Sorgono dubbi di costituzionalità sulla estensione del giudicato penale al processo tributario in attesa delle Sezioni Unite
Di Roberto Succio
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(commento a/notes to Corte di Giustizia tributaria di secondo grado del Piemonte, 10 marzo 2025, n. 64)
Abstract (*)
Il saggio esamina la questione della rilevanza del giudicato penale di assoluzione (ex art. 21-bis D.Lgs. n. 74/2000) nel processo tributario, in particolare quando il fatto non sussiste o l’imputato non lo ha commesso. La sentenza commentata evidenzia come tale automatismo possa pregiudicare il diritto di difesa dell’Amministrazione finanziaria (art. 24 Cost.) e l’interesse alla riscossione delle imposte, non potendo l’Agenzia delle Entrate intervenire nel processo penale per tutelare la pretesa fiscale.
Stante l’evidente contrasto giurisprudenziale sorto in sede di legittimità si sottolinea la necessità di un intervento chiarificatore per armonizzare i rapporti tra processo penale e tributario e garantire la tutela degli interessi coinvolti.
The essay examines the relevance of a criminal judgment of acquittal (pursuant to Article 21-bis of Legislative Decree no. 74/2000) in tax proceedings, particularly when the fact did not occur or the defendant did not commit it. The commented ruling highlights how this automatism could prejudice the tax authorities’ right to defense (Article 24 of the Constitution) and the interest in tax collection, as the Italian Revenue Agency cannot intervene in criminal proceedings to protect tax claims. Given the evident jurisprudential conflict that has arisen in legitimacy, the need for a clarifying intervention to harmonize the relationship between criminal and tax proceedings and to ensure the protection of the interests involved is emphasized.
Sommario:1. Il caso. – 2. Le ragioni di diritto sottese alla remissione alla Consulta. – 3. Premesse sulla nozione di giudicato. – 4. Rapporti pregressi tra processo penale e processo tributario: tra codice di rito e art. 21-bis. – 5. Le conseguenze della riforma ex L. n. 130/2022 (c.d. legge “Cartabia”) sulla qualità della prova nel processo tributario: vera o apparente isomorfia con la prova nel processo penale? – 6. La giurisprudenza di legittimità tra disallineamenti e necessità di intervento delle Sezioni Unite.
1. Il giudice del merito rileva che il legale rappresentante della società che si assumeva esterovestita è stato assolto dal reato di cui all’art. 5 D.Lgs. n. 74/2000, non essendo nel processo penale emersi elementi sufficienti per affermare che la società avesse una stabile organizzazione in Italia e ivi fosse localizzata la gestione amministrativa della medesima. Di qui l’assoluzione perché il fatto non sussiste.
Secondo la pronuncia in nota, «con riferimento ai medesimi fatti materiali oggetto di valutazione, tale sentenza ha efficacia di giudicato nel processo tributario (art. 21-bis, comma 1), anche con riferimento alla società e ad altri soggetti interessati (comma 3). Tenuto conto che il processo penale ha riguardato le annualità 2015 e 2016, l’applicazione del richiamato disposto normativo determinerebbe l’automatica caducazione degli avvisi di accertamento relativi alle medesime annualità, incidendo, quindi, in modo vincolante nel presente giudizio. Va aggiunto che, escludendo l’esame del materiale probatorio sotteso alla pronuncia del giudice penale, impedito dall’applicazione del menzionato articolo 21 bis del d.lgs. n. 74/2000 (oggi, art. 119 d.lgs. n. 175/2024, applicabile dall’1.1.2026), si determina una preclusione incidente sulla valutazione di essenziali elementi di fatto, coperti dal giudicato penale, che potrebbero orientare il giudice tributario alla compiuta definizione del giudizio anche in senso opposto alla risoluzione nel merito operata dal giudice penale».
Ciò posto, la pronuncia – nel concreto disattendendo il principio del giudicato che preclude l’esame delle questioni da esso definite – prosegue a manifestare la propria valutazione delle prove emerse nel processo di fronte a sé, in ordine alle quale esplicita l’analisi del fatto scrivendo che «[…] mentre nel giudizio penale l’istruzione probatoria è apparsa, con riferimento alla ——- s.a., del tutto carente, nel presente giudizio sono emersi precisi e puntuali elementi indiziari che, ad un sommario esame, permetterebbero di motivare adeguatamente nel senso dell’esterovestizione della società svizzera, con conseguente fondamento della ripresa fiscale operata dall’Agenzia».
Il Collegio dubita quindi della legittimità costituzionale della disposizione richiamata in relazione agli artt. 3, 24 e 97 della Costituzione, sollevando di conseguenza la questione di fronte al Giudice delle leggi.
2. Con riguardo al rapporto in cui si pone la disposizione “sospetta” con l’art. 25 Cost., il giudice del merito richiama la giurisprudenza della Consulta che individua la finalità delle norme in esame nel garantire a tutti la possibilità di tutelare in giudizio le proprie ragioni”[1].
Sia pur riconoscendo la sussistenza in capo al potere legislativo del compito di «dettare le concrete modalità per l’esercizio del diritto di difesa», l’ordinanza in nota ritiene che l’art. 21-bis non garantisca il diritto di difesa «a tutti su un piano d’uguaglianza ed in forme idonee»[2], venendo meno «il diritto di difesa dell’Agenzia delle Entrate in relazione all’interesse, di cui è portatrice concreta, alla corretta riscossione delle imposte ed al recupero dell’evasione fiscale. Occorre considerare, infatti, che l’automatismo introdotto dal legislatore (con l’articolo 1, comma 1, lettera m, d.lgs. n. 87/2024) determina l’estensione degli effetti del giudicato penale nei confronti di una parte – l’Agenzia delle Entrate – che, in quel giudizio penale, non può intervenire per la tutela dell’interesse, alla ripresa fiscale, di cui è istituzionalmente portatrice; sicché, l’applicazione della norma, in ragione della predetta preclusione, lede quella dialettica processuale che è imprescindibile garanzia dell’effettività del diritto di difesa (Corte cost. 16 dicembre 1970, n. 190)».
Tale considerazione precede un esame – incidentale – da parte del giudice di merito delle poste di danno che possono essere richieste in sede penale. Citando la giurisprudenza di legittimità nella sua composizione massimamente nomofilattica, la CGT di secondo grado subalpina osserva che «il risarcimento del danno azionabile in sede penale con la relativa costituzione di parte civile è ontologicamente differente dal credito fiscale e relative sanzioni: in sostanza, “nel rapporto tra il contribuente e l’erario il danno patrimoniale da evasione penalmente rilevante di cui l’amministrazione finanziaria può chiedere il risarcimento ènecessariamente diverso dall’imposta evasa, dalle sanzioni e dagli interessi moratori previsti dalla legislazione speciale, e potrà consistere solo negli eventuali ulteriori o diversi pregiudizi sopportati dalla p.a.”».
Da tale affermazione, deduce ancora la pronuncia in nota, deriva che poiché la pretesa tributaria non può costituire oggetto dell’azione risarcitoria da esercitare nel processo penale mediante la costituzione di parte civile dell’Agenzia delle Entrate, l’effetto dell’art. 21-bis sarebbe quello di produrre un «irrimediabile pregiudizio» in capo all’Amministrazione finanziaria, che non potrebbe ottenere i maggiori tributi, oltre agli interessi e alle sanzioni di cui agli atti impositivi, in quanto tali pretese non potrebbero formare oggetto della cognizione del giudice penale.
Sul punto si osserva che «l’Agenzia delle Entrate […] subisce gli effetti di un giudizio, di una strategia processuale, su cui non è in condizioni di influire, con evidente lesione del suo diritto di difesa (art. 24 Cost.) e, conseguentemente, dell’interesse primario dello Stato alla riscossione delle imposte contrastando l’illecita sottrazione di materiale imponibile, tanto in forma di evasione quanto di elusione fiscale».
Prosegue poi ulteriormente il Collegio di merito sottolineando come l’art. 652 c.p.p., nel prevedere che «1.La sentenza penale irrevocabile di assoluzione pronunciata in seguito a dibattimento ha efficacia di giudicato, quanto all’accertamento che il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso o che il fatto è stato compiuto nell’adempimento di un dovere o nell’esercizio di una facoltà legittima, nel giudizio civile o amministrativo per le restituzioni e il risarcimento del danno promosso dal danneggiato o nell’interesse dello stesso, sempre che il danneggiato si sia costituito o sia stato posto in condizione di costituirsi parte civile, salvo che il danneggiato dal reato abbia esercitato l’azione in sede civile a norma dell’articolo 75 comma 2. 2. La stessa efficacia ha la sentenza irrevocabile di assoluzione pronunciata a norma dell’articolo 442, se la parte civile ha accettato il rito abbreviato», letto unitamente all’art. 654 c.p.p. produrrebbe una evidente disparità di trattamento. Secondo tali disposizioni codicistiche, la sentenza penale di assoluzione può incidere – nella prospettazione del giudice remittente – nei giudizi civili o amministrativi solo se il danneggiato si sia costituito o sia stato posto in condizione di costituirsi parte civile, nel processo tributario, mentre nel caso in cui trova applicazione l’art. 21-bis, ciò non avviene, «con irragionevole disparità tra situazioni assolutamente comparabili».
Segue poi una disamina degli interessi – che il giudice torinese ritiene non comparabili – in forza della quale «gli interessi in gioco nel processo tributario non possono ragionevolmente ritenersi recessivi rispetto a quelli, relativi al singolo individuo, che possono venire lesi da un fatto di reato: in tutti i segnalati comparti giurisdizionali possono venire in questione interessi costituzionalmente rilevanti, come tali bisognosi di una tutela non irragionevolmente diminuita.
[…] La scelta perseguita dal Legislatore sembra comportare, dunque, continua il giudice di appello, un marcato sbilanciamento a danno dell’interesse dello Stato all’universalità della tassazione: se si considera che il regime probatorio è molto più rigoroso nel giudizio penale (laddove la condanna si fonda sul criterio del “oltre ogni ragionevole dubbio”) rispetto a quello tributario (laddove vige il criterio civilistico del “più probabile che non”), se ne ricava, ancor più, l’irragionevolezza dell’estensione automatica degli effetti assolutori ad un giudizio di parte, fondato su regole probatorie e processuali differenti, con parti processuali che non coincidono con gli attori del procedimento penale».
Si ricorda quindi nell’ordinanza che l’art. 651 c.p.p., laddove disciplina l’efficacia extra-penale della sentenza di condanna irrevocabile, non può trovare applicazione in ambito tributario, come pacificamente riconosciuto dalla consolidata giurisprudenza di legittimità[3]. Non è dato comprendere, pertanto, ancora secondo l’ordinanza in nota, per quale motivo l’esigenza di assicurare il principio del ne bis in idem ed il coordinamento tra sistemi (ex art. 20, comma 1, lett. a), n. 3, legge delega 9 agosto 2023, n. 111, nonché in forza delle considerazioni di cui alla relazione illustrativa al D.Lgs. n. 87/2024 che ha introdotto l’art. 21-bis nel corpo del D.Lgs. n. 74/2000 sia avvertita solo a favore dell’imputato e non anche, in caso di condanna, a favore dell’Agenzia, la cui attività resta chiaramente ostacolata dalla scelta legislativa.
Concludendo, l’art. 21-bis di cui si è detto determina, secondo il giudice di merito un’irragionevole differenziazione, oltre che tra sentenze penali di assoluzione per reati tributari e reati extra tributari, anche tra sentenze penali di assoluzione e sentenze penali di condanna, per le quali non si prevede analogo automatismo quanto all’estensione del giudicato in materia tributaria.
3. Come è noto, in ogni sistema processuale il giudicato ha valore imprescindibile dell’ordinamento giuridico ed è attuazione anche dell’art. 111 Cost. in tema di giusto processo, in quanto funge da presidio essenziale per la sua ragionevole durata.
Esso rappresenta l’aspetto conclusivo della vicenda oggetto del processo, destinata a produrre effetti sul piano sostanziale, al quale è assegnato valore vincolante ed immutabile. L’assegnazione di un valore stabile al giudicato realizza allora innanzitutto l’interesse generale e superiore della giustizia, oltre che a quello precipuo delle parti in causa, attuando almeno due principi costituzionali enunciati dall’art. 24 e dall’art. 111 Cost.
Il giudicato tutela l’applicazione dei principi del giusto processo assegnando stabilità, certezza, rapidità e – auspicabilmente – anche idonea coerenza agli accertamenti giudiziali. Attraverso l’eccezione di giudicato esterno, in particolare, si definisce l’esito di un procedimento giudiziario autonomo, precludendo un nuovo accertamento su quei presupposti fattuali già oggetto di giudizio in una precedente sentenza passata in giudicato a condizione che vi siano idonei legami tra tale controversia e la controversia ove il giudicato spiega la sua efficacia.
Va ricordato che nel processo tributario non si rinviene una definizione di giudicato, che difetta nel D.Lgs. n. 546/1992[4].
È quindi necessario utilizzare l’art. 1, comma 2 del ridetto D.Lgs. n. 546/1992 secondo il quale nel processo tributario trovano applicazione le norme del Codice di procedura civile per quanto non previsto all’interno del decreto, senza peraltro trascurare i caratteri identificativi e peculiari della materia tributaria – incentrata sulla legittimità dell’atto impositivo e sul fondamento della pretesa dell’Amministrazione finanziaria esso veicola – rispetto all’incidenza del giudicato[5].
Con riguardo ai compiti e ai poteri spettanti al giudice di fronte al quale il giudicato viene fatto valere, si ritiene che l’interpretazione del giudicato – c.d. “esterno” –formatosi fra le stesse parti in un giudizio diverso da quello in cui ne è invocata l’efficacia, costituiscono attività istituzionalmente riservate al giudice di merito e possono essere oggetto di ricorso per cassazione solo sotto il profilo della violazione e falsa applicazione della norma dell’art. 2909 c.c. e dei principi di diritto in tema di elementi costitutivi della cosa giudicata, nonché per vizi attinenti alla motivazione, i quali, peraltro, vanno specificamente dedotti, non essendo sufficiente il mero richiamo all’art. 2909 c.c. o all’art. 324 c.p.c. Non si possono dunque sollecitare –essendo i poteri della Suprema Corte limitati al sindacato di legittimità – indagini circa il contenuto sostanziale della pronuncia, la cui ricostruzione, risolvendosi in un apprezzamento di fatto, è demandata in via esclusiva al giudice di merito e resta in linea generale incensurabile in sede di legittimità[6].
Da quanto sopra si evince l’importanza di quello che viene definito “giudicato esterno”: con tale espressione – che si ricava quale corollario dell’art. 2909 c.c. – si intende quel fenomeno per cui quando due giudizi fra le medesime parti fanno riferimento al medesimo rapporto giuridico e uno di essi è stato definito con sentenza passata in giudicato, l’accertamento compiuto in ordine alla situazione giuridica, ovvero alla soluzione di questioni di fatto e di diritto, relativo ad un punto fondamentale comune ad entrambe le cause, formando la premessa logica indispensabile della statuizione contenuta nel dispositivo della sentenza, preclude il riesame dello stesso punto di diritto accertato e risolto, anche se il successivo giudizio abbia finalità diverse da quelle che hanno costituito il petitum o lo scopo del primo[7].
Il tema risulta evidentemente di notevole delicatezza, perché non si deve dimenticare come esistano possibili profili di frizione anche importante – se non di contraddizione – tra principi cardine del processo tributario e disposizioni del codice di rito civile; basti pensare al carattere impugnatorio del processo, stante la centralità delle questioni relative alla legittimità dell’atto emesso dall’Ufficio finanziario, al carattere dispositivo dell’istruttoria, probabilmente anche alla tipologia delle prove[8] almeno in linea generale[9].
Tradizionalmente, si è ritenuto, prima della introduzione nel sistema dell’art. 21-bis D.Lgs. n. 74/2000, che il giudicato esterno penale – sia esso di condanna o di assoluzione – non acquisti efficacia nel giudizio tributario per più ragioni.
In primo luogo, nel processo tributario vi sono limitazioni all’utilizzo della prova che sono ignote al processo penale.
In secondo luogo, nel processo tributario sono ammesse presunzioni semplici (gravi, precise e concordanti) ma così non è per il processo penale dove la prova c.d. indiretta è valutata con maggior rigore e da sola non sarebbe sufficiente, generalmente, a fondare un giudizio di colpevolezza.
In terzo luogo, mentre il giudizio penale è volto all’accertamento della colpevolezza riguardo ad un determinato fatto, il giudizio tributario ha una valenza di carattere oggettivo poiché mira all’accertamento dei presupposti di esistenza di un tributo, se è sorta controversia al riguardo.
Infine, dal giudizio sull’esistenza dei presupposti di un tributo esula ogni considerazione sull’elemento soggettivo, salvo che per l’applicazione delle sanzioni, exart. 6 D.Lgs. n. 472/1997 nelle quali la colpa si presume salvo prova contraria l’onere di fornire la quale incombe in capo al contribuente.
Le sopraesposte considerazioni rendono evidente come l’individuazione dei limiti applicativi del giudicato, specie del giudicato “esterno” risulti fondamentale sia per stabilire la precisa portata nel processo tributario, ove si decide la legittimità dell’atto impositivo e quindi la debenza o no di maggiori tributi, di una sentenza non più sottoponibile a mezzi di impugnazione di tipo ordinario; sia per verificare la razionalità, quanto agli effetti, delle disposizioni e dei principi che regolano proprio il processo tributario[10].
4. A giudizio di chi scrive deve in primo luogo ricordarsi che in forza dell’art. 654 c.p.p. «nei confronti dell’imputato, della parte civile e del responsabile civile che si sia costituito o che sia intervenuto nel processo penale, la sentenza penale irrevocabile di condanna o di assoluzione pronunziata in seguito a dibattimento ha efficacia di giudicato nel giudizio civile o amministrativo quando in questo si controverte intorno ad un diritto o ad un interesse legittimo il cui riconoscimento dipende dall’accertamento degli stessi fatti materiali che furono oggetto del giudizio penale, purché i fatti accertati siano stati ritenuti rilevanti ai fini della decisione penale e purché la legge civile non ponga limitazioni alla prova della posizione soggettiva controversa».
Desta quindi perplessità in chi scrive la circostanza che l’ordinanza in nota “sfiori” in modo per vero piuttosto marginale la disposizione in argomento, alla quale in concreto pare non fare affatto riferimento ai fini della costruzione della motivazione del proprio decisum.
Tale disposizione del codice di rito penale assumeva ed assume, poiché tuttora in vigore, una funzione precisa, per comprendere la quale deve chiarirsi che la costruzione del rapporto tra giudicato penale e giudicato tributario comporta l’esame – e la soluzione, tutt’altro che scontata e agevole – dei rapporti tra natura, funzione e valutazione della prova nel processo penale e nel processo tributario, con particolare riferimento alla prova testimoniale.
Il divieto, nel processo tributario, della prova testimoniale ex art. 7, comma 4, D.Lgs. n. 546/1992 ante riforma ex legen. 130/2023, si è tradizionalmente giustificato quale preminente limitazione alla prova della posizione soggettiva controversa che escludeva, proprio in virtù della parallela disposizione di cui all’art. 654 c.p.p., la “diretta applicazione” nel processo tributario della indicata sentenza penale irrevocabile, essendo esclusa qualsivoglia sua efficacia di giudicato, nel giudizio civile, amministrativo e tributario.
Ed infatti, l’art. 654 c.p.p. intendeva proprio evitare che, attraverso l’utilizzazione nel processo tributario delle risultanze del processo penale – non di rado per non dire sempre acquisite e attraverso una prova testimoniale – si producesse un vero e proprio aggiramento, non consentito, del divieto della prova testimoniale nel processo tributario[11].
A far data dal 16 settembre 2022, la introduzione anche nel processo tributario della “prova testimoniale” (seppure nella forma “scritta” e “documentale”) comporta ora la possibilità della diretta applicazione, anche se a condizioni e con i limiti a tal fine previsti, anche alla materia tributaria, degli effetti di un giudicato penale, rendendo applicabile il divieto del “bis in idem”, escludendo quindi la configurabilità almeno in tali casi del c.d. “doppio binario” fra esiti del giudizio penale e di quello tributario.
Emerge quindi una prima situazione di frizione fra l’art. 654 c.p.p. e la legge delega n. 111/2023 nel punto in cui, all’art. 20, essa fissa i principi e i criteri direttivi al fine della «revisione del sistema sanzionatorio tributario amministrativo e penale», prevendendo che siano rivisti (punto 3) «i rapporti tra processo penale e processo tributario prevedendo, in coerenza con i principi generali dell’ordinamento, che, nei casi di sentenza irrevocabile di assoluzione perché il fatto non sussiste o l’imputato non lo ha commesso, i fatti materiali accertati in sede dibattimentale facciano stato nel processo tributario quanto all’accertamento dei fatti medesimi».
Il legislatore delegante, in relazione alla revisione del sistema sanzionatorio tributario amministrativo e penale – con specifico riferimento ai rapporti fra processo penale e processo tributario – è quindi intervenuto dettando principi e criteri direttivi il contenuto dei quali non si confronta con l’art. 654 c.p.p., allora e tuttora vigente e non modificato, la cui applicazione – a far data dal 16 settembre 2022 – genera i ricordati effetti nel processo tributario e quindi rileva anche al fine dell’applicazione delle sanzioni amministrative, facendo tuttavia riferimento tale l’art. 654 c.p.p. agli esiti sia di sentenze di assoluzione sia di condanna penale divenute irrevocabili.
Ancora, va tenuto pure presente che l’art. 654 c.p.p. – a differenza dell’art. 20 della legge delega n. 111/2023 e dell’art. 21-bis D.Lgs. n. 74/2000 – prevede i ricordati effetti della sentenza penale anche nei confronti del contribuente che abbia rivestito nel processo penale (oltre a quella di “imputato”) anche la veste giuridica di “responsabile civile” o di “parte civile”.
Da tale mancato coordinamento del contenuto normativo delle due norme indicate, da un lato l’art. 21-bis e dall’altro l’art. 654 c.p.p., derivano alcuni corollari.
Ambedue le norme riconoscono effetto vincolante nel processo tributario della sentenza penale irrevocabile (di sola “assoluzione perché il fatto non sussiste” o “perché l’imputato non lo ha commesso” quanto all’art. 21-bis o anche di “condanna” per quanto attiene l’art. 654 c.p.p.); in ogni caso tali sentenze devono essere state pronunziate a seguito di “dibattimento” dovendo quindi essere escluse a tal fine i provvedimenti di archiviazione o le sentenze di applicazione della pena e art. 444 c.p.p. come quelle ex art. 438 c.p.p.
Di converso, le due ridette norme attribuiscono effetto, nell’ambito del processo tributario, a sentenze penali che attengano all’accertamento dei medesimi “fatti materiali oggetto di valutazione” in entrambi i giudizi penale e tributario con la precisazione tuttavia che, secondo l’art. 654 c.p.p., tali medesimi fatti materiali devono aver rappresentato “l’oggetto del giudizio penale” e devono sempre essere stati considerati “rilevanti” al fine della pronuncia penale.
Tali puntualizzazioni non sono riportate nell’art. 21-bis, che rimanda unicamente al “giudicato”.
Ancora, in una sorta di climax quanto alle differenze tra l’art. 654 c.p.p. e l’art. 21-bis di cui si è detto, le due norme presentano una sensibile difformità tea di loro – che si evince assumere rilevanza centrale nel ragionamento della CGT di secondo grado piemontese – rimandando l’art. 21-bis al solo riferimento alla «sentenza irrevocabile di assoluzione perché il fatto non sussiste o perché l’imputato non lo ha commesso». Sotto questo aspetto, anche a valorizzare, come è necessario, la natura di norma speciale dell’art. 21-bis in argomento, disposizione volta a governare gli effetti nel processo tributario della sentenza penale passata in giudicato di assoluzione, che disponga che il fatto non sussiste o l’imputato non lo ha commesso, resta necessario chiarire la portate applicativa della previsione dell’art. 654 c.p.p. che non può ritenersi certo abrogata – e può discutersi, per vero, se sia derogata – in quando disposizione generale atta a disciplinare gli effetti di giudicato nel processo amministrativo (e quindi anche tributario) e civile delle sentenze penali irrevocabili anche di condanna, con rilevanza diretta quindi sia in relazione alla debenza del tributo che alla correlata irrogazione delle sanzioni.
Completamente assente poi – a costituire ulteriore differenza tra le disposizioni in esame – è nell’art. 21-bis ogni riferimento alla circostanza che “il contribuente” (destinatario della pretesa impositiva) abbia rivestito nel processo penale la qualifica di “responsabile civile” o di “parte civile”, così come invece previsto dall’art. 654 c.p.p.; per vero non mi pare possa pensarsi agevolmente che un “contribuente” per i medesimi fatti materiali, assuma nel processo penale la veste di “responsabile civile” o di “parte civile”.
5. La previsione dell’art. 654 c.p.p. e dell’art. 21-bis cit. ad una prima lettura paiono non attribuire rilevanza alcuna alla esistenza delle differenze di cui si è detto fra processo penale e processo tributario, la cui pur pacifica configurabilità non è tuttavia considerata tale da poter escludere gli effetti nell’ambito tributario della sentenza penale e ciò dopo la ricordata introduzione nel processo tributario della prova testimoniale scritta.
Centrale, quanto alle ridette differenze, risulta comunque l’utilizzo della prova per presunzioni che è consentita e ampiamente utilizzata nel processo tributario ed è invece esclusa, in via generale, nel processo penale.
L’art. 654 c.p.p. chiaramente esclude che l’efficacia nel processo tributario della sentenza penale ove in quest’ultimo processo tributario, sussistano «limitazioni alla prova della posizione soggettiva controversa», anche se ciò non avviene nella direzione inversa, nel caso in cui nel processo penale sia riscontrabile un diverso contenuto e rilevanza della prova, escludendosi (ad esempio) la rilevanza – nel processo penale, appunto – delle presunzioni.
A chi scrive pare poi che possa ben configurarsi una sentenza penale (di assoluzione come di condanna) che sia pronunziata a seguito di dibattimento il cui contenuto sia contrario alle risultanze di presunzioni tributarie; quindi, in applicazione dei risultati probatori delle presunzioni, non consentite ai fini penali, il giudice tributario, in modo del tutto corretto e consentito dall’ordinamento, potrebbe pervenire ad una diversa conclusione rispetto a quella assunta dal giudice penale.
Da un lato, quindi, se l’art. 654 c.p.p. pare prospettare al giudice tributario la necessità per quest’ultimo – nel corso del processo che si svolge di fronte a sé – di verificare sia l’«accertamento degli stessi fatti materiali che furono oggetto del giudizio penale», sia il fatto che tali fatti accertati «siano stati ritenuti rilevanti ai fini della decisione penale», oltre che controllare che la legge tributaria – in luogo di quella civile, trattandosi di giudizio avente per oggetto la debenza di tribuiti – «non ponga limitazioni alla prova della posizione soggettiva controversa».
Specularmente, l’art. 21-bis di cui si è detto riconosce effetti nel processo tributario alla sola sentenza irrevocabile di assoluzione che sia pronunziata a seguito di dibattimento purché – ed è la sola condizione posta, espressamente indicata come tale – attenga «agli stessi fatti materiali oggetto di valutazione nel processo tributario».
Le due disposizioni paiono rimandare, implicandone l’esame, a una “valutazione” da parte del giudice tributario della “identità dei fatti materiali” accertati in sede penale e della loro “rilevanza ai fini del giudizio tributario”, che consentono al giudice tributario di valutare la possibilità che – ai fini fiscali – tali fatti materiali, come emergenti dalla sentenza penale divenuta irrevocabile assumano una diversa “rilevanza”, ai fini fiscali in applicazione di presunzioni solo in tale ambito previste e da applicare.
Pertanto, in tal modo il giudice tributario, dopo aver valutato i profili (soggettivi) ed oggettivi riconnessi – ai fini fiscali – all’applicazione di presunzioni legali (siano esse relative che assolute) e dopo averne raffrontato il contenuto con quello della pretesa impositiva, può (del tutto legittimamente) pervenire, in forza dell’applicazione di tali presunzioni legali, previste ai soli fini tributari, ad una valutazione diversa rispetto a quella formulata in sede penale.
Anteriormente all’introduzione dell’art. 21-bis, il sistema ha fin qui garantito, in sostanza, una sorta di autonomia tra il processo penale e quello tributario, instradati e mantenuti su una sorta di “doppio binario” per quanto riguarda i canoni di valutazione della prova, consentendo una forma di circolazione del materiale probatorio e delle sentenze irrevocabili che appariva sin qui comunque sprovvista di automatismi decisori. Nel concreto, tale situazione era atta quindi a lasciare comunque margini di valutazione autonoma della prova in capo al giudice tributario come in capo al giudice penale.
È noto che in seguito l’art. 4, comma 1, lett. c), L. n. 130/2022, (c.d. legge “Cartabia”) recante disposizioni in materia di giustizia e di processo tributario, ha poi modificato l’art. 7, comma 4, D.Lgs. n. 546/1992 che disciplinando il regime delle prove nel processo tributario ora statuisce: «Non è ammesso il giuramento. La Corte di giustizia tributaria, ove lo ritenga necessario ai fini della decisione e anche senza l’accordo delle parti, può ammettere la prova testimoniale, assunta con le forme di cui all’articolo 257-bis del codice di procedura civile. Nei casi in cui la pretesa tributaria sia fondata su verbali o altri atti facenti fede fino a querela di falso, la prova è ammessa soltanto su circostanze di fatto diverse da quelle attestate dal pubblico ufficiale»[12].
Tale innovazione normativa è consistita in una rimozione dall’ordinamento processuale tributario del divieto di ammissibilità della prova testimoniale, che diviene quindi ammissibile anche se nella sola forma dell’assunzione in forma scritta[13].
La scelta del legislatore conferisce al processo tributario, secondo gran parte della dottrina, tutte le garanzie del giusto processo specialmente per quanto riguarda l’attuazione piena del diritto di difesa, consistente nel diritto del contribuente di difendersi provando, tutelato dal principio di parità delle armi e del contraddittorio tra le parti[14].
Pertanto, pare potersi affermare che, conseguentemente alla riforma introdotta dalla L. n. 130/2022, non sono rinvenibili, nel processo tributario, limitazioni di prova che incidano sulla piena esplicazione del diritto di difesa – inteso nella declinazione dello stesso di difendersi provando e nel rispetto del principio di parità delle armi – rispetto alla situazione giuridica controversa.
Non solo.
La ridetta riforma, secondo la dottrina maggioritaria, ha inciso anche sul criterio di valutazione delle prove, improntando il processo tributario ad una disciplina caratterizzata a un trattamento più rigoroso del materiale probatorio.
Difatti, l’art. 6L. n. 130/2022 ha contestualmente introdotto il comma 5-bis all’art. 7D.Lgs. n. 546/1992 secondo il quale: «L’amministrazione prova in giudizio le violazioni contestate con l’atto impugnato. Il giudice fonda la decisione sugli elementi di prova che emergono nel giudizio e annulla l’atto impositivo se la prova della sua fondatezza manca o è contraddittoria o se è comunque insufficiente a dimostrare, in modo circostanziato e puntuale, comunque in coerenza con la normativa tributaria sostanziale, le ragioni oggettive su cui si fondano la pretesa impositiva e l’irrogazione delle sanzioni. Spetta comunque al contribuente fornire le ragioni della richiesta di rimborso, quando non sia conseguente al pagamento di somme oggetto di accertamenti impugnati».
Si tratta, secondo l’orientamento dottrinale maggioritario, di un’operazione logica che non riguarda l’inversione dell’onere della prova, bensì esclusivamente la valutazione della prova ovvero il ragionamento del giudice che “trae” la presunzione non mira, infatti, a ripartire l’onere della prova ma ha ad oggetto la formazione e la sussistenza della prova ai fini di ritenere in ultimo provato o non provato un determinato fatto rilevante ai fini della decisione[15].
La disposizione in esame pare quindi – secondo tale prospettazione – introdurre regole che dirigono il libero convincimento del giudice[16], le quali da un lato evitino quelle forme di discrezionalità così ampie da esondare in arbitrio[17], dall’altro valorizzino le forme di c.d. probabilismo logico[18] dotato di rilevante grado di certezza proprio sul piano logico analogamente a quanto avviene negli ordinamenti di common law con riguardo ai requisiti necessari per raggiungere la proof[19].
6. A riprova della complessità delle questioni che l’art. 21-bis in argomento – il cui scopo era quello di chiarificare un panorama legislativo, dottrinale e giurisprudenziale complesso ma fondato in sostanza sul mantenimento del c.d. “doppio binario” tra processo penale e processo tributario – solleva e solleverà, significativo è il contrasto formatosi nella giurisprudenza della Corte di Cassazione.
Esemplificative sono in particolare due pronunce, la prima una sentenza e la seconda una ordinanza interlocutoria, succedutesi in uno stretto intervallo temporale all’inizio del 2025, dando così origine a un contrasto interpretativo[20].
Nel primo provvedimento[21], il Collegio torna ad affermare il principio tradizionalmente condiviso anteriforma per cui la sentenza penale, anche irrevocabile e ancorché con la formula “il fatto non sussiste”, non è idonea ad esplicare alcun effetto vincolante nel processo tributario, assumendo solo il rilievo di elemento di prova, soggetto ad autonoma valutazione da parte del giudice tributario[22]. Ciò avviene anche ove i fatti oggetto di sentenza irrevocabile di assoluzione siano gli stessi per i quali è stato emanato l’avviso di accertamento[23].
A fondamento di tale statuizione si radica l’affermazione secondo la quale l’art. 21- bis D.Lgs. n. 74/2000, relativo alle sentenze di assoluzione perché “il fatto non sussiste” o “l’imputato non lo ha commesso”, emesse a seguito di dibattimento, si riferisce solo al trattamento sanzionatorio conseguente l’accertamento di maggiori tributi e non ai tributi stessi. La disposizione di nuovo conio si inserirebbe, secondo questa prospettazione della Corte «nei principi e direttive mirate alla nuova determinazione dell’assetto sanzionatorio e penale», al solo scopo di rafforzare l’integrazione dei sistemi sanzionatori nella prospettiva del rispetto del principio del ne bis in idem.
La Corte torna quindi ad affermare il principio – derivante dall’esistenza del c.d. “doppio binario” tra processo penale e processo tributario – per cui la sentenza penale, anche irrevocabile e ancorché con la formula “il fatto non sussiste”, non è idonea ad esplicare alcun effetto vincolante nel processo tributario, assumendo solo il rilievo di elemento di prova, soggetto ad autonoma valutazione da parte del giudice tributario[24]. E tanto anche se i fatti oggetto di sentenza irrevocabile di assoluzione siano gli stessi per i quali è stato emanato l’avviso di accertamento[25]. Questo principio viene ritenuto dalla Corte tutt’ora vigente e questo perché l’art. 21- bis D.Lgs. n. 74/2000, relativo alle sentenze di assoluzione perché “il fatto non sussiste” o “l’imputato non lo ha commesso”, emesse a seguito di dibattimento, si riferirebbe solo al trattamento sanzionatorio e non all’imposta. Secondo la Cassazione, la norma si inserirebbe «nei principi e direttive mirate alla nuova determinazione dell’assetto sanzionatorio e penale», al solo scopo di rafforzare l’integrazione dei sistemi sanzionatori nella prospettiva del rispetto del principio del ne bis in idem.
Ulteriore conferma la Corte trae dalla riforma attuata con il D.Lgs. n. 87/2024, che trova i suoi capisaldi di riferimento nell’art. 20 della legge delega n. 111/2023, recante principi e criteri direttivi per la revisione del sistema sanzionatorio tributario, amministrativo e penale. In particolare, l’art. 20, comma 1, lett. a), n. 1 e n. 3, ha previsto: «a) per gli aspetti comuni alle sanzioni amministrative e penali: 1) razionalizzare il sistema sanzionatorio amministrativo e penale, anche attraverso una maggiore integrazione tra i diversi tipi di sanzione, ai fini del completo adeguamento al principio del ne bis in idem; 2) [omissis]; 3) rivedere i rapporti tra il processo penale e il processo tributario prevedendo, in coerenza con i principi generali dell’ordinamento, che, nei casi di sentenza irrevocabile di assoluzione perché il fatto non sussiste o l’imputato non lo ha commesso, i fatti materiali accertati in sede dibattimentale facciano stato nel processo tributario quanto all’accertamento dei fatti medesimi e adeguando i profili processuali e sostanziali connessi alle ipotesi di non punibilità e di applicazione di circostanze attenuanti all’effettiva durata dei piani di estinzione dei debiti tributari, anche nella fase antecedente all’esercizio dell’azione penale […]».
Alla luce di tali indicazioni di sistema, secondo il Collegio, l’art. 21-bis trova la sua fonte primaria nei principi e nelle direttive mirate alla nuova determinazione dell’assetto sanzionatorio tributario e penale. In altri termini, «la ratio della riforma, evincibile dal criterio direttivo della legge delega e resa esplicita dalla relazione illustrativa al decreto legislativo, è quella di rafforzare l’integrazione dei sistemi sanzionatori nella prospettiva del rispetto del principio del ne bis in idem in vista di una razionalizzazione del sistema sanzionatorio tributario e penale».
Non solo: poiché il D.Lgs. n. 87/2024 è intervenuto sul D.Lgs. n. 74/2000, inserendo nuove disposizioni – tra cui l’art. 21-bis – ovvero modificando, in coordinamento con quelle introdotte, quelle preesistenti, va rilevato come l’art. 21 nel testo ora vigente, preveda «1. L’ufficio competente irroga le sanzioni amministrative relative alle violazioni tributarie fatte oggetto di notizia di reato. 2. Tali sanzioni non sono eseguibili nei confronti dei soggetti diversi da quelli indicali dall’articolo 19, comma 2, salvo che il procedimento penale sia definito con provvedimento di archiviazione, sentenza irrevocabile di assoluzione o di proscioglimento con formula che esclude la rilevanza penale del fatto. Resta fermo quanto previsto dagli articoli 21-bis e 21-ter. I termini per la riscossione decorrono dalla data in cui il provvedimento di archiviazione o la sentenza sono comunicati all’ufficio competente; alla comunicazione provvede la cancelleria del giudice che li ha emessi. 2-bis. La disciplina del comma 2 si applica anche se la sanzione amministrativa pecuniaria è riferita a un ente o società quando nei confronti di questi può essere disposta la sanzione amministrativa dipendente dal reato ai sensi dell’articolo 25-quinquiesdecies del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231. 3. Nei casi di irrogazione di un’unica sanzione amministrativa pecuniaria per più violazioni tributarie in concorso o continuazione fra loro, a norma dell’articolo 12 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, alcune delle quali soltanto penalmente rilevanti, la disposizione del comma 2 del presente articolo opera solo per la parte della sanzione eccedente quella che sarebbe stata applicabile in relazione alle violazioni non penalmente rilevanti».
La Corte ritiene importante l’aggiunta della locuzione «Resta fermo quanto previsto dagli articoli 21-bis e 21-ter»; da tale elemento, anche, essa desume che «la disposizione ha natura strumentale e delinea lo stesso contenuto del principio di specialità introdotto con l’art. 19, poiché stabilisce, in termini univoci, che lasanzione tributaria deve essere irrogata anche se il medesimo fatto sia di rilievo penale e costituisca oggetto di notizia di reato. Il principio di specialità, infatti, in coerenza alla direttiva enunciata dall’art. 9, lett. 1), della legge delega n. 205 del 1999 in forza della quale è stato emanato il D.Lgs. n. 74 del 2000 (che dispone: “prevedere l’applicazione della sola disposizione speciale quando uno stesso fatto è punito da una disposizione penale e da una disposizione che prevede una sanzione amministrativa”), va riferito, con chiarezza, alla fase della materiale applicazione della sanzione, senza incidere sulle fasi – anteriori – dell’accertamento, della contestazione e dell’irrogazione, le quali procedono in autonomia e, anzi, devono necessariamente essere realizzate. Ne deriva che la norma, anche dopo la recente modifica operata con il D.Lgs. n. 87/2024, ribadisce e legittima a livello di disciplina positiva l’esistenza di un doppio binario procedimentale e processuale: non solo deve ritenersi consentito ma diviene doveroso per l’Amministrazione avviare il procedimento di irrogazione della sanzione ancorché il medesimo fatto sia, al contempo, oggetto di rilievo penale».
La pronuncia, poi, mostra di coordinare le sue conclusioni anche con la giurisprudenza unionale, perché, limitando l’efficacia del giudicato penale alle sole sanzioni e quindi lasciando libero il giudice tributario di valutare la sussistenza o meno della pretesa tributaria, sarebbe così garantita la compatibilità delle assunte interpretazioni con i principi europei, secondo cui l’Amministrazione fiscale deve poter autonomamente accertare la sussistenza di operazioni fraudolente ai fini IVA[26].
Viceversa, secondo la Corte, se la sentenza penale vincolasse automaticamente il giudice tributario, si rischierebbe di limitare l’autonomia dell’accertamento fiscale, potenzialmente in contrasto con il diritto europeo che invece resta sovrano ove sia mantenuto il sistema del c.d. “doppio binario”.
A ridosso di tale sentenza viene depositata l’altra decisione – costituente ordinanza interlocutoria – con la quale il giudice di legittimità[27] ritiene – alla luce del rilevato contrasto di tal sentenza con altre precedenti pronunce, inclusa quella precitata – necessario l’intervento risolutivo delle Sezioni Unite.
Si registrano infatti due orientamenti, chiaramente riassunti dall’estensore nel provvedimento in argomento: «il primo riconosce l’efficacia del giudicato penale anche ai fini dell’accertamento del presupposto impositivo, e dunque ai fini del rapporto tra contribuente ed erario; il secondo opera una lettura riduttiva della novella legislativa, che esplicherebbe i suoi effetti esclusivamente con riguardo alle sanzioni irrogate, mentre con riguardo all’imposta la sentenza penale, ancorché i fatti accertati in sede penale siano gli stessi per i quali l’Amministrazione finanziaria ha promosso l’accertamento nei confronti del contribuente, continuerebbe ad essere una possibile fonte di prova, autonomamente valutabile dal giudice tributario, esattamente come avveniva prima della recente riforma».
In particolare, quanto al primo orientamento, l’ordinanza precisa che «l’efficacia del giudicato attiene quindi agli “stessi fatti materiali”, dovendosi ritenere che, quando si discute di efficacia della sentenza penale nel giudizio tributario non ci si riferisce al giudicato penale in sé e per sé, ma all’accertamento dei fatti contenuti nella relativa decisione. E quindi, ciò che interessa non è il valore extra-penale del dispositivo della sentenza, ma il valore extra-penale degli accertamenti di fatto che, presenti i requisiti prescritti dell’art. 21-bis cit., “fanno stato” nel giudizio tributario. E dunque, per l’orientamento richiamato risulta centrale la valorizzazione dell’univocità dell’accertamento materiale del fatto».
Il secondo orientamento, ancora ben sintetizzato nell’ordinanza, prevede che «l’effetto della novella sarebbe, dunque, l’estensione al giudizio di cognizione – ed anche al giudizio di cassazione – della deducibilità della pronuncia penale di assoluzione per le formule “il fatto non sussiste” e “l’imputato non lo ha commesso”, sì che la relativa valutazione non sarebbe più limitata alla sola fase riscossiva. E dunque l’esigenza tutelata dal legislatore – ma già presente nelle originarie previsioni – sarebbe esclusivamente quella di trattare in termini unitari, per evitare criticità o incongruenze, gli esiti finali sanzionatori derivanti dalla necessaria separatezza dei giudizi, penale e tributario, e del procedimento amministrativo tributario». Inoltre, non manca di rilevare l’estensore come le decisioni menzionate facciano, inoltre, riferimento al dato – di sistema – della introduzione, con la novella, anche dell’art. 21-ter D.Lgs. n. 74/2000 che ha regolato il – pur diverso – diverso versante del cumulo sanzionatorio nel caso di riconosciuta responsabilità, sì da evitare che il trattamento risulti eccessivamente gravoso, prevedendo che «il giudice o l’autorità amministrativa, al momento della determinazione delle sanzioni di propria competenza e al fine di ridurne la relativa misura, tiene conto di quelle già irrogate con provvedimento o con sentenza assunti in via definitiva».
Di fronte alla netta divaricazione degli argomenti – tutti di pregio ed espressi in modo consapevole e ampiamente, oltre che analiticamente, argomentato – posti a base delle differenti decisioni, è chiara e imprescindibile la necessità di attendere la pronuncia massimamente nomofilattica[28].
Nell’attesa, vale però la pena di spendere qualche parola sulla opportunità – che potrebbe formare oggetto di valutazione e di iniziativa da parte del Legislatore – di procedere a una riformulazione della disposizione di legge, rendendola più analitica quanto all’oggetto e più chiara quanto alle conseguenze da ottenersi con il riconoscimento (concetto di per sé vago) del giudicato penale nel processo tributario.
Già ai sensi dell’art. 12 D.L. n. 429/1982, poi convertito in L. n. 516/1982, si prevedeva che «in deroga a quanto disposto dall’art. 3 c.p.p. il processo tributario non può essere sospeso; tuttavia, la sentenza irrevocabile di condanna o di proscioglimento pronunciata in seguito a giudizio relativa a reati previsti in materia di imposte sui redditi e d’imposta sul valore aggiunto ha autorità di cosa giudicata nel processo tributario per quanto concerne i fatti materiali che sono stati oggetto del giudizio penale».
La norma in tal modo fissava con chiarezza due distinti e importanti principi.
In primo luogo, garantiva la prosecuzione del processo tributario, il quale non dovesse essere sospeso, pur in presenza della contestuale pendenza di un processo penale in ordine a fatti ad esso correlati.
Secondariamente, l’autorità di cosa giudicata da parte della sentenza irrevocabile di condanna o di proscioglimento era chiaramente riconosciuta e disciplinata, come riguardante i fatti materiali costituenti oggetto del processo in materia di violazioni tributarie. Pertanto, la L. n. 516/1982, di conversione del sopra detto D.L. n. 429/1982 nel mantenere con fermezza la sussistenza del c.d. “doppio binario” fra processo penale e processo tributario, faceva salva l’autonomia del giudice dei tributi, sia pur conferendo autorità preminente al giudicato penale nel processo tributario, limitatamente però all’accertamento dei fatti materiali oggetto del processo penale.
Se questo era l’intento – certo non cristallinamente espresso – del legislatore della riforma, si potrebbe ipotizzare una disposizione – come propone la dottrina – ben più completa e netta: «la soluzione di una questione di fatto ai fini della decisione della controversia avente ad oggetto l’annullamento dell’atto impugnato, che dovesse ripresentarsi identica nel corso di una successiva controversia instaurata tra le medesime parti e relativa ad una diversa annualità del medesimo tributo, deve esplicare i propri effetti anche in quest’ultimo procedimento»[29].
In tal modo verrebbe agevolata l’opera del giudice tributario, il cui esame si incentra sulla sussistenza o insussistenza) dei presupposti previsti dalla legge che hanno permesso all’Agenzia delle Entrate di emanare quel determinato avviso di accertamento dalla cui rispondenza del dato di fatto alle previsioni di legge dipende l’annullamento del provvedimento e su cui avrà effetto il giudicato.
Tali elementi di fatto sono essenziali ai fini della decisione sul provvedimento dell’Ufficio finanziario sub iudice e solo su tali elementi di fatto, allora, potrebbe ipotizzarsi l’esistenza di un effetto – al di là del giudizio penale – del giudicato, ferma restando la lucida affermazione della dottrina secondo la quale non vi è «alcuna certezza che la seconda sentenza sia più giusta della prima, né la terza più della seconda, e così via all’infinito»[30].
In conclusione, restiamo nell’attesa della pronuncia massimamente nomofilattica – senza perdere la speranza di un accorto e tempestivo intervento del legislatore – che per certo «conforta e ciba di speranza buona» e non «lascerà nel mondo basso»[31].
(*) Il saggio è stato sottoposto a double blind peer review con valutazione positiva. Esso confluirà nel fascicolo n. 1/2025 (semestrale) della Rivista telematica di diritto tributario.
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[1] Corte cost., sent. 10 ottobre 1979, n. 125, richiamata nella sentenza.
[2] Corte cost., 22 dicembre 1980, n. 188, anch’essa richiamata nella sentenza.
[4] Glendi C., Giudicato (diritto tributario), in Enc. giur. Treccani, Roma, 2004; Glendi C., L’oggetto del processo tributario, Padova, 1984 (ristampa anastatica 2014), 547 ss.; Consolo C. – D’Ascola P., Giudicato tributario, agg. V, 2001, in Enc. dir., Milano, 2001; Cerino Canova A., La domanda giudiziale ed il suo contenuto, in Allorio E. (a cura di), Commentario del Codice di procedura civile, libro II, tomo I, Torino, 1980, 142 ss.; Fransoni G., Giudicato tributario e attività dell’Amministrazione finanziaria, Milano, 2001; Fransoni G. – Russo P., I limiti oggettivi del giudicato nel processo tributario, in Rass. trib., 2012, 4, 858 ss.; Corraro D., L’oggetto del processo tributario fra teorie dichiarative e teorie costitutive: tracciati evolutivi, in Dir. prat. trib., 2019, 4, 1586 ss.; Toto G.S., Considerazioni attuali sul giudicato tributario, in Riv. scuola sup. ec. fin., 2004, 12, 189 ss.
[5] Per un inquadramento circa l’estensione delle soluzioni raggiunte dalla processualistica civile in merito al giudicato nel nuovo processo tributario si segnalano inoltre: Nencha M., Gli effetti del giudicato esterno nel nuovo processo tributario, in Boll. trib., 1997, 1341 ss.; Id., Enti non commerciali. La rilevanza giuridica del giudicato in ordine alla qualificazione giuridica del soggetto tributario, in il fisco, 1999, 13743 ss.; Chizzini A., Primi spunti sul tema delle parti, delle azioni e del giudicato nel nuovo processo tributario, in Tosi L. – Viotto A. (a cura di), Il nuovo processo tributario, Padova, 1999, 34 ss. e Thomas C., Il nuovo contenzioso tributario, Roma, 2000, 229 ss.
[6] Si vedano Cass., Sez. Un., 28 aprile 1999, n. 277; Cass., 6 settembre 1999, n. 9401; Cass., 17 febbraio 2000, n. 1773; Cass., 21 marzo 2000, n. 3325.
[7] Glendi C., Giudicato (diritto tributario), cit., par. 1 e Di Nardo G., Il giudicato tributario (aggiornamento marzo 2018), in www.studiodinardo.it/approfondimenti-tributario.html, par. 1. Al giudicato “esterno” è contrapposto il c.d. giudicato “interno” con la cui espressione si intende il fenomeno per il quale si attribuisce efficacia di giudicato all’interno dello stesso processo ad un capo della sentenza, ovvero ad una decisione del giudice che abbia risolto una questione controversa tra le parti, avente una propria autonomia sì da integrare una decisione del tutto indipendente, che non sia stato impugnato (per violazione delle norme processuali o sostanziali) innanzi al giudice di merito investito dell’appello.
[8] Parte della dottrina, segnatamente Marello E., Avviso di accertamento nel diritto tributario, in Dig. disc. priv., sez. comm., agg., vol. VII, 2012, 55 ss. ha sostenuto che in tale caso si dovranno mettere in discussione i princìpi del processo tributario; essi saranno allora suscettibili di riformulazione in quanto in sé recessivi di fronte alle previsioni del codice di rito civile. In argomento si legga Chizzini A., Il codice del processo tributario nel sistema del “giusto processo”, in Glendi C. – Chizzini A. (a cura di), Codice del processo tributario annotato, 2016, 1399 secondo il quale «il modello del processo civile è tradizionalmente assunto come archetipo della pariteticità di posizioni tra le parti: il riferirsi ad esso impone da parte del legislatore al giudice di costruire nel concreto un processo in cui la parte pubblica è perfettamente complanare a quella privata».
[9] Si veda l’ampia ricostruzione, anche storica, operata da Corraro D., L’efficacia ultra litem del giudicato tributario tra vecchi modelli e nuove teorizzazioni: il lungo cammino della Corte di cassazione nel segno di una costante incertezza sistematica, in Dir. prat. trib., 2020, 6, 2547 ss.
[10] Sul punto nuovamente Corraro D., L’oggetto del processo tributario fra teorie dichiarative e teorie costitutive: tracciati evolutivi, cit., 1612-1624.
[11] È pacifico che l’oramai abrogato divieto della prova testimoniale nel processo tributario si configurasse quale “limitazione alla prova della posizione soggettiva” di cui all’ultima parte dell’art. 654 c.p.p., assumendo rilevanza tale “limitazione” al fine della configurabilità del c.d. doppio binario fra giudizio tributario e giudizio penale afferente i medesimi fatti materiali. Al riguardo, si veda: Giarda A., Rapporti tra processo penale e processo contenzioso tributario, in Corr. trib., 1983, 211 ss.; Russo P., Problemi in tema di rapporti tra processo penale e processo tributario, in Riv. dir. fin.sc. fin., 1984, I, 427 ss.; Glendi C., L’oggetto del processo tributario, 1984, 784-803; Fantozzi A., Diritto Tributario, 1991, 490; Id., Note critiche e non sui rapporti tra processo penale ed accertamento tributario, in Giur. mer., 1986, 562-573; Tesauro F., A proposito di riforma del contenzioso tributario, in Rass. trib., 1988, I, 433 ss.; Danesi H., Rapporti fra il processo penale ed il contenzioso fiscale: problemi aperti, in il fisco, 1989, 1250 ss.
[12] Si veda Pistolesi F., Il processo tributario, Torino, 2023, 140, secondo il quale «dunque, grazie alla L. n. 130, si arricchisce la gamma dei mezzi istruttori utilizzabili dalle parti del giudizio tributario senza comprimere alcuna delle facoltà esperibili».
[13] Sul tema si rinvia ancora a Pistolesi F., La testimonianza scritta, in Carinci A. – Pistolesi F. (a cura di), La riforma della giustizia e del processo tributario, Milano, 2023, 67; Cuva A., I confini applicativi del superamento del divieto di prova testimoniale nel processo tributario, in Gallo F. – Uricchio A. – Cuva A. – Buccico C. – Donatelli S., Le novità introdotte dalla legge n. 130/2022 di riforma del processo tributario, Bari, 2023, 135 ss.; Onorato M.T., Le prove nel processo tributario, in Carlizzi G. – Genovese F.A., La riforma del processo tributario, Napoli, 2023, 188 ss.; Chironi G. – Dell’Anna G. – Gucciardo L., I poteri delle Corti di Giustizia Tributaria, in Uricchio A. – Treglia N. (a cura di), Il processo tributario alla luce della riforma di cui alla legge 130/2022, Roma, 2023, 107 ss.; Pistolesi F., Il processo tributario, cit., 133 ss.; Morri S., La nuova disciplina delle prove nel processo tributario, Milano, 2024, 75 ss.; Lovisolo A., Sull’onere della prova e sulla prova testimoniale nel processo tributario: prime osservazioni in merito alle recenti modifiche ed integrazioni apportate all’art. 7d.lgs. n. 546 del 1992, in Dir. prat. trib., 2023, 1, 43; Glendi C., Prova testimoniale scritta nel processo tributario riformato: quali confini applicativi?, in Dir. prat. trib., 2023, 2, 598; Glendi C., Sulla c.d. prova testimoniale scritta nel processo tributario, in GT – Riv. giur. trib., 2023, 5, 381; Russo A., Prova testimoniale scritta: distinzioni tra processo tributario e processo civile, in il fisco, 2023, 5, 451 ss.; Conigliaro M., Cade il divieto di prova testimoniale nel rito tributario: un passo avanti verso il giusto processo, in il fisco, 2022, 40, 3812.
[14] Sottolinea come sia derivato un potenziamento del diritto di difesa, nel contesto dell’attuazione del pieno contraddittorio tra Ufficio finanziario e contribuente Cuva A., I confini applicativi del superamento del divieto di prova testimoniale nel processo tributario, cit., 137: «In via preliminare, riteniamo di poter affermare che la nuova disposizione, quale strumento di maggior garanzia rispetto all’utilizzo delle dichiarazioni dei terzi, rappresenta una tappa importante nel rafforzamento del diritto di difesa delle parti e nell’affermazione della parità delle armi nel processo tributario, anche se permane l’esigenza di una rivisitazione organica della disciplina dell’istruzione probatoria». Con riguardo all’istruttoria nel processo tributario – per la quale è condivisa l’assenza di una effettiva centralità nell’impostazione del processo anteriore alla L. n. 130/2022 – si leggano, nella meno recente dottrina, Tesauro F., Sui principi generali dell’istruzione nel processo tributario, in Riv. dir. fin. sc. fin., 1978, 203; La Rosa S., La fase istruttoria nel processo davanti alle commissioni tributarie, in Boll. trib., 1982, 1259; con riguardo al processo civile, si vedano Aa.Vv., La nuova prova testimoniale, Roma, 2009; Chizzini A. – Balena G. – Caponi R. – Menchini S., La riforma della giustizia civile, Torino, 2009, 77; Palmieri G. – Angelone M., La testimonianza scritta nel processo civile, in Giur. mer., 2009, 2182; Saletti A. – Sassani B., Commentario alla riforma del codice di procedura civile: (Legge 18 giugno 2009, n. 69), Torino, 2009, 104; Mandrioli C. – Carratta A., Come cambia il processo civile, Torino, 2009, 55; Asprella C., La testimonianza scritta e il tramonto dell’oralità, in Il giusto processo civile, 2009, Napoli, 855; Cea Costanzo M., La testimonianza scritta, in Il giusto processo civile, 2010, Napoli, 133; Picozza E., La prova per testimoni tra deposizione orale e testimonianza scritta a seguito della riforma del 2009, in Riv. dir. proc., 2010, 869; Comoglio L.P., Le prove civili, Torino, 2010, 590; Fabiani E., Note sulla nuova figura di testimonianza (c.d. scritta) introdotta dalla legge n. 69 del 2009, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2011, 3, 823; Crevani R., La prova testimoniale, in Taruffo M. (a cura di), La prova nel processo civile, Milano, 2012, 275; Consolo C., La legge di riforma 18 giugno 2009, n. 69: altri profili significativi a prima lettura, in Corr. giur., 2009, 7, 877.
[15] In tal senso si legga Muleo S., Onere della prova, disponibilità e valutazione delle prove nel processo tributario rivisitato, in Carinci A. – Pistolesi F. (a cura di), La riforma della giustizia e del processo tributario. Commentario alla legge 31 agosto 2022, n. 130, Milano, 2023, 83. Analoghe osservazioni svolge Giovannini A., L’onere della prova, in Giovannini A. (a cura di), La riforma fiscale. I diritti e i procedimenti, II, Pisa, 2024, 262; così anche Donatelli S., L’onere della prova nella riforma del processo tributario, in Aa.Vv., Le novità introdotte dalla legge n. 130/2022 di riforma del processo tributario, Bari, 2023, spec. 103.
[16] Difforme è l’opinione di Cipolla G.M., Prova (diritto tributario), in Dig. disc. priv., sez. comm., Torino, 2008, 730, il quale ritiene che «la regolamentazione legale della prova e, più in generale, la regolamentazione dell’attività strumentale alla formulazione del giudizio di fatto è in parte qua una regolamentazione in negativo piuttosto che in positivo, nel senso che la legge può limitarsi ad intervenire per escludere una certa tipologia di prova o per escludere che il giudice possa valutarla secondo il proprio prudente apprezzamento».
[17] La sottolineatura della possibile pericolosa discrezionalità in tema di valutazione delle prove si rinviene nella giurisprudenza della Corte costituzionale ove, con la sentenza 26 giugno 1965, n. 50 si è chiarito che: «in via generale, la prova legale vuole creare stabilità e sicurezza alle relazioni giuridiche; ma nella materia fiscale vuole anche proteggere l’interesse generale alla riscossione dei tributi contro ogni tentativo di evasione, ed evitare la libera scelta dei mezzi di prova o la discrezionale valutazione dei loro risultati in un campo in cui non è consigliabile creare sfere di autonomia dispositiva».
[18] Sul tema leggasi Taruffo M., La prova dei fatti giuridici. Nozioni generali, Milano, 1992.
[19] I criteri di valutazione della prova da parte del giudice presuppongono la distinzione, tratta dai sistemi di common law, tra proof ed evidence: l’evidence è il mezzo di prova, ovverosia ogni elemento di natura documentale o logica che può essere impiegato per addivenire alla conoscenza del fatto o per la giustificazione della ricostruzione fattuale operata dall’autore dell’atto. La proof – specularmente – è allora il risultato che deriva dall’acquisizione dei mezzi di prova nel processo e dalla loro valutazione da parte del giudice. Sul tema ancora va letto Taruffo M., Prova (in generale) nel processo civile, in Dig. disc. priv., sez. civ., XIII, Torino, 1997, 65: «in un secondo significato, “prova” indica il risultato che si consegue una volta che la prova sia stata assunta e che il giudice ne abbia valutato i risultati in sede di decisione. Si dice allora che un fatto è “provato” per dire che di esso si è conseguita la dimostrazione probatoria, e che quindi esso può considerarsi vero sulla base della prova. A questo significato si ricollegano tutte le espressioni che hanno a che vedere con il risultato che la prova produce in sede di decisione». Sempre sul tema la dottrina tributaria rileva «come proof la prova è sinonimo di dimostrazione e, più esattamente, di dimostrazione raggiunta che porta il giudice a ritenere attendibile l’enunciato fattuale sostenuto da uno dei contraddittori. La proof è, in altri termini, la dimostrazione del fatto che il giudice raggiunge sulla base dell’evidence e rappresenta, quindi, l’elemento di conferma e di controllo della versione fattuale offerta da una delle parti»; così Gallo F., Motivazione e prova nell’accertamento tributario: l’evoluzione del pensierodella Corte, in Rass. trib., 2001, 4, 1096.
[20] E il fatto in sé non faccia stracciare le vesti ad alcuno: basterà ricordare le saggie considerazioni della dottrina secondo la quale «il valore della nomofilachia è quello dell’ordine, e certo l’ordine è un principio cardine nell’amministrazione della cosa pubblica. Però, sia consentito, l’ordine, in una democrazia, è un valore se ogni tanto, accanto a sé, ha anche il disordine, poiché se al contrario tutto è invece sempre e solo ordine, allora lì qualcosa potrebbe entrare in crisi. Un contrasto di giurisprudenza è certamente un fenomeno negativo nell’amministrazione della giustizia, ma, se un domani non dovessero più esserci contrasti in giurisprudenza, ciò sarebbe ancora peggio. Poiché un contrasto di giurisprudenza significa, in buona sostanza, che l’ordinamento accede ad un principio di libertà; un contrasto di giurisprudenza significa che i giudici sono liberi, e la libertà dei giudici è la condizione prima perché tutti noi lo si possa essere»; così Scarselli G., La nomofilachia e i suoi pericoli, in www.giustiziainsieme.it, 23 ottobre 2023.
[21] Cass. n. 3800/2025, commentata criticamente dalla dottrina; di vedano Salvati A., Innocenti evasori: la Cassazione verso il triplo binario (e oltre). Osservazioni a Cass.civ., sez. V, 14 febbraio 2025, n. 3800, in Riv. tel. dir. trib., 2025, 1 e pubblicato online il 20 febbraio 2025, www.rivistadirittotributario.it; Carinci A., Il difficile bilanciamento tra sistematica e realtà applicativa nel ragionamento della Suprema Corte in tema di operatività dell’art. 21-bis d.lgs. n. 74/2000, in www.ius-giuffrefl-it, 25 febbraio 2025; Marcheselli A., Dal doppio binario al capolinea giusto processo, in Riv. tel. dir. trib., 2025, 1 e pubblicato online il 1° marzo 2025, www.rivistadirittotributario.it. Si vedano – in direzione interpretativa opposta tra loro – da un lato Cass. civ., sez. trib., 25 febbraio 2025, n. 4916 e dall’altro Cass. civ., sez. trib, 31 luglio 2024, n. 21584; Id., 3 settembre 2024, n. 23570; Id., 3 settembre 2024, n. 23609; Id., 28 novembre 2024, n. 30675; Id., 2 dicembre 2024, n. 30814; Id., 15 gennaio 2025, n. 936; Id., 16 gennaio 2025, n. 1021.
[28] Con la consueta acutezza e lucidità, autorevole dottrina segnala il rischio della introduzione – in luogo del c.d. “doppio binario” – di un “doppio standard probatorio”: si avrebbe, in particolare, l’applicazione, in relazione alle imposte, del principio del “più probabile che non” e, con riferimento alle sanzioni, la valorizzazione del principio “dell’oltre ogni ragionevole dubbio”; così Marcheselli A., Imposta evasa, profitto del reato tributario, il mito del doppio binario della prova tra penale e amministrativo e le nuove frontiere del profitto confiscabile, 2024, 1, 372 ss.; analoghe osservazioni svolge Salvati A.; Innocenti evasori: la Cassazione verso il triplo binario (e oltre). Osservazioni a Cass.civ., sez. V, 14 febbraio 2025, n. 3800, cit.
[29] La pregevole formulazione de lege condendo riportata in nota è di Corraro D., L’efficacia ultra litem del giudicato tributario tra vecchi modelli e nuove teorizzazioni: il lungo cammino della Corte di cassazione nel segno di una costante incertezza sistematica, cit.
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