Conflitto tra enti impositori: sulla tassazione comunale degli immobili provinciali adibiti ad edifici scolastici

Di Giuliana Michela Cartanese -

Abstract (*)

La questione relativa all’applicazione dell’imposta municipale propria agli immobili adibiti ad istituti scolastici affidati alla cura e gestione delle Province è stata affrontata da diverse Corti tributarie del Paese che in più occasioni hanno ritenuto non dovuto il tributo, sia in forza delle competenze istituzionali delle Province (e delle città metropolitane) sia alla luce delle disposizioni normative sopravvenute in materia. In virtù delle delicate interferenze tra i vari livelli di governo, si rende opportuno un approfondimento sul tema, non potendosi tuttavia non rilevare come le azioni di contrasto dell’evasione potrebbero essere più efficaci se orientate nei confronti di altre categorie di contribuenti piuttosto che nei confronti di enti territoriali o pubblici.

Conflict between tax authorities: on municipal taxation of provincial properties used as school buildings  – The issue of the application of the municipal tax to real estate used as educational establishments entrusted to the care and management of the Provinces has been addressed by various tax courts in the country, which on several occasions have held that the tax was not due, both by virtue of the institutional competences of the Provinces (and metropolitan cities) and in light of subsequent regulatory provisions on the matter. By virtue of the delicate interferences between the various levels of government, an in-depth study of the subject is appropriate, although it cannot be ignored that actions to combat tax evasion could be more effective if directed against other categories of taxpayers rather than towards territorial or public entities.

Sommario: 1. La questione. – 2. Il quadro normativo. – 3. Sulla (non) applicazione dei tributi locali agli immobili provinciali adibiti ad edifici scolastici. – 4. Considerazioni conclusive.

1. In un articolo di inizio secolo scorso1, Luigi Einaudi denunciava rischi e problemi derivanti dall’applicazione dell’imposta sul reddito sugli interessi del debito pubblico alla luce della proposta del governo francese. Il Dumont, Ministro delle Finanze, proponeva, infatti, di esentare la rendita in quanto se lo Stato tassa i redditi che eroga non si giova del tributo e danneggia il credito dello Stato. Muovendo da tale vicenda, lo Studioso torinese richiama il paradosso dei tributi che lo Stato applica su se stesso2, da considerare oziosi, ad ostentationem e completamente inutili e improduttivi, risolvendosi in partite di giro.

La questione richiamata si collega anche a esperienze più recenti sia fini delle imposte sui redditi (si pensi al tema della tassazione delle società e degli enti pubblichi ai fini IRES) sia con riguardo alle imposte locali in cui gli enti impositori vantano il prelievo nei confronti di altri enti pubblici e locali secondo modelli che tendono sempre più spesso ad allontanarsi dagli insegnamenti eiunaudiani. Invero le motivazioni addotte a favore dello Stato che, anche attraverso le sue articolazioni territoriali, tassa sé stesso non sono banali né prive di senso, sia con riguardo a vincoli di rappresentazione gius contabile sia più in generale a quelli di rispetto delle regole in materia di concorrenza (e ciò soprattutto nel caso di esercizio di funzioni non autoritative). Il difficile contemperamento tra tali principi ha indotto il legislatore a riconoscere un’astratta soggettività tributaria a enti pubblici, enti locali o altre articolazioni entificate pubbliche3, prevedendo tuttavia larghe esenzioni soggettive e oggettive nella consapevolezza dell’inutilità finanziaria di prelievi che rischiano di ridursi a una sorta di vorticoso circolo vizioso. In questo senso, si richiama, ad esempio, l’art. 74 TUIR4, il quale stabilisce che gli organi e le Amministrazioni dello Stato, compresi quelli ad ordinamento autonomo, anche se dotati di personalità giuridica, i Comuni, i consorzi tra enti locali, le associazioni e gli enti gestori di demani collettivi, le comunità montane, le Province e le Regioni non sono soggetti all’imposta. La norma trova fondamento nell’esigenza di escludere da tassazione organi e Amministrazioni pubbliche che svolgono funzioni pubbliche finanziate direttamente dallo Stato attraverso trasferimenti, evitando così un inutile circolo vizioso. Disposizioni particolari sono invece dedicate a taluni enti pubblici non commerciali, per i quali l’art. 74, comma 2, dispone che non costituiscono esercizio di attività commerciali: a) l’esercizio di funzioni statali da parte di enti pubblici; b) l’esercizio di attività previdenziali, assistenziali e sanitarie da parte di enti pubblici istituiti esclusivamente a tal fine, comprese le aziende sanitarie locali, nonché, come disposto dall’articolo 38, comma 11, D.L. 31 maggio 2010, n. 78 convertito con modificazioni dalla L. 30 luglio 2010, n. 122, l’esercizio di attività previdenziali e assistenziali da parte di enti privati di previdenza obbligatoria. Viene inoltre prevista la decommercializzazione di funzioni proprie dello Stato ovvero di quelle che, in considerazione della loro natura, possono essere ritenute espressione di fini meritevoli, sebbene esercitate da enti pubblici.

Tra i soggetti passivi dell’IRES anche di natura non commerciale rientrano pertanto gli enti pubblici o privati, diversi dalle società che non hanno come oggetto principale o esclusivo l’esercizio di attività commerciali accomunate ai fini dell’assoggettamento all’IRES ma spesso destinatarie di norme speciali anche di natura agevolativa. In questo senso, si pone anche la disciplina ai fini dell’imposizione immobiliare locale (ICI e successive denominazioni) di cui all’art. 7 D.Lgs. n. 504/1992 secondo cui «Sono esenti dall’imposta municipale propria gli immobili posseduti dallo Stato, nonché’ gli immobili posseduti, nel proprio territorio, dalle regioni, dalle province, dai comuni, dalle comunità montane, dai consorzi fra detti enti, ove non soppressi, dagli enti del servizio sanitario nazionale, destinati esclusivamente ai compiti istituzionali. Si applicano, inoltre, le esenzioni previste dall’articolo 7, comma 1, lettere b), c), d), e), f), h), ed i) del citato decreto legislativo n. 504 del 1992».

Orbene, nonostante tale disposizione, alcuni Comuni, particolarmente solerti nella ricerca di nuove entrate locali, hanno emesso atti accertativi nei confronti delle Province con riguardo agli istituti scolastici, ritenendo dovuta l’imposta anche in assenza di una richiesta espressa di esenzione nei propri atti dichiarativi. La questione è stata affrontata da diverse Corti tributarie del Paese che hanno in diverse occasioni (ma con motivazioni non sempre omogenee) ritenuto non dovuto l’imposta municipale propria (come anche la TASI), sia in forza delle competenze istituzionali delle Province (e delle città metropolitane) sia alla luce delle disposizioni normative sopravvenute in materia. Si rende quindi quanto mai opportuno un approfondimento sul tema, non potendosi tuttavia non rilevare come le azioni di contrasto dell’evasione potrebbero essere più efficaci se orientate nei confronti di altre categorie di contribuenti piuttosto che nei confronti di enti territoriali o pubblici.

2. Come è noto, la riforma costituzionale del Titolo V del 2001 riconosce come principio fondamentale quello del pluralismo e della equiordinazione tra Stato, Regioni ed enti territoriali, attribuendo a ciascun livello di governo competente (in alcuni casi esclusive, in altri ripartite) e assicurando certezza di risorse proprie e o trasferite (art. 119 Cost.)5. La questione delle funzioni si intreccia quindi con quella delle risorse, anche in considerazione dell’espansione delle prime e della riduzione delle seconde che induce gli enti territoriali a ricercare nuove occasioni di prelievo per assicurare la tenuta ai propri bilanci ma talora senza considerare vincoli normativi ovvero natura e qualità del soggetto debitore6.

Ciò si è verificato proprio con riguardo agli immobili adibiti ad edifici scolastici pubblici affidati alla cura e gestione delle Province e sottoposti a prelievo municipale proprio (e a TASI) da alcuni Comuni. A questo riguardo occorre ricordare che il D.Lgs. n. 267/2000 (Testo Unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali), all’art. 19, disciplina le funzioni delle Province, così statuendo: «Spettano alla provincia le funzioni amministrative di interesse provinciale che riguardino vaste zone intercomunali o l’intero territorio provinciale nei seguenti settori […] i) compiti connessi alla istruzione secondaria di secondo grado ed artistica ed alla formazione professionale, compresa l’edilizia scolastica, attribuiti dalla legislazione statale e regionale». La L. 7 aprile 2014, n. 56 (legge Del Rio), nel riordinare assetti ordinamentali e funzioni delle Amministrazioni locali, all’art. 1, riconosce tra le funzioni fondamentali delle Province la gestione dell’edilizia scolastica. In questo senso già la L. 11 gennaio 1996 n. 23, intitolata norme per l’edilizia scolastica, all’art. 3 attribuisce alle stesse «la realizzazione, alla fornitura e alla manutenzione ordinaria e straordinaria degli edifici», ed in particolare alla lett. b) gli edifici da «destinare a sede di istituti e scuole di istruzione secondaria superiore, compresi i licei artistici e gli istituti d’arte, di conservatori di musica, di accademie, di istituti superiori per le industrie artistiche, nonché di convitti e di istituzioni educative statali». L’art. 8 della stessa legge dispone poi che «gli immobili dei comuni e dello Stato utilizzati come sede delle istituzioni scolastiche di cui all’articolo 3, comma 1, lettera b), sono trasferiti in uso gratuito, ovvero, in caso di accordo fra le parti, in proprietà con vincolo di destinazione ad uso scolastico, alle province, che si assumono gli oneri di manutenzione ordinaria e straordinaria nonché gli oneri dei necessari interventi di ristrutturazione, ampliamento e adeguamento alle norme vigenti. I relativi rapporti sono disciplinati mediante convenzione» (l’art. 139 D.Lgs. n. 112/1998, attribuisce, inoltre, alle Province, in relazione all’istruzione secondaria superiore, e ai Comuni, in relazione agli altri gradi inferiori di istruzione, i servizi di supporto organizzativo del servizio di istruzione per gli alunni con disabilità o in situazione di svantaggio).

Le disposizioni richiamate evidenziano chiaramente come, nonostante il sistema plurale degli enti territoriali e le competenze statuali in materia di istruzione e ordinamenti didattici, la gestione e la manutenzione degli edifici scolastici sia di stretta competenza delle Province le quali, tuttavia, non hanno alcun potere di disposizione. Ciò alla luce dei vincoli di destinazione (d’uso) delineato dall’art. 8 L. n. 24/1996; vincolo avente natura legale e inderogabile ben più profondo di quelli che possono essere oggetto di pattuizioni negoziali anche all’interno di un eventuale comodato d’uso.

Al riguardo occorre peraltro ricordare come lo Stato abbia la competenza esclusiva per le norme generali sull’istruzione7 e i livelli essenziali delle prestazioni8, le Regioni hanno competenze concorrenti in materia di istruzione e competenze esclusive per l’istruzione e formazione professionale mentre Comuni e Province hanno competenze amministrative in materia di istruzione, principalmente per gli edifici scolastici e la gestione di alcuni servizi, come l’assistenza agli studenti con disabilità e la pianificazione della rete scolastica.

Secondo i dati del Ministero dell’Istruzione e del Merito, le Province si occupano di oltre 5 mila edifici scolastici che ospitano scuole secondarie (licei, compresi i licei artistici e gli istituti d’arte, i conservatori di musica, le accademie, gli istituti superiori per le industrie artistiche, nonché i convitti e le istituzioni educative statali, gli istituiti tecnici, le scuole di formazione), composti da 117.348 classi, che accolgono 2.596.031 alunni. È pertanto evidente le dimensioni di tale attività, che dal punto di vista finanziario pesa oltre 10 miliardi di euro sui bilanci delle Province.

3. Sul piano politico l’applicazione delle imposte municipali comunali con riguardo a tali istituti comporterebbe un ulteriore aggravio sui bilanci delle Province rendendoli sempre meno sostenibili, oltre a mettere in dubbio gli stessi criteri di riparto delle competenze in materia di gestione degli immobili. Prescindendo dalle pure rilevanti questioni politiche, e riportando la questione sul terreno tecnico-giuridico, non può sfuggire come la normativa vigente affidi alle Province il compito istituzionale di gestione degli edifici scolastici senza che possano sottrarsi prevedendo diverse modalità di destinazione.

La rilevanza di tale assetto normativo vincolistico è stato più volte apprezzato dalla giurisprudenza di merito che ha ritenuto non dovuta l’imposta patrimoniale comunale sugli immobili della Provincia destinati ad edifici scolastici. Secondo la Corte di Giustizia tributaria di secondo grado delle Marche, con sentenza n. 895/2024 depositata il 18 ottobre 2024, accogliendo le ragioni della Provincia, ha chiarito: «data la sussistenza del vincolo ex lege, il bene può essere utilizzato solo per finalità scolastiche. Nella specie, l’uso materiale – inteso come godimento – è attribuito al Ministero dell’Istruzione». Si tratta, all’evidenza, di un uso puramente pubblicistico, attesa la finalità e anche la natura pubblicistica degli enti che hanno in uso i suddetti beni e le finalità dalle stesse perseguite con tale uso. Orbene, non sempre il proprietario è anche possessore. Se sul bene sussiste un diritto reale di godimento come il diritto d’usufrutto, il diritto d’uso, il diritto d’abitazione o l’enfiteusi, il possesso appartiene al titolare di questo diritto. Ed il titolare del diritto reale di godimento è soggetto passivo dell’IMU, al posto del proprietario, ai sensi del chiaro disposto dell’art. 3 D.Lgs. n. 504/1992. «E dunque, i beni oggetto del presente appello sono beni di cui la Provincia è proprietaria, ma il cui uso, e quindi il relativo godimento, è dalla legge concesso ad altri soggetti. Si tratta certamente di un diritto d’uso, stante la funzione pubblica cui ciascun beneficiario è vincolato; il bene è concesso dalla Provincia a terzi soggetti a rilevanza pubblica affinché questi lo usino per quanto occorre ai loro istituzionali bisogni, ad instar di quanto appunto previsto dall’art. 1021 c.c. […]. Con riferimento agli immobili adibiti a scuola secondaria di secondo grado (scuole superiori), è legge stessa a classificare tale godimento in capo al Ministero come un diritto d’uso vincolato che, non essendo esercitato dalla Provincia, è per forza di cosa esercitato dal Ministero nel quadro delle proprie funzioni istituzionali. L’uso in questione è un diritto reale di godimento particolarmente pregnante: nel momento in cui esso è istituito (per legge) di fatto la Provincia neppure potrebbe trattenere il diritto per sé, come sarebbe legittimato a fare un comune proprietario che volesse riacquisire la pienezza del possesso. Poiché sussiste un vincolo pubblicistico e le funzioni del vincolo possono essere espletate solo dal soggetto indicato dalla legge, neppure è astrattamente ipotizzabile un uso diretto di tali beni da parte della Provincia, salvo che il vincolo non venga a cessare. L’uso da parte del Ministero è dunque un diritto di godimento che, dal lato del nudo proprietario, è addirittura più intenso e limitante del diritto d’uso canonico ex art. 1021 c.c.».

Per i giudici delle Marche «Per quanto riguarda i beni destinati a scuola secondaria di secondo grado, essendo la finalità istituzionali dell’Ente quelle di costruire, mantenere, gestire, pianificare l’edilizia scolastica, è evidente che i beni rientranti in questa categoria, essendo stati destinati a scuole superiori (Liceo Scientifico, Liceo Classico, ITC, IPSSAR), sono senza dubbio alcuno “destinati esclusivamente ai compiti istituzionali» della Provincia”». «Compito istituzionale della Provincia è gestire e fornire alle scuole superiori (Ministero) gli edifici scolastici. Ne discende che di fatto la Provincia gestisce e fornisce al Ministero gli immobili dove quest’ultimo svolge il servizio scolastico di Liceo classico, di Liceo scientifico, di Istituto tecnico commerciale di Istituto Professionale Statale per i Servizi Alberghieri e della Ristorazione».

Invero stante le disposizioni normative, la gestione degli edifici scolastici costituisce un compito istituzionale non modificabile e non derogabile con la conseguenza che si rende pienamente applicabile l’esenzione di cui all’art. 7, lett. a), D.Lgs. n. 504/1992, come richiamato anche dalle disposizioni successive. A diverse conclusioni potrebbe giungersi solo ove l’ente pubblico proprietario dell’immobile avesse la libera facoltà di disporre del bene anche scegliendo una sua diversa destinazione esercitando i proprio diritti proprietari (solo nel caso di destinazione a funzioni estranee alle finalità istituzionali – e ciò non si verifica per gli edifici scolastici – si potrebbe dubitare della debenza dell’IMU.

A nulla rileva che vi siano competenze ordinamentali del Ministero dell’Istruzione e del Merito, non potendo ritenersi l’esercizio di tali funzioni una deviazione dai compiti istituzionali della Provincia. Poco coerente con la lettera e la ratio della norma appare quindi l’interpretazione, pure sostenuta, secondo cui non si configurerebbe utilizzo diretto da parte della Provincia per le scuole pubbliche rientranti nell’ordinamento didattico dello Stato; deve infatti ritenersi che la Provincia non sia in nessun caso venuta meno ai propri compiti istituzionali consistenti nell’acquisto, costruzione, gestione dell’immobile e degli arredi.

Con riguardo alla lett. a), è evidente come l’aggettivo “diretto” si debba riferire alla “destinazione” parametrata al “compito istituzionale”, che nella specie è dunque quello di acquisire/costruire, gestire, fornire e arredare immobili per le scuole superiori – e non alla nozione atecnica e colloquiale di “utilizzo”, quale sinonimo dell’attività di chi maneggia un bene mobile o calpesta la superficie di un bene immobile o di chi svolge l’attività di istruzione. In questo senso si è espressa anche la Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Toscana, sentenza n. 1286/2024 del 7 novembre 2024, che, con riferimento agli immobili destinati ad ex caserma oggetto di riqualificazione di proprietà del Ministero delle Finanze, ha chiarito che il concetto di “utilizzo diretto del bene” di cui all’art. 9, comma 8, D.Lgs. n. 23/2011, «consiste nella direzione impressa all’immobile al servizio di interessi istituzionali». Statuiscono i giudici: «la ratio dell’esenzione è rappresentata dalla formale designazione a fini istituzionali anche potenziali del bene, e non già all’utilizzo attuale ed effettivo, mirando la norma a salvaguardare e tutelare il migliore l’esercizio delle finalità pubbliche evitando il drenaggio di risorse che deriverebbe dai prelievi fiscali». In modo ancora più pregnante chiarisce che il concetto di “utilizzo diretto” non può essere in alcun modo inteso nel senso che «l’esenzione spetti solo in caso di utilizzo diretto del bene da parte dell’ente possessore». A maggior ragione, «la norma non distingue ai fini agevolativi, tra le varie articolazioni dello Stato, limitandosi a indicare che si debba trattare di beni posseduti dallo Stato». Inoltre, addirittura in relazione ad altre norme agevolative, si è riconosciuta l’esenzione per l’utilizzo anche indiretto del bene sulla scorta di un principio avente carattere generale, e cioè che «In tema di imposta comunale sugli immobili, l’esenzione di cui al D.lgs. n. 504 del 1992, art. 7, comma 1, lett. a), spetta non soltanto se l’immobile è direttamente utilizzato dall’ente possessore (nella specie, una fondazione di religione e di culto) per lo svolgimento di compiti istituzionali, ma anche se il bene, concesso in comodato gratuito, sia utilizzato da un altro ente non commerciale per lo svolgimento di attività meritevoli previste dalla norma agevolativa, al primo strumentalmente collegato ed appartenente alla stessa struttura del concedente (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 25508 del 18/12/2015; richiamata, in motivazione, da Cass., Sez. 5 – Ordinanza n. 24308 del 30/09/20199 e da Cass. Sez. 5 – Sentenza n. 6795 dell’11/03/2020)» (così Cass., sez. T, 12 maggio 2021, n. 12539, richiamata da Cass., sez. T., 16 febbraio 2023, n. 4953). Conseguentemente se anche si considerasse determinante il requisito dell’utilizzo diretto da parte del possessore inteso quale singola articolazione dello Stato, la tesi dell’esenzione per l’uso indiretto con valenza istituzionale sarebbe certamente, e a maggior ragione, sostenibile.

4. Su un piano più generale, deve ritenersi che trovando applicazione l’esenzione di cui alla lett. a) dell’art. 7, cit. non ricorre in alcun modo per le Province alcun obbligo dichiarativo, non dovendo nemmeno invocare l’esenzione (che opera quindi come esenzione di diritto). Scorretta appare pertanto la tesi, pure sostenuta, secondo cui le Province, quali enti non commerciali, dovrebbero richiedere l’esenzione di cui all’art. 7, lett. i), D.Lgs. n. 504/1992 cit. provando la ricorrenza delle condizioni ivi previste (e oggetto di svariate modifiche normative). A questo deve aggiungersi che la ratio della norma che contempla l’obbligo dichiarativo per il riconoscimento dell’esenzione relativamente agli immobili di cui alla lett. i) dell’art. 7 sopra citato è da ravvisarsi nell’esigenza del Comune di verificare in che misura l’attività svolta possa considerarsi non commerciale non avendo altri elementi conoscitivi in ordine alla natura dell’attività svolta e alla destinazione d’uso degli immobili. A tutto ciò va considerato che stante la natura pubblica dei soggetti interessati, non può ritenersi sussistente l’obbligo dichiarativo in presenza di circostante fattuali note o conoscibili direttamente e autonomamente da parte del Comune titolare della pretesa impositiva. A titolo esemplificativo non si configurano obblighi dichiarativi per le variazioni, di natura oggettiva o soggettiva, che risultano dagli atti catastali (atti pubblici agevolmente consultabili dai Comuni). Va poi richiamato il D.L. n. 102/2013, che ha introdotto cinque fattispecie di esonero dall’IMU soggette all’obbligo dichiarativo, previste a pena di decadenza dal beneficio: i fabbricati costruiti e destinati dall’impresa costruttrice alla vendita (fabbricati “merce”); le unità immobiliari appartenenti alle cooperative edilizie a proprietà indivisa, adibite ad abitazione principale e relative pertinenze dei soci assegnatari; gli alloggi sociali come definiti dal decreto del ministro delle Infrastrutture 22 aprile 2008; gli immobili del personale in servizio permanente appartenente alle Forze armate e alle Forze di polizia a ordinamento militare; gli immobili utilizzati dagli enti non commerciali destinati ad attività di ricerca scientifica.

Con le sentenze n. 5190 e n. 5191 del 2022 la Cassazione ha avuto modo di evidenziare che la L. n. 160/2019 (disciplina della nuova IMU) non ha abrogato il D.L. n. 102/2013, riaprendo la questione sui casi soggetti all’obbligo dichiarativo a pena di decadenza. Orbene la fattispecie oggetto del presente contributo non rientra affatto tra quelle per le quali sussiste l’obbligo dichiarativo, pur in spettanza dell’esenzione. A conforto si richiama l’art. 1, comma 769, L. n. 160/2019, avente ad oggetto gli obblighi di presentazione della dichiarazione IMU, nel quale sono contenute specifiche disposizioni per gli enti non commerciali attraverso le quali viene prevista la presentazione della dichiarazione, nel caso in cui «il possesso degli immobili ha avuto inizio o sono intervenute variazioni rilevanti ai fini della determinazione dell’imposta». Va ancora evidenziato che le istruzioni allegate al D.M. 29 luglio 2022 (p. 7) confermano il principio in forza del quale non sono soggette all’obbligo dichiarativo le circostanze comunque conoscibili autonomamente dal Comune (come nel caso di consultazioni catastali). In questo senso si veda la giurisprudenza (Comm. trib. reg. Lazio, sent. 11 luglio 2019, n. 4239/9) secondo cui l’ente impositore «non può richiedere documenti e informazioni al contribuente che siano già in proprio possesso o in possesso di altre amministrazioni pubbliche indicate dallo stesso». Tale conclusione poggia sul principio di collaborazione e buona fede che deve improntare i rapporti tra Fisco e contribuente previsto dall’art 10 L. n. 212/2000, secondo cui la rappresentazione di fatti già documentalmente noti all’ente impositore non può esser pretesa o richiesta (Cass., ord. n. 12304/2017). Ad ulteriore conforto, si richiama il comma 71 dell’art. 1 L. n. 213/2023, c.d. Legge di Bilancio 2024, il quale così recita:«L’articolo 1, comma 759, lettera g), della legge 27 dicembre 2019, n. 160, nonché le norme da questo richiamate o sostituite si interpretano, per gli effetti di cui all’articolo 1, comma 2, della legge 27 luglio 2000, n. 212, nel senso che… gli immobili si intendono utilizzati quando sono strumentali alle destinazioni di cui all’articolo 7, comma 1, lettera i), del decreto legislativo n. 504 del 1992, anche in assenza di esercizio attuale delle attività stesse, purché essa non determini la cessazione definitiva della strumentalità».

La portata della norma richiamata è oltremodo significativa se si considera che essa si qualifica come “di interpretazione autentica” e, pertanto, espandendo ed estendendo in via interpretativa l’esenzione de qua e fornendo di fatto un’interpretazione estensiva delle nozioni di “possesso” e di “utilizzo” in riferimento all’applicazione dell’esenzione IMU, slegando quest’ultimo beneficio dal requisito dell’utilizzo diretto degli immobili da parte degli enti non commerciali. Se, in forza di detta disposizione, devono ritenersi “posseduti”, e quindi possono beneficiare dell’esenzione, anche gli immobili degli enti non commerciali che siano stati ceduti in comodato gratuito ad altro ente non commerciale, purché funzionalmente o strutturalmente collegato al concedente e purché nell’immobile vengano esercitate solo attività istituzionali con modalità non commerciale, a maggior ragione deve ritenersi applicabile l’esenzione a immobili di enti pubblici territoriali (le Province), destinati all’esercizio di attività istituzionali di natura formativa ed educativa da parte di istituti scolastici pubblici

Concludendo, le pretese impositive vantate dei Comuni nei confronti delle Province appaiono illegittime in forza della disciplina vigente oltre che inopportune, dando luogo a un insano conflitto che rischia di inasprire i rapporti tra enti senza alcun vantaggio per la finanza pubblica.

(*) Il saggio è stato sottoposto a double blind peer review con valutazione positiva. Esso confluirà nel fascicolo n. 1/2025 (semestrale) della Rivista telematica di diritto tributario.

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

Barbero M., Una panoramica sulla giurisprudenza costituzionale più o meno recente in materia di federalismo fiscale, in Federalismo fiscale, 2007, 2, 117 ss.

Basilavecchia M., La nuova “imposta sul reddito delle società” (IRES): lineamenti generali, in Tesauro F. (a cura di), Imposta sul reddito delle società, Bologna, 2007, 3 ss.

Brancasi A., Lautonomia finanziaria degli enti territoriali: note esegetiche sul nuovo art. 119 Cost., in Le Regioni, 2003, 1, 43 ss.

Caravita B., La Costituzione dopo la riforma del titolo V, Torino, 2002, 139

D’Auria G., Funzioni amministrative e autonomia finanziaria delle Regioni e degli enti locali, in Foro it., 2001, 212;

Einaudi L., Cronache economiche e politiche di un trentennio (1893-1925),vol. III, Torino, 1960

Einaudi L., Miti e paradossi della giustizia tributaria, Torino, 1921

Falcon G., Il nuovo titolo V della parte seconda della Costituzione, in Le Regioni, 2001, 1, 3 ss.

Ficari V., Indici di soggettività tributaria ed art. 87, comma 2, T.U.I.R. 817/1986, in Riv. dir. trib., 1994, II, 465 ss.

Fregni M.C., Autonomia tributaria delle Regioni e riforma del titolo V della Costituzione, in Perrone L. – Berlieri C., Diritto tributario e Corte Costituzionale (i 50 anni della Corte Costituzionale), Napoli, 2006, 477 ss.

Fregni M.C., Riforma del Titolo V della Costituzione e federalismo fiscale, in Rass. Trib., 2005, 3, 683 ss.

Gallo F., La soggettività ai fini Irpeg, in Aa.Vv., Il reddito d’impresa nel nuovo testo unico, Padova, 1988

Giarda P., Le regole del federalismo fiscale nellarticolo 119: un economista di fronte alla nuova Costituzione, in Le Regioni, 2001, 6, 1425 ss.

Giovannini A., Soggettività tributaria e fattispecie impositiva, Padova, 1998, 337

Lavagna C., Teoria dei soggetti e diritto tributario, in Riv. dir. fin. sc. fin., 1961, I, 3 ss.

Magnani C., I soggetti passivi dell’imposta sul reddito delle persone giuridiche, in Dir. prat. trib., 1973, I, 1147 ss.

Morrone A., La nuova Costituzione finanziaria. La Corte costituzionale indica la via per attuare lart. 119 della Costituzione, in Giur. Cost., 2003, 6, 4079 ss.

Morrone A., Il regionalismo differenziato. Commento allart. 116, comma 3 della Costituzione, in Federalismo fiscale, 2007, 1, 139 ss.

Pajno A., Costruzione del sistema di istruzione e “primato” delle funzioni amministrative, in Giornale di diritto amministrativo, 2004, 5, 529 ss.

Paparella F. (a cura), La riforma del regime fiscale delle imprese: lo stato di attuazione e le prime esperienze concrete, Milano, 2006

Pizzetti F., Le nuove esigenze di governance in un sistema policentrico esploso, in Le Regioni, 2001, 6, 1165 ss.

Poggi A., Istruzione, formazione professionale e Titolo V: alla ricerca di un (indispensabile) equilibrio tra cittadinanza sociale, decentramento regionale e autonomia funzionale delle Istituzioni scolastiche, in Le Regioni, 2002, 4, 771 ss.

Poggi A., Un altro pezzo del “mosaico”: una sentenza importante per la definizione del contenuto della competenza legislativa concorrente delle Regioni in materia di istruzione, in www.federalismi.it, 5 febbraio 2004

Russo P., I soggetti passivi dell’Ires e la determinazione dell’imponibile, in Riv. dir. trib., 2004, 3, I, 313 ss.

Sacchetto C., L’imposta sul reddito delle persone giuridiche, in Amatucci A. (a cura di), Trattato di diritto tributario, Padova, 1994, vol. IV, 75

Scalinci C., Riserva di legge e primato della fonte statale nel «sistema» delle autonomie fiscali, in Riv. dir. trib., 2004, II, 215 ss.

Schiavolin R., I soggetti passivi, in Tesauro F. (diretta da), L’imposta sul reddito delle persone giuridiche, Giur. sist. dir. trib., Torino, 1996, 35 ss.

Tabellini M., L’imposta sul reddito delle persone giuridiche, Milano, 1977

Tabellini M., (voce) Persone giuridiche (imposta sulle), in Enc. dir., Milano, 1983, vol. XXXIII, 479 ss.

Uricchio A.F. – Aulenta M. – Galeone P. – Ferri A. (a cura di), I tributi comunali dentro e oltre la crisi, Bari, 2021

Violini L., Livelli essenziali e regionalismo differenziato: riflettendo sui nessi tra l’art. 117, II comma, lett. m) e l’art. 116, III comma della Costituzione, alla luce dei lavori del CLEP, in www.federalismi.it, 21 febbraio 2024

Zizzo G., Reddito delle persone giuridiche (imposta sul), in Riv. dir. trib., 1994, I, 619 ss.

1 Einaudi L., Immunità o tassazione dei titoli di debito pubblico?, in Corriere della Sera, 4 dicembre 1913 e poi in Cronache economiche e politiche di un trentennio (1893-1925), vol. III, Torino, 1960, 610-613, secondo cui «se l’imposta sulla rendita fosse solo inutile, sarebbe almeno innocua. Purtroppo essa è dannosa allo stato e vantaggiosa ai capitalisti. Invero accade che questi, timorosi del peggio, vogliono garantirsi anche contro gli aumenti di tributo, che appaiano possibili in futuro; e quindi, se l’imposta è del 10% essi supporranno un 12%, e, mentre avrebbero pagato 85 lire un titolo 3% netto pagheranno il 3% lordo non 76,50 lire, che sarebbe il valore di parità, ma appena 76 o 75 lire, facendo scontare allo stato non solo tutta l’imposta certa presente, ma anche gli aumenti incerti e futuri di essa. A questo si riduce il valore dell’obiezione mossa dal Caillaux contro il Dumont ed il Barthou, secondo cui l’immunità dall’imposta significherebbe rinuncia dello stato alla propria sovranità tributaria. L’immunità vuol dire, sì, rinuncia a tassare; ma nell’interesse dello stato; rinuncia fatta allo scopo di ottenere il massimo prezzo possibile dalla emissione della rendita. Ed è rinuncia temporanea; poiché, se in avvenire lo stato si accorge che il saggio di interesse, al netto dell’imposta, è scemato sul mercato, ha sempre facoltà di offrire il rimborso del capitale ed ottenere per tal modo una riduzione dell’interesse».

2 Einaudi L., Miti e paradossi della giustizia tributaria, Torino, 1921.

3 Giovannini A., Soggettività tributaria e fattispecie impositiva, Padova, 1998, 337: “a prescindere […] da considerazioni di opportunità concernenti le relazioni finanziarie tra lo Stato e le anzidette amministrazioni, par certo che queste siano annoverabili tra i soggetti passivi se dotate di personalità giuridica. A questa conclusione si deve giungere anche per le amministrazioni autonome prive di personalità […] Il discorso può proseguire in termini sostanzialmente simili avuto riguardo agli enti pubblici, diversi dallo Stato, dal cui sostrato regolamentare sia possibile dedurre un’autonoma soggettività quanto all’imputazione delle situazioni giuridiche e alla capacità e responsabilità patrimoniale. […] non sussistono ostacoli di teoria generale tali da impedire il sorgere di vincoli obbligatori, anche se è bene dire che l’individuazione dei tratti distintivi tra enti pubblici in generale e amministrazioni autonome presenta difficoltà che la stessa dottrina amministrativa stenta a superare».

4 Cfr. Magnani C., I soggetti passivi dell’imposta sul reddito delle persone giuridiche, in Dir. prat. trib., 1973, I, 1147; Tabellini M., L’imposta sul reddito delle persone giuridiche, Milano, 1977; Id., (voce) Persone giuridiche (imposta sulle), in Enc. dir., Milano, 1983, vol. XXXIII, 479 ss.; Sacchetto C., L’imposta sul reddito delle persone giuridiche, in Amatucci A. ( a cura di), Trattato di diritto tributario, Padova, 1994, vol. IV, 75; Zizzo G., Reddito delle persone giuridiche (imposta sul), in Riv. dir. trib., 1994, I, 619; Basilavecchia M., La nuova “imposta sul reddito delle società” (IRES): lineamenti generali, in Tesauro F. (a cura di), Imposta sul reddito delle società, Bologna, 2007, 3 ss.; Paparella F. (a cura), La riforma del regime fiscale delle imprese: lo stato di attuazione e le prime esperienze concrete, Milano, 2006; Lavagna C., Teoria dei soggetti e diritto tributario, in Riv. dir. fin. sc. fin., 1961, I, 3 ss.; Russo P., I soggetti passivi dell’Ires e la determinazione dell’imponibile, in Riv. dir. trib., 2004, 3, I, 313 ss.; Schiavolin R., I soggetti passivi, in Tesauro F. (diretta da), L’imposta sul reddito delle persone giuridiche, Giur. sist. dir. trib., Torino, 1996, 35 ss.; Ficari V., Indici di soggettività tributaria ed art. 87, comma 2, T.U.I.R. 817/1986, in Riv. dir. trib., 1994, II, 465 ss.; Gallo F., La soggettività ai fini Irpeg, in Aa.Vv., Il reddito d’impresa nel nuovo testo unico, Padova, 1988.

5 Tra i numerosi interventi della dottrina, Pizzetti F., Le nuove esigenze di governance in un sistema policentrico “esploso”, in Le Regioni, 2001, 6, 1165; Caravita B., La Costituzione dopo la riforma del titolo V, Torino, 2002, 139; Falcon G., Il nuovo titolo V della parte seconda della Costituzione, in Le Regioni, 2001, 1, 10; Giarda P., Le regole del federalismo fiscale nellarticolo 119: un economista di fronte alla nuova Costituzione, in Le Regioni, 2001, 6, 1464; D’Auria G., Funzioni amministrative e autonomia finanziaria delle Regioni e degli enti locali, in Foro it., 2001, 212; Fregni M.C., Riforma del Titolo V della Costituzione e federalismo fiscale, in Rass. trib., 2005, 3, 683; Id., Autonomia tributaria delle Regioni e riforma del titolo V della Costituzione, in Perrone L. – Berlieri C., Diritto tributario e Corte Costituzionale (i 50 anni della Corte Costituzionale), Napoli, 2006, 477 ss.; Brancasi A., Lautonomia finanziaria degli enti territoriali: note esegetiche sul nuovo art. 119 Cost., in Le Regioni, 2003, 1, 41 ss.; Scalinci C., Riserva di legge e primato della fonte statale nel «sistema» delle autonomie fiscali, in Riv. dir. trib., 2004, II, 215 ss.; Morrone A., La nuova Costituzione finanziaria. La Corte costituzionale indica la via per attuare lart. 119 della Costituzione, in Giur. Cost., 2003, 6, 4082; Id., Il regionalismo differenziato. Commento allart. 116, comma 3 della Costituzione, in Federalismo fiscale, 2007, 1, 139 ss.; Barbero M., Una panoramica sulla giurisprudenza costituzionale più o meno recente in materia di federalismo fiscale, in Federalismo fiscale, 2007, 2, 117 ss.

6 Su cui si rinvia ad Uricchio A.F. – Aulenta M. – Galeone P. – Ferri A. (a cura di), I tributi comunali dentro e oltre la crisi, Bari, 2021.

7 Si veda al riguardo Corte Costituzionale n. 200/2009, secondo cui le norme generali sull’istruzione riguardano essenzialmente l’istituzione di scuole per tutti gli ordini e gradi, il diritto di Enti e privati di istituire scuole e istituti di educazione, senza oneri per lo Stato, la parità tra scuole statali e non statali sotto gli aspetti della loro piena libertà e dell’uguale trattamento degli alunni, la necessità di un esame di stato per l’ammissione ai vari ordini e gradi di scuola o per la conclusione di essi, l’apertura delle scuole a tutti, l’obbligatorietà e gratuità dell’istruzione inferiore, il diritto degli alunni capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, di raggiungere i gradi più alti degli studi, la necessità di rendere effettivo il diritto di cui al punto precedente con borse di studio, assegni alle famiglie e altre provvidenze, da attribuirsi per concorso. Cfr. Poggi A., Istruzione, formazione professionale e Titolo V: alla ricerca di un (indispensabile) equilibrio tra cittadinanza sociale, decentramento regionale e autonomia funzionale delle Istituzioni scolastiche, in Le Regioni, 2002, 4, 798; Id., Un altro pezzo del “mosaico”: una sentenza importante per la definizione del contenuto della competenza legislativa concorrente delle Regioni in materia di istruzione, in www.federalismi.it, 5 febbraio 2004; Pajno A., Costruzione del sistema di istruzione e “primato” delle funzioni amministrative, in Giornale di diritto amministrativo, 2004, 5, 529.

8 Come è noto la nozione di livelli essenziali delle prestazioni, in qualche modo formulata anche prima della riforma del Titolo V della Costituzione del 2001 soprattutto nel settore della sanità (ove erano stati formulati i LEA Livelli Essenziali di Assistenza sanitaria), è stata contemplata con la revisione costituzionale del Titolo V. Successivamente, la L. n. 42/2009 ha disegnato un percorso graduale di avvicinamento ai livelli essenziali delle prestazioni, con la fissazione di finalità intermedie, qualificate come “obiettivi di servizio”. Attualmente la definizione dei LEP è in corso dopo i lavori della Commissione Cassese e con i nuovi interventi normativi in via di adozione. Cfr. Violini L., Livelli essenziali e regionalismo differenziato: riflettendo sui nessi tra l’art. 117, II comma, lett. m) e l’art. 116, III comma della Costituzione, alla luce dei lavori del CLEP, in www.federalismi.it, 21 febbraio 2024, la quale segnala che il dibattito in materia di LEP «è lungi dal potersi ritenere definitivamente concluso».

9 «In particolare, va menzionato il precedente di Cass., Sez. 5, n. 25508 del 18 dicembre 2015, per il quale in tema di ICI, l’esenzione di cui all’art. 7, comma 1, lett. a), del d.lgs. n. 504 del 1992 spetta non soltanto se l’immobile è direttamente utilizzato dall’ente possessore per lo svolgimento di compiti istituzionali, ma anche se il bene, concesso in comodato gratuito, sia utilizzato da un altro ente non commerciale per lo svolgimento di attività meritevoli previste dalla norma agevolativa, al primo strumentalmente collegato ed appartenente alla stessa struttura del concedente».

Scarica il commento in formato pdf

Tag:, , , , , , ,