I riflessi processualistici dell’adesione alla definizione agevolata dei carichi affidati all’agente della riscossione di cui alla L. n. 197/2022 (c.d. rottamazione quater)
Di Lucrezia Caramia
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(commento a/notes to Cass., sez. V, ord. 11 settembre 2024, n. 24428; Cass., sez. V, ord. 12 settembre 2024, n. 24479)
Abstract (*)
La Suprema Corte, con le ordinanze che si annotano, affronta la questione degli effetti processuali dell’adesione da parte del contribuente alla definizione agevolata dei ruoli prevista dall’art. 1, commi 231 – 253, L. n. 197/2022 (Legge di Bilancio 2023), giungendo, a distanza di un giorno l’una dall’altra, a conclusioni interpretative discordanti.
The processual consequences of adherence to the facilitated definition of the loads entrusted to the collection agent under law n. 197/2022 – The Supreme Court, with the judgments under review, addresses the issue of the processual effects of the taxpayer’s adherence to the facilitated definition of roles provided for by article 1, paragraphs 231 – 253, law n. 197/2022 (Budget Law 2023), reaching, one day apart, antithetical interpretative conclusions.
Sommario: 1. Il contrasto in seno alla suprema Corte. – 2. Inquadramento normativo della definizione agevolata di cui all’art. 1, commi 231-253, L. 29 dicembre 2022, n. 197. – 3. Brevi cenni sulle vicende anomale del processo tributario. – 3.1. La sospensione. – 3.2. L’estinzione per rinuncia al ricorso e per cessata materia del contendere. – 4. Gli effetti della rottamazione dei ruoli sui processi pendenti (a seconda dei casi). Riflessioni conclusive.
1. Le due decisioni in commento affrontano il tema degli effetti dell’adesione alla definizione agevolata dei carichi affidati all’agente della riscossione di cui alla L. 29 dicembre 2022, n. 197 (c.d. rottamazione quater) in pendenza di giudizio, giungendo a conclusioni discordanti.
In particolare, con l’ordinanza 11 settembre 2024, n. 24428 viene accolto il principio, già espresso dalla stessa Corte in relazione alla c.d. “pace fiscale” 2018, secondo cui «in tema di definizione agevolata dei carichi affidati all’agente della riscossione ex art. 1, commi 231-252, l. n. 197/2022 (cd. rottamazione quater), il comma 236 della norma delinea una fattispecie di estinzione che non postula il pagamento dell’intero ammontare dovuto in ragione del piano rateale concordato, presupponendo ex lege esclusivamente che si sia perfezionata la procedura amministrativa di rottamazione […] e che siano documentati in giudizio i soli pagamenti già effettuati con riferimento alla procedura di definizione agevolata». In altri termini, i giudici di legittimità individuano quali elementi costitutivi della fattispecie estintiva delineata dall’art. 1, comma 236, L. n. 197/2022, da una parte, la domanda di definizione agevolata del contribuente contenente l’impegno a rinunciare al giudizio, dall’altra parte, l’accoglimento da parte dell’ente della riscossione dell’istanza, con individuazione delle somme da versare e delle eventuali rate. In tale ipotesi, dunque, la Corte non ha ritenuto necessario il pagamento integrale del debito rateizzato ai fini dell’estinzione del giudizio, ritenendo sufficiente la produzione della documentazione dei soli pagamenti già effettuati in relazione alla procedura di definizione, che può ritenersi così completa e compiuta.
Diversamente, secondo quanto deciso con ordinanza 12 settembre 2024, n. 24479 la lettera della legge di cui all’art. 1, comma 236, L. n. 197/2022 richiede, ai fini dell’estinzione del processo, «l’effettivo perfezionamento della definizione e la produzione, nello stesso giudizio, della documentazione attestante i pagamenti effettuati» in relazione a tutte le rate del debito tributario rateizzato. Sicché, in assenza di integrale pagamento il procedimento di definizione non può dirsi perfezionato e il processo sarà sospeso, con rinvio dello stesso a nuovo ruolo. Ad un simile approdo consegue una “indeterminata” sospensione del giudizio se si considera che la rateizzazione, per l’espresso disposto normativo, è destinata a protrarsi per numerosi anni.
Il contrasto sorto in seno alla suprema Corte offre l’occasione per riflettere sulla peculiare fattispecie delineata dalla disciplina di cui alla L. n. 197/2022 composta da una fase procedimentale di natura amministrativa autonoma rispetto alla fase processuale, posto che l’obbligazione tributaria, in caso di inosservanza da parte del contribuente del piano di rateizzazione, sopravvive all’estinzione del giudizio.
Del resto, il tema appare di stretta attualità se si considera la recentissima riapertura dei termini per pagare le rate scadute e non versate dai contribuenti aderenti alla rottamazione quater, concessa dall’emendamento apportato in sede di conversione del decreto milleproroghe, D.L. 27 dicembre 2024, n. 202 pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 25 febbraio 2025; nonché, la possibile riedizione di una rottamazione (quinquies) delle cartelle di pagamento che seguirebbe le prime quattro approvate nel periodo 2016-2022 (cfr. Ingrao G., Nuova rottamazione delle cartelle tra ragioni politiche e inefficienze, in Gazzetta del Sud, 21 febbraio 2025).
2. La normativa premiale di cui alla L. n. 197/2022 costituisce un esempio, ormai sempre più frequente, di reiterazione di condoni fiscali nella realtà giuridica del nostro Paese, tema che occupa da tempo i più raffinati studiosi del diritto tributario sotto il profilo della conformità di tale istituto ai principi costituzionali pertinenti alla materia fiscale (tra i contributi più rappresentativi, senza pretese di esaustività, si segnala Preziosi C., Il condono fiscale, Milano, 1987; Basilavecchia M., Principi costituzionali e provvedimenti di condono, in Riv. dir. fin., 1988, 242 ss.; Picciaredda F., Condono [dir. trib.], in Enc. giur. Trecc., Roma, 1989, 1 ss.; Falsitta G., I condoni fiscali tra rottura di regole costituzionali e violazioni comunitarie, in il fisco, 2003, 6, 794 ss.; De Mita E., Il condono fiscale tra genesi politica e limiti costituzionali, in Dir. prat. trib., 2004, 6, 1449 ss.; Tinelli G., Condono tributario e principio di uguaglianza, in GT – Riv. giur. trib., 2008, 1, 18 ss.; Ingrao G., Condono tributario, in Enc. giur. Trecc., Diritto online, 2016; più di recente, sul tema, v. Busico M., Il condono delle liti pendenti è costituzionalmente legittimo, in GT – Riv. giur. trib., 2025, 2, 105 ss.)
Più precisamente, ai sensi dell’art. 1, comma 231, L. n. 197/2022, è concesso ai contribuenti di pagare i debiti fiscali in modo agevolato, eliminando sanzioni, aggio e interessi di mora. La misura riguarda i carichi affidati all’Agenzia delle Entrate e Riscossione dal 1° gennaio 2000 al 30 giugno 2022, compresi quelli già oggetto di precedenti “rottamazioni”. Il contribuente può estinguere i debiti versando solo le somme dovute a titolo di capitale e quelle maturate a titolo di rimborso spese.
L’istituto in esame, secondo la classificazione contenuta nella pregevole opera di Preziosi C. (Il condono fiscale, cit., 10-11), può essere considerato quale condono fiscale premiale, definito come un insieme di atti diretti all’abbandono «di pretese sanzionatorie di natura amministrativa e civile connesse ad atti illeciti già verificatisi in passato».
Ebbene, per aderire il contribuente deve presentare, ai sensi dell’art. 1, commi 235 e 236, L. n. 197/2022 una istanza nella quale manifesta «la sua volontà di procedere alla definizione» assumendo l’impegno a rinunciare agli stessi giudizi, che, «dietro presentazione di copia della dichiarazione e nelle more del pagamento delle somme dovute, sono sospesi dal giudice». La norma prosegue prevedendo l’estinzione del giudizio in caso di «effettivo perfezionamento della definizione e di produzione, nello stesso giudizio, della documentazione attestante i pagamenti effettuati; in caso contrario, il giudice revoca la sospensione su istanza di una delle parti».
Un’interpretazione letterale della norma suggerisce, in primo luogo, di separare gli effetti processuali derivanti dall’impegno alla rinuncia ai giudizi in corso manifestata dal contribuente mediante la presentazione dell’istanza relativo ai carichi cui si riferisce la definizione agevolata, da quelli scaturenti dall’effettivo perfezionamento del “meccanismo” di definizione previsto dalla legge in virtù della corretta individuazione della fattispecie definibile.
Pare si tratti, nella prima fase, di una ipotesi di sospensione del giudizio su istanza di una parte seppure di natura legale, in quanto è la legge a individuarne i presupposti applicativi; successivamente, in caso di perfezionamento della procedura di definizione, ci si troverebbe dinanzi all’ipotesi di estinzione del giudizio «per rinuncia al ricorso» (art. 44 D.Lgs. n. 546/1992 nei giudizi di merito, art. 390 ss., c.p.c., nei processi in Cassazione); da ultimo, qualora risulti, al momento della decisione, «che il debitore abbia anche provveduto al pagamento integrale del debito rateizzato» la formula di chiusura del processo sarebbe quella della dichiarazione di estinzione «per cessata materia del contendere» (art. 46 D.Lgs. n. 546/1992)(in tal senso, l’ordinanza n. 24428/2024, in commento). Com’è noto, gli effetti dell’estinzione, nelle delineate situazioni, non sono coincidenti: l’ipotesi di estinzione del processo per rinuncia al ricorso comporta, almeno per ciò che concerne i giudizi di impugnazione, anche la rinuncia all’azione (cfr. Tesauro F., Manuale del processo tributario, Torino, 2017, 186;Contrino A. – Della Valle E. – Marcheselli A. – Marello E. – Marini G. – Paparella F.,a cura di, La giustizia tributaria, Milano, 2024, 222); con la cessata materia del contendere, invece, viene data rilevanza a fatti o eventi sopravvenuti che rendono superflua la pronuncia del giudice sul merito della controversia, incidendo, in tal modo, sull’oggetto del giudizio (cfr. Russo P., Cessazione della materia del contendere, III, diritto tributario, in Enc. giur. Trecc., 1988, 1999 ss.).
3. Prima di proseguire con l’analisi delle questioni di maggiore attualità ed interesse affrontate dalle sentenze in commento, appare utile una premessa sul quadro normativo in cui si inseriscono le disposizioni relative alla sospensione (alla interruzione), e alla estinzione del processo tributario.
La disciplina attualmente contenuta nel D.Lgs. n. 546/1992 dedica un’intera Sezione – la V del titolo II – agli istituti della sospensione, interruzione ed estinzione del processo tributario sulla falsa riga di quanto contenuto nel Codice di procedura civile.
Gli istituti in esame sono tra loro molto diversi, anche se la dottrina li ha sovente esaminati congiuntamente, definendoli “vicende anomale” o “anormali” del processo (Micheli G.A., Sospensione, interruzione ed estinzione del processo, in Riv. dir. proc. civ., 1942). La sospensione, l’interruzione e l’estinzione determinano un arresto del processo, fenomeno dotato del carattere della temporaneità nei primi due casi e della definitività nell’ultimo.
Più precisamente, la sospensione descrive un fenomeno in contrasto con lo svolgimento naturale del processo, fatto per procedere e arrivare a sentenza di merito “in tempo ragionevole” (art. 6 Convenzione europea dei diritti dell’uomo, siglata a Roma, 4 dicembre 1950): essa, quindi, comportando una paralisi nello svolgimento dell’attività processuale può effettivamente concepirsi come un evento negativo, ossia come una “vicenda anomala” o “anormale” (Trisorio Liuzzi G., La sospensione del processo civile di cognizione, Bari, 1987; Cipriani F., Sospensione del processo, in Enc. giur. Trecc., Roma, 1988, 1; Trisorio Liuzzi G., Sospensione del processo civile, in Il diritto-Encicl. Giur., Il Sole 24 Ore, Milano, 2008, 276).
L’interruzione, invece, interviene al verificarsi di fatti che riguardano le parti processuali e che possono ledere l’effettività del contraddittorio, permettendo al processo di pervenire alla sua regolare conclusione, ricostituendo l’effettivo esercizio del diritto di difesa (Calvosa C., Interruzione del processo civile, in Noviss. Dig. It., Torino, 1962, 926 ss.; Finocchiaro A., Interruzione del processo [diritto processuale civile], in Enc. dir., Milano, 1972, 428 ss.; Saletti A., Interruzione del processo, in Enc. giur. Trecc., Roma, 1988, 1).
Da ultimo, l’estinzione rappresenta uno dei modi in cui può concludersi il processo intervenendo nel corso del giudizio, non per alterarne il normale svolgimento, ma per definirlo (Trisorio Liuzzi G., Sospensione del processo civile, cit., 276; Balena G., Istituzioni di diritto processuale civile, vol. II, Bari, 2019, 230 ss.). Nell’ambito della materia tributaria, le descritte “vicende anomale” del processo sono disciplinate agli artt. 39-46 D.Lgs. n. 546/1992. Ai fini del presente approfondimento, ci si propone di esaminare brevemente la disciplina della sospensione e dell’estinzione del processo tributario, in particolare nei casi di rinuncia e di cessata materia del contendere
3.1 La sospensione è definita, secondo la tradizionale formulazione processualcivilistica, come un evento anomalo che determina un arresto temporaneo del processo (cfr. Luiso F.P., Sospensione, in Enc. dir., Varese, 1990, 155 ss.; Giussani A., Sospensione del processo, in Dig. disc. priv., sez. civ., Torino, 1998, 603 ss.; Trisorio Liuzzi G., Sospensione del processo civile, cit. 276 ss.; Balena G., Istituzioni di diritto processuale civile, cit., 269 ss.); in seguito ad essa, in attesa che venga emessa una decisione o che spiri un termine, il processo entra in una fase di quiescenza durante la quale non può compiersi alcun atto del procedimento e tutti i termini sono interrotti.
La sospensione è disciplinata per la prima volta in materia tributaria nel D.P.R. n. 636/1972, dove si contemplava nell’art. 21, come modificato dall’art. 13 D.P.R. n. 739/1972, una sola ipotesi di sospensione del processo su impulso della Commissione in caso di richiesta di rinnovazione dell’atto impugnato inficiato da vizi formali1.
A fronte dell’inesistenza di una specifica disciplina, la dottrina prevalente ha ritenuto applicabile al processo tributario l’istituto della sospensione necessaria di cui all’art. 295 c.p.c. (cfr. Allorio E., Diritto processuale tributario, Torino, 1955, 518-519; Tesauro F., La sospensione del processo ex art. 295 c.p.c. nel giudizio avanti le Commissioni, in Boll. trib., 1979, 1588; Fantozzi A., Diritto tributario, Torino, 1991, 524; Batistoni Ferrara F., Appunti sul processo tributario, Padova, 1995, 90 ss.; Marini G., Note in tema di sospensione del processo tributario, in Rass. trib., 2005, 4, 1046 ss.; Consolo C. – Glendi C., Commentario breve alle leggi del processo tributario, Padova, 2008, 452 ss.; Manoni E., La sospensione necessaria per pregiudizialità trova ingresso nel processo tributario, in il fisco, 2015, 41, 3948 ss.; Della Valle E., Le c.d. vicende anomale nel processo tributario, in Rass. trib., 2020, 1, 155 ss.). La disposizione prevede una ipotesi di sospensione giudiziale di carattere obbligatorio subordinata alla verifica dei presupposti indicati dal legislatore: essa impone al giudice la sospensione della causa a lui sottoposta, quando la decisione della stessa dipenda dalla definizione di un’altra causa. La dottrina è concorde nel ritenere che la connessione di cause presupposta nella norma sia rappresentata dalla pregiudizialità-dipendenza di natura sostanziale: in siffatta situazione, la decisione intervenuta sul rapporto pregiudiziale, una volta passata in giudicato ex art. 2909 c.c., può senz’altro riflettersi sulle parti, ove siano le stesse del rapporto dipendente. La giurisprudenza è difatti ormai concorde nel ritenere che per la sospensione necessaria del giudizio, ex art. 295 c.p.c., non è sufficiente che tra due liti sussista una mera pregiudizialità logica, ma occorre l’esistenza di un obiettivo rapporto di pregiudizialità giuridica, che ricorre solo quando la definizione di una controversia costituisce l’indispensabile antecedente logico-giuridico dell’altra, ed il cui accertamento debba avvenire con efficacia di giudicato (cfr. Cass., 30 marzo 1999, n. 3059; Cass. 1° dicembre 1998, n. 12198; Cass., 17 ottobre 1997, n. 10182; Cass., 4 aprile 1997, n. 2905; Cass., Sez. Un., 1° ottobre 1996, n. 8584); in particolare secondo una pronuncia dei giudici di legittimità (Cass., 6 febbraio 1982, n. 707) «la sospensione necessaria del processo, prevista dall’art. 295 c.p.c., tende ad evitare la contraddittorietà dei giudicati e deve pertanto essere disposta solo quando la previa definizione di una controversia civile, penale o amministrativa, pendente davanti allo stesso o ad altro giudice, sia imposta da una espressa disposizione di legge o quando, per il suo carattere pregiudiziale, costituisce l’indispensabile antecedente logico-giuridico dal quale dipende la decisione della causa ed il cui accertamento sia richiesto con efficacia di giudicato» (nello stesso senso, in dottrina, Proto Pisani A., Sulla sospensione necessaria del processo civile, in Foro It., 1969, I, 2515 ss.).
L’attuale disciplina della sospensione nel processo tributario è contenuta nell’art. 39 D.Lgs. n. 546/1992: nella sua originaria formulazione esso prevedeva unicamente la sospensione necessaria del processo tributario nei casi di querela di falso e di sussistenza di questioni pregiudiziali concernenti lo stato e la capacità delle persone, riservate alla cognizione del giudice ordinario. Ogni altra questione pregiudiziale doveva essere risolta in via incidentale dal giudice tributario adito.
L’immediata questione interpretativa affrontata in dottrina e in giurisprudenza ha riguardato la possibile utilizzabilità nel processo tributario, in funzione integrativa, delle ipotesi di sospensione ex art. 295 c.p.c. ai sensi del quale se la pronuncia su una controversia dipende dalla soluzione di un’altra lite, promossa davanti allo stesso giudice investito della causa pregiudicata o di altro giudice, il processo che verte sulla questione connessa deve essere sospeso, in attesa che venga decisa la causa connessa (per opportuni approfondimenti si rinvia a Glendi C., Sulla sospensione necessaria del processo tributario, in Dir. prat. trib., 1976, II, 39 ss.; Tinelli G., Pregiudizialità e sospensione necessaria del processo tributario, in Riv. dir. fin. sc. fin., 1980, I, 283 ss.; Leoncini L., Connessione delle cause e sospensione necessaria nel processo tributaria, in Riv. tel. dir. trib. 2021, 2, 811 ss.).
In proposito, è opportuno richiamare il disposto dell’art. 1, comma 2, D.Lgs. n. 546/1992, a mente del quale il giudice tributario applica, per quanto non disposto dal medesimo decreto e con lo stesso compatibili, «le norme del codice di procedura civile»: tale rinvio, dunque, risulta ammissibile in presenza di effettive lacune nella disciplina normativa involgente il contenzioso tributario, e soltanto se le norme codicistiche sono compatibili con l’insieme di quelle fissate dal D.Lgs. n. 546/1992.
La posizione della giurisprudenza di legittimità appare ormai chiara e consolidata. In più occasioni essa ha infatti ritenuto ammissibile la sospensione necessaria del processo ai sensi dell’art. 295 c.p.c. anche in presenza di fattispecie differenti da quelle espressamente contemplate dal citato art. 39, in quanto la disposizione in commento regolerebbe unicamente i rapporti esterni, ossia i rapporti tra processo tributario e processi non tributari (c.d. pregiudizialità esterna).
Diversamente, nulla osta all’operatività, in seno al rito tributario, dell’art. 295 c.p.c. e della disciplina codicistica (ex multis, Cass., 14 maggio 2007, n. 10952; Cass., 1° giugno 2006, n. 13082; Cass., 26 maggio 2005, n. 11140; Cass., 6 giugno 2004, n. 17937; Cass., 18 luglio 2002, n. 10509; Cass., 22 novembre 2001, n. 14788; Cass., 4 giugno 2001, n. 7506).
Con il D.Lgs. n. 156/2015, la questione è stata definitivamente risolta inserendo nell’art. 39, i commi 1-bis e 1-ter: con tale modifica normativa, il legislatore processuale distingue, anche nel processo tributario, tra i casi di pregiudizialità interna, ossia quando la causa pregiudiziale e quella pregiudicata ricadono entrambe nella giurisdizione delle ormai Corti di Giustizia tributaria, e di pregiudizialità esterna, ossia quando le liti, la pregiudicante e la pregiudicata, pendano di fronte a giurisdizioni diverse. È stata altresì introdotta un’ipotesi di sospensione del processo tributario “su richiesta conforme delle parti” specificamente dedicata alle procedure amichevoli ai sensi delle Convenzioni contro le doppie imposizioni oppure ai sensi della c.d. Convenzione arbitrale (n. 90/463/CEE, 23 luglio 1990) sulla quale, in questa sede, non è possibile soffermarsi.
Da ultimo, la c.d. sospensione concordata prevista dall’art. 296, c.p.c. è stata per lungo tempo ritenuta inapplicabile in considerazione dell’interesse di natura pubblicistica tutelato dal processo tributario e del fatto che, diversamente opinando, si sarebbe consentito alle parti di ritardare la riscossione del tributo in pendenza di giudizio (cfr. Batistoni Ferrara F., Appunti sul processo tributario, cit., 90; Marini G., Note in tema di sospensione del processo tributario, cit., 1046).
3.2 L’estinzione, a differenza della sospensione e dell’interruzione, comporta l’arresto definitivo del processo che non giunge ad una decisione nel merito da parte del giudice, di tipo definitorio (cfr. D’Ayala Valva F., L’estinzione del processo, in Della Valle E. – Marini G., a cura di, Il processo tributario, Padova, 2008).
Il processo tributario, ai sensi degli artt. 44-46 D.Lgs. n. 546/1992 per i giudizi dinanzi alle Corti di Giustizia tributaria di primo e di secondo grado, e dell’art. 390 ss. c.p.c., per il processo in Cassazione, si estingue per tre distinte ragioni: rinuncia al ricorso ex art. 44, inattività delle parti ai sensi dell’art. 45 e cessazione della materia del contendere come previsto dall’art. 46.
Muovendo dalla lettera dell’art. 44 D.Lgs. n. 546/1992, analogamente a quanto disposto dall’art. 306 c.p.c., la rinuncia, al pari dell’accettazione, dev’essere sottoscritta dalla parte personalmente o da un suo procuratore speciale nonché, se presente, dal difensore: la dichiarazione di rinuncia, dunque, non rientra nel novero degli atti che il difensore è legittimato a compiere in virtù del mandato alle liti conferitogli (v. Russo P. – Coli F. – Mercuri G., Diritto processuale tributario, Milano, 2022, 228). La rinuncia non deve essere notificata ma va depositata presso la segreteria della Corte di Giustizia tributaria secondo le regole ordinarie previste dal terzo comma dell’art. 16-bis D.Lgs. n. 546/1992. Inoltre, la dichiarazione di rinuncia deve essere incondizionata e quindi senza riserve o condizioni che la renderebbero immediatamente inefficace. Tale assunto, non espressamente previsto dalla normativa tributaria, discende dalla disciplina processualcivilistica, ed in particolare dall’art. 306 c.p.c.
Dal punto di vista temporale, il termine ultimo per effettuare la rinuncia e l’accettazione coincide con quello dell’udienza di trattazione; diversamente, se il giudizio si svolge in camera di consiglio, tale volontà deve intervenire nei cinque giorni liberi antecedenti. Sul punto si evidenzia come nel processo di legittimità non occorra accettazione della rinuncia (che, in tale giudizio, può avvenire fino a quando sia iniziata la relazione), in ossequio al disposto dell’art. 390 c.p.c. senz’altro applicabile alle controversie di natura tributaria in virtù del rinvio operato dall’art. 62, comma 2, D.Lgs. n. 546/1992.
Una questione dibattuta concerne il momento di perfezionamento dell’estinzione: se dunque è sufficiente l’accettazione delle altre parti costituite – assumendo la pronuncia di estinzione valore dichiarativo (in tal senso, Tinelli G., Diritto processuale tributario, Milano, 2021, 277) – oppure se l’efficacia decorre solo in seguito al provvedimento dell’organo giudicante (così, Finocchiaro A. – Finocchiaro M., Commentario al nuovo contenzioso tributario, Milano, 1996, 634) che potrà pronunciare la dichiarazione di estinzione del giudizio mediante decreto oppure mediante sentenza.
In merito agli effetti della estinzione del processo per rinuncia al ricorso, si è discusso se essa comporti una mera rinuncia agli atti del giudizio, agendo dunque solo nel processo in corso, oppure dia luogo ad una rinuncia dell’azione che provoca, com’è evidente, effetti preclusivi della possibilità di proporre una nuova domanda giudiziale. Non potendo in questa sede ripercorrere il dibattito giurisprudenziale e dottrinale sul punto, ci si limita a condividere la tesi secondo cui, nelle liti di impugnazione, considerata l’attitudine alla definitività che caratterizza gli atti di accertamento dell’Amministrazione finanziaria ove non tempestivamente impugnati, appare improbabile immaginare che il contribuente possa effettivamente riproporre l’azione (Tinelli G., Diritto processuale tributario, cit., 276). Allo stesso modo, se la rinuncia ha ad oggetto il ricorso in appello, non è possibile promuovere una nuova impugnazione della sentenza di primo grado.
Passando alla seconda causa di estinzione del processo tributario di nostro interesse ai fini del presente approfondimento, essa è costituita dalla c.d. cessata materia del contendere. Tale fenomeno, secondo autorevole dottrina da tenere distinto rispetto all’estinzione in senso stretto (v. Della Valle E., Le c.d. vicende anomale nel processo tributario, cit., 177; Russo P. – Coli F. – Mercuri G., Diritto processuale tributario, cit., 232), è legato a fatti ed eventi sopravvenuti, riconosciuti ed ammessi dalle parti, che incidono sull’oggetto del giudizio in modo tale da rendere superflua la prosecuzione dello stesso verso il suo naturale epilogo.
Ai sensi del primo comma dell’art. 46 D.Lgs. n. 546/1992, costituiscono ipotesi di estinzione per cessata materia del contendere «la definizione delle pendenze tributarie previste dalla legge» nonché «ogni altro caso di cessazione della materia del contendere». Ci si riferisce, dunque, a tutte quelle previsioni legislative, sia strutturali che ad efficacia limitata nel tempo, volte a definire la pretesa tributaria: si pensi, ad esempio, agli artt. 48 e 48-bis D.Lgs n. 546/1992 in tema di conciliazione e a tutti gli istituti premiali (condoni, sanatorie, definizioni agevolate) che ciclicamente interessano il diritto tributario. Ebbene, in tali casi, si avrà estinzione del giudizio per cessata materia del contendere ogniqualvolta il meccanismo di definizione si sia perfezionato: appare evidente come, a tal fine, il contribuente, oltre a presentare la relativa istanza debba correttamente individuare la fattispecie definibile prevista dalla legge. In caso contrario, l’estinzione non potrà ritenersi operante.
Venendo agli effetti della cessazione della materia del contendere, si rileva come essi siano diversi rispetto a quelli prodotti nelle altre ipotesi di estinzione. In tale circostanza, infatti, l’adesione al condono, l’adempimento spontaneo del contribuente o l’annullamento dell’atto a causa dell’esercizio dell’autotutela (su tali profili, ex multis, Ficari V., Autotutela e riesame nell’accertamento, Milano, 1999, 204 ss.; Marcheselli A., Autotutela nel diritto tributario, in Dig. Comm., Torino, 2008, 32) comportano il mutamento della situazione sostanziale dalla quale traeva origine la controversia. L’atto recante la pretesa tributaria cessa così di produrre i suoi effetti e conseguentemente diventano invalide tutte le decisioni assunte durante il processo.
4. Alla luce di quanto esaminato, è possibile formulare alcune considerazioni in merito alla questione di maggiore interesse ed attualità affrontata dalle sentenze in commento, ossia il momento di perfezionamento della definizione agevolata. Sul punto, parte della giurisprudenza di legittimità e della dottrina ha in passato condiviso la posizione espressa dall’Agenzia delle Entrate in merito alla “pace fiscale” del 2018 (circ. 8 marzo 2017, n. 2/E) secondo la quale la rottamazione si perfeziona solo con il pagamento integrale delle somme dovute in base alla dichiarazione di adesione alla definizione agevolata e la pronuncia che chiude il giudizio deve dichiarare la cessazione della materia del contendere.
Sulla scia di tale orientamento, la Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 24479/2024 dichiara che l’estinzione del giudizio sia possibile, appunto, solo a seguito dell’integrale pagamento di tutte le rate previste dal piano, procedendo di fatto alla sospensione del processo sino al 30 novembre 2027, data di scadenza dell’ultima rottamazione.
Diversamente, con l’ordinanza n. 24428/2024, la suprema Corte ha stabilito che in caso di adesione alla rottamazione quater in pendenza di giudizio, l’estinzione del processo non richiede il pagamento integrale delle somme dovute. Le vicende relative il piano rateale concordato nell’alveo della procedura amministrativa, infatti, non possono riverberarsi nel processo impedendone l’estinzione: il successivo ed eventuale inadempimento da parte del contribuente nel pagamento delle rate, in caso di estinzione del giudizio, «è apprezzato dal legislatore solo sul piano della riscossione e non in funzione della prosecuzione del giudizio che la parte si è impegnata a rinunziare, di cui nessuna disposizione prevede la ripresa» (così ord. n. 24428/2024, in motivazione). Il comma 244 dell’art. 1 L. n. 197/2022 difatti prevede chiaramente che, «in caso di mancato ovvero di insufficiente o tardivo versamento, superiore a cinque giorni, dell’unica rata ovvero di una di quelle in cui è stato dilazionato il pagamento […] la definizione non produce effetti e riprendono a decorrere i termini di prescrizione e di decadenza per il recupero dei crediti oggettodi dichiarazione».
Tale ultima decisione appare, a parere di scrive, preferibile rispetto alla prima per diverse ragioni. In primo luogo, essa risulta maggiormente coerente con la littera legis. Il comma 236, dell’art. 1 L. n. 197/2022, infatti, prevede una prima fase del procedimento di adesione: ossia, con la presentazione dell’istanza da parte del contribuente e nelle more del pagamento delle somme dovute, il processo viene sospeso; successivamente, affinché il giudizio possa essere dichiarato estinto, è necessario che, iniziato il pagamento (in un’unica somma o secondo un piano di rateizzazione), il contribuente documenti “i pagamenti effettuati”. La disposizione, dunque, si limita a richiedere la documentazione attestante l’effettuazione dei pagamenti e non anche che questi siano integrali rispetto alla totalità del debito (o del piano rateale concepito nell’alveo della procedura di definizione agevolata). Diversamente opinando, il processo cadrebbe in uno stato di anomala quiescenza al di fuori delle ipotesi di sospensione espressamente previste dall’ordinamento vigente, precedentemente esaminate.
In secondo luogo, la diversa soluzione fornita con l’ordinanza n. 24479/2024 pare porsi in grave contrasto con il basilare principio di ragionevole durata del processo e di economia processuale, assumendo il processo una dimensione temporale a tratti abnorme (cfr. Cass., ord. n. 20626/2024) in dipendenza di fattori estranei al giudizio (nello stesso senso, Serranò M.V., Rottamazione quater: l’estinzione del giudizio non determina l’estinzione del debito, in Corr. trib., 2024, 12, 1031 ss.). Del resto, la L. n. 197/2022 ha introdotto una serie di strumenti volti precipuamente a ridurre il contenzioso tributario in tutti i gradi di giudizio ed il magazzino dei carichi affidati all’agente della riscossione in attuazione degli impegni assunti con l’approvazione del Piano Nazionale di Ripresa e di Resilienza (PNRR), ossia il pacchetto di riforme e investimenti necessario per accedere alle risorse finanziarie messe a disposizione dall’Unione Europea nell’ambito della strategia Next Generation EU.
Inoltre, l’interpretazione del dato positivo condivisa in questo breve contributo è avallata dalla innovazione introdotta dalla medesima legge n. 197/2022, ai commi 197 e 198, art. 1, che – ai fini della definizione agevolata delle liti pendenti – scinde in maniera esplicita la procedura amministrativa di definizione agevolata dal processo, sicché non occorre più attendere, come in passato, il decorso del termine utile per gli Uffici per l’esame delle singole domande di condono per la decisione di estinzione, per la quale è sufficiente, decorsi i termini per la presentazione della domanda di definizione agevolata, l’allegazione della domanda stessa e della prima rata di pagamento delle somme da versare (v. Corraro D., L’oggetto del giudicato tributario, Milano, 2024, 290).
A conferma della particolare rilevanza della questione affrontata, si segnala, da ultimo, l’ordinanza interlocutoria 5 marzo 2025, n. 5830 della sezione tributaria della Suprema Corte che ha disposto, ai sensi dell’art. 374, comma 2, c.p.c., la trasmissione della causa alla Prima Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite al fine di addivenire ad una composizione dei diversi orientamenti sorti all’interno dell’organo nomofilattico del nostro Paese.
(*) Il saggio è stato sottoposto a double blind peer review con valutazione positiva. Esso confluirà nel fascicolo n. 2/2024 (semestrale) della Rivista telematica di diritto tributario.
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1 Precisamente la lettera della norma prevedeva che «la Commissione, se nell’atto contro il quale il ricorso è stato proposto rileva un vizio di incompetenza che comunque non attiene all’esistenza o all’ammontare del credito tributario, sospende con ordinanza il processo, sempre che non si sia verificata sanatoria, ed assegna per la rinnovazione dell’atto impugnato un termine non inferiore a due mesi e non superiore a quattro mesi dalla data in cui l’ordinanza è comunicata all’ufficio tributario».
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