Il nuovo accertamento sintetico: tra nuovi parametri e prova contraria

Di Santa De Marco -

Abstract (*)

L’art. 5 D.Lgs. 5 agosto 2024 ha riformulato nell’art. 38, i commi 4 e seguenti, D.P.R. n. 600/1973, che oltre a confermare le regole preesistenti sulla modalità dell’accertamento sintetico – ovvero che il reddito complessivo accertabile si discosti per almeno un quinto rispetto a quello dichiarato dal contribuente – ha introdotto un nuovo requisito, segnatamente, che lo stesso reddito ecceda di almeno dieci volte l’importo corrispondente all’assegno sociale annuo, destando inevitabilmente non poche perplessità e criticità. La norma, tuttavia, interviene in tema di onere della prova ampliando e precisando le possibili prove contrarie, da tempo indicate dalla dottrina e dalla giurisprudenza, senza però specificare come debba essere comprovata la spesa da parte del contribuente.

The new synthetic assessment: between new parameters and counter-evidence – Article 5 of the Legislative Decree of 5 August 2024 reformulated paragraphs 4 et seq. of Article 38 of Presidential Decree N. 600/1973, which, in addition to reaffirming the pre-existing rules regarding the method of synthetic assessment—specifically, that the assessable total income must differ by at least one fifth from the income declared by the taxpayer—the amendment introduces a new requirement, namely that this income must exceed at least ten times the amount corresponding to the annual social allowance. This provision has inevitably raised numerous concerns and criticality. Nevertheless, the law intervenes favourably by expanding and regulating the possible counter-evidence that has long been indicated by doctrine and case law, without however specifying how the taxpayer must prove the expenditure.

Sommario: 1. Introduzione. – 2. Il duplice requisito nell’accertamento sintetico. – 3. L’onere della prova. – 4. Brevi considerazioni conclusive.

1. L’accertamento sintetico disciplinato dall’art. 38, commi 4 ss., D.P.R. n. 600/1973, com’è noto, si basa sulla rideterminazione del reddito complessivo del contribuente, in relazione alle spese di qualsiasi genere, a lui riferibili, sostenute nel corso del periodo d’imposta. Ai fini della suddetta rideterminazione sono prese in considerazione, prevalentemente, le spese per consumi, mantenimento di beni o servizi e anche le spese per investimenti, che consentono, salvo prova contraria, di ricostruire il suo tenore di vita.

Il legislatore di recente, con l’art. 5 D.Lgs. 5 agosto 2024, n. 108, ha “rivisto”, nell’art. 38 D.P.R. n. 600/1973, i commi 4 e seguenti, modificando e innovando in parte le regole sulla metodologia dell’accertamento sintetico. Si ricorda che tale modalità accertativa è di tipo presuntivo e il legislatore, nel confermare l’indice di scostamento per almeno un quinto tra reddito complessivo accertato e quello dichiarato dal contribuente, introduce un nuovo requisito, ovvero che lo stesso reddito ecceda di almeno dieci volte l’importo corrispondente alla pensione sociale annua (fissata attualmente a settemila euro circa).

Il ricorso a tale tipologia di accertamento richiede, dunque, l’esistenza di un doppio requisito: uno relativo, pari al 20% tra il dichiarato e l’accertato l’altro, assoluto, secondo il quale il reddito deve comunque essere superiore a dieci volte l’assegno sociale annuo. Con tale provvedimento sembra che il legislatore, rispetto alla disciplina previgente, abbia voluto focalizzare l’attenzione sulle medie e grandi evasioni, concedendo una sorta di franchigia sui redditi più bassi. In proposito si deve precisare che il provvedimento in esame è stato necessitato a seguito della sospensione dell’applicazione del D.M. 7 maggio 2024, in attesa della riforma dell’accertamento sintetico, che attualmente è stata completata ed è idonea ad essere utilizzata da parte dell’Amministrazione finanziaria (cfr. Basilavecchia M., Nuovo accertamento sintetico, con la doppia soglia una franchigia per i redditi medio bassi, in Norme & tributi Plus Fisco, Il Sole 24 Ore, 7 novembre 2024, 1).

Con la nuova disciplina, dunque, il legislatore prende in considerazione anche il tanto discusso redditometro, affronta i contenuti in materia di onere della prova, operando una rilevante modifica tra vecchio e nuovo accertamento sintetico, precisando ed espandendo le circostanze rilevanti in tema di onere della prova a carico del contribuente.

Prendendo le mosse da questo nuovo contesto normativo, dai più significativi orientamenti giurisprudenziali (tra tutte si vedano, Corte di Cassazione, ordinanze n. 6770/2019; n. 16637/2020; n. 4122/2021; n. 9663/2024, e le sentenze nn. 2746, 16488 e 17607 del 2024) e dottrinali (cfr., tra gli altri, Basilavecchia M., Nuovo accertamento sintetico, con la doppia soglia una franchigia per i redditi medio bassi, cit.; Id., Privacy e accertamento sintetico: primi segnali di riequilibrio, in Corr. trib., 2014, 1, 9; Randazzo F., Manuale di diritto tributario, Torino, 2024, 279; Beghin M., L’accertamento sintetico del reddito complessivo tra limitazioni alla prova contraria, moltiplicazioni delle basi imponibili e “necessaria coerenza dell’ordinamento”, in Rass. trib., 2021, 1, 181; Id., Metodi di accertamento, status sociale e determinazione sintetica del reddito complessivo Irpef: i “bamboccioni” nella morsa del redditometro, in Riv. dir. trib., 2011, 6, II, 301; Giovannini A., Note controcorrente su accertamento sintetico, indici Istat e diritto alla riservatezza, in il fisco, 2014, 14, 1319; Marcheselli A., Redditometro e diritti fondamentali: da Garante e giurisprudenza estera un “assist” ai giudici tributari italiani, in Corr. trib., 2014, 1, 14; Id., Redditometro e diritti fondamentali: verso un nuovo equilibrio tra efficienza e proporzione dei mezzi di contrasto all’evasione, in Contrino A., a cura di, Il nuovo redditometro, Milano, 2014, 157; Marcheselli A. – Contrino A., Il redditometro 2.0, tra esigenze di privacy, efficienza dell’accertamento e tutela del contribuente, in Dir. prat. trib., 2014, 4, I, 679; Selicato G., Il nuovo accertamento sintetico dei redditi, Bari, 2014; Amatucci F., L’accertamento sintetico e il nuovo redditometro, in Dir. prat. trib., 2014, 3, 457; Sammartino S., Brevi considerazioni in tema di accertamento sintetico, in Norma, online, 2013, 1; Tinelli G., L’accertamento sintetico del reddito ai fini dell’Irpef nella giurisprudenza costituzionale, in Diritto tributario e corte costituzionale, Napoli, 2006, 373), nonché dai diversi documenti di prassi (si vedano le circolari dell’Agenzia delle Entrate, n. 24/E/2013 e n. 6/E/2015), si profilano interessanti spunti di riflessione sulla tematica de qua, che si affronterà nel prosieguo.

Si evidenzia, preliminarmente, che la disposizione commentata – introdotta senza prestare alcun richiamo né ai principi contenuti nella legge delega n. 111/2023, né al decreto attuativo sull’accertamento, n. 13/2024 – sia stata, invece, inserita all’interno della disciplina integrativa e correttiva in materia di regime di adempimento collaborativo. L’art. 5 D.Lgs. n. 108/2024, nel sostituire il sesto comma della disciplina previgente, ha ribadito che la determinazione sintetica complessiva del reddito complessivo accertato, rispetto al reddito effettivamente dichiarato dal contribuente, deve eccedere almeno un quinto (il 20%), ma come osservato ha previsto un nuovo requisito – unitamente a quello preesistente – il cui valore sarà aggiornato con periodicità biennale. Ne consegue che, per poter utilizzare tale metodologia accertativa, sia necessario che il reddito complessivo accertabile superi l’importo di settantamila euro circa (l’assegno annuale è attualmente pari a 6.947,33 euro). L’introduzione di quest’ultima condizione, se da un lato è finalizzata a colpire le medie e grandi evasioni fiscali, dall’altro lato consente «una sorta di franchigia ai redditi medio bassi: perché ad esempio un dichiarato di trentamila euro con un accertato di trentanovemila euro non raggiunge (e tanto meno supera) il livello di dieci volte la pensione sociale» (così Basilavecchia M., Nuovo accertamento sintetico, con la doppia soglia una franchigia per i redditi medio bassi, cit., 1). In altri termini, stante il tenore letterale della norma, la valutazione sul rischio di evasione individua i grandi evasori che potenzialmente potrebbero essere oggetto di verifiche/controlli, qualora il reddito accertabile superi la soglia predetta, per cui è sufficiente anche un parziale scostamento, purchè sia almeno il 20% tra dichiarato e accertato.

Il potenziamento del ricorso alle banche dati e l’utilizzo degli strumenti di intelligenza artificiale, sicuramente, rafforzano l’analisi del rischio limitando la percentuale di errori nei controlli, però si ritiene che permanga un problema nella formulazione del dato normativo, che potrebbe prestare il fianco a fenomeni di pianificazione fiscale, in cui i contribuenti, al fine di non essere assoggettati a tale modalità accertativa, possono pianificare ad esempio di non superare l’importo predetto.

Trattandosi, comunque, di una metodologia accertativa riconducibile alle persone fisiche, può ritenersi che la nuova soglia sia alquanto elevata. Il testo normativo, in merito al secondo requisito, peraltro, non parla di “maggior reddito” per cui si deduce che rimandi al reddito complessivo; come attentamente osservato in dottrina (si veda Basilavecchia M., Nuovo accertamento sintetico, con la doppia soglia una franchigia per i redditi medio bassi, cit., 1), «sarebbe stata preferibile una formulazione diversa, in cui il livello di dieci volte la pensione sociale fosse riferito non al reddito complessivo tout court, ma al maggior reddito accertato (così l’accertamento scatterebbe solo quando l’imponibile evaso e recuperato con l’accertamento sia di almeno settantamila)». Ebbene, un’interpretazione orientata a oltrepassare il dato letterale, e incentrata “sul maggior reddito accertato”, permetterebbe così di intercettare anche i redditi medio-bassi, e in questa prospettiva si afferma che «il rapporto tra evasione e dichiarato si presenta tanto più alto, quanto minore è il reddito dichiarato (settantamila rappresenta per il contribuente che abbia dichiarato trentacinquemila, il 100% di differenziale)».

Se, da un lato, secondo le raccomandazioni della Corte dei Conti (cfr. Relazione sul rendiconto generale dello Stato per il 2023, Volume I, Tomo I, 56 ss.), occorre evitare controlli indiscriminati, dall’altro, però, è necessario chiedersi quanto questi due criteri – che consentono controlli più mirati- siano equi e proporzionali e se in concreto sia rispettata la parità di trattamento. La presenza combinata di questa doppia condizione, sotto un primo aspetto pone una discriminazione tra i contribuenti in violazione dell’art. 3 Cost: «l’uguaglianza deve essere assunta ex art. 3, 2° comma, Cost., non solo come formale parità di trattamento, ma anche come regola fondamentale e autosufficiente di razionalità, coerenza e congruità» (così Gallo F., Le ragioni del fisco, Bologna, 2011, 96).

In virtù della soglia di reddito dichiarato potrà essere sottoposta all’accertamento sintetico soltanto una frangia di contribuenti, con l’aggravante che se, ad esempio, il contribuente dichiara un reddito complessivo che supera i settantamila euro, il semplice scostamento del 20% tra dichiarato e accertato fa scattare l’accertamento sintetico; se, invece, il contribuente non supera l’importo predetto, e sottrae materia imponibile che sia anche molto più del 20%, non sarà sottoposto alla predetta modalità accertativa (cfr. Basilavecchia M., Nuovo accertamento sintetico, con la doppia soglia una franchigia per i redditi medio bassi, cit., 1).

Se la finalità dell’accertamento sintetico è quella di garantire un prelievo equo, sempre in ragione del principio di capacità contributiva, l’applicazione necessitata dei due requisiti in tale tipologia di accertamento solleva alcune considerazioni relativamente ai principi di equità, parità di trattamento e proporzionalità.

Sulla questione in esame, vi è un precedente in cui la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 283/1987, nel soffermarsi ad esaminare la presunta violazione dell’art. 3 nell’accertamento sintetico, evidenzia che la disparità di trattamento non aveva natura normativa, ma solo fattuale determinata dalla facoltà che gli Uffici facessero ricorso a tale tipo di accertamento solo nei confronti di alcuni contribuenti – quindi, in definitiva, «dalla maggiore o minore efficienza degli uffici in sede applicativa» (cfr. Tinelli G., L’accertamento sintetico del reddito ai fini dell’Irpef nella giurisprudenza costituzionale, cit., 373).

Attualmente, invece, sembra che questa disparità sia di natura normativa, assoggettando a tale modalità accertativa solo i contribuenti che dichiarano la soglia di reddito prevista dalla norma in esame, con uno scostamento pari al 20%, anche se il maggior reddito accertato è modesto, senza prendere in considerazione, invece, i contribuenti che non oltrepassano il limite di reddito suddetto, anche se in realtà sottraggono al Fisco una consistente materia imponibile.

Alla luce di quanto osservato in merito al “maggior reddito” e tenuto conto dello scostamento previsto dalla normativa, riteniamo che dovrebbero essere assoggettati alla modalità accertativa in esame, tutti i contribuenti in cui sia presente un «nesso interferenziale tra spesa e reddito» (cfr. Melis G., Manuale di diritto tributario, Torino, 2024, 353), logicamente con controlli equi e proporzionati. Ciò certamente promuoverebbe anche un livello di compliance maggiore, inducendo anche i contribuenti con redditi medio-bassi a dichiarare i redditi effettivamente realizzati.

In siffatto contesto, in virtù del principio di uguaglianza, siamo in presenza di una disparità di trattamento che non sembra sia suffragata da una valida giustificazione riconducibile a interessi meritevoli di tutela e costituzionalmente protetti (si veda Gallo F., L’uguaglianza tributaria, Napoli, 2012, 1 ss.).

L’uguaglianza assunta non solo come formale parità di trattamento, ma intesa come coerenza, congruità e ragionevolezza è finalizzata a delimitare le scelte arbitrarie poste in essere dal legislatore.

Allora, ci si può chiedere, quanto il secondo criterio sia proporzionale considerato che la proporzionalità comporta “la congruità del mezzo al fine”. La proporzionalità e la ragionevolezza (sul principio di ragionevolezza nel diritto costituzionale si vedano, tra gli altri, Paladin L., Ragionevolezza [principio di], in Enc. dir., I, Milano, 1997; Sandulli A.M., Il principio di ragionevolezza nella giurisprudenza costituzionale, in Diritto e società, 1975, 565; Martines T. – Silvestri G., Diritto Costituzionale, Milano, 2024, 551 ss.), principi ben distinti, dovrebbero rappresentare i parametri di riferimento per il legislatore ai fini della ponderazione dei mezzi discrezionalmente prescelti e della coerenza con le finalità che si intendono raggiungere.

I principi di proporzionalità e ragionevolezza stanno – o dovrebbero stare – a fondamento delle valutazioni discrezionali operate dal legislatore, nel rispetto del giusto bilanciamento dei principi costituzionali (si veda Serranò M.V., Il rispetto del principio di proporzionalità e le garanzie del contribuente, in Riv. trim. dir. trib., 2014, 4, 875). È evidente che il legislatore abbia dei margini di discrezionalità in ordine agli artt. 3 e 53 Cost. e riferiti unicamente alla ragionevolezza della norma, ma, come sottolineato in dottrina (così Moschetti F., Il principio di capacità contributiva, espressione di un sistema di valori che informa il rapporto tra singolo e comunità, in Diritto Tributario e Corte Costituzionale, Napoli, 2006, 44), «la discrezionalità termina dove viene meno l’idoneità» e se la finalità dell’accertamento sintetico è quello di assicurare un equo prelievo fiscale – fondato sul presupposto logico secondo cui il sostenimento di una spesa, sia essa dovuta all’utilizzo o al mantenimento di beni o servizi oppure a investimenti patrimoniali, costituisce indice presuntivo di reddito, fino a prova contraria, dell’esistenza di un reddito volto a consentire la spesa – cosi come è stato modulata tale modalità accertativa alimenta il dubbio sull’effettiva idoneità dei nuovi parametri.

3. Notoriamente l’accertamento sintetico fonda il presupposto d’imposta sulla semplice equazione che una spesa sia sostenibile in quanto il contribuente possieda un c.d. “reddito consumato”. Mediante un ragionamento “a ritroso”, infatti, l’Amministrazione finanziaria esamina le spese sostenute dal contribuente per giungere alla rideterminazione del presunto reddito imputabile allo stesso.

È risaputo come sia stata abbandonata la rigorosa equazione “possesso uguale reddito”, considerato che acquista fiscalmente rilevanza la “disponibilità” e il mantenimento di un determinato tenore di vita.

L’art. 38 D.P.R. n. 600/1973 disciplina, come già specificato, l’accertamento del reddito complessivo netto delle persone fisiche da effettuarsi con forma sintetica. Come è noto, esso può esplicarsi secondo due diverse modalità: accertamento sintetico puro e redditometrico. La prima modalità è disciplinata dall’art. 38, comma 4, D.P.R. n. 600/1973, mediante il quale l’Ufficio mira a rideterminare il reddito complessivo della persona fisica in relazione a spese di qualsiasi genere sostenute dal contribuente in un determinato periodo d’imposta, che fanno presumere l’esistenza di un reddito superiore rispetto a quello dichiarato; in ogni caso, l’Ufficio deve ricostruire l’iter che ha consentito il passaggio dal fatto noto (la spesa) al fatto ignoto (il reddito occultato).

La seconda modalità, accertamento sintetico-redditometrico (c.d. tassazione in base a indici di capacità contributiva) prevede, ai sensi dell’art. 38, comma 5, D.P.R. n. 600/1973, la ricostruzione induttiva del reddito della persona fisica mediante l’uso di indici indicativi di capacità contributiva differenziati anche in virtù del nucleo familiare e l’area territoriale di appartenenza.

La determinazione presuntiva del reddito sulla scorta di indici è attuata con uno strumento denominato redditometro, originariamente istituito con il D.M. 10 settembre 1992, attualmente regolamentato dal D.M. 7 maggio 2024. Essa si basa sul presupposto logico che il contribuente, che abbia il possesso e la disponibilità di alcuni beni o di altri indici di spesa, disponga di un reddito adeguato che è predeterminato sulla scorta degli indici previsti nel D.M. (quali ad esempio la disponibilità di collaboratori domestici, abbonamenti pay-tv, cavalli, giochi online, ecc.). Ciò che va preso in considerazione, infatti, non é solo il concetto di possesso, ma anche e soprattutto quello di disponibilità da parte del contribuente che consente allo stesso di poter sostenere le relative spese.

Occorre precisare che con l’accertamento sintetico “puro” l’Amministrazione finanziaria può far ricorso a qualsiasi spesa indicativa di capacità contributiva e non soltanto agli indicatori individuati nel D.M., così come avviene nell’accertamento redditometrico.

Imprescindibile, nell’accertamento sintetico, è la relazione tra le spese sostenute dal contribuente e il connesso onere della prova. A tal proposito la novella legislativa si incentra sull’onere in questione ampliando le ipotesi al ricorrere delle quali sorge l’irrilevanza reddituale “della risorsa che alimenta la spesa”. Al verificarsi dei requisiti già esaminati, il contribuente può fornire la prova contraria circa il maggior reddito accertato sinteticamente (cfr. Paparella F., L’onere della prova nell’accertamento sintetico, in Anelli F. – Briguglio A. – Chinizzi A. – De Poli M. – Gragnoli E. – Orlandi M. – Tosi L., a cura di, L’onere della prova. Diritto processuale civile internazionale privato e amministrativo, diritto civile, diritto societario e finanziario, diritto del lavoro, diritto tributario, Padova, 2024, 1275 ss.).

In particolare, l’art. 38, comma 6, D.P.R. n. 600/1973, nella nuova formulazione, da un lato ha confermato quanto previsto precedentemente (ovvero, il fatto che il contribuente può dimostrare che il finanziamento è avvenuto con redditi differenti «da quelli posseduti nello stesso periodo d’imposta, o con redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte o, comunque, legalmente esclusi dalla formazione della base imponibile», quali ad esempio donazioni o somme soggette a ritenuta alla fonte o esenti); dall’altro ha ampliato l’elencazione relativa alla prova contraria, stabilendo che il contribuente possa fornire la stessa dimostrando che il finanziamento delle spese sia avvenuto da parte di soggetti terzi, oppure che le spese attribuite hanno un diverso ammontare, o che la quota di risparmio utilizzata per consumi e investimenti è maturata durante gli anni precedenti. Queste modalità di prova contraria, peraltro, sembrano in linea con quelle previste nel D.M. 7 maggio 2024, pertanto, sono uniformate le regole in tema di onere della prova tra accertamento sintetico puro e redditometrico.

Logicamente, si auspica che l’elencazione di fattispecie di prova contraria, cosi come formulate dal legislatore nell’art. 38, comma 6, in esame, non sia valutata come inderogabile, vale a dire tale da non consentire di provare altre circostanze idonee a mostrarne l’irrilevanza reddituale (si veda Melis G., Manuale di diritto tributario, cit., 361); pertanto, si concorda con chi (Beghin M., L’accertamento sintetico del reddito complessivo tra limitazioni alla prova contraria, moltiplicazioni delle basi imponibili e “necessaria coerenza dell’ordinamento”, cit., 181) ha rilevato che «qualora l’Amministrazione finanziaria abbia impostato su quell’equazione la linea di accusa, la prova contraria non potrà che essere ampia, fino a coinvolgere qualsiasi situazione che declini nella disponibilità di mezzi monetari estranei al circuito dichiarativo Irpef».

In buona sostanza, l’Amministrazione finanziaria deve provare in giudizio la ricorrenza dei presupposti sottesi all’art. 38, comma 4, D.P.R. n. 600/1973, vale a dire l’incongruenza del reddito dichiarato rispetto all’esistenza delle spese sostenute dal contribuente, dimostrando la fondatezza del risultato, con presunzioni (relative), che siano gravi, precise e concordanti, volte a determinare l’esistenza della spesa dalla quale si ritrae il reddito occultato.

Il contribuente, al quale spetta la prova contraria, può superare la presunzione di maggior reddito tassabile, dimostrando che il reddito determinato sulla base dell’accertamento sintetico puro o redditometrico e a lui imputato, non esiste o esiste in misura inferiore. In definitiva, la correlazione tra il fatto noto (spesa sostenuta) e quello ignoto (il reddito) rappresenta la conseguenza di un sillogismo imposto dal legislatore e non lasciato al libero apprezzamento del giudice, fermo restando l’obbligatorietà del contraddittorio preventivo – previsto dall’art. 38, comma 7, D.P.R. n. 600/1973 – in ossequio al principio del giusto procedimento e della tutela del contribuente (sul contraddittorio come forma di tutela del contribuente, in generale, si veda Colli Vignarelli A., ll contraddittorio endoprocedimentale e l'”idea” di una sua “utilità” ai fini dell’invalidità dell’atto impositivo, in Riv. dir. trib., 2017, 1, II, 21). In particolare il contraddittorio si esplica in due distinti momenti: il primo (informativo e difensivo) prevede che l’Amministrazione finanziaria – ai sensi del citato comma 7, dell’art. 38 D.P.R. n. 600/1973 – prima di procedere alla rideterminazione del reddito complessivo, «ha l’obbligo di invitare il contribuente a comparire di persona o per mezzo di rappresentanti per fornire dati e notizie rilevanti ai fini dell’accertamento»; successivamente, «di avviare il procedimento di accertamento con adesione ai sensi dell’articolo 5 del decreto legislativo 19 giugno 1997, n. 218».

In special modo, notiamo che «l’elemento che differenzia i due livelli è costituito dal modo nel quale la partecipazione si realizza: da una fase in cui il contribuente è chiamato ad intervenire per fornire dati e notizie utili ai fini dell’accertamento – e che quindi si caratterizza per l’assenza, almeno in via di principio, di un pieno confronto dialettico con l’ufficio – si passa alla fase successiva, in cui più concretamente si realizza un vero e proprio contraddittorio e nella quale il contribuente avrà la possibilità di introdurre, attraverso uno sforzo più intenso, elementi valutativi più articolati, al fine di convincere l’Amministrazione della correttezza del proprio comportamento» (così Tundo F., Il Procedimento di accertamento “redditometrico” tra partecipazione e contraddittorio, in Rass. trib., 2013, 5, 1047).

Occorre precisare che, in linea generale, per quanto l’art. 7, comma 5-bis, D.Lgs. n. 546/1992, abbia previsto l’onere della prova a carico dell’Amministrazione finanziaria (cfr. Marcheselli A., Motivazione e prova, nel procedimento e nel processo tributario. Il giudice tributario come garante della funzione tributaria, in Riv. tel. dir trib., 2025, 1 e pubblicata online il 7 gennaio 2025 su www.rivistadirittotributario.it), con l’inciso, contenuto nel secondo periodo del predetto comma, «comunque in coerenza con la normativa tributaria sostanziale», ha fatto sì che nel valutare le prove il giudice non possa pervenire a decisioni (appunto) in contrasto con il diritto tributario sostanziale, e nello specifico in materia di prove, «si tratta di numerose fattispecie che prevedono predeterminazioni o presunzioni legali o incidono ad altro titolo sul regime probatorio […], normalmente poste a presidio dell’interesse erariale» (così Tosi L., La nuova norma sull’onere della prova nel processo tributario, in Tax news, 24 dicembre, 2024, 4). E proprio nel caso in esame, il giudice non si pone in contrasto con l’applicabilità delle presunzioni, tipiche dell’accertamento sintetico, da cui scaturisce l’onere della prova in capo al contribuente (in proposito si veda Cass., ord. n. 2746/2024).

Sempre in tema di onere della prova, con l’innovazione normativa oggetto del presente esame, il legislatore sembra “sistematizzare” le prove contrarie già fornite dalla giurisprudenza; occorre peraltro ricordare che nel corso del tempo si è formato, sempre in tema di prova contraria, un orientamento interpretativo frequentemente ondivago nelle sue applicazioni. E, infatti, in ordine alla prova contraria cui è onerato il contribuente, si sono delineati diversi orientamenti giurisprudenziali: il primo, più favorevole al contribuente, che non richiede la prova sulla reale destinazione delle somme impiegate, ma semplicemente la dimostrazione dell’esistenza delle stesse (si vedano, tra tutte, Cass. n. 6396/2014; n. 1455/2016; n. 11388/2017; n. 7389/2018; n. 7757/2018; n. 13602/2018; n. 6770/2019; n. 16637/ 2020; in dottrina, per tutti, si veda Carinci A. – Tassani T., Manuale di diritto tributario, Torino, 2024, 273); il secondo, più restrittivo (in tal senso si vedano, tra tutte, Cass., n. 8392/1993; n. 8665/2002; n. 23252/2006; n. 6396/2014; n. 1455/2016; n. 13339/2017; n. 21885/2018; n. 9402/2020, n. 10662/2021), rileva che il contribuente debba provare che l’acquisto di beni o servizi sia stato finanziato proprio con quelle somme e non con qualsiasi altro reddito dichiarato; infine, quello che si potrebbe definire “mediano”, su cui si è ormai stabilizzata la giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. nn. 224, 1002, 1332, 3456, 6964, 8127, 10234, 13707, 14405 e 15534 del 2016; nn. 3804, 11388, 20369, 20374 e 25160 del 2017; nn. 14711, 14865, 17213 e 18284 del 2018; nn. 2826 e 20344 del 2019; nn., 22846, 24243 e 25109 del 2020; nn. 4122, 21547, 34365 e 37346 del 2021; nn. 2905, 12600, 15691, 25270, 25568, 33732 e 34569 del 2022; nn. 2746 e 16488 del 2024), secondo cui nonostante il contribuente non debba dimostrare in modo “rigoroso” l’utilizzo del reddito “non imponibile” per sostenere le spese contestate, è comunque tenuto a fornire una prova documentale da cui si evince che ciò sia avvenuto.

A tal riguardo, è particolarmente interessante l’ordinanza 26 giugno 2024, n. 17607 la quale, nel ricostruire l’orientamento interpretativo della Corte di Cassazione, precisa che «la successiva giurisprudenza si è, infine, stabilizzata in termini mediani, ritenendo che pur non prevedendosi che le ulteriori entrate (non reddituali) siano state utilizzate proprio per coprire le spese contestate, si chiede, tuttavia, espressamente una prova documentale su circostanze sintomatiche del fatto che ciò sia accaduto o sia potuto accadere».

Si può ritenere, dunque, che il legislatore, nella nuova formulazione dell’art. 38, comma 6, lett. a), D.P.R. n. 600/1973 – in merito alla dimostrazione dell’avvenuto finanziamento con redditi differenti da quelli tassati – avrebbe potuto (e probabilmente dovuto) chiarire come debba essere comprovata la spesa da parte del contribuente, vale a dire se il finanziamento della spesa deve essere dimostrato indicando che sussisteva la risorsa, oppure se il sostenimento della spesa deve essere riconducibile a quella specifica risorsa.

Come osservato in altra sede (De Marco S., Limiti della prova contraria nel redditometro e dubbi sull’equazione: spesa uguale reddito, in Dir. prat. trib., 2021, 6, 2768), una differente interpretazione dell’art. 38, comma 6, D.P.R. n. 600/1973 (applicabile ratione temporis), comporterebbe “una trasfigurazione del presupposto impositivo, non più fondato sul reddito, bensì sull’esistenza di una spesa” (così anche l’ordinanza della Cassazione, n. 12414/2018). In buona sostanza, occorre evitare che il contribuente possa trovarsi nella difficile condizione di dover superare una probatio diabolica, ovvero il doppio e difficoltoso onere probatorio dato dall’esistenza del reddito non tassabile e dal sostenimento delle spese con lo stesso reddito. Per ciò che attiene a questo profilo, appare illegittima la posizione dell’Agenzia delle Entrate, che con diversi documenti di prassi (si vedano, circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 24/E/2013 e n. 6/E/2015), rileva che il contribuente debba fornire la prova dell’esistenza del nesso eziologico risultante dalla prova diretta tra provvista patrimoniale e spesa contestata. Si spera che l’Amministrazione finanziaria possa rivedere la propria posizione e, superando quanto affermato in precedenza, richieda al contribuente solo la dimostrazione con idonea documentazione dell’esistenza e dell’entità di redditi “non imponibili” (in particolare, redditi esenti o assoggettati a ritenute alla fonte, o un reddito diverso da quello detenuto nel medesimo periodo d’imposta, oppure parimenti di finanziamento da parte di soggetti diversi dal contribuente, o ancora che il reddito presunto esiste in misura inferiore o addirittura non esiste), conformandosi, tra l’altro, al prevalente orientamento giurisprudenziale di legittimità.

4. Volendo formulare alcune brevi considerazioni conclusive, si osserva come l’intervento operato dall’art. 5 D.Lgs. n. 108/2024 – che ha modificato, come già evidenziato, nell’art. 38 D.P.R. n. 600/1973, i commi 4 e seguenti, – non possa che essere apprezzato, poiché nell’ampliare e precisare l’elencazione dei casi di onere della prova ha regolamentato le tipiche prove contrarie da tempo indicate dalla giurisprudenza. Dovendosi sempre prospettare la possibilità della più ampia prova contraria rispetto alla presunzione di maggior reddito, occorre comunque ribadire che il legislatore, con la novella normativa, avrebbe potuto chiarire come il contribuente debba giustificare la spesa, profilo che, come si è tentato di dimostrare, ha dato luogo a diversi orientamenti giurisprudenziali e applicazioni non sempre coerenti con il presupposto impositivo. Ci si sarebbe aspettati, in definitiva, un intervento normativo più puntuale, volto a chiarire quali siano gli elementi che il contribuente debba fornire, al fine di adempiere al meglio tale onere probatorio, con riguardo in particolare al rapporto spesa sostenuta – risorsa “non reddituale” utilizzata.

Nondimeno, per evitare l’insorgenza di ulteriore contenzioso, si auspica che almeno l’Amministrazione Finanziaria riveda la propria posizione interpretativa in sintonia con il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità.

Per quanto riguarda il contraddittorio, ci sembra che allo stato attuale, la formulazione del comma 7 dell’art. 38 D.P.R. n. 600/1973, non sia «all’avanguardia del garantismo”, giacché il legislatore, nel processo di revisione della disciplina in esame sarebbe potuto intervenire facendolo confluire nell’alveo del contraddittorio (quasi) generalizzato dell’art. 6-bis dello Statuto dei diritti del contribuente. Ed infatti, a differenza di quanto previsto dalla norma dello Statuto, il contribuente o un suo rappresentante, dopo aver espletato la prima fase in cui ha fornito date e notizie rilevanti ai fini accertativi, avente una finalità informativa, nella seconda fase concorda l’imponibile senza poter presentare eventuali osservazioni, a seguito del recepimento dello schema d’atto già predisposto; pertanto, come attentamente osservato, ci si augura “che il confronto tra contribuente e agenzia delle Entrate vada alla sostanza e non sia troppo influenzato dalle differenze formali tra contraddittorio da Statuto e contraddittorio per l’adesione» (così Basilavecchia M., Nuovo accertamento sintetico, con la doppia soglia una franchigia per i redditi medio bassi, cit., 1).

Sul versante del duplice limite dell’accertamento sintetico, con l’introduzione del parametro relativo alla misura del reddito complessivo (almeno dieci volte l’importo dell’assegno sociale annuo), nella sua enunciazione, la norma presenta diverse contraddizioni considerato che, oltre a colpire i redditi medio-alti, determina una sorta di franchigia per i soggetti che non dichiarano un reddito complessivo superiore a settantamila euro, determinando in concreto una discriminazione tra i contribuenti in violazione dell’art. 3 Cost.; in particolare, si assiste ad una disparità di trattamento avente natura normativa, assoggettando a tale modalità accertativa i contribuenti che dichiarano un reddito complessivo superiore ai settantamila euro e che presentano uno scostamento del 20% tra dichiarato e accertato, tralasciando, invece, i contribuenti che dichiarano redditi medio bassi che non superano la soglia predetta, anche se in concreto sottraggono materia imponibile che supera abbondantemente il limite del 20% tra dichiarato e accertato.

Per quanto concerne il rapporto che intercorre tra il principio di uguaglianza e proporzionalità, spesso quest’ultimo si identifica come parametro fondamentale ai fini della verifica dello strumento utilizzato per l’effettivo raggiungimento del fine.

Se la finalità dell’accertamento sintetico è quella di garantire un prelievo equo, l’introduzione di questo secondo criterio non ci sembra che rispetti il principio della proporzionalità e della congruenza del mezzo al fine preposto.

In definitiva, il legislatore – non avendo chiarito la locuzione “il maggior reddito” – lascia dedurre che si faccia riferimento al reddito complessivo, invece, sarebbe stato opportuno che utilizzasse una formulazione differente che prendesse in considerazione il maggior reddito accertato, in modo tale da far rientrare così anche i redditi medio bassi (cfr. Basilavecchia M., Nuovo accertamento sintetico, con la doppia soglia una franchigia per i redditi medio bassi, cit., 1)

(*) Il saggio è stato sottoposto a double blind peer review con valutazione positiva. Esso confluirà nel fascicolo n. 1/2025 (semestrale) della Rivista telematica di diritto tributario.

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