La natura giuridica del credito per imposte estere che devia dalla capital export neutrality “temperata”

Di Tommaso Calculli -

Abstract (*)

Il presente lavoro mira ad esaminare la natura giuridica il credito per imposte ex art. 165 TUIR. Sebbene tale posizione di vantaggio sia prevista da disposizioni di diritto interno, nella maggior parte dei casi essa costituisce attuazione di norme convenzionali, segnatamente del metodo del foreign tax credit previsto in larga parte dei Trattati contro le doppie imposizioni. Trattasi di obbligo di diritto internazionale che tende – in via principale, ma non esclusiva – a contrastare la doppia imposizione internazionale in senso giuridico. L’ipotesi di studio alla base del contributo è che il credito per imposte estere non assolva esclusivamente ad una funzione strutturale del sistema tributario, legata alla tutela del principio di capacità contributiva. Alcune fattispecie – spesso attuative della più ampia categoria dei tax sparing mechanisms – conducono infatti a finanziare lo Stato (in via di sviluppo) della fonte, deviando sensibilmente dalla politica fiscale tradizionale improntata alla capital export neutrality “temperata”.

The Juridical Nature of the Foreign Tax Credit Departing from “Mitigated” Capital Export Neutrality –This paper aims to analyse the juridical nature of the Italian foreign tax credit under Article 165 of the Italian Income Tax Code (TUIR). Although the “credito per imposte estere” is established by domestic law provisions, it is most often implemented to fulfil obligations arising under public international law (specifically through the so called “credit method”, as provided under Double Tax Treaties). These treaties primarily, though not exclusively, aim to mitigate juridical double taxation in cross-border situations. The underlying hypothesis of this study is that the “credito per imposte estere” do not solely serve a structural function within the tax system – namely, the protection of the ability-to-pay principle. Certain foreign tax credits – often falling within the broader category of tax sparing mechanisms – may in fact result in financial transfers to the source (developing) Country, thereby substantially diverging from the traditional tax policy model based on a “mitigated” paradigm of capital export neutrality.

Sommario: 1. Rilievi introduttivi. – 2. Il foreign tax credit quale metodo alternativo di contrasto al fenomeno della doppia imposizione. – 3. Il profilo strutturale ed effettuale dell’obbligo di diritto internazionale. – 4. Il profilo funzionale e le deviazioni dal paradigma strutturale per gli Stati cc.dd. CEN. – 5. Conclusioni intermedie sulla extrafiscalità del credito convenzionale. – 6. Lo statuto (parzialmente vincolato) del “credito d’imposta per i redditi prodotti all’estero” ex art. 165 TUIR. – 7. I profili rimessi alla legislazione domestica: struttura ed effetti. – 8. La potenziale (in)influenza del piano internazionale: funzione e natura della posizione di vantaggio. – 9. Conclusioni generali.

1. Il credito per imposte estere potrebbe in alcuni casi rappresentare un rimedio unilaterale contro la doppia (o plurima) imposizione, ma nella maggior parte delle ipotesi viene previsto dai singoli ordinamenti domestici per dare attuazione ai dettati convenzionali che si prefiggono l’originaria – ma non unica – funzione di contrastare la doppia imposizione giuridica (cfr. l’art. 23B del Modello OCSE 2017 e, correlativamente, il par. 57 del Commentario al Modello OCSE 2017).

Nel presente lavoro, muovendo dalle elaborazioni della letteratura internazionale (cfr., di recente, Aa.Vv., Exemption Method and Credit Method: The Application of Art. 23 OECD Model Convention, Amsterdam, 2022), si procederà alla rilettura di una peculiare posizione dottrinale (Ingrosso M., Il credito d’imposta, Milano, 1984, 98-99) secondo la quale la natura giuridica del credito per imposte estere verrebbe a coincidere con quella di «credito da ausilio finanziario pubblico», in quanto perseguirebbe una finalità marcatamente extrafiscale (secondo l’Autore, infatti, il credito si motiverebbe «essenzialmente sotto un profilo extrafiscale in ragione di finalità di politica economica volte a realizzare la neutralità all’esportazione»).

La tesi è comunemente accolta dalla dottrina di diritto internazionale tributario (cfr. amplius Barthel F. – Busse M. – Krever R. – Neumayer R., The Effect of Bilateral Tax Treaties on Economic Growth, in Aa.Vv., Tax Treaties: Building Bridges between Law and Economics, Amsterdam, 2010, accesso online), ove si è recentemente osservato che, soprattutto nei rapporti con alcuni Paesi in via di sviluppo, le deviazioni delle Convenzioni rispetto al Modello OCSE potrebbero comportare riflessi sulla natura giuridica della posizione riconosciuta e tutelata dal diritto domestico (sul c.d. approccio olistico cfr. Pistone P., La pianificazione fiscale aggressiva e le categorie concettuali del diritto globale, in Riv. trim. dir. trib., 2016, 2, 398).

Sul piano metodologico, nella definizione della natura giuridica del credito per imposte estere si adotterà il metodo funzionalista di stampo bobbiano, il quale muove dalla struttura verso la valorizzazione della funzione nel tentativo di individuare l’essenza degli istituti giuridici (cfr. Bobbio N., Sulla funzione promozionale del diritto, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1969, 1312 ss., pubblicato altresì nel volume dello stesso Autore, Dalla struttura alla funzione. Nuovi studi di teoria del diritto, Milano, 1977, 13 ss.). Metodo peraltro sempre più impiegato nell’analisi dei crediti d’imposta “sovvenzionali” che vanno diffondendosi nello scenario domestico (tema su cui sia consentito rinviare, anche per ulteriori riferimenti bibliografici, ad Uricchio A.F. – Calculli T., Le spese fiscali: tra prospettive di codificazione e controllo sulla spesa pubblica, in Riv. dir. fin. sc. fin., 2024, 1, I, 26, in part. nt. 72).

2. Com’è noto, il diritto internazionale tributario si pone l’originario obiettivo di rispondere ad una elementare esigenza economica di prevenire ostacoli agli scambi transfrontalieri, in ossequio alle teorie economiche del commercio internazionale (cfr. Ecker T. – Ressler G., a cura di, History of Tax Treaties, Vienna, 2011, passim).

La necessità di procedere al riparto della potestà impositiva si connota per una genesi giuridica, in quanto si fonda sulla circostanza per la quale un soggetto può essere legato a più Stati da un nesso soggettivo (residenza) e/o oggettivo (fonte). La criticità più ricorrente emerge in caso di conflitto tra Stato della residenza e Stato della fonte, nel momento in cui ciascuno Stato estende la propria potestà impositiva a tutti i redditi ovunque prodotti da parte del soggetto a questo avvinto da nesso soggettivo.

La doppia imposizione internazionale, che ricorre con riferimento alle imposte sui redditi e alle imposte sul patrimonio, può assumere carattere di doppia imposizione internazionale in senso giuridico e in senso economico (potendo le due forme anche convivere). Il diritto internazionale tributario tenta di affrontare la doppia imposizione in senso giuridico, ma al contempo alcuni istituti (come quello del credito indiretto) si pongono l’obiettivo di prevenire la doppia imposizione in senso economico. Ciò però non impatta sulla natura del credito e sulla sua finalità, che rimane di contrasto alla doppia imposizione, ancorché economica (cfr. Kofler G., Indirect Credit versus Exemption: Double Taxation Relief for Intercompany Distributions, in Bull. Int. Tax., 2012, 2, 89; per la dottrina italiana, Contrino A., Contributo allo studio del credito per le imposte estere, Torino, 2012, in part. 32 ss.).

A tal fine, l’ordinamento internazionale assume i connotati della giuridicità (nella prospettiva monista e pluralista si pone De Pietro C., Tax Abuse and Legal Pluralism: Towards Concrete Solutions Leading to Coordination between International Tax Treaty Law and EU Tax Law, in EC Tax Rev., 2020, 84, 93) e prevede obblighi giuridici in capo agli Stati nell’ambito delle fonti pattizie e derivate (Blum D., Normativity in International Tax Law: A Legal Theoretical Inquiry into Contemporary International Tax Discourse, Amsterdam, 2023, passim), risultando invece dibattuta la configurabilità di figure consuetudinarie (su cui Pistone P., Soft tax law: steering legal pluralism towards international tax coordination, in Weber D., a cura di, Traditional and alternative routes to European tax integration, Amsterdam, 2010, 97 ss.).

Per il tramite di queste fonti, il diritto internazionale tributario distribuisce – limitando – la potestà impositiva secondo gli schemi della potestà impositiva concorrente e della potestà impositiva esclusiva, secondo le singole distributive rules. Ma tali regole di riparto non sono autosufficienti, in quanto necessitano di una lettura congiunta con il metodo impiegato dal singolo Trattato ai fini del contrasto alla doppia (o plurima) imposizione.

3. Così impostata la questione, prendiamo le mosse dell’analisi del credito convenzionale e dal suo profilo strutturale. Occorre comprendere se il foreign tax credit vada inquadrato come una posizione di vantaggio del contribuente ovvero se configuri un mero obbligo per lo Stato contraente di dare attuazione alla Convenzione, senza potersi sostanziare in una concreta pretesa esercitabile dal contribuente in assenza di una disciplina degli aspetti di dettaglio.

Il Modello OCSE si limita a specificare che le imposte assolte all’estero possono essere accreditate contro le imposte dello Stato della residenza, coerentemente con le varie distributive rules. Sembrerebbe allora trattarsi di una potenziale posizione di vantaggio nei confronti di un soggetto normalmente creditore; invero, le Convenzioni non descrivono compiutamente la predetta situazione di vantaggio, che sarà disciplinata dai singoli ordinamenti nel rispetto della propria tradizione giuridica (cfr. amplius Kofler G. – Pötgens F., Article 23: Methods for Elimination of Double Taxation, in Aa.Vv., Global Topics IBFD, Amsterdam, 2022, accesso online), con salvezza di alcune caratteristiche strutturali che si possono desumere dalle Convenzioni e, ancor prima, dal modello OCSE (sulle peculiarità del “concorrente” modello ONU cfr. Binder A. – Wöhrer V., a cura di, Special Features of the UN Model Convention, Vienna, 2019).

A tanto si aggiungono ulteriori elementi di diritto interno, non ostativi rispetto alla finalità di contrasto della doppia imposizione alla base del Trattato, la cui assenza potrebbe però comportare la “non debenza” del credito secondo la prospettiva domestica. Anche gli adempimenti necessari alla fruizione del credito sono demandati al singolo Stato della residenza in maniera implicita (cfr. Fiala F., The Methods to Avoid Double Taxation and Their Implementation in Domestic Law, in Aa.Vv., Tax Treaties and Procedural Law, Amsterdam, 2020, accesso online). Analogamente, le modalità di impiego del credito sono prerogativa dello Stato della residenza; peraltro, l’accreditabilità delle imposte prelevate sui redditi prodotti all’estero necessita di tali puntualizzazioni di diritto domestico (in tal senso Rust A., Commentary on Art. 23 OECD MC [Methods for the Elimination of Double Taxation], in Reimer E. – Rust A., a cura di, Klaus Vogel on double taxation conventions, V ed., Alphen aan den Rijn, NL, 2022, 1824).

Allora, solo una volta attuato con disposizione domestica, il credito sembrerebbe poter configurare una posizione di vantaggio verso l’Erario. Tuttavia, se è vero che il diritto interno prevede la fattispecie domestica di credito, è altrettanto vero che non può comunque discostarsi dal dettato convenzionale. Si può dunque affermare che il foreign tax credit costituisce un obbligo per lo Stato della residenza di dare attuazione alla Convenzione mediante specificazione degli elementi strutturali necessari. Tanto alla luce dell’assenza di tutti i profili indefettibili del credito (ad esempio, modalità di calcolo) che possano rendere una disposizione pattizia eventualmente self-executing (cfr. Haslehner W., Introduction, in Reimer E. – Rust A., a cura di, Klaus Vogel on double taxation conventions, cit., 30, nonché Rust A. – Ndubai J.W., Method Article and Unilateral Measures to Avoid Double Taxation, in Aa.Vv., Exemption Method and Credit Method: The Application of Art. 23 OECD Model Convention, cit., accesso online).

Anche un’indagine sugli effetti del credito conduce alla medesima conclusione: gli effetti giuridici estintivi del debito derivano dalla configurazione che l’ordinamento interno offre della posizione di credito per imposte estere. Tale credito non può essere direttamente accreditato (“credited”) e non sembra idoneo a produrre quell’effetto estintivo dell’imposta (detrazione) o del debito tributario (credito) per l’assenza di elementi strutturali, invero da introdurre mediante disposizione domestica “attuativa”.

Resta fermo che la previsione convenzionale rende esperibili i rimedi contro le doppie imposizioni, riproponendo il tema del “legal standing” del contribuente nell’ordinamento internazionale (su cui Pistone P. – Baker P., Improving Taxpayers Rights in the Settlement of Cross-Border Tax Disputes, in Maisto G., a cura di, Dispute Resolutions under Tax Treaties and Beyond, Amsterdam, 2023, 403 ss.).

4. Sul piano convenzionale, dunque, l’analisi della struttura e degli effetti del credito non ha consegnato risultati apprezzabili. Occorre pertanto passare ad esaminarne la funzione, tenendo presente che non risulta agevole l’individuazione di una nozione “pura” di strutturalità del foreign tax credit rispetto all’ordinamento tributario internazionale.

Un punto fermo si potrebbe ravvisare nella finalità propriamente fiscale di eliminazione della doppia imposizione giuridica, che si salda con evidenti ragioni di efficienza economica. Tuttavia, essendo stata tale finalità “consacrata” circa un secolo fa nel celebre “Rapporto dei quattro economisti” (su cui cfr. Gorgiev-Oberascher F. – Koppensteiner F., The History of Austrias Double Tax Conventions, in Lang M. – Reimer E., a cura di, The History of Double Taxation Conventions in the Pre-BEPS Era, Amsterdam, 2021, accesso online; dalla prospettiva italiana Cipollina S., Osservazioni sul “Report on double taxation” della società delle nazioni nel centenario della sua pubblicazione, in Riv. dir. fin. sc. fin., 2023, 4, I, 383 ss.), si potrebbe ritenere che il credito persegua uno scopo intrinsecamente proprio degli ordinamenti tributari (internazionale e domestico), consistente nell’eliminazione della doppia imposizione giuridica e nell’allocazione della potestà impositiva (cfr. Fantozzi A. – Vogel K., [voce] Doppia imposizione internazionale, in Dig. disc. priv., sez. comm., vol. V, Torino, 1990, 181 ss.; in apparente distonia rispetto alla posizione del prof. Klaus Vogel, guarda al dato sostanziale del “vincolo” e ritiene indifferente l’impiego dei termini «division, allocation or distribution» Lang M., Introduction to the Law of Double Taxation Conventions, III ed., Vienna, 2021, accesso online).

Diverse criticità pone la invece scelta del “metodo del credito” quale scelta di politica fiscale internazionale. A tal fine, va considerato che lo studio della doppia imposizione si coniuga con l’adozione di una prospettiva economica e di policy, in quanto il contrasto al fenomeno si fonda su istituti giuridici ai quali corrisponde una precisa decisione di international tax policy (su cui Aa.Vv., Trends and Players in Tax Policy, Amsterdam, 2016). La perfetta neutralità è del tutto utopistica, posto che può essere raggiunta solo mediante l’uniformazione delle legislazioni su base mondiale (sul tema, per l’approccio anglosassone, Avery Jones J.F., Avoiding Double Taxation: Credit versus Exemption – The Origins, in Bull. Int. Tax., 2012, 66, 2, accesso online; evidenzia in apertura la differenza rispetto al metodo di matrice continentale Lang M., Tax Treaty Interpretation – A Response to John F. Avery Jones, in Bull. Int. Tax., 74, 11, 2020, 660 ss.).

Sul piano internazionale, le scelte compiute nella fase di negoziazione del method article perseguono finalità di politica fiscale internazionale teoricamente conformi rispetto alle variabili economiche dei Paesi di riferimento (cfr. in chiave critica Avi-Yonah R.S., All of a Piece throughout: The Four Ages of U.S. International Taxation, in Virginia Tax Rev., 2005, 2, 338). Prendendo in esame il Modello OCSE e il relativo Commentario, si scorge come il “metodo del credito” risulti alternativo a quello dell’esenzione, anche nei più recenti progetti multilaterali (in merito ai quali cfr. Pistone P. – Kallay Cicin-Sain N., General Report, in Aa.Vv., The Implementation and Lasting Effects of the Multilateral Instrument, Amsterdam, 2022, 1 ss.). Tuttavia, se si volge lo sguardo alle Convenzioni fiscali in vigore, quello del credito appare il metodo più adottato dai Paesi esportatori di capitale, mentre il metodo dell’esenzione appare quello più auspicato dai Paesi in via di sviluppo che offrono incentivi agli operatori economici.

Difatti, come noto, ogni Stato si trova di fronte ad un bivio tra: i) favorire la capital export neutrality (CEN), rendendo indifferente la variabile tributaria nelle valutazioni dei soggetti fiscalmente residenti circa il “dove operare”; ii) privilegiare la neutralità con rispetto alle imprese che operano sul proprio territorio, rendendo la variabile fiscale ininfluente in ossequio al modello di capital import neutrality (CIN); iii) optare per un mix delle due, anche per ricercare una certa progressività (a tal riguardo cfr. Spies K. – Scharizer P.W., Exemption Method with Proviso Safeguarding Progression, in Aa.Vv., Exemption Method and Credit Method: The Application of Art. 23 OECD Model Convention, cit., accesso online). A tali modelli si potrebbe affiancare una politica di Capital Ownership Neutrality (CON), che avrebbe di mira invece un obiettivo di neutralità rispetto a variabili di corporate governance, con particolare riguardo all’assetto proprietario del soggetto che opera presso una diversa “giurisdizione” (su cui Maisto G., Credit versus Exemption under Domestic Tax Law and Treaties, in Aa.Vv., Tax Treaties: Building Bridges between Law and Economics, cit., accesso online).

Detti obiettivi non si possono conseguire contemporaneamente e, dunque, rappresentano scelte di policy rispetto alle quali lo strumento tecnico si pone in un rapporto servente (così Holmes K., International Tax Policy and Double Tax Treaties, II ed., Amsterdam, 2014, accesso online).

Allora la finalità strutturale “primaria” (contrasto alla doppia imposizione) convive con politiche fiscali internazionali perseguite idealmente da ogni Stato e con le clausole che emergono nella concreta negoziazione dei trattati (con riguardo alle dinamiche relative ai Paesi in via di sviluppo, cfr. ONU, Manual for the Negotiation of Bilateral Tax Treaties between Developed and Developing Countries, in part. 16, nonché Daurer V., Tax Treaties and Developing Countries, Alphen aan den Rijn, NL, 2018).

In questa prospettiva, le Convenzioni ben possono prevedere deviazioni dal Modello OCSE e dal relativo art. 23B: il riferimento è, nello specifico, al credito indiretto, al credito integrale (full tax credit) e, soprattutto, al credito “nozionale” o figurativo (da tax sparing provisions e matching credits).

Nella prassi, come si può desumere anche dal wording dell’art. 23B del Modello OCSE, la soluzione più diffusa è senz’altro quella del credito ordinario (o limitato).

La differenza tra credito “ordinario” e credito “pieno” (melius, integrale) sembrerebbe prima facie poter essere confinata entro la tematica della misura del credito, quale aspetto meramente strutturale: il credito integrale non incontrerebbe il limite di accreditabilità relativo alla misura di quella parte della «income tax or capital tax, as computed before the deduction is given, which is attributable, as the case may be, to the income or the capital which may be taxed in that other State» (tale limite invece è previsto dall’art. 23B del Modello OCSE).

A ben vedere, però, la differenza consiste proprio nella diversa funzione (amministrativa) disimpegnata dallo Stato: nel credito ordinario, lo Stato fa ricorso alla mera funzione di prelievo, in quanto “tassa” il reddito di fonte estera e “allevia” tale onere tributario in misura pari a quanto pagato sul reddito di fonte estera, senza però concedere un relief che ecceda il prelievo domestico corrispondente alla porzione di reddito prodotto all’estero. In particolare, si pone a carico del soggetto contribuente l’eventuale eccedenza di imposte estere che derivi dall’operatività presso lo Stato della fonte. E infatti, là dove si dovesse concedere un credito per imposte estere in misura piena e la pressione fiscale presso lo Stato della fonte eccedesse quella prevista presso lo Stato della residenza, l’Amministrazione finanziaria di quest’ultimo sarebbe chiamata ad esercitare una funzione differente, che non sarebbe più di prelievo ma di spesa.

In questa prospettiva, il credito “pieno” supera la mera finalità di contrasto alla doppia imposizione, già raggiunta dal credito ordinario, e rafforza la politica di CEN, rendendola per così dire perfetta (in altri termini, il soggetto residente troverebbe indifferente, quanto alla variabile fiscale, operare nello Stato della residenza ovvero in qualsiasi altro “Stato della fonte”, essendo in definitiva assoggettato al prelievo sui redditi che normalmente si verifica presso lo Stato della residenza). Dunque, lo Stato della residenza si ritrova a finanziare, di talché la CEN perfetta richiede il sostenimento di un “costo” e questa extrafiscalità aggiuntiva rappresenta un impiego di risorse a carico del bilancio pubblico.

Un’ulteriore – ma potenzialmente cumulabile – figura di credito con funzione “speciale” è quella del credito “nozionale”, così denominato in quanto calcolato su una grandezza che in effetti non è reale e non corrisponde a quanto assolto a titolo definitivo presso lo Stato della fonte.

Come evidenziato in letteratura, si distingue tra matching credits e tax sparing provisions, anche se si riscontra la tendenza ad una trattazione congiunta sotto l’etichetta di “tax sparing mechanisms”. Tale comunanza è invero solo parziale: se nel caso dei matching credits si assiste ad una maggiorazione dell’imposta accreditabile rispetto a quella effettivamente versata, mediante le clausole di tax sparing in senso stretto può essere riconosciuto un credito interamente figurativo, anche in assenza di versamenti (cfr. amplius Pistone P. – Ferreira Liotti B., Tax sparing, in Aa.Vv., Exemption Method and Credit Method: The Application of Art. 23 OECD Model Convention, cit., accesso online).

Inoltre, tali crediti sono spesso riconosciuti a fronte di item reddituali qualificabili come dividendi. Come noto, è possibile operare presso altri Stati adottando due schemi principali, vale a dire mediante stabile organizzazione ovvero detenendo una partecipazione di controllo in società di diritto straniero. Nel secondo caso, ben più frequente, vi sarà una verosimile distribuzione di dividendi a favore della controllante, di talché il reddito sottoponibile a plurima imposizione è classificabile tendenzialmente quale dividendo.

Trattasi di disposizioni contenute in Trattati conclusi da alcuni Stati in via di sviluppo, poste alla base della negoziazione nonostante un certo scetticismo manifestato dall’OCSE e dalla dottrina che si è occupata del tema (cfr. Pistone P. – Goodspeed T., Rethinking tax jurisdictions and relief from international double taxation with regard to developing countries: Legal and economic perspectives from Europe and North America, in Zagler M., a cura di, International Tax Coordination: An interdisciplinary Perspective on Virtues and Pitfalls, Abingdon UK, 2010, 29, ove si ritiene preferibile una progressiva adozione del metodo dell’esenzione, anche quale strumento più graduale rispetto ad un improvviso ritorno ad un sistema di imposizione su base territoriale; cfr. amplius Paolini D. – Pistone P. – Pulina G. – Zagler M., Tax Treaties and the Allocation of Taxing Rights with Developing Countries, Vienna, 2012). Sembra prevedersi così una serie di sussidi a favore di taluni investimenti diretti all’estero, ove realizzati presso determinati Stati in via di sviluppo da parte di contribuenti residenti in Paesi industrializzati (sulle ragioni economiche alla base dell’assenso prestato dai Paesi “sviluppati” Pistone P., Tax Treaties with Developing Countries: a Plea for New Allocation Rules and a Combined Legal and Economic Approach, in Aa.Vv., Tax Treaties: Building Bridges between Law and Economics, cit., accesso online). Dunque, siffatti crediti sembrano concessi dagli Stati della residenza in deroga alle tradizionali politiche fiscali internazionali e tanto potrebbe risultare idoneo a qualificarli come non strutturali e, quindi, connotati da finalità extrafiscali.

Peraltro, le predette clausole difficilmente potranno essere qualificate come necessarie e serventi alla conclusione dei Trattati. Spesso i Paesi “CEN” (tendenzialmente a trazione americana, sui quali offrono una nota prospettiva storica Fleming Jr. J.C. – Peroni R.J. – Shay S.E., Fairness in International Taxation: The Ability-to-Pay Case for Taxing Worldwide Income, in Florida Tax Rev., 2001, 5, 351) appaiono più forti dal punto di vista contrattuale rispetto a quelli in via di sviluppo: tali deviazioni sono, dunque, da qualificare come volontarie e oggetto di attenta valutazione in termini di politica fiscale internazionale.

5. Alla luce di quanto considerato, possiamo affermare che il foreign tax credit è un metodo convenzionale per attuare – nell’ambito del contrasto alla doppia imposizione internazionale – una precisa politica, individuale o di cartello, solitamente risultante nella neutralizzazione degli incentivi concessi dallo Stato della fonte, che conseguenza naturale della capital export neutrality.

Tuttavia, ogni finalità (extrafiscale) ulteriore rispetto a quella di contrasto alla doppia imposizione appare una “nota accidentale” del foreign tax credit, che discende da scelte di international tax policy (sulla nozione di accidentalità quale “nota esterna” al concetto dato, cfr. Ingrosso M., Divisione e classificazione nella scienza giuridica finanziaria, Napoli, 1977, 117 ss.). E ciò sembra confermato, a contrario, dalla politica fiscale (CIN) perseguibile con il metodo alternativo dell’esenzione, che realizza la prevenzione della doppia imposizione mediante l’allocazione della potestà impositiva in capo ad un solo Stato, senza sterilizzare le misure agevolative dello Stato della fonte e le relative perdite (in tal senso Rust A., Commentary on Art. 23 OECD MC [Methods for the Elimination of Double Taxation], cit., 1860).

Pertanto, si potrebbero ravvisare due sfumature di extrafiscalità del credito convenzionale (per un tentativo di aggiornamento del dibattito sulla nozione di extrafiscalità, interna ed esterna, sia consentito rinviare alla più ampia disamina svolta in Uricchio A.F. – Calculli T., Le spese fiscali: tra prospettive di codificazione e controllo sulla spesa pubblica, cit., 17):

  1. una forma di extrafiscalità in senso debole, la quale connota qualsivoglia credito che persegua una funzione extrafiscale. Si tratta di una extrafiscalità di fatto “interna” all’ordinario credito per imposte estere. In questa ipotesi, alla funzione primaria di contrasto alla doppia imposizione giuridica si affianca una seconda funzione economica connessa alla politica fiscale internazionale generalmente perseguita mediante il credito per imposte estere (CEN temperata dal credito ordinario). Non sembra ancora qualificabile come finalità intrinseca, quantomeno al di fuori dell’Unione europea, quella politica di neutralizzazione degli incentivi fiscali tipicamente associata allo scenario BEPS (Cotrut M. – Munyandi K., a cura di, Tax Incentives in the BEPS Era, Amsterdam, 2018, passim). A tal riguardo, è stato osservato che, con l’eventuale diffusione della global minimum tax, si potrebbero concretizzare taluni rischi di “protezionismo” mediante un generale rafforzamento della politica CEN (su cui Pistone P., BEPS, Capital Export Neutrality and the Risk of Hidden Tax Protectionism. Selected Remarks from an EU Perspective, in Danon R., a cura di, Base Erosion and Profit Shifting (BEPS). Impact for European and international tax policy, Zurigo, CH, 2016, 319 ss.);

  1. un carattere di extrafiscalità in senso forte, qualora si riscontri una misura del credito che ecceda il minimo necessario a garantire i due obiettivi appena delineati (contrasto alla doppia imposizione e CEN temperata). In questo caso, si verificherebbe una deviazione rispetto alla politica fiscale standard: si potrà dunque discorrere di extrafiscalità qualificata o esterna in presenza di importi del credito che eccedano quanto necessario ad estinguere il debito tributario dello Stato della residenza, ossia nelle ipotesi di credito in misura piena (CEN perfetta) e di credito nozionale (temperamento topico della CEN).

Solo quest’ultima forma forte di extrafiscalità sembra abbastanza marcata da potersi eventualmente comunicare al credito di diritto interno. Il potenziale carattere di ausilio finanziario pubblico del credito strumento che garantisce una CEN perfetta ovvero un sussidio a Paesi in via di sviluppo andrà però verificato e riscontrato anche sul piano domestico, in ragione di elementi strutturali che ne permettano la fruizione per intero nell’id quod plerumque accidit, entro un orizzonte temporale congruo e ragionevole (sulla maggiore rilevanza rivestita dal diritto domestico in caso di opzione per il credit method, Rust A., Commentary on Art. 23 OECD MC [Methods for the Elimination of Double Taxation], cit., 1854).

6. Assunta la prospettiva tipica dell’istituto di diritto internazionale tributario, è ora opportuno transitare all’analisi delle ricadute di siffatta impostazione sulle disposizioni dell’ordinamento italiano quale Stato della residenza, con particolare riguardo al profilo delle imposte sui redditi. In altri termini, si prenderà in considerazione il dibattito formatosi sul piano del c.d. diritto tributario internazionale.

L’istituto oggi disciplinato dall’art. 165 TUIR, è stato novellato più volte nel corso degli anni (ante riforma Tremonti, la disciplina era recata dall’art. 15, su cui cfr. per tutti Uricchio A.F., Commento sub art. 15, in d’Amati N., a cura di, L’imposta sul reddito delle persone fisiche, Torino, 1992, 122 ss.; per una compita disamina dell’istituto post-riforma, cfr., per tutti, Contrino A., Contributo allo studio del credito per le imposte estere, cit.). A livello di prassi va richiamata la circ. 5 marzo 2015, n. 9/E – a seguito delle ultime modifiche apportata dall’art. 15 D.Lgs. 14 settembre 2015, n. 147 (su cui cfr., ancora, Contrino A., La recente riforma del credito per le imposte estere: prime considerazioni sistematiche, in Rass. trib., 2017, 2, 323 ss.) gli ulteriori “principi di diritto” (2019) e alcune risposte ad interpello (tra cui talune proprio sul tema del matching credit).

Si può sin da subito evidenziare come la rubrica faccia riferimento al credito per i «redditi prodotti all’estero», senza rispecchiare il tradizionale nomen juris attribuito dalla fonte di diritto internazionale (credito per imposte estere). Coerentemente, la disposizione stabilisce che, per l’ipotesi in cui alla formazione del reddito complessivo concorrano redditi prodotti all’estero, le imposte pagate all’estero “a titolo definitivo su tali redditi” vengono ammesse in “detrazione” dall’imposta netta dovuta.

Nel dettaglio, allora, l’art. 165 TUIR prevede tre limiti quantitativi, temperati dal riporto delle cc.dd. eccedenze.

In primo luogo, si evidenzia il limite quali-quantitativo dato dall’imposta assolta all’estero, con i caratteri della definitività, della similarità e della obbligatorietà; in secondo luogo, si segnala l’ulteriore limite della «concorrenza della quota dimposta corrispondente al rapporto tra i redditi prodotti allestero ed il reddito complessivo al netto delle perdite di precedenti periodi d’imposta ammesse in diminuzione». Il terzo limite discende dalla c.d. per-country-limitation di cui al comma 3, a mente del quale «se concorrono redditi prodotti in più Stati esteri, la detrazione si applica separatamente per ciascuno Stato».

Dunque, la norma appare improntata al modello del credito c.d. limitato, ma ciò non sembra impedire alla disposizione di disciplinare specificatamente un istituto che costituisce al contempo mezzo unilaterale di contrasto alla doppia imposizione e strumento di attuazione delle Convenzioni. A tal riguardo, in dottrina si è parlato efficacemente di un «rapporto di complementarietà di tipo integrativo» (l’espressione è stata utilizzata per la prima volta in Contrino A., Sui rapporti fra le discipline interna e convenzionale del credito per le imposte estere, in Riv. dir. trib., 2007, 11, I, 1007 ss., accesso online): tale locuzione mette in evidenza come la disposizione domestica debba prevedere i profili disciplinari essenziali e possa innestare elementi accessori per il concreto funzionamento dell’istituto, senza pregiudicare l’obiettivo avuto di mira dai Trattati.

Dunque, nella misura in cui non comportino violazione e/o elusione delle disposizioni convenzionali (ferma restando la discussa rilevanza interpretativa del Commentario OCSE, su cui Dorigo S., La rilevanza interpretativa del Commentario al Modello Ocse per le Sezioni Unite: è tempo di mutare approccio?, in Dir. prat. trib. int., 2021, 4, 1758 ss.), possono formare oggetto di disciplina interna una serie di profili disciplinari, tra i quali si collocano la materia del riporto delle eccedenze d’imposta, la rilevanza delle perdite sofferte all’estero, il metodo di calcolo del reddito su cui computare l’imposta da accreditare al netto di ulteriori limiti. Trattasi di temi che assumono indiscussa rilevanza anche sul piano della policy domestica e, dunque, risultano cautamente integrabili in via unilaterale (cfr. Tarigo P., Gli elementi costitutivi della doppia imposizione internazionale quale fattispecie dei trattati, in Rass. trib., 2009, 3, 675).

Si può allora osservare come la disposizione domestica sia “generosa” in relazione a determinati profili della disciplina.

Limitando la trattazione a quanto funzionale al breve itinerario di ricerca, possiamo rilevare che la detrazione si “converta” in un credito d’imposta nel corpo del comma 6, a mente del quale «[l]imposta estera pagata a titolo definitivo su redditi prodotti nello stesso Stato estero eccedente la quota di imposta italiana relativa ai medesimi redditi esteri, costituisce un credito dimposta fino a concorrenza della eccedenza della quota dimposta italiana rispetto a quella estera pagata a titolo definitivo in relazione allo stesso reddito estero, verificatasi negli esercizi precedenti fino allottavo». In particolare, per l’ipotesi in cui «negli esercizi precedenti non si sia verificata tale eccedenza, leccedenza dellimposta estera può essere riportata a nuovo fino allottavo esercizio successivo ed essere utilizzata quale credito dimposta nel caso in cui si produca leccedenza della quota di imposta italiana rispetto a quella estera relativa allo stesso reddito di cui al primo periodo del presente comma».

Tenendo presente questa “concessione” del legislatore italiano, rafforzata con la novella recata dall’art. 15 D.Lgs. n. 147/2015, cit., possiamo dunque analizzare la posizione di vantaggio che viene disciplinata e sorge all’interno dell’ordinamento domestico, in attuazione degli obblighi derivanti dal diritto internazionale.

7. Soffermandosi sul versante strutturale della posizione, la qualificazione non è agevole, posto che l’art. 165 cit., reca una rubrica che fa espresso riferimento al “credito d’imposta”, ma utilizza in quasi tutti i commi il termine “detrazione” (rilevava tale profilo critico già Ingrosso M., Il credito d’imposta, cit., 238; peraltro, la stessa circostanza si verifica nelle Convenzioni internazionali, le quali nel corpo discorrono di “deduction”).

Si potrebbe tuttavia sostenere che l’impiego del lemma “detrazione” non costituisca una svista, ma anzi rappresenti la corretta qualificazione della posizione in termini strutturali (cfr. Contrino A., Contributo allo studio del credito per le imposte estere, cit., 134): per come configurata dall’art. 165 cit., la stessa sembrerebbe necessitare della presentazione di una dichiarazione tributaria, non risultando invece tale posizione impiegabile in via esterna (cfr. Avella F., La definitività dellimposta estera per beneficiare del credito dimposta per i redditi prodotti allestero e la [mancata] decadenza dal diritto, in Riv. dir. trib., 2012, 1, V, 6 ss.).

Solamente il comma 6 non utilizza la parola “detrazione”, ma fa riferimento alla «eccedenza dell’imposta estera», permettendo il riporto della quota parte di detrazione che eccede l’imposta italiana. In altri termini, la sola eccedenza che riviene dalla differenza tra detrazione spettante per imposte assolte all’estero e imposte di competenza (quindi dichiarate con riferimento al singolo periodo d’imposta) può considerarsi un credito d’imposta. Tuttavia, le sue modalità d’impiego sono limitate e sono ben delineate nel medesimo comma, con possibilità di riporto all’indietro (prioritario) e in avanti per otto annualità.

Inoltre, nella versione attualmente vigente, come novellata nel corso del 2015, la riportabilità è riferita sia ai redditi d’impresa, sia alle altre categorie reddituali. Tale impostazione è stata criticata dalla dottrina (cfr. Contrino A., La recente riforma del credito per le imposte estere: prime considerazioni sistematiche, cit., 338), per il fatto che, mentre nell’impostazione originaria (limitata ai redditi d’impresa) il meccanismo del riporto si presentava come strutturalmente coerente con l’architettura del sistema tributario (trovando giustificazione nella naturale suddivisione della gestione aziendale in periodi d’imposta), l’estensione ai redditi diversi da quelli d’impresa risulta difficilmente compatibile con la logica sottesa al credito ordinario.

Ciò in quanto, a fronte di un lungo orizzonte temporale in cui riportare le eccedenze, de facto si potrebbe ravvisare una forma di credito integrale. Detto altrimenti, lo Stato italiano potrebbe giungere a finanziare quota parte dell’imposta estera: in questo caso, l’eventuale differenza di effective tax rate verrebbe posta a carico della finanza pubblica al pari di un vero e proprio sussidio in favore del lavoratore dipendente e/o autonomo che operi all’estero. Peraltro, le maggiori imposte estere potrebbero derivare anche dai servizi ricevuti dall’“italiano” che opera sul territorio dello Stato della fonte, pagati indirettamente dallo Stato della residenza.

Tuttavia, risulta difficile sostenere che il sistema di riporto delle eccedenze attualmente in vigore si sovrapponga al credito integrale, soprattutto in relazione al potenziale finanziamento dell’eccedenza di imposta estera versata dalle persone fisiche non nell’esercizio d’impresa. Infatti, le eccedenze non sono compensabili esternamente e sono soggette al sistema di “limitazione per Paese”. A rigor di logica, si potrebbe beneficiare appieno del riporto delle eccedenze solo nel caso in cui cambi il rapporto tra gli effective tax rate dei due Stati in concreto coinvolti.

In ogni caso, l’art. 165, comma 6, TUIR comporta che le eccedenze di imposta assolta all’estero possano attribuire al contribuente un credito per la parte che eccede l’imposta accreditabile nel periodo d’imposta in cui tale imposta è stata versata. Dunque, seppure con i limiti appena enunciati (relativi alla categoria di reddito prodotto e al numero di annualità in cui tale riporto può essere effettuato), si può affermare che l’eccedenza riportabile costituisca un “reale” credito e non una detrazione.

In quanto situazione giuridica soggettiva, il “credito” per imposte estere attribuisce un vantaggio di natura giuridica al titolare, che si sostanzia nella produzione di effetti tendenzialmente estintivi di altre posizioni (passive) a questo facenti capo e giammai in un diritto al rimborso di quanto versato all’estero.

Invero, la qualificazione in termini di detrazione ovvero di “credito” non impatta sul piano effettuale, posto che – nel caso di specie – ad entrambe le posizioni si può attribuire la medesima efficacia estintiva di specifici debiti di natura tributaria, riferibili alle sole imposte “coperte” dal Trattato e risultanti dalle pertinenti dichiarazioni dei redditi (con inevitabili riflessi anche sul piano procedimentale, su cui Dziwiński K., Domestic Procedural Law and Tax Treaty Law, in Aa.Vv., Tax Treaties and Procedural Law, cit., accesso online).

8. Si è così individuata la ricorrenza di ipotesi in cui è ravvisabile un vero e proprio credito per imposte estere, che potrebbe astrattamente prestarsi a realizzare politiche fiscali diverse dalla CEN temperata (con riferimento alle eccedenze, rileva un «maggiore maggior grado di attuazione della capital export neutrality» Contrino A., Il riporto delle eccedenze d’imposta estera nella disciplina del foreign tax credit, in Dir. prat. trib., 2007, 2, I, 278).

Appare quindi centrale un’indagine volta a verificare se forme di extrafiscalità in senso forte (CEN pura e CIN) possano trovare concreta attuazione a livello interno.

Tradizionalmente, il credito d’imposta è stato considerato anche in chiave domestica quale strumento per evitare o attenuare la doppia imposizione e, dunque, come presidio del principio di capacità contributiva (Piantavigna P., Doppia imposizione internazionale e benefici compensativi: gli attuali approcci interpretativi nel diritto internazionale tributario, in Riv. dir. fin. sc. fin., 2021, 3, I, 341 ss., accesso online) e alla prevenzione dei prelievi confiscatori (Tarigo P., Capacità contributiva e doppio dimposta internazionale, in Riv. dir. trib., 2011, 5, I, 553 ss., accesso online).

Parte della dottrina italiana ha tuttavia assunto una posizione peculiare, affermandone in via generalizzata la natura di ausilio finanziario pubblico in quanto teso a realizzare una politica di neutralità all’esportazione dei capitali (cfr. Ingrosso M., Il credito d’imposta, cit., 98-99). L’autorevole impostazione appena richiamata non è stata fatta propria dagli Autori che si sono susseguiti, ma merita di essere valutata con preciso riguardo alla natura del credito per imposte estere che attui un tax sparing mechanism. In taluni casi, il riferimento a grandezze diverse dalle imposte versate a titolo definitivo, che comportano una maggiore misura del credito per imposte estere, potrebbe impattare sulla finalità del credito stesso e, quindi, sulla sua natura giuridica (cfr. Pau F., Il matching credit, in Dir. prat. trib. int., 2003, 1, 219-220).

Ferma restando la differenza tra matching credit e tax sparing provision in senso stretto, in entrambi i casi si ravvisa l’espresso riconoscimento delle misure agevolative riconosciute dallo Stato della residenza. Dunque, potrebbe riscontrarsi la presenza di finanziamenti o di ausilî finanziari da parte dello Stato della residenza, sebbene non tanto a favore dei suoi soggetti residenti, ma in ultima istanza a favore degli Stati dove questi soggetti investono e operano (tendenzialmente coincidenti con i Paesi in via di sviluppo; cfr. Tarigo P., Doppia non imposizione e trattati italiani, in Dir. prat. trib., 2009, 6, 1172).

Prima facie potrebbe trattarsi di pure sovvenzioni a Stato straniero condizionate all’operare di proprio “residente”, che vengono riconosciute per il tramite dei trattati contro le doppie imposizioni. Non sembra ravvisabile l’essenza fiscale che invece pervade il foreign tax credit “tradizionale”, dove prevale la logica della neutralità all’esportazione di capitali e non si scorge alcuna sovvenzione a soggetto pubblico o privato.

Dal panorama delle Convenzioni vigenti, emerge che l’Italia ha in vigore un paio di Trattati che prevedono fattispecie di tax sparing (Portogallo e Argentina): nel caso del tax sparing in senso stretto, detto credito viene riconosciuto anche a fronte di un’imposta estera sullo specifico item of income agevolato che risulti totalmente virtuale in ragione di misure adottate dallo Stato della fonte (cfr. Nanetti F., Il “credito d’imposta figurativo” ed investimenti in titoli di Stato: alcune esperienze convenzionali, in Rass. trib., 2004, 6, 2029 ss.). Non molto più ampia appare la platea dei matching credit (Argentina e Brasile).

Dunque, ad esempio, a fronte di imposte assolte all’estero sui dividendi corrisposti da società di diritto brasiliano a soci fiscalmente residenti in Italia, l’Italia riconoscerà un credito d’imposta maggiorato rispetto alla misura di quanto effettivamente versato allo Stato della fonte. La maggiorazione si computa sulla base di una percentuale che, da un punto di vista economico, rappresenta un sussidio erogato all’operatore e, per il suo tramite, allo Stato in via di sviluppo (cfr. Fransoni G., Il sistema dellimposta sul reddito, in Russo P., a cura di, Manuale di diritto tributario. Parte speciale, Milano, 2009, II ed., 93).

Al contempo, se si pensa alle ipotesi di credito “figurativo”, ove combinate con il credito integrale o con la piena riportabilità delle eccedenze, le stesse potenzialmente conducono alla fuoriuscita dalla funzione tributaria a favore di quella amministrativa. Infatti, lo Stato si troverebbe a spendere (concedendo un credito superiore all’imposta dovuta in Italia), peraltro a fronte di imposte non pagate o pagate in misura inferiore nello Stato della fonte. In questo caso si potrebbe discorrere di sovvenzionalità del credito e di sussidio offerto allo Stato della fonte.

Tanto premesso, appare doveroso verificare se i connotati strutturali della posizione permettano di godere in concreto della posizione che realizza una deviazione dal paradigma tradizionale della CEN temperata. Sembra, infatti, inverosimile realizzare e impiegare dette eccedenze da tax sparing con riferimento all’esercizio di attività d’impresa, posto che gli ordinamenti dei Paesi con i quali sono in vigore queste particolari clausole pattizie prevedono una pressione fiscale media inferiore, spesso riconducibile ad agevolazioni che riducono l’entità del debito tributario.

I “complementi” domestici non pervengono allora a garantire una decisa deviazione dalla CEN temperata, che si realizzerebbe solamente con il credito integrale (CEN pura) ovvero con la combinazione tra tax sparing e credito integrale (CIN), comportando la fuoriuscita dalla funzione tributaria (in merito alla quale cfr. Vaccari S., Funzione tributaria e diritto amministrativo, in Dir. pubbl., 2022, 2, 493 ss.).

In tali ipotesi, la “concessione” di un credito integrale finirebbe per tradursi in un effettivo impiego di finanza pubblica italiana, volto a sovvenzionare l’eccedenza d’imposta versata all’estero dal soggetto fiscalmente residente in Italia. A tal riguardo, la tesi secondo cui ciò non si verificherebbe alla luce del dato normativo vigente trova conforto anche sul piano giuscontabile: secondo la Commissione Marè, infatti, il credito per imposte estere non assumerebbe i contorni della tax expenditure. Inoltre, il credito d’imposta non risulta censito come spesa fiscale nemmeno nelle ipotesi riconducibili al tax sparing (si veda il Rapporto annuale sulle Spese Fiscali 2023, redatto dalla Commissione per le Spese Fiscali del Ministero dell’Economia e delle Finanze).

9. Alla luce delle considerazioni svolte, appare possibile individuare nel credito domestico la concreta posizione di vantaggio riconosciuta direttamente in capo al contribuente.

Dopo aver analizzato l’obbligo internazionale di prevedere l’operatività interna del “metodo del credito”, siamo transitati ad indagare i riflessi che la promanazione internazionale può produrre sul credito domestico che lo “attua”.

I riferimenti ai tax incentives e alla politica fiscale internazionale non sono però risultati idonei ad alterare l’essenza giuridica della posizione di vantaggio attribuita dal diritto interno.

Anche osservando alcuni crediti “speciali” sotto la lente della fiscalità domestica, si è riscontrato che le misure definite come “sussidi” a livello internazionale tendano a degradare a mere agevolazioni.

In altri termini, anche qualora il credito per imposte estere dovesse costituire attuazione di sussidi internazionali, quest’ultimo rappresenterebbe una fattispecie che si presta ad essere considerata strutturale al sistema tributario, al più connotata da natura agevolativa e non sovvenzionale.

Non appare sufficiente la circostanza che la posizione di vantaggio domestica che attua i cc.dd. tax sparing mechanism possa eventualmente finanziare in maniera indiretta lo Stato della fonte, deviando dalla capital export neutrality. Infatti, l’extrafiscalità non appare sufficiente a determinare la natura sostanzialmente sovvenzionale della posizione, in assenza delle concrete caratteristiche strutturali (credito pieno) che permettano di riconoscere al beneficiario un ausilio finanziario pubblico senza limitazioni generalizzate nella fase di impiego.

(*) Il saggio è stato sottoposto a double blind peer review con valutazione positiva. Esso confluirà nel fascicolo n. 1/2025 (semestrale) della Rivista telematica di diritto tributario. Il presente lavoro espone la versione rivista della prima parte dei risultati di una ricerca trimestrale condotta, con il supporto finanziario della Ernst Mach Grant worldwide, presso l’Institute for Austrian and International Tax Law della Wirtschaftsuniversität Wien (Vienna, Austria).

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

Avella F., La definitività dellimposta estera per beneficiare del credito dimposta per i redditi prodotti allestero e la (mancata) decadenza dal diritto, in Riv. dir. trib., 2012, 1, V, 6 ss.

Avery Jones J.F., Avoiding Double Taxation: Credit versus Exemption The Origins, in Bull. Int. Tax., 2012, 66(2)

Avi-Yonah R.S., All of a Piece throughout: The Four Ages of U.S. International Taxation, in Virginia Tax Rev., 2005, 2, 338

Barthel F. – Busse M. – Krever R. – Neumayer R., The Effect of Bilateral Tax Treaties on Economic Growth, in Aa.Vv., Tax Treaties: Building Bridges between Law and Economics, Amsterdam, 2010, accesso online

Binder A. Wöhrer V. (a cura di), Special Features of the UN Model Convention, Vienna, 2019

Blum D., Normativity in International Tax Law: A Legal Theoretical Inquiry into Contemporary International Tax Discourse, Amsterdam, 2023

Bobbio N., Sulla funzione promozionale del diritto, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1969, 1312 ss., pubblicato altresì nel volume dello stesso Autore, Dalla struttura alla funzione. Nuovi studi di teoria del diritto, Milano, 1977, 13 ss.

Cipollina S., Osservazioni sul “Report on double taxation” della società delle nazioni nel centenario della sua pubblicazione, in Riv. dir. fin. sc. fin., 2023, 4, I, 383 ss.

Commissione per le spese fiscali (MEF), Rapporto annuale sulle Spese Fiscali 2023, Roma, 2023

Contrino A., Contributo allo studio del credito per le imposte estere, Torino, 2012

Contrino A., Il riporto delle eccedenze dimposta estera nella disciplina del foreign tax credit, in Dir. prat. trib., 2007, 2, I, 271 ss.

Contrino A., La recente riforma del credito per le imposte estere: prime considerazioni sistematiche, in Rass. trib., 2017, 2, 323 ss.

Contrino A., Sui rapporti fra le discipline interna e convenzionale del credito per le imposte estere, in Riv. dir. trib., 11, 2007, I, 1007 ss.

Cotrut M. – Munyandi K. (a cura di), Tax Incentives in the BEPS Era, Amsterdam, 2018

Daurer V., Tax Treaties and Developing Countries, Alphen aan den Rijn (NL), 2018

De Pietro C., Tax Abuse and Legal Pluralism: Towards Concrete Solutions Leading to Coordination between International Tax Treaty Law and EU Tax Law, in EC Tax Rev., 2020, 2, 84 ss.

Dorigo S., La rilevanza interpretativa del Commentario al Modello Ocse per le Sezioni Unite: è tempo di mutare approccio?, in Dir. prat. trib. int., 2021, 4, 1758 ss.

Dziwiński K., Domestic Procedural Law and Tax Treaty Law, in Lang M.Pistone P. Rust A. Schuch J. Staringer C. Kofler G. Spies K. (a cura di), Tax Treaties and Procedural Law, Amsterdam, 2020

Ecker T. Ressler G. (a cura di), History of Tax Treaties, Vienna, 2011

Fantozzi A. – Vogel K., (voce) Doppia imposizione internazionale, in Dig. disc. priv., sez. comm., vol. V, Torino, 1990, 181 ss.

Fiala F., The Methods to Avoid Double Taxation and Their Implementation in Domestic Law, in Lang M. Pistone P. Rust A. Schuch J. Staringer C. Kofler G. Spies K. (a cura di), Tax Treaties and Procedural Law, Amsterdam, 2020

Fleming Jr. J.C. – Peroni R.J. – Shay S.E., Fairness in International Taxation: The Ability-to-Pay Case for Taxing Worldwide Income, in Florida Tax Rev., 2001, 5, 351

Fransoni G., Il sistema dellimposta sul reddito, in Russo P. (a cura di), Manuale di diritto tributario. Parte speciale, II ed., Milano, 2009, 43 ss.

Gorgiev-Oberascher F. Koppensteiner F., The History of Austrias Double Tax Conventions, in Lang M. – Reimer E., a cura di, The History of Double Taxation Conventions in the Pre-BEPS Era, Amsterdam, 2021, accesso online

Haslehner W., Introduction, in Reimer E. Rust A. (a cura di), Klaus Vogel on Double Taxation Conventions, V ed., Alphen aan den Rijn (NL), 2022, 30 ss.

Holmes K., International Tax Policy and Double Tax Treaties, II ed., Amsterdam, 2014

Ingrosso M., Divisione e classificazione nella scienza giuridica finanziaria, Napoli, 1977

Ingrosso M., Il credito dimposta, Napoli, 1984

Kofler G. Pötgens F., Article 23: Methods for Elimination of Double Taxation, in Aa.Vv., Global Topics IBFD, Amsterdam, 2022

Kofler G. Lang M. Pistone P. Rust A. – Schuch J. Spies K.Staringer C. (a cura di), Exemption Method and Credit Method: The Application of Art. 23 OECD Model Convention, Amsterdam, 2022

Kofler G., Indirect Credit versus Exemption: Double Taxation Relief for Intercompany Distributions, in Bull. Int. Tax., 2012, 2, 77 ss.

Lang M. Reimer E. (a cura di), The History of Double Taxation Conventions in the Pre-BEPS Era, Amsterdam, 2021

Lang M., Introduction to the Law of Double Taxation Conventions, III ed., Vienna, 2021

Lang M., Tax Treaty Interpretation – A Response to John F. Avery Jones, in Bull. Int. Tax., 74, 11, 2020, 660 ss.

Maisto G., Credit versus Exemption under Domestic Tax Law and Treaties, in Lang M. Pistone P. Schuch J. Staringer C. Storck A. (a cura di), Tax Treaties: Building Bridges between Law and Economics, Amsterdam, 2010

Nanetti F., Il “credito dimposta figurativo” ed investimenti in titoli di Stato: alcune esperienze convenzionali, in Rass. trib., 2004, 6, 2029 ss.

ONU, Manual for the Negotiation of Bilateral Tax Treaties between Developed and Developing Countries, 2019

OCSE, Commentario al Modello OCSE, Parigi, 21 novembre 2017

Paolini D.Pistone P. Pulina G. Zagler M., Tax Treaties and the Allocation of Taxing Rights with Developing Countries, Vienna, 2012

Pau F., Il matching credit, in Dir. prat. trib. int., 2003, 1, 199 ss.

Piantavigna P., Doppia imposizione internazionale e benefici compensativi: gli attuali approcci interpretativi nel diritto internazionale tributario, in Riv. dir. fin. sc. fin., 2021, 3, I, 341 ss.

Pistone P. Baker P., Improving Taxpayers Rights in the Settlement of Cross-Border Tax Disputes, in Maisto G. (a cura di), Dispute Resolutions under Tax Treaties and Beyond, Amsterdam, 2023, 403 ss.

Pistone P. – Kallay Cicin-Sain N., General Report, in Aa.Vv., The Implementation and Lasting Effects of the Multilateral Instrument, Amsterdam, 2022, 1 ss.

Pistone P.Ferreira Liotti B., Tax sparing, in Kofler G., Lang M., Pistone P., Rust A., Schuch J., Spies K., Staringer C. (a cura di), Exemption Method and Credit Method: The Application of Art. 23 OECD Model Convention, Amsterdam, 2022

Pistone P. Goodspeed T., Rethinking tax jurisdictions and relief from international double taxation with regard to developing countries: Legal and economic perspectives from Europe and North America, in Zagler M. (a cura di), International Tax Coordination: An interdisciplinary Perspective on Virtues and Pitfalls, Abingdon (UK), 2010, 13 ss.

Pistone P., BEPS, Capital Export Neutrality and the Risk of Hidden Tax Protectionism. Selected Remarks from an EU Perspective, in Danon R. (a cura di), Base Erosion and Profit Shifting (BEPS). Impact for European and international tax policy, Zurigo (CH), 2016, 319 ss.

Pistone P., La pianificazione fiscale aggressiva e le categorie concettuali del diritto globale, in Riv. trim. dir. trib., 2016, 2, 395 ss.

Pistone P., Soft tax law: steering legal pluralism towards international tax coordination, in Weber D. (a cura di), Traditional and alternative routes to European tax integration, Amsterdam, 2010, 97 ss.

Pistone P., Tax Treaties with Developing Countries: a Plea for New Allocation Rules and a Combined Legal and Economic Approach, in Lang M.Pistone P. Schuch J. Staringer C. Storck A. (a cura di), Tax Treaties: Building Bridges between Law and Economics, Amsterdam, 2010

Rust A. – Ndubai J.W., Method Article and Unilateral Measures to Avoid Double Taxation, in Kofler G. – Lang M. – Pistone P. – Rust A. – Schuch J. – Spies K. – Staringer C. (a cura di), Exemption Method and Credit Method: The Application of Art. 23 OECD Model Convention, Amsterdam, 2022

Rust A., Commentary on Art. 23 OECD MC (Methods for the Elimination of Double Taxation), in Reimer E. Rust A. (a cura di), Klaus Vogel on Double Taxation Conventions, V ed., Alphen aan den Rijn (NL), 2022

Schuch J. Lang M. Owens J. Pistone P. Karimullin R. Staringer C.Storck A. (a cura di), Trends and Players in Tax Policy, Amsterdam, 2016

Spies K. Scharizer P.W., Exemption Method with Proviso Safeguarding Progression, in Kofler G. Lang M. Pistone P. Rust A. – Schuch J. Spies K.Staringer C. (a cura di), Aa.Vv., Exemption Method and Credit Method: The Application of Art. 23 OECD Model Convention, Amsterdam, 2022

Tarigo P., Capacità contributiva e doppio dimposta internazionale, in Riv. dir. trib., 2011, 5, I, 553 ss.

Tarigo P., Doppia non imposizione e trattati italiani, in Dir. prat. trib., 2009, 6, 1127 ss.

Tarigo P., Gli elementi costitutivi della doppia imposizione internazionale quale fattispecie dei trattati, in Rass. trib., 2009, 3, 670 ss.

Uricchio A.F. – Calculli T., Le spese fiscali: tra prospettive di codificazione e controllo sulla spesa pubblica, in Riv. dir. fin. sc. fin., 2024, 1, I, 3 ss.

Uricchio A.F., Commento sub art. 15, in d’Amati N. (a cura di), L’imposta sul reddito delle persone fisiche, Torino, 1992, 122 ss.

Vaccari S., Funzione tributaria e diritto amministrativo, in Dir. pubbl., 2022, 2, 493 ss.

Scarica il commento in formato pdf

Tag:, , , , , ,