Riflessioni critiche sull’esimente dell’obiettiva incertezza della norma tributaria

Di Francesca Cribari -

(commento a/notes to Cass. civ., sez. V, ord., 16 gennaio 2025, n. 1054)

Abstract (*)

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 1054 depositata il 16 gennaio 2025, è intervenuta nuovamente sulla dibattuta questione dell’obiettiva incertezza della norma tributaria, affermando che il giudizio sull’impossibilità oggettiva di individuare la fattispecie da applicare al caso concreto deve essere ancorato ad alcuni indici obiettivi, che la stessa Corte provvede ad enunciare. Emerge, in particolare, una netta propensione verso l’accezione oggettiva dell’incertezza normativa. La pronuncia offre lo spunto anche per riflettere sulla sussistenza o meno dell’onere di allegazione dell’esimente da parte del contribuente, nonché sulla prospettiva europea dell’obiettiva incertezza normativa.

Critical considerations on the exemption of objective uncertainty of the tax rule – The Supreme Court, in its judgment No. 1054 filed on 16 January 2025, intervened again on the debated issue of objective uncertainty in tax law, stating that the judgement on the objective impossibility of identifying the situation to be applied to the concrete case, had to be anchored to certain objective indexes, which the court itself provides to enunciate. What emerges is a clear tendency towards the strict dimension of objective uncertainty. The judgement also provides the opportunity to reflect if the taxpayer has the burden of proof the exemption, as well as on the European perspective of objective regulatory uncertainty.

Sommario: 1. La fattispecie concreta e gli enunciati della Suprema Corte. – 2. Le disposizioni tributarie che regolano le obiettive condizioni di incertezza della norma tributaria. – 3. L’obiettiva incertezza della norma tributaria: ragioni a sostegno della concezione oggettiva. – 4. Verifica delle condizioni di obiettiva incertezza della norma: onere di allegazione a carico del contribuente o accertamento d’ufficio da parte del giudice? – 5. L’incertezza normativa europea: la complessità dei rapporti tra ordinamenti giuridici.

1. La sentenza in commento esamina l’annosa questione dell’incertezza normativa oggettiva in ambito tributario, distinguendola dall’ignoranza incolpevole del diritto.

In particolare, la questione giudiziaria nasce da un ricorso avverso un avviso di accertamento avente ad oggetto la contestazione dell’omessa dichiarazione di una plusvalenza realizzata dalla contribuente nell’anno 2006, per effetto della cessione a titolo oneroso di un appezzamento di terreno ritenuto suscettibile di utilizzazione edificatoria. Lo strumento urbanistico del Comune, infatti, faceva rientrare detto appezzamento in una zona all’interno della quale era consentita la costruzione. Considerato che, alla luce dell’art. 67 TUIR, sono redditi diversi le plusvalenze derivanti dalla cessione a titolo oneroso di terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria secondo gli strumenti urbanistici vigenti al momento della cessione, la Direzione Provinciale di Ragusa dell’Agenzia delle Entrate operava le conseguenti riprese fiscali ai fini dell’IRPEF e irrogava le sanzioni amministrative pecuniarie previste dalla legge.

Nel giudizio di primo grado il ricorso veniva respinto, ma la decisione veniva in seguito parzialmente riformata dalla Commissione tributaria regionale della Sicilia, che, pur ritenendo sussistenti le condizioni richieste dalla legge per la tassabilità della plusvalenza, provvedeva tuttavia ad annullare le sanzioni irrogate, «apparendo evidente sia la incertezza normativa, ma soprattutto la buona fede e la mancanza di dolo o colpa nel comportamento della contribuente, la quale aveva subito ritenuto, in buona fede, la non idoneità dell’operato trasferimento alla produzione di plusvalenza».

In particolare, la CTR, nel giudizio sull’obiettiva incertezza normativa, aveva attribuito rilievo alle difficoltà di interpretazione del significato delle previsioni dello strumento urbanistico del Comune (che, si ribadisce, prevedeva che il terreno in questione rientrasse in una zona all’interno della quale, in deroga alle norme di piano, era consentita la costruzione).

I giudici di legittimità, nell’esaminare la questione, hanno affermato in primo luogo che il Collegio regionale avrebbe dovuto concentrare la propria attenzione anche e soprattutto sul testo dell’art. 67 TUIR, valutando se, al momento della stipula dell’atto di compravendita del terreno di cui trattasi, l’esito dell’attività ermeneutica svolta dal giudice apparisse incerto o equivoco. Successivamente, hanno sottolineato come l’incertezza normativa oggettiva renda di fatto impossibile individuare con sicurezza e in modo univoco la norma giuridica nell’ambito della quale va sussunto il caso. Tale ricostruzione prende le mosse dal dettato normativo dell’art. 6, comma 2, D.Lgs. n. 472/1997 ai sensi del quale «non è punibile l’autore della violazione tributaria quando essa è determinata da obiettive condizioni di incertezza sulla portata o sull’ambito di applicazione delle disposizioni alle quali si riferiscono, nonché da indeterminatezza delle richieste di informazioni o dei modelli per la dichiarazione e per il pagamento».

Tale processo ermeneutico, secondo la Suprema Corte, va operato non con riferimento a un generico contribuente o a un contribuente particolarmente qualificato (studiosi, professionisti legali, operatori giuridici di elevato livello professionale) e neanche rispetto all’Amministrazione finanziaria, bensì esclusivamente con riferimento al giudice, in quanto unico soggetto dell’ordinamento legittimato e obbligato ad accertare la correttezza di una determinata operazione esegetica.

Secondo gli Ermellini, i giudici di seconde cure hanno erroneamente desunto l’incertezza normativa oggettiva dalla presunta sussistenza di parametri puramente soggettivi quali l’assenza di dolo o colpa e la buona fede del contribuente e dunque da elementi connessi a una difficoltà interpretativa del singolo. L’iter che avrebbe dovuto condurre a ritenere esistente o meno l’impossibilità oggettiva di individuare la fattispecie da applicare al caso concreto doveva essere, invece, ancorata ad alcuni indici, quali ad esempio: (1) la difficoltà di individuazione delle disposizioni normative; (2) la difficoltà di confezione della formula dichiarativa della norma giuridica; (3) la difficoltà di determinazione del significato della formula dichiarativa individuata; (4) la mancanza di informazioni amministrative o la loro contraddittorietà; (5) l’assenza di una prassi amministrativa o la contraddittorietà delle circolari; (6) la mancanza di precedenti giurisprudenziali; (7) l’esistenza di orientamenti giurisprudenziali contrastanti, specie se sia stata sollevata questione di legittimità costituzionale; (8) il contrasto fra prassi amministrativa e orientamento giurisprudenziale; (9) il contrasto fra opinioni dottrinali; (10) l’adozione di norme di interpretazione autentica o meramente esplicative di una disposizione implicita preesistente (tra i precedenti si richiamano Cass. n. 4411/2022, Cass. n. 9531/2021, Cass. n. 12798/2020, Cass. n. 4047/2019).

Il Collegio regionale avrebbe dovuto, invece, dedurre la sussistenza di un’obiettiva condizione di incertezza della norma tributaria dalla presenza di fattori marcatamente oggettivi.

2. L’esimente dell’obiettiva incertezza della norma è una tematica estremamente attuale nell’ordinamento tributario. L’eccessiva produzione legislativa, l’assenza di sistematicità e la mancanza di chiarezza delle disposizioni originano infatti nel contribuente una difficoltà nell’interpretare o individuare quale norma debba essere applicata alla fattispecie concreta.

La necessità di non tralasciare alcun aspetto della disciplina del sistema economico ha portato il legislatore a legiferare in modo impreciso e confusionario, per cui è la stessa legge, attraverso un meccanismo di “autotutela ordinamentale”, tenuto conto della mancanza di chiarezza e intellegibilità normativa, ad aver previsto delle ipotesi di esimenti nel caso in cui il contribuente abbia commesso una violazione che sia determinata da una obiettiva condizione di incertezza normativa (Donatelli S., L’esimente dell’obiettiva condizione di incertezza della norma tributaria, in Rass. trib., 2019, 3, 579 ss.).

La previsione di cui all’art. 53 della Costituzione rafforza ancor di più l’esigenza di certezza del diritto, in modo che i consociati siano in grado di predeterminare l’impatto fiscale dei propri comportamenti e adempiere spontaneamente all’obbligo di contribuzione, in un settore, quale quello tributario, in cui il rapporto tra contribuente e pubblico potere prescinde da nessi di sinallagmaticità (Farri F., Le (in)certezze nel diritto tributario, in Dir. prat. trib., 2021, 2, 733 ss.).

Orbene, diverse sono nel sistema tributario le disposizioni che fanno riferimento alle condizioni di obiettiva incertezza normativa: innanzitutto occorre fare riferimento alla previsione contenuta nell’art. 8 D.Lgs. n. 546/1992 ai sensi del quale «La corte di giustizia tributaria di primo e secondo grado dichiara non applicabili le sanzioni non penali previste dalle leggi tributarie quando la violazione è giustificata da obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione delle disposizioni alle quali si riferisce». Come evidente, il legislatore ha ritenuto inappropriato sanzionare chi ha commesso violazioni di legge a causa di previsioni normative di scarsa comprensibilità dovuta all’inettitudine del legislatore, e ciò anche quando l’obiettiva incertezza deriva dalla difficoltà di coordinare una pluralità di disposizioni (Consolo C. – Glendi C., Commentario breve alle leggi del processo tributario, 2017, 134 ss.). Successivamente, è stato introdotto il già citato art. 6, comma 2, D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472 in base al quale «non è punibile l’autore della violazione quando essa è determinata da obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione delle disposizioni alle quali si riferiscono, nonché da indeterminatezza delle richieste di informazioni o dei modelli per la dichiarazione e per il pagamento». Il contenuto delle due disposizioni è pressoché identico, per cui occorre interrogarsi su quale sia il loro rapporto partendo dall’analisi della collocazione sistematica delle due norme: l’art. 8 è inserito nella legge processuale tributaria e attribuisce alle Corti di giustizia di primo e secondo grado il potere di disapplicare le sanzioni; di contro, l’art. 6, essendo contenuto nel decreto legislativo recante disposizioni generali in materia di sanzioni amministrative per le violazioni di norme tributarie, attiene ai poteri spettanti all’ente impositore. Il problema si pone tuttavia nella misura in cui la Suprema Corte di Cassazione, nella sentenza in commento come in altre pronunce (in questi termini, Cass., 8 novembre 2017, n. 26459, che espressamente individua il giudice quale «unico soggetto dell’ordinamento cui è attribuito il potere-dovere di accertare la ragionevolezza di una determinata interpretazione»; Cass., 9 marzo 2016, n. 461), ha ricondotto il potere di rilevare l’incertezza normativa esclusivamente in capo al giudice tributario. Tale assunto prende le mosse dalla concezione secondo la quale, se gli altri soggetti dell’ordinamento – e in primis il legislatore – non sono stati in grado di raggiungere la certezza, allora spetterà al giudice il potere-dovere di provvedere per via d’autorità (Mondini A., L’obiettiva incertezza della norma tributaria e la disapplicazione delle sanzioni amministrative tra primato del giudice e prospettive comunitarie, in Rass. trib., 2009, 6, 1640). Tuttavia, ove si accogliesse tale impostazione, l’Amministrazione finanziaria non avrebbe il potere di applicare l’esimente in argomento, ma tale conclusione non può essere accolta per un duplice ordine di motivi: il primo risiede nel fatto che negare l’operatività dell’art. 6, comma 2, D.Lgs. n. 472/1997 inteso nel senso che l’Amministrazione, rilevata l’oscurità del testo normativo, possa non irrogare le sanzioni, implicherebbe, di fatto, la sua abrogazione (Donatelli S., L’esimente dell’obiettiva condizione di incertezza della norma tributaria, cit. 607); il secondo risiede nella lettura dell’art. 97 della Costituzione secondo cui «I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione».

In tale disposizione il “buon andamento” non deve essere inteso unicamente come esigenza organizzativa della Pubblica Amministrazione, ma anche come buona fede della stessa nell’operare jure privatorum all’interno del rapporto con i singoli amministrati (Pennesi L., Brevi note in tema di buona fede e sanzioni amministrative tributarie, in Dir. prat. trib., 2019, 1, 424 ss.).

In ogni caso, la lettera del sopracitato art. 6, comma 2, D.Lgs. n. 472/1997 non prevede, in capo all’Amministrazione, il potere di disapplicazione, previsto invece per le Corti di Giustizia di primo e secondo grado dall’art. 8 della legge processuale tributaria, bensì fa riferimento alla “non punibilità dell’autore della violazione”. Tale espressione utilizzata dal legislatore sembra implicare una netta assegnazione all’Amministrazione del potere di accertare la presenza della condizione di non punibilità e, di conseguenza, di non irrogare ab origine la sanzione amministrativa.

Occorre comunque concentrarsi anche sulla modifica apportata dal D.Lgs. 14 giugno 2024, n. 87 che ha introdotto il comma 5-ter nel sopracitato art. 6 D.Lgs. n. 472/1997 prevedendo che «non è punibile il contribuente che si adegua alle indicazioni rese dall’amministrazione competente con i documenti di prassi riconducibili alle tipologie di cui all’articolo 10-sexies, comma 1, lettere a) e b), della legge 27 luglio 2000, n. 212, provvedendo, entro i successivi sessanta giorni dalla data di pubblicazione delle stesse, alla presentazione della dichiarazione integrativa e al versamento dell’imposta dovuta, sempreché la violazione sia dipesa da obiettive condizioni d’incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione della norma tributaria». Tale disposizione pone il contribuente (sempre nell’ipotesi di violazioni dipese da obiettiva incertezza normativa tributaria) dinnanzi ad una duplice scelta: evitare la punibilità adeguandosi alle indicazioni rese dall’Amministrazione competente provvedendo, entro i successivi 60 giorni, a presentare una dichiarazione integrativa, oppure mantenere la propria interpretazione senza potersi avvalere, successivamente, della declaratoria di non punibilità. La ratio di tale previsione legislativa è di garantire, nel solco di una interpretazione costituzionalmente orientata (artt. 23 e 53 Cost.), la certezza del diritto nel caso in cui il contribuente si sia conformato alle indicazioni dell’Amministrazione finanziaria, ma nulla vieta al giudice, anche qualora il contribuente non si sia adeguato alle istruzioni dell’Autorità amministrativa, di disapplicare la sanzione nel caso in cui ravvisi la sussistenza della condizione di obiettiva incertezza normativa. Una conclusione di senso opposto, invero, porterebbe al paradosso di svuotare di significato la previsione di cui all’art. 8 D.Lgs. n. 546/1992 e di considerare il contribuente inevitabilmente punibile, quando l’intento del legislatore, nell’introdurre del comma 5-ter dell’art. 6 D.Lgs. n. 472/1997, è stato invece quello di fornire un ulteriore strumento di tutela per il contribuente.

Questa novità legislativa appare coerente anche con le recenti interpretazioni della Corte di Cassazione che, volendo ancorare l’obiettiva incertezza a parametri oggettivi, ha individuato, tra i vari indici “sintomatici”, elementi quali «la mancanza di informazioni amministrative o la loro contraddittorietà e l’assenza di una prassi amministrativa o la contraddittorietà delle circolari», che si inseriscono nel solco del comma 5-ter. Quest’ultima disposizione, in particolare, non assurge a principio di carattere generale, ma deve intendersi riferito esclusivamente ad alcune situazioni-indice (sopra citate) rispetto alle quali si prevede che la sanzione continui ad applicarsi ove il contribuente non si sia ravveduto. Tuttavia, tale previsione ha l’effetto di conferire alla circolare dell’Amministrazione finanziaria il rango di fonte integrativa dell’ordinamento e dunque il potere di produrre un vero e proprio effetto giuridico, come fosse una fonte secondaria, con significative conseguenze sul principio di legalità (Marcheselli A. – Ronco S., Riforma sanzioni: l’obbligo di adeguarsi alle circolari tra pericoli di rottura della legalità costituzionale, resurrezione del “solve et repete” e neonata impugnabilità degli atti di indirizzo, in Riv. tel. dir. trib., 2024, 2, 846 ss.). Sembra inoltre eccessivo giungere ad affermare che, dinnanzi ad un testo obiettivamente ambiguo, sia sufficiente un’interpretazione dell’Amministrazione finanziaria a dissipare l’incertezza.

Un’altra disposizione su cui soffermarsi è l’art. 10 L. n. 212/2000 (c.d. Statuto dei diritti del contribuente), che, oltre ad affrontare il tema dell’obiettiva incertezza della norma, introduce il principio di buona fede nell’ordinamento tributario. Al primo comma prevede infatti che i rapporti tra contribuente e Amministrazione finanziaria sono improntati al principio della collaborazione e della buona fede. Il secondo comma, invece, tutela il legittimo affidamento del contribuente che si sia conformato a indicazioni contenute in atti dell’Amministrazione finanziaria o che abbia adottato un comportamento posto in essere a seguito di fatti direttamente conseguenti a ritardi, omissioni o errori dell’Amministrazione stessa: in tal caso si prevede che non siano irrogate sanzioni né richiesti interessi moratori. La buona fede, in questa accezione, non può che essere intesa in senso oggettivo, in quanto è legata esclusivamente a condotte e interpretazioni del Fisco cui il contribuente aveva aderito, le quali, solo successivamente sono state sconfessate (Pennesi L., Brevi note in tema di buona fede e sanzioni amministrative tributarie, cit., 430).

Infine, occorre soffermarsi sulle previsioni di cui al comma 3 del menzionato art. 10, in base al quale «le sanzioni non sono comunque irrogate quando la violazione dipende da obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione della norma tributaria o quando si traduce in una mera violazione formale senza alcun debito di imposta; in ogni caso non determina obiettiva condizione di incertezza la pendenza di un giudizio in ordine alla legittimità della norma tributaria. Le violazioni di disposizioni di rilievo esclusivamente tributario non possono essere causa di nullità del contratto». Si può ritenere che tale assunto, trovando la sua collocazione nello Statuto dei diritti del contribuente, sia diventato espressione di un principio generale dell’ordinamento tributario e dunque non ponga problemi di abrogazione implicita dei sopracitati art. 8 D.Lgs. n. 546/1992 e art. 6 D.Lgs. n. 472/1997, ma anzi abbia contribuito a creare a una omogeneizzazione del sistema. Infatti, il sopracitato art. 10 non fa riferimento ad alcun tipo specifico di “sanzioni”, e questo dato può condurre a sostenere che la ratio del legislatore fosse quella di riferirlo tanto alle sanzioni tributarie amministrative, quanto alle sanzioni penali (Logozzo M., La disapplicazione delle sanzioni da parte del giudice tributario per obiettiva incertezza della legge, in Riv. trim. dir. trib., 2021, 4, 850). Anche in tal caso, l’espressione ‘obiettive condizioni di incertezza’ non fa che rinviare a una condizione meramente oggettiva, in cui la violazione di legge da parte del contribuente rappresenta una circostanza inevitabile a causa dell’oscurità del significato della disposizione normativa.

3. Il dato letterale dell’obiettiva incertezza è stato variamente interpretato in dottrina, esaltando una dimensione puramente oggettiva oppure accentuando l’elemento soggettivo.

I sostenitori della prima teoria ritengono che l’incertezza normativa oggettiva si presenti come una situazione giuridicamente rilevante, contraddistinta dall’inevitabile ambiguità dell’interpretazione, che deriva dalla mancanza, nel testo normativo, di un significato certo, inteso come una convenzione linguistica oggettivamente rilevabile (Donatelli S., L’esimente dell’obiettiva condizione di incertezza della norma tributaria, cit., 588). L’accoglimento di tale teoria comporta la totale irrilevanza dell’elemento psicologico del singolo contribuente (e dunque della sua buona o mala fede nell’interpretazione normativa), in quanto dall’oggettivo difetto di chiarezza del testo di legge discende direttamente l’applicazione dell’esimente in esame. Così intesa, la buona fede diventa espressione di un dovere inderogabile di solidarietà sociale (art. 2 della Costituzione) e metro di paragone per valutare la reciproca correttezza del comportamento delle parti nel dare esecuzione al rapporto obbligatorio (Pennesi L., Brevi note in tema di buona fede e sanzioni amministrative tributarie, cit., 427).

Al contrario, i sostenitori dell’altra teoria (sul punto si veda Uda G.M., La buona fede nell’esecuzione del contratto, Torino, 2004, 2) si concentrano sullo stato intellettivo del soggetto, che adotta un comportamento nella convinzione che sia conforme a legge e che non comporti la lesione di alcun diritto altrui. Importanza centrale assume, dunque, la buona fede del contribuente, che diventa lo spartiacque ai fini dell’applicazione o meno dell’esimente: tutto ruota attorno all’aspetto gnoseologico, per cui, nel decidere se comminare o meno la sanzione, ci si discosta dal mero dato normativo per far leva sull’errore interpretativo commesso dal singolo individuo. Occorre evidenziare come un elemento a sostengo della teoria soggettiva potrebbe essere il dettato normativo dell’art. 5 D.Lgs. n. 472/1997 che prevede che «Nelle violazioni punite con sanzioni amministrative ciascuno risponde della propria azione od omissione, cosciente e volontaria, sia essa dolosa o colposa». Sembra, infatti, che la scelta del legislatore sia stata quella di ancorare l’irrogazione delle sanzioni ad indici di colpevolezza e non a ipotesi di responsabilità oggettiva. In realtà, occorre evidenziare come la previsione dell’obiettiva incertezza rappresenti una scriminante e non una causa di giustificazione: il presupposto della sua applicazione non è infatti l’antigiuridicità del fatto e dunque l’assenza dell’illecito, bensì l’antigiuridicità della condotta, e ciò significa che l’illecito è stato commesso, la norma è stata violata, ma viene esclusa la colpevolezza del soggetto agente nel momento in cui la violazione da lui commessa sia dovuta a incertezza obiettiva della norma tributaria (Logozzo M., La disapplicazione delle sanzioni da parte del giudice tributario per obiettiva incertezza della legge, cit., 851). Il legislatore ha previsto tale esimente considerando la farraginosità dell’apparato normativo tributario, per cui risulterebbe paradossale sanzionare la violazione di una norma il cui significato risulti oscuro.

Bisogna tuttavia sottolineare che l’accoglimento di tale ultima concezione condurrebbe ad esiti distorsivi: i contribuenti, al fine di sottrarsi all’imposta e alle conseguenti sanzioni, proverebbero infatti in ogni modo a dimostrare la loro buona fede, venendo meno all’obbligo, sancito costituzionalmente (art. 53 Cost.), di contribuire alle spese pubbliche.

L’esigenza di garantire la certezza del diritto e di raggiungere l’obiettivo di ridistribuzione della ricchezza – che rappresenta la ratio della tassazione – implica il dover prescindere dall’elemento soggettivo che, altrimenti, diventerebbe uno strumento di evasione nelle mani del contribuente (Pennesi L., Brevi note in tema di buona fede e sanzioni amministrative tributarie, cit., 438).

In ogni caso, non ci sono elementi sufficienti a far ritenere che debba essere preferita la concezione soggettiva ed anzi, considerando che il terzo comma dell’art. 10 dello Statuto dei diritti del contribuente si riferisce testualmente all’“obiettiva condizione di incertezza”, è più plausibile ritenere che il legislatore volutamente non abbia inteso riferirsi all’accezione soggettiva dell’incertezza, in applicazione del principio ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit (Farri F., Le (in)certezze nel diritto tributario, cit., 733 ss.).

A tal proposito occorre richiamare l’art. 5 c.p. in base al quale «nessuno può invocare a propria scusa l’ignoranza della legge penale». Tale regola, per la sua portata, può assurgere a principio di carattere generale, da ritenersi applicabile anche all’ordinamento tributario. Infatti, una disposizione normativa è vincolante e obbligatoria ex se, a prescindere dall’effettiva conoscenza che ne abbia il singolo. Altrimenti, non potrebbero mai essere comminate sanzioni discendenti da violazioni disciplinate a livello normativo qualora la loro applicazione derivasse esclusivamente dalla prova della effettiva conoscenza da parte del contribuente. La Corte costituzionale (sent. 23-24 marzo 1988, n. 364) ha tuttavia dichiarato «l’illegittimità costituzionale dell’art. 5 c.p. nella parte in cui non esclude dall’inescusabilità dell’ignoranza della legge penale l’ignoranza inevitabile»: si ritiene che tale precisazione debba essere letta non nel senso di attribuire rilievo all’elemento soggettivo, bensì nell’accezione secondo la quale l’ignoranza è giustificata solo se dipende da elementi oggettivi, come ad esempio l’intrinseca incomprensibilità del testo.

A sostegno della necessità di dare prevalenza alla concezione oggettiva occorre inoltre richiamare, oltre alla sentenza che ha offerto lo spunto per la presente disamina, numerose pronunce della Corte di Cassazione (tra i precedenti si richiamano Cass., 28 novembre 2007, n. 24670. Seguono successivamente questa impostazione: Cass., 21 marzo 2008, n. 7765; Cass., 25 giugno 2009, n. 14987; Cass., 11 settembre 2009, n. 19638; Cass., 16 febbraio 2012, n. 2192; Cass., 23 marzo 2012, n. 4683; Cass., 23 marzo 2012, n. 4685; Cass., 26 ottobre 2012, n. 18434; Cass., 12 marzo 2013, n. 6189; Cass., 21 ottobre 2013, n. 23734; Cass., 14 marzo 2014, n. 5979; Cass., 29 luglio 2014, n. 17250; Cass., 15 ottobre 2014, n. 21777; Cass., 21 luglio 2015, n. 15294; Cass., 2 dicembre 2015, n. 24589; Cass., 17 maggio 2019, n. 13330; Cass., 12 aprile 2019, n. 10314; Cass., 11 aprile 2019, n. 10125) che, ancorandosi al tenore testuale dei richiamati art. 6 D.Lgs. n. 472/1997 e art. 8 D.Lgs. n. 546/1992, ha affermato come l’incertezza normativa oggettiva si distingua dall’ignoranza incolpevole del diritto, poiché, a differenza di quest’ultima, trae origine dall’impossibilità di acquisire, una volta superata l’ignoranza, una conoscenza certa della norma tributaria (Quattrocchi A., Sanzioni amministrative tributarie e incertezza normativa oggettiva, in Dir. prat. trib., 2023, 2, 674). Pertanto, tale impossibilità si configura quando si è superato lo stato di ignoranza, e, ciò nonostante, non si riesce a pervenire ad uno stato di conoscenza sicura della norma. La Suprema Corte in diverse occasioni ha individuato dei parametri oggettivi (già menzionati in precedenza), stabilendo che l’esimente è applicabile solo quando si sia in presenza di uno o più di detti parametri (tali “sintomi” sono indicati nel paragrafo 1), che fungono pertanto da “indicatori” dell’esistenza di una situazione di obiettiva incertezza normativa, che costituisce dunque non un elenco esaustivo, bensì una “fattispecie aperta”. Nell’ipotesi in cui la norma sia considerata obiettivamente incerta, la sua inosservanza non sarà dunque mai sanzionabile, a prescindere dall’elemento psicologico del contribuente (Donatelli S., L’esimente dell’obiettiva condizione di incertezza della norma tributaria, cit., 591). Dunque, il tema della buona fede in senso oggettivo sembra essere connesso all’esigenza di tutelare l’affidamento del cittadino che sia fuorviato da indicazioni fornite dall’Amministrazione. In tal senso, la previsione di cui al secondo comma dell’art. 97 della Costituzione, secondo il quale «i pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione», costituisce il fondamento del dovere di buona fede oggettiva dell’operato del potere amministrativo. Di conseguenza, si ritiene che lo Stato debba impegnarsi attivamente per promuovere la libertà, l’uguaglianza e la solidarietà. Dunque, le disposizioni che regolano l’organizzazione e l’azione dell’Amministrazione devono essere interpretate in stretta relazione con i principi fondamentali della Costituzione (Trivellin M., Il principio di buona fede nel rapporto tributario, Milano, 2009, 21 ss.).

È importante evidenziare come l’accoglimento della teoria oggettiva non possa tuttavia condurre alla conseguenza estrema di ipotizzare una assoluta incomprensibilità della norma anche per il giudice, poiché tale scenario solleverebbe interrogativi di legittimità costituzionale per indeterminatezza legislativa (Logozzo M., La disapplicazione delle sanzioni da parte del giudice tributario per obiettiva incertezza della legge, cit., 853).

La problematica sottesa alla obiettiva incertezza normativa è indubbiamente legata anche alla equivocità intrinseca del linguaggio e ai numerosi significati che ogni termine può assumere. Tale fenomeno, in ambito giuridico, si traduce in una pluri-normatività della disposizione, per cui risulta talvolta difficile individuare il significato da attribuire ad un determinato enunciato. Dinnanzi a una perdurante difficoltà interpretativa legata all’oscurità di un testo di legge, nell’impossibilità di individuare «con sicurezza e univocamente, al termine di un procedimento interpretativo pur metodicamente corretto, la norma giuridica sotto la quale effettuare la sussunzione di un caso di specie» (Cass. n. 7765/2008) spetterà allora al giudice scegliere tra le diverse interpretazioni, quella che appare la più “giusta” da adottare nel caso concreto (Mondini A., L’obiettiva incertezza della norma tributaria e la disapplicazione delle sanzioni amministrative tra primato del giudice e prospettive comunitarie, cit., 1644).

4. Posto che secondo la giurisprudenza di legittimità solo il giudice è in grado di conferire al dubbio interpretativo una dimensione oggettiva, si pone il problema della rilevabilità d’ufficio o meno dell’obiettiva incertezza della norma tributaria.

Da un lato vi sono i sostenitori della teoria della domanda implicita (Colli Vignarelli A., Errore scusabile e abbandono delle sanzioni pecuniarie, in Rass. trib., 1987, II, 1140), secondo i quali l’esimente de qua rappresenterebbe un minus rispetto alla domanda introduttiva posta dal contribuente che contesta le imposte, ritenendo che la richiesta di annullamento dell’atto impugnato contiene di per sé la richiesta di disapplicazione delle sanzioni. In tal senso il potere di applicare la scriminante dell’obiettiva incertezza normativa dovrebbe essere esercitato d’ufficio dal giudice e non richiederebbe la proposizione di una apposita domanda di parte. Da ciò discende che il giudice non solo possa rilevare d’ufficio l’esimente, ma che sia tenuto a farlo nel momento in cui si trovi dinnanzi ad una fattispecie di obiettiva incertezza, sicché il contribuente sarebbe legittimato a criticare l’operato del giudice qualora non l’abbia rilevata d’ufficio (Donatelli S., L’esimente dell’obiettiva condizione di incertezza della norma tributaria, cit., 601).

Dall’altro lato vi è invece chi sostiene che il contribuente abbia l’onere di proporre un’apposita domanda avente ad oggetto la questione dell’obiettiva incertezza normativa. Infatti, se è vero che l’eventuale decisione del giudice in merito alla disapplicazione della maggiore imposta andrebbe ad incidere anche sulle sanzioni irrogate, occorre comunque considerare che in realtà in tale ipotesi il giudizio avrebbe ad oggetto l’irrogazione della sanzione autonomamente considerata e non in quanto connessa implicitamente al tributo (Stevanato D., Fondamenti del diritto tributario, 2019, 212).

L’indirizzo seguito dalla Corte di Cassazione negli ultimi anni è nel senso di riconoscere che l’onere di allegare e provare una situazione di obiettiva incertezza normativa «grava sul contribuente, sicché va escluso che il giudice tributario di merito debba decidere d’ufficio l’applicabilità dell’esimente né, per conseguenza, che sia ammissibile una censura avente ad oggetto la mancata pronuncia d’ufficio sul punto», ed ancora che «trattandosi di un’esimente prevista dalla legge a favore del contribuente, su quest’ultimo grava l’onere di allegare la ricorrenza di elementi di confusione (incertezza inevitabile sul contenuto, sull’oggetto e sui destinatari della disposizione tributaria), qualora effettivamente esistenti, secondo le regole generali in materia di onere della prova» (tra i precedenti si richiamano: Cass., 25 giugno 2009, n. 14987; Cass., 30 maggio 2018, n. 13582; Cass., 19 ottobre 2020, n. 22689, ove altri richiami: Cass., 7 dicembre 2017, n. 29368, e 14 gennaio 2015, n. 440).

Tale indirizzo prende le mosse dal rilievo secondo il quale riconoscere al giudice il potere di rilevare d’ufficio la condizione di obiettiva incertezza condurrebbe a un vizio di ultra petizione della sentenza, sancito dall’art. 99 c.p.c. (che prevede che «chi vuole far valere un diritto in giudizio deve proporre domanda al giudice competente») e dal principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato di cui all’art. 112 c.p.c. (in forza del quale «il giudice è tenuto a pronunciarsi su tutta la domanda, rimanendo vincolato ai limiti di questa») (Logozzo M., La disapplicazione delle sanzioni da parte del giudice tributario per obiettiva incertezza della legge, cit., 864).

Tuttavia, tale ricostruzione appare non del tutto corretta per più ordini di motivi. Innanzitutto, poiché se, come affermato dalla medesima Suprema Corte, il giudice è l’unico soggetto dell’ordinamento cui spetta il potere-dovere di accertare l’obiettiva incertezza della norma tributaria, disconoscere il potere di rilevare d’ufficio l’esimente risulterebbe contraddittorio in quanto tale potere non potrebbe, di fatto, essere esercitato da alcun altro soggetto dell’ordinamento (Logozzo M., La disapplicazione delle sanzioni da parte del giudice tributario per obiettiva incertezza della legge, cit., 865). D’altronde, si pensi al sindacato operato in sede penale, in cui il giudice non può astenersi dal verificare la colpevolezza dell’imputato, a prescindere da eventuali allegazioni di parte (Tortorelli M., L’incertezza interpretativa della norma e la disapplicazione della sanzione tributaria tra principio della domanda e potere officioso del giudice, in Riv. tel. dir. trib., 2024, 2, 863 ss.). Secondariamente, si evidenzia che il testo dell’art. 8 della legge processuale tributaria prevede che «la corte di giustizia tributaria di primo e secondo grado dichiara non applicabili le sanzioni» e non che «può dichiararle non applicabili», il che fa pensare all’assenza di ulteriori requisiti o condizioni per poter procedere alla disapplicazione. In terzo luogo, non si comprende come la rilevazione e decisione circa l’applicazione di un’esimente (che esclude la colpevolezza del soggetto agente) possa essere equiparata alla proposizione di un’autonoma domanda giudiziale e, di conseguenza, essere ritenuta sufficiente a configurare una violazione del principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato. Infine, si sottolinea come il legislatore, nelle ipotesi in cui ha ritenuto che non operi il potere di rilevare d’ufficio, lo ha espressamente previsto. Si pensi al comma 9 dell’art. 10-bis dello Statuto dei diritti del contribuente che, in tema di abuso del diritto prevede che «L’amministrazione finanziaria ha l’onere di dimostrare la sussistenza della condotta abusiva, non rilevabile d’ufficio, in relazione agli elementi di cui ai commi 1 e 2. Il contribuente ha l’onere di dimostrare l’esistenza delle ragioni extrafiscali di cui al comma 3 (enfasi aggiunta)». Dunque, nel silenzio della legge, sembrerebbe che, non essendo stata introdotta la medesima previsione per l’obiettiva incertezza della norma tributaria, si possa giungere a sostenere che quest’ultima rappresenti una questione rilevabile d’ufficio. In ogni caso, in ottemperanza alla previsione di cui all’art. 111, comma 6, della Costituzione, secondo cui tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati, il giudice deve adeguatamente esporre le ragioni alla base della dichiarazione di inapplicabilità delle sanzioni con riferimento alla esistenza degli “elementi sintomatici”. Tale obbligo risulta necessario al fine di garantire la trasparenza del processo decisionale del giudice nell’applicazione dell’esimente (Petrillo G., Giudizio tributario e buon governo nell’applicazione dei principi fondativi dell’incertezza normativa oggettiva: spunti di riflessione dalla recente giurisprudenza di legittimità, in Riv. tel. dir. trib., 2023, 2, 811 ss.).

5. La problematica dell’obiettiva incertezza della norma tributaria diviene ancor più controversa quando è legata a disposizioni del diritto europeo, che il giudice nazionale è tenuto a conoscere ed applicare d’ufficio.

Il compito di dirimere una questione avente ad oggetto la norma europea spetta alla Corte di Giustizia UE, in quanto unico giudice dotato del potere di interpretare il diritto dell’Unione Europea al fine di garantire la sua uniforme applicazione in tutti gli Stati membri. Il mezzo mediante il quale il giudice nazionale sottopone una questione alla CGUE, come noto, è il rinvio pregiudiziale. Quest’ultimo mezzo, nel caso di obiettiva incertezza della norma tributaria, non deve rappresentare una extrema ratio, e dunque non deve essere attivato solo nei casi di assoluta impossibilità di comprendere l’intrinseco significato della norma, ma si configura piuttosto come una forma di leale collaborazione tra ordinamenti.

Infatti, nel contesto europeo, l’incertezza è radicata nel dubbio interpretativo che non concerne esclusivamente il significato o l’ambito di applicazione delle norme stesse, che possono risultare chiare se esaminate singolarmente, ma riguarda piuttosto la natura della loro interazione, il rapporto tra il diritto europeo e quello nazionale. Il rinvio pregiudiziale viene dunque effettuato, nei casi di obiettiva incertezza normativa, nel momento in cui non si riesce a individuare, per la norma interna, un significato che sia compatibile con la norma europea sovraordinata (Mondini A., L’obiettiva incertezza della norma tributaria e la disapplicazione delle sanzioni amministrative tra primato del giudice e prospettive comunitarie, cit., 1655 ss.).

La difficoltà per il giudice nazionale, in tali ipotesi, consiste nel dare vita ad una armonizzazione tra sistemi giuridici diversi, rispettando, tuttavia, il primato del diritto unionale rispetto al diritto dei singoli Stati membri.

Precisato ciò, occorre sottolineare come in ogni caso il giudice tributario non sia obbligato ad effettuare il rinvio pregiudiziale alla CGUE, in quanto può decidere autonomamente la questione attinente all’obiettiva incertezza della norma tributaria.

A differenza dei giudici di merito, la Cassazione non può rilevare d’ufficio l’esistenza di una condizione di obiettiva incertezza della norma tributaria, ma è tenuta semplicemente a valutare, su domanda di parte, se sia stato commesso un error in iudicando da parte del giudice del grado precedente, per violazione o falsa applicazione di norme di diritto o per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (che sono, rispettivamente, le previsioni di cui ai nn. 3 e 5 dell’art. 360 c.p.c). Tuttavia, i giudici di legittimità, in quanto giudici di ultima istanza, sono obbligati ad effettuare il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia UE, nel caso in cui sia sorta una questione di obiettiva incertezza normativa rispetto a una norma europea. Si può dunque giungere a sostenere che «la posizione della Cassazione è del tutto particolare, perché il suo dubbio interpretativo non le lascia scelta, ma la obbliga ad effettuare il rinvio» (Mondini A., L’obiettiva incertezza della norma tributaria e la disapplicazione delle sanzioni amministrative tra primato del giudice e prospettive comunitarie, cit., 1655 ss.).

Resta inteso che la ratio del rinvio pregiudiziale è quella di chiarire la portata e l’ambito di applicazione della norma interna per il tramite dell’interpretazione del diritto comunitario fornita dalla Corte di Giustizia.

(*) Il saggio è stato sottoposto a double blind peer review con valutazione positiva. Esso confluirà nel fascicolo n. 1/2025 (semestrale) della Rivista telematica di diritto tributario.

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

Colli Vignarelli A., Errore scusabile e abbandono delle sanzioni pecuniarie, in Rass. trib., 1987, II, 1140 ss.

Consolo C. – Glendi C., Commentario breve alle leggi del processo tributario, 2017, 134 ss.

Donatelli S., L’esimente dell’obiettiva condizione di incertezza della norma tributaria, in Rass. trib., 2019, 3, 574 ss.

Farri F., Le (in)certezze nel diritto tributario, in Dir. prat. trib., 2021, 2, 720 ss.

Logozzo M., La disapplicazione delle sanzioni da parte del giudice tributario per obiettiva incertezza della legge, in Riv. trim. dir. trib., 2021, 4, 847 ss.

Marcheselli A. – Ronco S., Riforma sanzioni: l’obbligo di adeguarsi alle circolari tra pericoli di rottura della legalità costituzionale, resurrezione del “solve et repete” e neonata impugnabilità degli atti di indirizzo, in Riv. tel. dir. trib., 2024, 2, 846 ss.

Mondini A., L’obiettiva incertezza della norma tributaria e la disapplicazione delle sanzioni amministrative tra primato del giudice e prospettive comunitarie, in Rass. trib., 2009, 6, 1630 ss.

Pennesi L., Brevi note in tema di buona fede e sanzioni amministrative tributarie, in Dir. prat. trib., 2019, 1, 419 ss.

Petrillo G., Giudizio tributario e buon governo nell’applicazione dei principi fondativi dell’incertezza normativa oggettiva: spunti di riflessione dalla recente giurisprudenza di legittimità, in Riv. tel. dir. trib., 2023, 2, 811 ss.

Quattrocchi A., Sanzioni amministrative tributarie e incertezza normativa oggettiva, in Dir. prat. trib., 2023, 2, 671 ss.

Stevanato D., Fondamenti del diritto tributario, 2019, 212

Tortorelli M., L’incertezza interpretativa della norma e la disapplicazione della sanzione tributaria tra principio della domanda e potere officioso del giudice, in Riv. tel. dir. trib., 2024, 2, 863 ss.

Trivellin M., Il principio di buona fede nel rapporto tributario, Milano, 2009

Uda G.M., La buona fede nell’esecuzione del contratto, Torino, 2004

Scarica il commento in formato pdf

Tag:, , , , ,