza che la figura del fisico medico non indicata tra gli operatori sanitari di cui dell’art. 99 del Testo Unico delle leggi sanitarie o tra le figure professionali elencate nel D.M. 17 maggio 2002.

Da qui, secondo l’Amministrazione, le prestazioni rese dal fisico medico soggette a imposta sul valore aggiunto.

L’iscrizione all’Ordine dei chimici e dei fisici, ai sensi della L. n. 3/2018, non vale a conferire al fisico medico il requisito soggettivo richiesto dalla norma tributaria posto che l’iscrizione all’ordine si pone come mera condizione per esercitare legittimamente una certa professione. Gli albi professionali, infatti, attraverso la c.d. “entificazione” realizzano i principi di autonomia, autogoverno e autocrinia (cfr. sul tema: Azzolina A., L’avvocatura nella giurisprudenza, Padova, 1974, 81 e così un decentramento istituzionale che autorizza il controllo e la sorveglianza sugli iscritti).

L’inquadramento contrattuale nel comparto sanitario, peraltro, ha riguardo solo l’effetto di collocare la figura professionale del fisico medico nella dirigenza sanitaria.

Manca, dunque, la qualifica di operatore sanitario che, per un retaggio storico, appare difficile da accordare al laureato in fisica, ancorché specialista in fisica medica, nel timore di ampliare, ingiustificatamente, la platea dei soggetti che possono richiedere l’esenzione delle loro prestazioni dall’imposta sul valore aggiunto.

La conclusione a cui giunge l’Amministrazione, però, stride con la legislazione sanitaria ovvero con la circostanza che il servizio di fisica medica rientra tra i servizi di diagnosi e cura anche se chi presta tale servizio non è considerato un operatore “sanitario”. Parimenti, stona il fatto che il fisico medico esercente l’attività di esperto di radioprotezione, al pari del medico competente, non sia esente dall’imposta sul valore aggiunto.

(*) Il saggio è stato sottoposto a double blind peer review con valutazione positiva. Esso confluirà nel fascicolo n. 2/2025 (semestrale) della Rivista telematica di diritto tributario.

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

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Kelsen H., Lineamenti di dottrina pura del diritto, 1952, 122

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