Ancora sulle società a ristretta base. La difesa sostanziale del socio contro il prodromico accertamento. Un approccio pragmatico ad un sistema inerziale
Di Stefano Arezzi
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(commento a/notes to Corte di Giustizia tributaria di secondo grado Friuli Venezia Giulia, sent. 30 gennaio 2025, n. 38)
Abstract (*)
La sentenza in commento offre interessanti spunti di approfondimento sul dibattuto tema concernente la portata della presunzione di distribuzione di utili occulti ai soci di società di capitale a ristretta base partecipativa. In particolare, la sentenza sviluppa, su un piano sistematico, il rapporto tra accertamento societario ed accertamento personale secondo i differenti canoni della pregiudizialità e dell’autonomia degli atti impositivi, affrontando altresì la delicata questione circa la legittimazione alla c.d. “impugnazione sostanziale” in capo al singolo socio.
More on companies with a restricted social basis. The substantial defense of the shareholder against the preliminary tax assessment. A pragmatic approach to an inertial system – The judgment in question offers interesting insights into the debated issue concerning the scope of the presumption of distribution of hidden profits to shareholders of limited liability companies. In particular, the judgment develops, on a systematic level, the relationship between corporate assessment and personal assessment according to the different canons of prejudicial nature and autonomy of tax acts, also addressing the delicate issue of the legitimacy of the so-called “substantial challenge” by the individual shareholder.
Sommario: 1. Introduzione. – 2. Le questioni sottese. Sottoparagrafi così non li inseriamo nel sommario? – 3. Il caso. – 4. La sentenza. – 5. Profili di criticità –
1. La Corte di Giustizia tributaria di secondo grado del Friuli Venezia Giulia fornisce con la sentenza 30 gennaio 2025, n. 38 pregevoli spunti di approfondimento sul dibattuto tema delle società di capitale a ristretta base partecipativa.
Il contesto attiene alla ormai consueta azione impositiva condotta dal Fisco nei confronti dei soci persone fisiche, con imputazione pro quota dei maggiori utili societari accertati in via definitiva.
Con riguardo alla condizione fallimentare, in particolare, la sentenza sviluppa, su piano sistematico, il rapporto tra accertamento societario ed accertamento personale secondo i differenti canoni della pregiudizialità e dell’autonomia degli atti impositivi, affrontando altresì la delicata questione circa la legittimazione alla c.d. “impugnazione sostanziale”.
2. La configurabilità dell’imputazione ai soci di società di capitale a ristretta base degli utili extracontabili accertati in capo alla società è riconducibile nell’alveo delle così dette, e controverse, “presunzioni giurisprudenziali” e trova origine e conforto, come è noto, nella giurisprudenza dalla Suprema Corte di Cassazione degli ultimi due decenni.
Essenzialmente, la pietra angolare dell’intera struttura muove dall’osservazione di un fenomeno ricorrente: il limitato numero dei soci favorendo il controllo reciproco e la coesione fra gli stessi determina, a volte, un certo grado di complicità rispetto alle dinamiche aziendali. È dunque ragionevole supporre che se una società di tale natura realizza utili in nero, gli stessi vengano in seconda battuta spartiti, per contanti, tra tutti i partecipanti. Ciò, in assenza di una formale delibera di distribuzione, trattandosi di proventi occulti che, evidentemente non transitano nelle scritture contabili.
Dalla massima di comune esperienza anzi delineata, la prevalente giurisprudenza, in presenza di maggiori utili accertati in via definitiva in capo alla società di capitali a ristretta base ed in virtù dello stretto vincolo di solidarietà e complicità presunto sussistere tra i partecipanti, riteneva operante una micidiale inversione probatoria in favore del Fisco, ancorché del tutto autoreferenziale sul piano normativo.
Si riteneva, in altre parole, automaticamente avvenuta tra i soci la spartizione sotto banco del frutto dell’evasione, fatta salva la prova contraria. Quale logica conseguenza, scarsissimo rilievo, se non nullo, veniva attribuito in sede giudiziale alla caratterizzazione del singolo caso (sul duplice piano della motivazione e della prova).
In tale contesto, dalla prospettiva dell’ente impositore, la presenza di un accertamento societario divenuto definitivo, in corto circuito con la ristretta base partecipativa, apriva inesorabilmente la via all’automatica applicazione della presunzione citata, in assenza di qualsivoglia approfondimento sui reali rapporti personali ed economici sottostanti.
Sommarie istruttorie amministrative, rette essenzialmente sul richiamo a precedenti giurisprudenziali, portavano all’ineludibile emissione di atti impositivi poco rappresentativi della reale capacità contributiva dei soci accertati. Fino all’ipotesi paradossale, nella quale l’evasione societaria accertata derivava, non già dalla presenza di entrate non contabilizzate, bensì da contestazioni sulla deducibilità di costi reali (caso ben diverso dall’imputazione in bilancio di costi inesistenti) o sulla corretta applicazione del principio di competenza temporale.
L’orientamento della Suprema Corte, seguito dalla maggior parte della giurisprudenza di merito (con poche isolate eccezioni), andava intanto progressivamente consolidandosi, resistendo sia all’obiezione sul dubbio utilizzo di presunzioni di secondo grado, sia alla (molto più rilevante) critica per l’introduzione di una sorta di “automatismo probatorio” senza base legale, sia per l’abnorme introduzione di un inedito regime di (doppia) tassazione degli utili, palesemente incompatibile con la normativa impositiva sostanziale, nonché potenzialmente censurabile sul piano costituzionale.
Cosicché, al socio, attinto da accertamento personale ai fini dell’imposizione diretta, non rimaneva che fornire in giudizio la prova contraria, ancorché nessuna norma effettivamente lo richiedesse, trattandosi di presunzione semplice.
La prova contraria peraltro, secondo l’impostazione prevalente, non poteva neppure essere intesa in senso ampio, ma vincolato: il socio era tenuto a dimostrare che gli utili extracontabili accertati ai fini IRES sulla società partecipata erano stati accantonati o, alternativamente, reinvestiti nella Società medesima.
Pesantemente condizionato da tali restrittive specifiche, lo standard probatorio sfiorava la probatio diabolica, non essendo ragionevolmente possibile dimostrare, per via contabile, la destinazione di una posta che nella contabilità non era mai transitata.
Così come era forse ancora più arduo documentare, ai fini del giudizio, che gli utili occulti erano stati effettivamente reimpiegati nel processo produttivo, oppure, irrealisticamente, versati in banca (originando forse sopravvenienza imponibile).
L’assolvimento del vessatorio onere probatorio richiesto presentava altresì ulteriori difficoltà pratiche, soprattutto a distanza di anni: nelle società di capitale è la società a disporre della documentazione contabile, se esistente e reperibile e non il singolo socio, al quale è solamente riconosciuto un astratto diritto d’informazione e di accesso. Inoltre, proprio ai fini probatori, la contabilità risulterebbe comunque sconfessata dagli stessi esiti dell’accertamento definitivo.
In definitiva, tralasciando le ipotesi più ardite, le possibilità di prova contraria, così come inizialmente prefigurate dalla giurisprudenza, si rivelavano, nella generalità dei casi, davvero un insieme vuoto.
2.1. Sulla debole impalcatura descritta, impatta, rovinosamente ma beneficamente, ad effetto della L. n. 130/2022, l’introduzione del comma 5-bis nell’art. 7 D.Lgs. n. 546/1992.
La novella, com’è noto e come rilevato dalla più attenta dottrina, entrava a gamba tesa su tutte le “presunzioni giurisprudenziali”, riconducendole nella categoria delle presunzioni semplici (quali effettivamente sono sempre state).
2.3. Per quanto al tema in argomento, derivano dal citato comma 5-bis quattro importanti corollari che scolpiscono nel granito, a nostro avviso, l’epitaffio della presunzione giurisprudenziale in questione:
non opera alcuna inversione probatoria in favore del Fisco, in quanto non previsto da alcuna norma; è dunque amplissimo il margine di manovra nella difesa del socio per contrastare la validità e la plausibilità del ragionamento presuntivo dell’ente impositore o per affermare la propria estraneità rispetto alle opache dinamiche aziendali[1];
la dimostrazione della percezione degli utili “in nero” deve essere circostanziata e puntuale; si rendono necessari, ai fini dell’accertamento personale, specifici approfondimenti rispetto alla motivazione offerta nell’atto impositivo[2];
la dimostrazione della sussistenza dei fatti sui quali la pretesa è fondata deve essere condotta in coerenza con la normativa tributaria sostanziale; viene così apertamente sconfessata l’illegittima introduzione di inediti regimi di tassazione (si rileva, peraltro, come lo stesso art. 5 TUIR, applicabile alle società di persone, disponga l’imputazione per trasparenza ai soci dei “redditi” societari e non già degli “utili”);
la valutazione delle prove in giudizio deve estendersi anche al comparto delle alle sanzioni irrogate, con esclusione di automatica derivazione dall’accertamento del carico d’imposta.
3. I fatti devoluti in grado di appello all’esame della Corte friulana riguardano una società a responsabilità limitata a ristretta base partecipativa, dichiarata fallita, Società_1, partecipata da due soggetti: una persona fisica, Resistente_2, al 13,33% e da una seconda s.r.l., Società_2, al 86,67%. Tale ultima società, a sua volta, risulta essere partecipata al 75% da Resistente_2 e al rimanente 25% da altra persona fisica, Resistente_3.
Nei confronti della fallita Società_1, per il triennio 2014 – 2016, venivano emessi altrettanti avvisi di accertamento, ove si contestava l’omessa contabilizzazione di ricavi (accertamento analitico-presuntivo), notificati sia al curatore sia al precedente legale rappresentante pro tempore nonché socio Resistente_2. Gli atti non venivano impugnati.
Sul distinto piano dell’imposizione IRPEF, l’Ufficio impositore, previamente sterilizzata l’interposizione del soggetto giuridico, Società_2, riteneva partecipanti nella fallita Società_1, entrambi i soci, persone fisiche: Resistente_2, al 78,33% (13,33% + 86,67% x 75%) e Resistente_3, al 21,67% (86,67%, x 25%).
Conseguentemente, per ciascuna annualità, l’Ufficio emetteva a carico del socio Resistente_2, della moglie, Resistente_1 (responsabile in solido in forza di dichiarazioni congiunte) e del rimanente socio indiretto, Resistente_3, altrettanti avvisi di accertamento personali per omessa esposizione dei redditi di capitale derivanti dalla distribuzione extracontabile degli utili definitivamente accertati in capo alla fallita Società_1.
3.1. I contribuenti impugnavano i rispettivi accertamenti, lamentando, in via principale, l’insussistenza (a monte) di un maggior reddito presupposto in capo alla società e sostenendo (a valle) l’illegittimità e l’infondatezza sostanziale della conseguente imputazione pro quota dei maggiori utili accertati sulla persona giuridica.
Si costituiva l’ente impositore, contestando le doglianze espresse dai ricorrenti.
La CTP di Pordenone, accoglieva i ricorsi, previa riunificazione delle rispettive cause, in considerazione della mancata produzione in atti degli avvisi di accertamento emessi nei confronti della società fallita, ritenendo non provata in giudizio la fondatezza della pretesa erariale.
3.2. La sentenza di primo grado veniva impugnata dall’Ufficio, con produzione degli avvisi di accertamento emessi nei confronti della fallita Società_1.
L’appellante, richiamando la prevalente giurisprudenza di legittimità, affermava che l’avvenuta cristallizzazione degli accertamenti societari per qualunque ragione (omessa impugnazione o sentenza passata in giudicato) aveva determinato l’intangibilità della pretesa espressa nei confronti della società e costituito, al contempo, il presupposto per la successiva imputazione degli utili occulti in capo ai soci compartecipi, ai fini dell’imposizione personale.
Specificava ancora l’Ufficio che non sarebbe spettato, in ogni caso, ai singoli soci contestare giudizialmente la ricostruzione del reddito societario, essendo a ciò legittimata soltanto la società medesima, in persona del proprio legale rappresentante pro tempore (il curatore, nel caso di specie). Conseguentemente, l’omessa tempestiva impugnazione dei prodromici avvisi di accertamento da parte della fallita Società_1 aveva definitivamente precluso il successivo esame nel merito.
Ciò premesso, in applicazione della presunzione di distribuzione degli utili extracontabili accertati a titolo definitivo in capo alla società, l’Ufficio ribadiva la necessità in capo ai soci partecipanti di fornire la prova contraria.
Resistevano i contribuenti, proponendo appello incidentale sulle questioni preliminari rigettate, nonché per contestare nel merito la fondatezza sostanziale dell’accertamento societario.
4. I Giudici di secondo grado ravvisano nel caso di specie la necessità di affrontare pregiudizialmente la questione della definitività, o meno, dell’accertamento societario, nonché della contestabilità dello stesso sul piano della legittimità e della fondatezza, nell’ambito dei giudizi d’impugnazione degli accertamenti personali dei singoli soci.
4.1. La Corte, richiamando il principio della “legittimazione straordinaria” riconosciuta in via generale al fallito ad impugnare gli atti impositivi emessi nei confronti della procedura per annualità antecedenti l’apertura della stessa ed in relazione ai quali il curatore è rimasto inerte (Cass., sez. trib., sent. 30 luglio 2024, n. 21333), pone l’attenzione sulla sequenza temporale che lega la conoscibilità dell’atto presupposto alla validità dell’atto conseguente.
In particolare, i Giudici osservano come solo con la notifica degli accertamenti personali il socio Resistente_2 (già legale rappresentante pro tempore della fallita Società_1, e destinatario delle notifiche degli accertamenti societari, ancorché non legittimato all’impugnazione) abbia avuto formale conoscenza dell’inazione del curatore. Cosicché, all’epoca della notifica degli accertamenti personali, agli atti presupposti non poteva ancora essere attribuito carattere di definitività[3].
Ciò premesso, la Corte, posto che gli accertamenti risalgono al 2019 e rilevando come la legittimazione all’impugnazione straordinaria da parte del fallito sia stata definitivamente riconosciuta dalle Sez. Un. della Suprema Corte di Cassazione solamente nel 2023[4], affronta la seconda questione necessaria alla definizione della controversia: si interroga, cioè, sulla ammissibilità e/o procedibilità di una contestazione non “formale”, bensì “sostanziale” degli accertamenti societari, in sede d’impugnazione degli accertamenti personali dei soci, derivando, in ipotesi, l’annullabilità dei secondi dall’illegittimità e dall’infondatezza dei primi[5].
A riguardo, i Giudici friulani osservano che neppure Resistente_2, il quale, oltre al curatore, aveva ricevuto la notifica degli atti emessi nei confronti della Società, aveva proposto impugnazione diretta, ritenendosi privo di legittimazione (non essendo stato ancora compiutamente elaborato dalle Sezioni Unite il principio della “legittimazione straordinaria”).
Ciò non di meno, i Giudici dell’appello ritengono che l’autonomo diritto di difesa esercitabile da tutti i soci (nonché responsabili solidali) nei giudizi d’impugnazione degli accertamenti personali non possa essere compresso negando la possibilità di contestare radicalmente (anche) i presupposti stessi della pretesa espressa nei confronti della società, in assenza di un giudicato sostanziale, non presente nel caso di specie[6].
4.2. La Corte, in ragione di quanto sopra, procede quindi all’esame nel merito, circa la sussistenza dei presupposti di legittimità, di fondatezza e di prova della pretesa.
All’esito delle valutazioni compiute, i Giudici friulani, non ritengono sufficientemente raggiunta dall’Ufficio la prova dell’evasione societaria, in quanto fondata su debole ragionamento presuntivo, in rapporto all’art. 2729 c.c.
Conseguentemente, in difetto della sussistenza del presupposto logico e fattuale (la prova dell’esistenza materia imponibile IRES non dichiarata) la Corte di Giustizia tributaria di secondo grado del Friuli Venezia Giulia ritiene, nel caso specifico, non operante alcuna presunzione (semplice) di distribuzione tra i soci degli utili occulti accertati in capo alla società, confermando così la sentenza di primo grado e condannando altresì l’Ufficio alle spese del grado di appello.
5. La sentenza di cui in intitolazione è emblematica di un riuscito tentativo di rilettura e sintesi in chiave ordinamentale del fenomeno delle presunzioni giurisprudenziali, riconducendo nell’alveo delle regole del processo e delle norme impositive sostanziali un intricato caso di “società di capitale a ristretta base”, con conseguente imputazione ai soci degli utili occulti accertati in capo alla persona giuridica.
L’art. 7, comma 5-bis, D.Lgs. n. 546/1992, in particolare, ancorché applicato a giudizi instaurati in primo grado in epoca antecedente, risalta quale più efficace strumento per il superamento della vexata quaestio dell’(inesistente) inversione probatoria che da quasi vent’anni travolgeva con moto inerziale l’intero filone.
Riconosciuto preliminarmente il principio dell’“impugnazione sostanziale” in capo ai singoli soci, in presenza di un giudicato societario per omessa proposizione di ricorso e ribadita nella decisione in commento la possibilità per il Fisco di provare il fondamento della pretesa tramite presunzioni semplici (purché gravi, precise e concordanti)[7], la controversia ha richiesto la disamina delle questioni di merito, con apprezzamento della validità dei ragionamenti presuntivi posti a fondamento della contestata evasione e della quantificazione della stessa.
Dopo di che, ritenuta la prova non raggiunta oltre ogni ragionevole dubbio[8], confermando l’esito del primo grado di giudizio, la causa è stata definita in senso favorevole alle parti private.
Nel contempo, con immediata ricaduta anche sul piano sostanziale, la corretta applicazione della regola processuale di cui al citato art. 7, comma 5-bis, D.Lgs. n. 546/1992, ha scongiurato l’illegittima introduzione di un regime di tassazione avente origine non legale[9].
5.1. Sull’applicazione concreta dei principi enunciati si possono tuttavia individuare alcune questioni ancora aperte.
La prima: il riconoscimento della legittimazione in capo ai soci a contestare (anche) la pretesa diretta nei confronti società nel giudizio d’impugnazione degli accertamenti personali (IRPEF) a loro rivolti, in assenza di un giudicato sostanziale, presuppone un’adeguata conoscenza delle vicende societarie (tributarie e non) e la disponibilità della relativa documentazione di supporto.
La seconda: l’effettività e l’efficacia dell’impugnazione “mediata” non possono essere assicurate ai soci senza un diretto coinvolgimento nella fase amministrativa che precede l’emissione del presupposto accertamento societario, con ricaduta anche per quanto alle sanzioni personali.
La terza: se l’intendimento dell’ente impositore è volto all’imputazione ai soci degli utili occulti accertati in capo alla società, l’accertamento societario deve essere notificato anche a questi ultimi[10].
La quarta: sul piano processuale permane una incolmabile asimmetria informativa tra le parti, nonché tra gli stessi soci, specie in caso contestazioni e/o di procedimenti penali a carico di alcuni di essi.
La quinta: l’eventuale presenza di procedure concorsuali introduce ulteriore frammentazione nella gestione del fenomeno unitariamente inteso, con evidenti difficoltà di accesso alle informazioni e alla relativa documentazione.
La sesta: il tema della sostituzione d’imposta riporta ora all’attenzione degli operatori del diritto, sotto diversa forma e secondo inediti e differenti profili (anche processuali) l’argomento della spartizione degli utili occulti nelle società di capitali a ristretta base.
5.2. Come evidenziato, tutte le osservazioni che precedono riguardano la conoscenza dei fatti, la formale conoscenza degli atti e l’accesso alle informazioni ed alle prove, posto che ai soci, in quanto tali, non spettano poteri di rappresentanza societaria e che, in sede processuale, si esclude la sussistenza di litisconsorzio necessario tra società di capitali e soci compartecipi.
5.3. Nella differente ipotesi che la pretesa espressa nei confronti della società si sia invece cristallizzata (del tutto o in parte) per intervenuto giudicato sostanziale, seguendo l’impostazione della Cassazione[11], risulterebbe parimenti preclusa ai soci ogni contestazione “mediata” circa la ricostruzione dell’imponibile societario.
In sede d’impugnazione degli accertamenti personali ai fini IRPEF (a valle della definitiva maggiore base imponibile IRES accertata) ai soci non rimarrebbe che negare l’effettiva percezione degli utili occulti, nonché eccepire la propria estraneità alla gestione societaria, con particolare riferimento alle condotte evasive poste in essere da altri soggetti (amministratori e/o altri soci).
5.4. Ci si domanda, non senza qualche perplessità, se la cristallizzazione della pretesa fiscale riguardante la società debba necessariamente precludere (in tutti i casi) ai soci la possibilità di una impugnazione sostanziale dell’accertamento societario presupposto, nell’ambito dell’impugnazione degli accertamenti personali ed in presenza di ulteriori motivi.
Ciò anche quando i soci medesimi siano stati esclusi dall’istruttoria tributaria riguardante il soggetto giuridico (in quanto soci non amministratori) e non abbiano mai avuto formale conoscenza dell’esistenza dell’atto impositivo ai fini IRES[12], né della successiva fase giudiziale, alla quale non abbiano preso parte[13].
In tali casi, richiamando nelle difese le indefettibili garanzie ordinamentali[14], ci si potrebbe spingere sino a sostenere l’inefficacia riflessa del giudicato societario, ai fini del ribaltamento dei maggiori importi accertati sulle rispettive basi imponibili IRPEF dei soci.
La tenuta della tesi proposta presuppone comunque due necessari punti d’appoggio: in primo luogo l’allegazione dell’insussistenza dell’effettiva percezione di utili occulti; secondariamente, in rapporto all’art 2909 c.c., poter escludere che i soci compartecipi rientrino tout court nella categoria degli aventi causa della società, essendo ancora sub iudice l’accertamento giudiziale dell’avvenuta distribuzione di utili extracontabili.
(*) Il saggio è stato sottoposto a double blind peer review con valutazione positiva. Esso confluirà nel fascicolo n. 2/2025 (semestrale) della Rivista telematica di diritto tributario.
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
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Glendi C., Applicabilità ai giudizi pendenti della nuova norma sull’onus probandi nel processo tributario – Primi esperimenti applicativi delle Corti di merito sulla regola finale del fatto incerto nel processo tributario riformato, in GT – Riv. giur. trib., 2023, 3, 247-262
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Succio R., La presunzione di distribuzione di utili occulti nelle società a ristretta base: il punto della giurisprudenza (parte seconda), in Riv. tel. dir. trib., 2025, 1 e pubblicato online il 8 febbraio 2025 su www.rivistadirittotributario.it
Succio R., La presunzione di distribuzione di utili occulti nelle società a ristretta base: il punto della giurisprudenza (parte prima), in Riv. tel. dir. trib., 2025, 1 e pubblicato online il 6 febbraio 2025 su www.rivistadirittotributario.it
[1] Cfr. Corte di Giustizia tributaria di secondo grado Lombardia, sent. 14 gennaio 2025, n. 133, nonché Cass., sez. trib, ord. 2 febbraio 2025, n. 2464.
[2] Cfr. Corte di Giustizia tributaria di secondo grado Campania, sent. 7 gennaio 2025, n. 179.
[3] Così si esprime infatti la Corte adita «Nel caso che ci occupa deve riconoscersi, alla luce dei principi sopra richiamati, come l’inerzia comunque motivata, degli organi della procedura fallimentare che non hanno esercitato il potere di impugnare gli avvisi di accertamento rivolti alla società, ha determinato il sorgere di detta legittimazione straordinaria della fallita, o dei suoi amministratori, all’impugnazione degli accertamenti dell’Ufficio. Il signor Resistente_2, nella sua qualità di legale rappresentante della società, ha avuto contezza della mancata impugnazione degli accertamenti fiscali a carico della società con la notifica degli avvisi di accertamento oggetto del presente giudizio e afferenti alla imputazione a reddito personale degli utili non contabilizzati dalla società; all’epoca della notifica degli avvisi di accertamento a carico della società, notificati al curatore fallimentare ed a lui quale legale rappresentante della società fallita, non poteva conoscere le future determinazioni degli organi della procedura fallimentare, né poteva impugnare tali atti non essendo a ciò legittimato. Prima dell’effettiva conoscenza della mancata impugnazione degli avvisi di accertamento da parte della società, rectius del curatore fallimentare, non era, pertanto, posto in grado di poter esercitare il diritto di impugnare tali avvisi in forza della legittimazione straordinaria, di riconoscimento giurisprudenziale, che nasce solo dall’inerzia del curatore fallimentare».
[4] Cass., Sez. Un., sent. 28 aprile 2023, n. 11287: «Il tema della legittimazione processuale del fallito ha interessato a lungo la dottrina e la giurisprudenza sia di merito sia di Legittimità al fine di verificare le condizioni per impugnare gli atti tributari. E’ noto che con la liquidazione giudiziale la società non viene meno, benché i suoi organi perdano la legittimazione sostanziale e processuale, che viene assunta dalla curatela. In tali circostanze, gli atti tributari sono immediatamente opponibili alla liquidazione giudiziale, con la particolarità che quelli successivi all’apertura della procedura concorsuale devono indicare quale destinataria l’impresa insolvente e quale legale rappresentante della stessa il curatore. In tali casi, l’accertamento tributario, se inerente a crediti per tributi i cui presupposti si siano determinati prima della dichiarazione di liquidazione giudiziale dell’imprenditore o nel periodo d’imposta in cui tale dichiarazione è intervenuta, deve essere notificato non solo al curatore – in ragione della partecipazione di detti crediti al concorso o, comunque, della loro idoneità ad incidere sulla gestione dei beni e delle attività acquisiti alla liquidazione giudiziale – ma anche al contribuente. Tale soggetto rimane invero direttamente esposto ai riflessi, anche sanzionatori, conseguenti alla definitività dell’atto impositivo; secondo un primo orientamento giurisprudenziale – tutt’altro che incontrastato – questi andava comunque eccezionalmente abilitato ad impugnarlo, nell’inerzia degli organi concorsuali. Sussistono ora anche secondo le Sezioni Unite della Corte di Legittimità ragioni valide per considerare sussistente la legittimazione processuale del debitore insolvente, il cui interesse ad agire è del tutto evidente (in argomento, Cass. 30 aprile 2014, n. 9434); la giurisprudenza segna quindi un rilevante ampliamento e un innovativo accurato distingue sulla condizione legittimante il recupero della capacità processuale del fallito».
[5]«La seconda questione che si pone è se l’impugnazione “sostanziale”, sotto il duplice profilo della legittimità degli stessi e della fondatezza nel merito e probatoria, degli accertamenti nei confronti della società, poteva farsi valere, com’è avvenuto nel caso che ci occupa, e cioè senza una formale impugnazione del legale rappresentante della società fallita, degli avvisi di accertamento notificati alla società, con l’impugnazione degli avvisi diretti ai soci, impugnazione ad opera dei soci stessi, in quanto gli avvisi loro diretti presuppongono la legittimità e la fondatezza degli accertamenti nei confronti della società».
[6] Così rileva testualmente la Corte di Giustizia tributaria di secondo grado del Friuli Venezia Giulia, in rapporto ad almeno una delle due condizioni astrattamente evocate: «Si può ritenere, pertanto, con riferimento al caso che ci occupa, che a fronte di un accertamento non definitivo o sul quale non vi è stato alcun giudicato sostanziale, gli accertamenti diretti ai singoli soci ben possano essere da questi impugnati facendo valere l’illegittimità e/o l’infondatezza della pretesa erariale nei confronti della società per valutare e accertare da parte del giudice la legittimità e/o fondatezza della pretesa erariale nei confronti dei soci».
Recentemente, vedasi altresì Cass., sez. trib., ord. 6 marzo 2025, n. 6001, richiamando il seguente principio di diritto: «il regime di pregiudizialità nei giudizi tra l’accertamento del reddito percepito dalla società ed il reddito di partecipazione attribuito al socio di società di capitali avente ristretta base partecipativa viene meno nel caso in cui l’accertamento nei confronti della società divenga definitivo non perché giudizialmente ritenuto fondato merito, bensì a causa dell’omessa impugnazione dell’atto impositivo o di vizi procedurali dell’impugnativa proposta dalla società; in tali casi il socio può pertanto contestare, con riferimento al reddito di partecipazione a lui attribuito, non solo la mancata distribuzione in suo favore degli utili conseguiti dalla società, ma anche la stessa percezione di redditi distribuibili da parte della società».
[7] In senso, Corte di Giustizia tributaria di primo grado Salerno, sent. 14 gennaio 2025, n. 260: «Invero, nel caso di specie, la presunzione semplice correlata alla “ristretta base societaria”, che comporta in capo all’Ufficio l’obbligo di dimostrare concretamente gli elementi gravi, precisi e concordanti posti a base dell’accertamento, non può applicarsi, in modo automatico e generalizzato, senza prima verificare le presenza di quegli ulteriori elementi di “gravità, precisione e concordanza”, che debbono sempre qualificare le presunzioni, affinché assurgano al rango di prova».
[8] Sullo standard probatorio, cfr. Marcheselli A., La prova nel nuovo processo tributario, Milano, 2024, 70 ss.
[10] Cfr., Glendi C., Applicabilità ai giudizi pendenti della nuova norma sull’onus probandi nel processo tributario. – Primi esperimenti applicativi delle Corti di merito sulla regola finale del fatto incerto nel processo tributario riformato, in GT – Riv. giur. trib., 2023, 3, 247-262.
[11] Cass., sez. trib., ord. 27 novembre 2024, n. 30568.
[12] In dottrina, vedasi Marcheselli A., Accertamenti tributari – Poteri del fisco – Strategie del difensore, Milano, 2022, 467.
[13] Cfr., Cass., sez. trib., ord. 12 settembre 2017, n. 21157, nonché Cass., sez. trib., sent. 26 novembre 2014, n. 25115.
[14] Contrino A., Ancora sulla presunzione di distribuzione di utili occulti nelle società di capitali “a ristretta base partecipativa”, in Rass. trib., 2013, 3, 1113 ss.
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