IL PUNTASPILLI: segnalazioni dalla redazione

Di Silvia Giorgi -

Dalla riunione del 25 giugno 2025

A distanza di pochi mesi dalla pronuncia (Cassazione 7 gennaio 2025, n. 166) con cui la Suprema Corte aveva ritenuto che la natura in senso lato transattiva dell’accertamento con adesione non determini alcun legittimo affidamento del contribuente in relazione ad accertamenti tributari non compresi nell’accordo, la Cassazione torna sul tema.

Con la sentenza 7 maggio 2025 n. 12072, la Corte cambia la premessa teorica ma raggiunge le medesime conclusioni: l’accertamento con adesione ha natura di accordo di diritto pubblico e, pertanto non è soggetto alle disposizioni del codice civile in materia di transazione. Ma al di là del reiverement (la giurisprudenza sul punto è notoriamente altalenante) riguardante la natura giuridica dell’istituto rimane intatto il principio di diritto per cui l’adesione dell’Ufficio per una certa annualità non crea alcun legittimo affidamento circa periodo di imposta diversi e futuri (art. 10, comma 2, L. n. 212/2000), non potendosi certo considerare l’accordo raggiunto per un determinato periodo d’imposta ostativo con riferimento ad accertamenti relativi a periodi d’imposta successivi.

Se ne deduce, in primo luogo, che i rapporti tra adesione e legittimo affidamento prescindono dalla natura giuridica del primo (Gallo F., La natura giuridica dell’accertamento con adesione, in Riv. dir. trib. 2002, 5, 435; Batistoni Ferrara F., [voce] Accertamento con adesione, in Enc. dir., Agg., II, Milano, 1998, 22; Russo P., Indisponibilità del tributo e definizioni consensuali delle controversie, in Rass. trib., 2008, 3, 595; Marello E., L’accertamento con adesione, Torino, 2000; Versiglioni M., Accordo e disposizione nel diritto tributario. Contributo allo studio dell’accertamento con adesione e della conciliazione giudiziale, Milano, 2001). Natura negoziale o pubblicistica, disponibilità e indisponibilità sembrano orpelli ad colorandum per giungere sistematicamente alla medesima conclusione: disconoscere la possibilità del contribuente di invocare un affidamento qualificato nell’agire amministrativo.

Sembra, in sostanza, che pur nella diversità della premessa, entrambe le pronunce sottintendano un momento “concessorio” dell’Amministrazione finanziaria nella definizione consensuale che allontana dalla “giusta imposta” e che quindi giustifica la non vincolatività della determinazione.

Le due pronunce sono, poi, accomunate dalla natura del rilievo: in entrambi i casi prettamente “qualitativo” e qualificatorio. Nella prima il tema era quello dell’inerenza, nella seconda, seppur non emerga distintamente, sembrerebbe che l’oggetto controverso investisse la natura elusiva di una determinata operazione (cfr. par. 5.2 della sentenza).

Per questo entrambe le pronunce si prestano, pur nella diversità della premessa, alla medesima critica: un’operazione, anche se articolata in più periodi di imposta, o è elusiva o non lo è. È anche solo logicamente inconcepibile sostenerne l’elusività (o l’inerenza) ad anni alterni. Ancor prima che riflettere sul legittimo affidamento del contribuente (Della Valle E., Affidamento e certezza nel diritto tributario, Milano, 2001) bisognerebbe, dunque, chiedersi se in sede di adesione le valutazioni dell’Amministrazione finanziaria abbiano condotto alla determinazione della giusta imposta. Se, in sostanza, quanto definito in sede di adesione sia stato conforme a ragionevolezza e imparzialità (artt. 3 e 97 Cost.), nonché ai principi di legalità (art. 23 Cost.) e di capacità contributiva (art. 53 Cost.). E, in caso affermativo, non sembra del tutto compatibile con i principi costituzionali che, inopinatamente, per altra annualità si consideri elusiva (o non inerente) la medesima fattispecie.

Oltre a ciò, nell’ambito dello “scambio informativo” che tipicamente caratterizza l’adesione, apparirebbe non solo incoerente ma anche inefficiente disperdere gli elementi di conoscenza immessi nel procedimento (Marello E., L’accertamento con adesione, cit., 201), sancendone la radicale irrilevanza ai fini della valutazione in altre annualità.

Da ultimo, qualche considerazione “propositiva”. Non si intende qui sostenere che le definizioni consensuali cristallizzino la qualificazione di una determinata fattispecie e le valutazioni effettuate in tale sede dall’Amministrazione finanziaria. È, infatti, ben possibile pervenire ad un diverso giudizio qualitativo.

Ed il meccanismo di ricomposizione dell’apparente inconciliabilità tra le qualificazioni discordanti nei diversi periodi di imposta non può che passare attraverso il filtro motivazionale. Dell’adesione e del successivo accertamento.

I giudizi qualitativi, infatti, non si prestano a rigide cesure tra anni di imposta.

Diverso, sarebbe, invece, il caso di valutazioni prettamente quantitative (ad esempio, limite di deducibilità di interessi passivi, pro-rata IVA, …) in cui l’eventuale definizione consensuale non è idonea a fondare alcun legittimo affidamento dal momento che, al termine di ciascun periodo di imposta, dovranno essere determinati autonomamente i parametri quantitativi fiscalmente rilevanti.

Nella sentenza del 7 maggio 2025, però, non emerge come fosse stata motivata la definizione consensuale e se, ad esempio, la sussistenza di valide ragioni economiche fosse del tutto contingente e dovuta e circostanze presenti nello specifico periodo di imposta oggetto di adesione ma “irripetibili”. Di tali elementi di differenziazione, infatti, dovrebbe dar conto la motivazione dell’accertamento che contesti l’elusione precedentemente esclusa in sede di adesione con riferimento ad una annualità di imposta di poco precedente.

Attraverso, dunque, una sorta di motivazione rafforzata – che espliciti le ragioni per cui l’originaria valutazione è disattesa – si recupera la compatibilità con la trama costituzionale, rafforzando la fiducia nella giustizia dell’imposizione.

Silvia Giorgi

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