RECENTISSIME DALLA CASSAZIONE TRIBUTARIA – Cassazione, sez. V, ord. 27 marzo 2025, n. 8131 – Imposte ipotecarie e catastali: momento impositivo

Di Simone Ghinassi -

La massima della Suprema Corte (*)

Il presupposto impositivo delle imposte ipotecarie e catastali è riferibile alla mera esecuzione delle relative formalità. Conseguentemente deve essere riferito a tale evento e non all’epoca di apertura della successione ogni dato rilevante ai fini dell’applicazione di dette imposte.

Il (tentativo di) dialogo.

Con riferimento all’imposta sulle successioni il momento impositivo ha rilevanza per svariati aspetti. Primo tra tutti quello attinente alla legge applicabile ratione temporis (aspetto che, come vedremo, è stato affrontato, in quanto rilevante, anche ai fini della soluzione della questione esaminata dalla Suprema Corte nella ordinanza in esame): non vi è dubbio al riguardo che, salvo la più ampia questione di carattere generale relativa all’individuazione del presupposto del tributo successorio (sia consentito rinviare a Ghinassi S., La fattispecie impositiva nel tributo successorio, Pisa, 2014, 26 ss.), debba tenersi conto della data di apertura della successione. Ciò nel senso che, salvo specifiche norme transitorie, le innovazioni normative si rendono applicabili alle successioni aperte a far data dall’entrata in vigore della nuova disciplina, senza che dunque possa aversi al contrario riguardo alla data, ad esempio, di presentazione della dichiarazione di successione.

Ma si pensi a svariati altri aspetti: la situazione catastale di un immobile; la natura agricola o edificabile di un terreno; le qualificazioni oggettive e soggettive ai fini del riconoscimento di un’agevolazione fiscale (ad esempio la natura vincolata di un immobile o la qualifica di ETS di un ente erede o legatario) e l’elencazione potrebbe a lungo continuare. Per tutti tali aspetti è pacifico che debba aversi riguardo alla data di apertura della successione, corrispondente ai sensi dell’art. 456 c.c. con la morte del de cuius, e non ad altri ipotizzabili momenti.

Come peraltro è noto, all’applicazione dell’imposta sulle successioni, ove nell’asse ereditario siano compresi beni immobili, si aggiunge quella dei tributi (così definiamoli per il momento) ipotecari e catastali, collegati, quanto meno da un punto di vista storico, alla necessità che in tali ipotesi siano eseguite le formalità di trascrizione nei registri immobiliari e di voltura catastale.

In realtà, deve fin d’ora precisarsi che, mentre quest’ultima affermazione è sicuramente valida per la voltura catastale, lo stesso non può dirsi quanto alla trascrizione. Infatti la formalità di trascrizione rilevante agli effetti degli artt. 2643 ss. c.c., cioè al fine di determinare l’opponibilità ai terzi dell’acquisto mortis causa, è quella conseguente alla accettazione (espressa o tacita) dell’eredità, che nulla ha a che vedere con la dichiarazione fiscale di successione e che è eseguita, come di regola ai fini pubblicitari, in base ad un atto in forma notarile in base al quale l’erede acquisisce formalmente tale qualifica ai sensi dell’art. 2648 c.c.

Pertanto, in modo in realtà piuttosto paradossale, come in altra sede abbiamo già evidenziato (cfr. Ghinassi S., Vendita di immobili di proprietà del defunto ed imposta di successione: un’occasione per tornare a riflettere (anche) sul presupposto delle imposte ipotecarie e catastali, in Riv. dir. trib., 2021, 3, I, 261 ss. ed ivi nota 23), il legislatore fiscale è stato costretto ad inventarsi un adempimento (la trascrizione della dichiarazione di successione, da eseguirsi a cura dell’Ufficio ai sensi dell’art. 5 D.Lgs. n. 347/1990) che è pacificamente ritenuto del tutto irrilevante a fini civilistici; trattandosi cioè di un adempimento finalizzato esclusivamente a giustificare l’applicazione dell’imposta di trascrizione.

La medesima applicazione di imposte plurime avviene con riferimento ai trasferimenti immobiliari onerosi, con riferimento ai quali, oltre all’imposta di registro (o all’IVA), risultano applicabili i tributi (continuiamo a definirli in tal modo) ipotecari e catastali. Con la sola, non secondaria, differenza che in tal caso la trascrizione è prevista, con i conseguenti effetti civilistici, ai sensi e per gli effetti dell’art. 2643 ss. c.c.

Orbene, la questione affrontata dalla Suprema Corte trae origine da questa peculiare situazione disciplinata dalla normativa fiscale, in base alla quale una fattispecie che potrebbe apparire fare riferimento ad un presupposto impositivo sostanzialmente unitario (il trasferimento immobiliare, oneroso o gratuito) dà luogo all’applicazione, oltre che dell’imposta principale (di registro o di successione), di due tributi, per così dire, secondari o accessori, costituiti dalle imposte (così le definisce il D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 347) ipotecarie e catastali.

Si tratta pertanto di appurare se il momento impositivo di questi ultimi tributi sia il medesimo del rispettivo tributo principale o se debba essere autonomamente identificato. Nel caso di specie la questione era di estrema rilevanza in quanto al momento dell’apertura della successione non era ancora entrata in vigore la normativa in base alla quale, attraverso la vendita infrannuale (oggi, in determinati casi, prolungata addirittura al biennio) degli immobili preposseduti, sarebbe stato consentito agli eredi di beneficiare delle agevolazioni c.d. “prima casa”. Così dispone infatti l’art. 1, comma 55, L. 28 dicembre 2015, n. 208, come modificato da ultimo dall’art. 1, comma 116, L. n. 207/2024, che ha consentito anche a chi sia già proprietario di immobile acquistato con le agevolazioni “prima casa” di riacquistare usufruendo della medesima agevolazione, con impegno ad alienare l’immobile preposseduto entro un certo termine (in origine annuale, dal 1° gennaio del corrente anno biennale).

Al riguardo la decisione in esame conferma quello che anche in passato è stato l’orientamento prevalente della Corte che la sentenza espressamente richiama (Cass., sez. V, ord. 11 giugno 2021, n. 16664), con il quale si è aderito totalmente alla tesi dell’Amministrazione finanziaria ed in base al quale il presupposto impositivo delle imposte ipotecarie e catastali sarebbe del tutto autonomo da quello dei tributi di registro e successori, in quanto, sulla base della lettera degli artt. 1 e 10 D.Lgs. n. 347/1990, andrebbe individuato non già nel trasferimento del diritto (inter vivos o mortis causa), ma nella formale esecuzione dell’adempimento di trascrizione e voltura. Applicando tale principio alla fattispecie in questione la Suprema Corte ha riconosciuto la spettanza delle agevolazioni “prima casa” in quanto, al momento dell’esecuzione delle dette formalità, era entrata in vigore la normativa, migliorativa per il contribuente, sopra descritta.

La dottrina assolutamente prevalente è invece nettamente contraria a tale impostazione ritenendo che, quanto meno per le ipotesi dei trasferimenti immobiliari (onerosi o gratuiti), il presupposto non possa che essere perfettamente speculare a quello delle imposte di registro e successione. In tal senso si è espresso, da ultimo, Fedele A., Sul regime fiscale delle rinunzie nell’imposizione sui trasferimenti della ricchezza, in Riv. dir. trib., 2019, 3, II, 93 ss., nonché la pressochè unanime e più risalente dottrina da noi richiamata in Le imposte ipotecarie e catastali alla luce della recente riforma dei tributi nei trasferimenti immobiliari, in Riv. dir. trib., 2014, I, 1291 ed ivi nota 6.

Ciò in base ad un’interpretazione non grettamente letterale della normativa, ma sistematica e coerente con i principi basilari del diritto tributario (in specie dell’art. 53 Cost.), in base ai quali non può ritenersi manifestazione di capacità contributiva la mera esecuzione di una formalità quale la trascrizione o voltura di un atto o di una dichiarazione di successione. È al contrario di tutta evidenza che ciò che può legittimare il prelievo non altro può essere che il sostanziale trasferimento immobiliare che dà origine alla predetta formalità.

Del resto, come in altra sede abbiamo osservato (v. ancora Vendita di immobili di proprietà del defunto, cit., 275), ciò è confermato dal fatto che in sede di esecuzione delle formalità di trascrizione e voltura, vengono percepiti dei diritti in misura fissa (e di tenue entità), questi sì coerenti ed adeguati all’evento (esecuzione della formalità) cui si collegano.

Deve pertanto ribadirsi il netto dissenso dall’orientamento della Suprema Corte, ancorato alla mera lettera della norma e appiattito in toto su quello dell’Amministrazione finanziaria (espresso nelle circolari 30 maggio 2005, n. 25/E e 13 febbraio 2007, n. 8/E) in base al quale un adempimento meramente materiale potrebbe fondare l’applicazione di un’imposta.

Da tale dissenso non può che conseguire per le motivazioni sopra esposte, l’assoluta identità del presupposto delle imposte ipotecarie e catastali con quello dei rispettivi tributi principali, di registro o di successione.

Dal che ulteriormente discende, con riferimento alla fattispecie in esame, che la contribuente non avrebbe potuto in realtà usufruire delle agevolazioni “prima casa” in quanto non spettanti in base alla normativa vigente all’epoca di apertura della successione. Così come deve ritenersi che per ogni altro elemento rilevante ai fini dell’applicazione dell’imposta (anche ipocatastale) non possa che farsi riferimento a quest’ultimo evento.

Quanto sopra non senza evidenziare e ribadire in conclusione l’illogicità e asistematicità di una normativa che assoggetti il medesimo fatto indice di capacità contributiva (costituito dal trasferimento immobiliare) a ben tre forme di imposizione (imposta di registro o successione, imposta ipotecaria e imposta catastale).

Bene ha fatto dunque il legislatore della riforma del 2014 (v. art. 10 D.Lgs. 14 marzo 2010, n. 23, entrato in vigore il 1° gennaio 2024) a trasformare, con riferimento alla maggior parte dei trasferimenti immobiliari soggetti ad imposta di registro, in diritti fissi di trascrizione e voltura le originarie corrispondenti imposte (ancorchè le stesse vengano sempre definite impropriamente “imposte” dal legislatore).

Bene ancora farebbe, non comprendendosi come a ciò non sia provveduto nell’ambito della riforma dello scorso anno, volta proprio ad una semplificazione e razionalizzazione dell’imposizione, a proseguire in tale direzione: da un lato, eliminando le persistenti ipotesi nelle quali unitamente all’imposta di registro vengono altresì percepiti i tributi ipotecari e catastali, per di più rafforzati come oggi avviene in base al disposto degli artt. 10, comma 1 e 1-bis Tariffa D.Lgs. n. 347/1990, con riferimento agli immobili strumentali (per le ipotesi in cui il trasferimento non rientri nel disposto dell’art. 1 Tariffa D.P.R. n. 131/1986); dall’altro, estendendo anche agli atti gratuiti e quindi all’imposta sulle successioni e donazioni il principio di trasformazione degli originari tributi ipo-catastali in diritti fissi (non più “imposte”) riferiti alla mera formalità di trascrizione e voltura. Soluzione di recente caldeggiata da Fedele A., Sul regime fiscale delle rinunzie, cit., 99-100.

(*) La rubrica è aperta a tutti coloro che intendono contribuire al progresso del diritto tributario, in generale, e al miglioramento della sua applicazione, in particolare, nella specie con interventi di commento della giurisprudenza di legittimità dialogici e costruttivi, scevri di polemiche e posizioni partigiane.

Scarica il commento in formato pdf