“Through the looking-glass”: possesso del reddito e clausola del beneficiario effettivo in una recente sentenza di legittimità in materia di (in)direct lending

Di Alessandro Giannelli -

(commento a/notes to Cass., sent. 20 febbraio 2025, n. 4427)

Abstract (*)

La Corte di Cassazione chiarisce che l’art. 26, comma 5-bis, D.P.R. n. 600/1973 deve essere applicato, diversamente da quanto ufficialmente sostenuto dall’Agenzia delle Entrate, considerando il beneficiario effettivo degli interessi. Diversamente tale disposizione sarebbe applicata, contrariamente alla sua ratio, nei confronti di un soggetto che non subisce alcuna doppia imposizione. Le condizioni di applicazione della clausola del beneficiario effettivo vengono in questo modo ad essere sganciate dall’abuso del diritto e ricollegate alla nozione di possesso del reddito ai sensi dell’art. 1 TUIR. Inoltre, tale impostazione ha il pregio di recuperare la funzione primaria della clausola del beneficiario effettivo quale criterio di allocazione del reddito invocabile, come tale, anche dal contribuente a proprio favore.

“Through the looking-glass”: possession of income and the beneficial ownership caluse in a recent case of the supreme cout regarding (in)direct lending – The Supreme Court clarifies that art. 26, paragraph 5-bis, Presidential Decree no. 600/1973 must be applied, contrary to the Revenue Agency official position, considering the beneficial owner of the interest. Otherwise, such article would be applied, contrary to its scope, with respect to an entity that is not subject to any double taxation. The conditions for the application of the beneficial owner clause are thus detached from the abuse of law and linked to the notion of possession of income within the meaning of art. 1, Income tax code. Furthermore, according to this approach the primary function of the beneficial owner clause would be rehabilitated as an income allocation rule that, as such, can also be invoked for the benefit of the taxpayer.

 

Sommario: 1. Introduzione. – 2. La clausola del beneficiario effettivo e i requisiti per l’esenzione ex art. 26, comma 5-bis. – 3. Possesso del reddito e beneficiario effettivo. – 4. La generalizzazione dell’approccio look through e la sua duplice funzione. – 5. Conclusioni.

1. La Corte di Cassazione si è occupata in diverse occasioni della clausola del beneficiario effettivo, chiarendone via via il ruolo e la portata applicativa (per un inquadramento generale sia consentito rinviare a Giannelli A. – Pitrone F., Beneficiario Effettivo, in Avolio D., a cura di, Fiscalità internazionale e dei gruppi, Milano, 2020, 713 ss.; in termini più ampi, di recente, Marinoni S., La clausola del “beneficiario effettivo” nella fiscalità internazionale ed europea, Torino, 2023). La sentenza in rassegna non fa eccezione precisando, peraltro per la prima volta, che tale clausola è applicabile in favore del contribuente, benché non espressamente menzionata, anche ai fini dell’art. 26, comma 5-bis, D.P.R. n. 600/1973 consentendo di esentare dalla ritenuta gli interessi derivanti da finanziamenti a medio-lungo termine concessi in favore di imprese da determinate categorie di lender non residenti, anche laddove siano corrisposti a quest’ultimi non direttamente, ma per il tramite di entità interposte (cosiddetto indirect lending).

In particolare, dopo aver ricordato che alla clausola del beneficiario effettivo deve essere assegnato un significato internazionale, senza cioè rinviare a concetti tecnici domestici, e che essa esprime, in tal senso, un principio immanente (Cass., sent. n. 6975/2023, n. 26290/2022, n. 3380/2022, n. 14756/2020, n. 24287/2019, n. 32840/2018, n. 32842/2018, n. 27112/2016, n. 27116/2016 e n. 25281/2015), la Cassazione, come già affermato (sent. n. 24288/2019), ribadisce che tale clausola va applicata secondo un approccio look through, ossia “guardando attraverso” quei soggetti che riscuotono redditi per conto di altri, a cui sono perciò obbligati a ritrasferirli, così da identificare quell’unico soggetto che “possiede” il reddito ai sensi dell’art. 1 TUIR e a cui va, quindi, univocamente e definitivamente imputato il reddito in vista dell’applicazione delle norme di riferimento.

In tale ottica la sentenza in rassegna contribuisce a chiarire (proseguendo lungo la linea già tracciata con la sent. n. 3380/22) il ruolo della clausola del beneficiario effettivo, restituendola alla sua primaria funzione di criterio di attribuzione del reddito in funzione del potere di disporne liberamente, distinguendola così dalla clausola generale antiabuso recata dall’art. 10-bis L. n. 212/2000 che, invece, se si guarda ad altri recenti precedenti della medesima Corte, si ha l’impressione che finisca sempre più per fagocitare il criterio del beneficiario effettivo (cfr. Contrino A., Note in tema di dividendi “intraeuropei” e “beneficiario effettivo”, tra commistioni improprie della prassi interna e nuovi approdi della giurisprudenza europea, in Riv. tel. dir. trib., 2020, 1, 106 ss. e Ronco S.M., “I piccoli passi forse non bastano più”? Le acquisizioni della giurisprudenza sui casi danesi in tema di abuso del diritto, beneficiario effettivo e requisito dell’assoggettamento ad imposizione, in Dir. prat. trib. int., 2020, 1 345; più in generale, già in passato autorevole dottrina si era profeticamente riferita all’abuso del diritto nei termini di un “onnivoro contenitore”: cfr. FALSITTA, G., Spunti critici e ricostruttivi sull’errata commistione di simulazione ed elusione nell’onnivoro contenitore detto “abuso del diritto”, in “Rivista di Diritto Tributario”, 6, 2010, p. 365;). Riprova di tale, non condivisibile, tendenza è data da alcuni recentissimi arresti che hanno ricondotto le condizioni di applicazione della clausola del beneficiario effettivo al superamento del triplice vincolo del “substantive business activity test”, del “dominion test” e del “business purpose test” (Cass. n. 6005/2023, n. 8612/2024, n. 26923/2024, n. 26640/2024, n. 23628/2024) dall‘evidente “sapore” antiabuso (visto il riferimento alla sostanza e finalità economica; sul punto si vedano ex multis ARGINELLI, P., TENORE, M., Key Decision of the Italian Supreme Court on the Relationship between the Concepts of Beneficial Ownership and Abuse of Tax Treaties, in Bulletin for International Taxation, 5, 2022, p. 261; CORASANITI, G., L’evoluzione della nozione di beneficiario effettivo tra il modello di Convenzione OCSE e la giurisprudenza della Corte di Cassazione e della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, in Diritto e Pratica Tributaria, 6, 2021, p. 2493; JIMENEZ, A. M., Beneficial Ownership: Current Trends, World Tax Journal, 2010, p. 35; KUŹNIACKI, B., Beneficial Ownership in International Taxation, Cheltenham, 2022, pp. 79 e segg.).

Nel presente contributo si cercherà, quindi, di approfondire in primis le implicazioni di tale sentenza in relazione alle condizioni di applicazione dell’art. 26, comma 5-bis, D.P.R. n. 600/1973 e, in secondo luogo, il rapporto tra il requisito del possesso del reddito, per come utilizzato dalla Corte nella sentenza in rassegna, e la clausola del beneficiario effettivo. Ciò al fine di verificare se, così ricostruita, tale clausola, e il connesso approccio look through, siano in grado di operare in via generalizzata anche sul versante interno senza tradire il significato e il ruolo del criterio del beneficiario effettivo in ambito internazionale, mantenendo al contempo la propria autonomia dall’abuso del diritto in senso generale.

2. L’art. 26, comma 5, D.P.R. n. 600/1973 prevede che il sostituto d’imposta applichi una ritenuta del 26%, eventualmente riducibile a quella più favorevole prevista dalla Convenzione contro le doppie imposizioni applicabile, sui redditi di capitale corrisposti da soggetti residenti e tra cui vi rientrano, come noto, anche gli interessi sui finanziamenti (art. 44, comma 1, lett. a), TUIR).

Il successivo comma 5-bis, nella versione attualmente vigente (ex art. 6, comma 1, D.L. n. 3/2015), ma per quanto qui d’interesse valida anche ai fini del caso esaminato dalla Corte, prevede, tuttavia, un regime di esenzione dalla suddetta ritenuta laddove il lender non residente soddisfi i seguenti requisiti: sul piano soggettivo, deve trattarsi di uno degli enti residenti in uno Stato White List tassativamente indicati dalla norma, ossia (i) enti creditizi stabiliti nell’Unione, (ii) imprese di assicurazione costituite e autorizzate ai sensi di normative emanate da Stati membri e (ii) investitori istituzionali esteri, ancorché privi di soggettività tributaria, residenti in Stati White List (dunque anche extraUE) di cui all’art. 6, comma 1, lett. b), D.Lgs. n. 239/1996 e ivi soggetti a forme di vigilanza, tra cui si annoverano anche gli OICR (Agenzia delle Entrate, circ. n. 20/E/2003, n. 23/E/2002, e Risposta ad interpello n. 125/2021) e, dunque, i fondi di credito; sul piano oggettivo, il finanziamento deve essere di medio-lungo periodo (ossia con scadenza superiore a 18 mesi) ed erogato in favore di imprese (Risposta ad interpello n. 125/2021). In ogni caso, la suddetta esenzione è applicabile purché non sia violata la riserva di attività ex art. 106 TUB in relazione all’attività di erogazione di finanziamenti nei confronti del pubblico (ossia, ai sensi dell’art. 3 D.M. 2 aprile 2015, n. 53, svolta nei confronti di terzi con carattere di professionalità escluse quelle esercitate solamente nei confronti del gruppo di appartenenza).

La generale finalità del comma 5-bis è chiarita dallo stesso Legislatore nella relazione all’art. 22 D.L. n. 91/2014 che l’ha introdotto: «eliminare il rischio di doppia imposizione giuridica, che economicamente risulta di norma traslato sul debitore, al fine di favorire l’accesso delle imprese italiane a costi competitivi anche a fonti di finanziamento estere (tra cui i c.d. fondi di credito, che disporrebbero di ampie riserve di liquidità)».

Tuttavia, secondo l’Agenzia delle Entrate tale disposizione, non prevedendo espressamente che gli interessi debbano essere corrisposti al relativo beneficiario effettivo, «non consente di procedere secondo il principio del “beneficiario effettivo”» e, quindi, conclude l’Agenzia, «non appare coerente, in linea di principio, applicare il regime di esenzione in esso previsto ai beneficiari dei redditi (interessi) che non siano “anche” i diretti percettori degli stessi» (Risposta ad interpello n. 125/2021, in senso conforme ris. n. 76/E/2019, Risposta ad interpello n. 406/2020 e n. 125/E/2021). Di conseguenza, i finanziamenti indiretti, in cui l’erogazione avviene tramite un veicolo interposto, risulterebbero ontologicamente esclusi dall’applicazione dal regime di esenzione in commento.

Tale posizione è stata ampiamente critica in dottrina risultando, peraltro, smentita dalla precedente prassi della stessa Agenzia delle Entrate (ris. n. 12/431/1987, n. 86/E/2006, n. 17/E/2006, n. 167/E/2008, circ. n. 21/E/2015 e Risposta ad interpello n. 24/2022) che ha più volte avallato proprio l’approccio look through per individuare nel beneficiario effettivo del reddito, ancorché diverso dal suo materiale percipiente, il soggetto nei cui confronti applicare le Convenzioni contro le doppie imposizioni; tanto più che nella circ. n. 6/E/2016 (30 – 31) l’Agenzia aveva affermato che in esito all’introduzione del comma 5-bis nel corpus dell’art. 26 non avevano più ragion d’essere le contestazioni in materia di beneficiario effettivo in caso di strutture di finanziamento di tipo indiretto e ciò non può non implicare che nel caso in cui i requisiti soggettivi per l’applicazione del predetto comma 5-bis siano soddisfatti, non dall’interposto, ma dal soggetto interponente, l’esenzione ivi prevista debba comunque essere concessa (Palanca M., Finanziamenti esteri senza obblighi dichiarativi, ma esenzione soggetta a vincolo regolamentare, in Corr. trib., 2017, 3, 213; Miele L. – Fasolino A., Esenzione dalle ritenute su interessi da finanziamenti e principio del beneficiario effettivo, in Corr. trib., 2019, 11, 939; Gusmeroli M., Questioni aperte in tema di esenzione su interessi da finanziamenti a medio e lungo termine, in Boll. trib., 2017, 1, 16).

Intervenendo sulla questione la Corte ricorda in primis che, in linea con la posizione dell’OCSE e della Corte di Giustizia dell’Unione Europea nelle note sentenze Danesi (cause riunite C-115/16, C-118/16, C119/16 e C-299/16 del 26 febbraio 2019) relative alla Direttiva Interessi & Royalties (2003/49/CE), «il termine “beneficiario effettivo” […] coincide con il soggetto al quale il reddito sia fiscalmente imputabile in forza della sua disponibilità, designando “un’entità che benefici realmente degli interessi corrispostile”, se del caso da riconoscere mediante il cd. approccio look through» (in senso conforme tra le altre Cass. n. 26923/2024, n. 16173/2023, n. 11191/2023 e n. 6005/2023). Più precisamente, a partire dalla versione del 2014 del Commentario al Modello di Convenzione, per l’OCSE il “beneficiario effettivo” è colui che ha il diritto – dunque in base ad un valido titolo giuridico (e non quale mera circostanza di fatto) – di utilizzare e godere del reddito ricevuto senza essere vincolato da un obbligo contrattuale o legale di trasferirlo a terzi che dipenda, a sua volta, dalla ricezione del pagamento da parte del destinatario diretto (OCSE, Model Tax Convention on Income and on Capital 2017, Commento all’art. 10 ‘dividendi’, par. 12.6, all’art. 11 ‘interessi’, par. 10.2 e all’art. 12 ‘royalty’, par. 4.3); dunque, l’assenza di beneficial ownership non può rinvenirsi nella mera corrispondenza economica tra il pagamento in entrata e quello in uscita, né può essere inferita da meri indici di carenza di sostanza economica (ciò è coerente col fatto che il Commentario al Modello OCSE non ha accolto la proposta avanzata nel discussion draft denominato “Clarification of the Meaning of “Beneficial Owner” in the OECD Model Tax Convention”, 2011, di declinare il potere di disporre del reddito ricevuto in termini di “full right to use and enjoy”; sul punto si vedano, ex multis, Avolio D. – Santacroce B., Il “Discussion Draft” OCSE sul beneficiario effettivo e le questioni ancora aperte, in Corr. trib., 2011, 38, 3109; Escalar G., La nuova definizione OCSE di effettivo beneficiario, in Corr. trib., 2017, 48, 3685; Giannelli A., Finanziamenti “a cascata” ed esenzione dalla ritenuta sugli interessi ex art. 26-quater D.P.R. n. 600/1973: l’assenza di un congruo margine (mark up) in capo alla società holding non implica di per sé la carenza del requisito del beneficiario effettivo, in Riv. tel. dir. trib., 2023, 1, 507 ss.; nonché IBFD, Response from IBFD Research Staff to: Clarification of the Meaning of ‘Beneficial Owner’ in the OECD Model Tax Convention, 2011, 4).

Tuttavia, per la Corte di Cassazione la clausola del beneficiario effettivo trova un’autonoma giustificazione anche dal punto di vista dell’ordinamento interno in quanto «il riferimento al beneficiario effettivo» implica un indagine «su chi sia l’effettivo titolare del flusso reddituale, in linea con quanto previsto dall’art. 1 del T.U.I.R. che identifica, per l’appunto, nel possesso del reddito, inteso come materiale disponibilità del medesimo, il presupposto dell’imposizione» (par. 5.4; si veda anche Cass. n. 14756/2020). Il concetto di beneficiario effettivo di fonte internazionale viene così a saldarsi al diritto interno sullo sfondo del principio di capacità contributiva inserendosi a livello del presupposto generale del tributo per il tramite della nozione di possesso del reddito.

Pertanto, secondo la Cassazione (par. 5.4), nonostante il suddetto comma 5-bis non menzioni la clausola del beneficiario effettivo, è comunque necessario riferirsi non al mero percettore degli interessi, a sua volta tenuto a ritrasferirli al primo, ma, per l’appunto, al beneficiario effettivo poiché diversamente tale disposizione verrebbe applicata in capo ad un soggetto su cui, stante la piena simmetria tra reddito in entrata e in uscita, non si verificherebbe quella doppia imposizione che la norma intende prevenire e che, invece, verrebbe a cristallizzarsi in capo al beneficiario effettivo; quindi, conclude la Corte «è con riferimento a quest’ultimo […] che va accertato il possesso dei requisiti soggettivi stabiliti dalla norma» (par. 5.6; in senso conforme si veda anche Comm. trib. prov. Milano, sent. n. 4708/2019 e Comm. trib. reg. Lombardia, sent. n. 295/2022). Dunque, diversamente da quanto concluso dall’Agenzia delle Entrate, anche i finanziamenti indiretti possono godere dell’esenzione ai sensi del suddetto comma 5-bis; ciò è, peraltro, coerente con il fatto che l’art. 6 D.L. n. 3/2015 con cui è stata introdotta tale disposizione era rubricato «Prestito indiretto per investitori istituzionali esteri», a riprova che la voluntas legis non era di certo quella fatta propria dall’Agenzia.

Ciò chiarisce, quindi, che per la Corte la mancanza dello status di beneficiario effettivo in capo al diretto percipiente del reddito non denota di per sé la sussistenza di un abuso del diritto ai sensi dell’art. 10-bis L. n. 212/2000 laddove sia comunque possibile individuare un altro soggetto qualificabile come beneficiario effettivo del medesimo reddito che soddisfi tutti i requisiti per godere del regime di esenzione invocato; anzi, l’abuso del diritto, nota la Cassazione, (par. 5.5), verrebbe incentivato proprio dall’approccio seguito dall’Agenzia «laddove favorisce, ai fini del riconoscimento del regime di esenzione, la rilevanza di un “percettore diretto” degli interessi che, rientrando nelle categorie ex art. 26, comma 5-bis, possa beneficiare dell’esonero da ritenuta benché retroceda gli interessi incassati a favore di un terzo soggetto che, se invece li avesse direttamente percepiti, non avrebbe potuto usufruire dell’esonero per mancanza dei requisiti».

Procedendo lungo tale impostazione, non appare però chiaro se anche i requisiti oggettivi per l’applicazione dell’art. 26, comma 5-bis debbano essere verificati sul beneficiario effettivo o se, invece, occorra riferirsi al soggetto interposto.

Al fine di evitare possibili abusi appare, tuttavia, ragionevole ipotizzare che tali requisiti debbano risultare verificati sia in capo al beneficiario effettivo degli interessi che sui soggetti interposti; diversamente, l’esenzione finirebbe per essere legittimata anche con riferimento a casi in cui l’interponente, se ricevesse direttamente dall’impresa residente il pagamento degli interessi, non avrebbe avuto titolo per invocare l’esenzione ex art. 26, comma 5-bis.

Tuttavia, se si considera il caso dei fondi di credito, a cui peraltro si riferisce la fattispecie su cui si è pronunciata la Corte, il mancato rispetto dei suddetti requisiti oggettivi potrebbe ritenersi non rilevante.

Va, infatti, ricordato che gli OICR istituiti in Italia godono di un generale regime di esenzione dall’IRES ai sensi dell’art. 73, comma 5-quinquies, TUIR, purché soggetti a forme di vigilanza prudenziale (o direttamente o in capo al relativo gestore), che comprende anche l’esenzione dalla ritenuta ex art. 26, comma 5, D.P.R. n. 600/1973 sugli interessi derivanti da finanziamento. Sennonché tale esenzione non è subordinata, a differenza di quella prevista per i fondi non residenti dal comma 5-bis del medesimo articolo, ad alcun particolare vincolo sul piano della durata del finanziamento e del soggetto a cui viene erogato. Potrebbe così ritenersi che i fondi di credito residenti godano di un trattamento fiscale preferenziale rispetto a quelli non residenti. Simili discriminazioni sono state più volte dichiarate illegittime dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea (da ultimo si veda sent. 27 febbraio 2025, causa C-18/23, F S.A. e i precedenti ivi richiamati), e così pure dalla Corte di Cassazione (ex multis sent. n. 11719/23 e n. 21454/2021), ritenendole in contrasto con la libera circolazione dei capitali sancita dall’art. 63 TFUE applicabile anche verso paesi extraUE, purché i fondi non residenti si trovino in una posizione comparabile rispetto a quelli residenti e la discriminazione non sia giustificata da motivi imperativi di interesse generale (sul tema si veda Tenore M., La Corte di giustizia dell’Unione europea ritorna sulla comparabilità dei fondi esteri: pochi dubbi e molte certezze sull’incompatibilità della disciplina italiana, in Dir. prat. trib. int., 2022, 3, 1320; Quarantino L. – Antinucci B., Potential Tax Discrimination against Italian-Sourced Dividends and Capital Gains Received by Foreign Investment Funds Not Compliant with EU Regulatory Framework, in European Taxation, 2024, 11, 499).

Si potrebbe così ipotizzare che i fondi di credito non residenti, purché comparabili con omologhi enti residenti, abbiano diritto di godere, se beneficiari effettivi degli interessi, dell’esenzione dalla ritenuta alle stesse condizioni cui vi accedono gli omologhi fondi residenti e, quindi, ferma restando la riserva bancaria, anche se relativi a finanziamenti di durata non superiore a 18 mesi e/o concessi ad enti non commerciali, come nel caso in cui il borrower sia a sua volta un OICR residente, pena la violazione dell’art. 63 TFUE (peraltro rispetto ai finanziamenti erogati alle imprese, tale ipotesi non presenta rischi elusivi poiché il fondo borrower è esente dall’Ires, e non deduce, quindi, gli interessi passivi di cui è debitore).

A questo punto non sembra però irragionevole chiedersi a che condizioni il fondo di credito possa dirsi beneficiario effettivo degli interessi percepiti, giacché diversamente tutte le considerazioni sin qui svolte rischiano di risolversi in un nulla di fatto.

La domanda non è retorica in quanto gli OICR sono, in ultima analisi, degli intermediari, nel senso che investono le risorse apportate dagli investitori con l’obbligo di ritrasferire loro i relativi profitti a scadenze tipicamente prestabilite. Tant’è che l’Agenzia delle Entrate ha più volte affermato (ris. n. 17/E/2006, n. 167/E/2008 e Risposta ad interpello n. 24/2022) che laddove un fondo non residente sia obbligato a distribuire annualmente i redditi percepiti e questi siano tassati nello Stato di residenza dei relativi partecipanti, il fondo deve essere considerato “economicamente trasparente” potendo così essere applicata direttamente la Convenzione tra l’Italia – quale Stato della fonte – e lo Stato di residenza di detti partecipanti, assunti, quindi, come beneficiari effettivi dei redditi pagati al fondo.

Va però rilevato che a partire dal Commentario del 2014 al Modello di Convenzione, l’OCSE ha affermato che, in generale, nonostante la presenza di obblighi di ritrasferimento, si considerano comunque beneficiari effettivi dei redditi percepiti i fondi d’investimento che si qualificano come collective investment vehicle (CIV), ossia che a) sono partecipati da un’ampia platea di investitori («widely held»), b) detengono un portafoglio diversificato di titoli («hold a diversified portofolioof securities») e c) sono soggetti a regolamentazione nell’interesse degli investitori nel Paese di istituzione («are subject to investor-protection regulation in the country in which they are established»).

Ciò riflette quanto concluso dall’OCSE nel documento denominato “The Granting of Treaty Benefits with respect to the Income of Collective Investiments Vehicles”, pubblicato nel 2010, in cui è stato affermato che «anche se il CIV è tenuto, da un punto di vista legale o di fatto, a distribuire annualmente tutti i suoi profitti, dovrà comunque essere trattato come beneficiario effettivo del reddito che riceve» (par. 4) «fintanto che i gestori del CIV esercitano poteri discrezionali ai fini della gestione degli asset che generano tali redditi» (par. 28; per un inquadramento generale si vedano Hoozeemans M. – De Vries R., Follow up works on BEPS Action 6: preventing treaty abuse – The position of CIV funds and Non-CIV funds further considered, in Derivatives and financial instruments, 2015, 2; Chew V.T., The Application of Tax Treaties to Collective Investment Vehicles: Beneficial Owner Requirement Explained?, in Derivatives & Financial Instruments, 2015, 6).

In altri termini, il fondo di credito, purché soddisfi la nozione di CIV, giocherebbe il ruolo di blocker entity rispetto alla “profondità” altrimenti raggiungibile con l’approccio look through, semplificando non poco l’applicazione del regime di esenzione in commento. Infatti, nel caso dei fondi non-CIV occorre procedere con un’attenta analisi dell’obbliga di distribuzione poiché, a seconda dei casi, i redditi percepiti dal fondo potrebbe finire per essere imputati, secondo la logica look through, agli investitori – come, peraltro, accaduto nei casi affrontati dalla sopra ricordata prassi dell’Agenzia – e, quindi, a meno che questi non siano a loro volta degli OICR, qualificabili come beneficiari effettivi, l’esenzione ai sensi del suddetto comma 5-quinquies non sarebbe più applicabile (in quanto limitata agli OICR) e quella ex art. 26, comma 5-bis, solo a patto che il beneficiario effettivo, ancorché diverso da un OICR, appartenga a una delle altre categorie di soggetti cui si riferisce tale disposizione e sono al contempo soddisfatti i requisiti oggettivi posti da tale disposizione.

3. L’aspetto forse più interessante della sentenza in rassegna è però il parallelismo istituito dalla Corte tra la clausola del beneficiario effettivo e la nozione di possesso del reddito ai sensi dell’art. 1 TUIR. Tale profilo ha, infatti, una duplice ricaduta, da un lato, sul piano del ruolo di tale clausola e, dall’altro, rispetto al significato in quanto tale di “beneficiario effettivo”.

Sotto il primo profilo va, infatti, evidenziato che se la clausola del beneficiario effettivo opera sul piano del possesso del reddito, allora, entra a far parte – come espressamente affermato dalla Cassazione – del presupposto dell’IRPEF (e dell’IRES) e, quindi, non potrà che operare in via generale e immanente, ossia a prescindere dal fatto che sia espressamente richiamata, e, peraltro, secondo una doppia prospettiva: quale potere-dovere dell’Agenzia di prelevare le imposte (solo) in capo al soggetto che integra realmente il presupposto del tributo, nonché in sede di liquidazione del tributo, quale diritto del contribuente di non dovere subire alcun prelievo rispetto a redditi non posseduti, ovvero di non subire una doppia imposizione giuridica del reddito posseduto (stante anche l’espresso divieto in tal senso sancito dall’art. 163 TUIR).

Di conseguenza l’applicazione della clausola del beneficiario effettivo non presuppone l’esistenza di un abuso del diritto e ciò è del tutto coerente con il fatto che la funzione primaria di tale clausola è quella di indicare un criterio di allocazione del reddito in grado di sopperire ai limiti della mera titolarità formale dello stesso (Pistone P., Beneficiario effettivo e clausole generali antiabuso, in Dir. prat. trib. int., 2020, 6, 1560; Kuźniacki B., Beneficial Ownership in International Taxation and Biosemantics – Why a Redundant, Paradoxical and Harmful Concept Can Be a Potent Weapon in the Hands of the Tax Authorities, in Bulletin for international taxation, 2023, 2, 44 ss.). Si giustifica così la generale possibilità per il contribuente di invocare a proprio favore la clausola del beneficiario effettivo per veder riconosciuto un determinato trattamento fiscale, tipicamente sotto forma di eliminazione o riduzione della ritenuta A riprova della portata generale di tale conclusione va ricordato che in passato la Corte aveva già stabilito – superando quanto afferma in precedenza (Cass., sent. n. 4600/2009) – che nel caso di redditi percepiti dal relativo beneficiario effettivo tramite soggetti interposti, la Convenzione applicabile non era quella tra l’Italia e lo Stato di residenza del percipiente del reddito, ma quella con lo Stato di residenza del beneficiario effettivo giacché è su questi che si verifica la doppia imposizione, diversamente neutralizzata in capo all’intermediario in forza della corrispondenza tra redditi incassati e pagati (Cass., sent. n. 24288/2019).

Può così essere evidenziata, come ben testimoniato dalla sentenza in rassegna, la valenza (anche) difensiva della clausola del beneficiario effettivo, secondo la sua declinazione in base all’approccio look through, la cui utilità appare indubbia in tutti quei casi in cui l’accertamento erariale disconosca, come spesso accade, il diritto all’esenzione o riduzione della ritenuta in chiave antiabuso, senza però verificare se il reddito sia comunque imputabile ad un soggetto che aveva tutti i requisiti per beneficiare di tale esenzione o riduzione (Damiano V., Fondi di investimento “vigilati” extra-UE in cerca di esenzione, in il fisco, 2022, 27, 3561; Ballancin A., Direttrici evolutive della clausola del beneficiario effettivo: ritorno alle origini?, in Corr. trib., 2020, 5, 477). Si tratta di impostazione che, peraltro, ha trovato una recente conferma anche al di là dei confini nazionale nella giurisprudenza del Consiglio di Stato francese con la sentenza 20 maggio 2022, n. 44445, caso Planet, relativa ad un caso di pagamento di royalties nonché nei giudizi di rinvio avanti la Suprema Corte della Danimarca relativi alle citate sentenze Danesi (cfr. Gutmann D. – Austry S.,Tax Treaties and Beneficial Ownership: The Sté Planet Decision [Conseil d’Etat, 20 May 2022, Case No. 444451], in European Taxation, 11, 2022, 11, 501; Bjørnholm N., Final Danish Decision on Beneficial Ownership with Respect to Dividends Following the ECJ Decision in the “Danish Cases”, in European Taxation, 2023, 5, 208).

Ragionando in questi termini, la clausola del beneficiario effettivo, benché di fonte internazionale, non rappresenterebbe un corpo estraneo rispetto al nostro ordinamento essendo, infatti, riconducibile non all’art. 10-bis L. n. 212/2000, ma a quanto già da tempo previsto dall’art. 37 D.P.R. n. 600/1973 (sul punto Arginelli P., Spunti ricostruttivi della nozione di beneficiario effettivo ai fini delle convenzioni bilaterali per evitare le doppie imposizioni concluse dall’Italia, in Riv. dir. trib., 2017, 4, 29 ss.) che, peraltro, appare idoneo a rendere conto di entrambe le funzioni appena ricordare di tale clausola, ossia quale strumento di accertamento e quale diritto del contribuente. Infatti, con riferimento al primo profilo, viene subito in rilievo il comma 3 di tale disposizione, secondo cui «in sede di rettifica o di accertamento d’ufficio sono imputati al contribuente i redditi di cui appaiono titolari altri soggetti quando sia dimostrato, anche sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti, che egli ne è l’effettivo possessore per interposta persona». La possibilità per il contribuente di invocare tale clausola a proprio favore è confermata dal successivo comma 4 del medesimo articolo secondo cui «le persone interposte, che provino di aver pagato imposte in relazione a redditi successivamente imputati, a norma del comma terzo, ad altro contribuente, possono chiederne il rimborso». Pertanto, se le imposte pagate dall’interposto su redditi di terzi sono rimborsabili, in quanto non dovute dal primo, va da sé che l’interposto potrà far valere anche in via diretta, e quindi in sede di autoliquidazione del tributo, la mancata integrazione del presupposto del tributo; diversamente, non si spiegherebbe lo specifico diritto all’interpello previsto dal comma 5 del suddetto art. 37, il cui effetto è, evidentemente, quello di conoscere in via anticipata il parere dell’Agenzia delle Entrate su chi sia il possessore del reddito al fine, eventualmente, di adeguarvisi prima della presentazione della dichiarazione e liquidazione del tributo e, quindi, senza necessità di agire successivamente in via di rimborso. Inoltre, se letto in combinato disposto con l’art. 64 D.P.R. n. 600/1973, il predetto comma 4 dell’art. 37 legittima anche il sostituto d’imposta ad invocare la clausola del beneficiario effettivo a favore, non proprio, evidentemente, ma del sostituito.

Ciò detto occorre però chiedersi se la nozione di possesso richiamata dalla Corte di Cassazione sia coerente con la nozione di “beneficiario effettivo” elaborata dall’OCSE e operante a livello internazionale. A tal fine va ricordato che la nozione di “possesso del reddito”, attraverso cui, come visto, la Corte tenta di definire il concetto “alieno” di beneficiario effettivo, non ha mai ricevuto un’espressa definizione da parte del Legislatore. La dottrina è però concorde nel ritenere che il riferimento al “possesso” assolva all’imprescindibile esigenza di ricollegare il reddito al soggetto in un senso tale da cogliere l’effettività della manifestazione di capacità contributiva assoggettabile a prelievo. In tal senso, secondo una prima posizione, la nozione di possesso andrebbe ricostruita in chiave utilitaristica, ossia come potere di godere in via definitiva delle utilità del reddito, mentre secondo altri, quale potere di produrre il reddito in forza di una relazione giuridicamente qualificata di titolarità del bene da cui promana o per effetto dello svolgimento di una qualche attività (come quella d’impresa) (per un’analisi critica si veda, per tutti, Paparella F., Possesso di redditi ed interposizione fittizia, Padova, 2000).

Gli effetti dell’adesione all’una o all’altra teoria del possesso non sono irrilevanti. Infatti, seguendo la prima ricostruzione il possesso del reddito si trasferisce con un atto dispositivo del medesimo (determinando la perdita per il disponente delle utilità derivanti dal godimento del reddito), nel secondo, invece, solo se si trasferisce il titolo sulla fonte che conferisce il potere di produrre il reddito.

Ciò consente di evidenziare immediatamente come solo la nozione di possesso di tipo utilitaristico appaia coerente con quella internazionale di beneficiario effettivo elaborata dall’OCSE (e accolta nel complesso anche dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europa con le ricordate sentenze Danesi [C-115/16, C-118/16, C-119/16 e C-299/16, par. 89]) che, come visto, è incentrata sul potere di disporre del reddito e, fatto salvo il caso eccezionale dei CIV, non della fonte che lo produce. In aggiunta, la concezione utilitaristica del possesso pare in linea con la posizione di recente assunta dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 201/2020 che ha richiamato il principio affermato dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 433/2013 secondo cui il possesso indica «la riferibilità ad un soggetto di determinati redditi [e non, quindi, della loro fonte di produzione, n.d.a.] e la titolarità in capo a lui dei poteri di disposizione in relazione ad essi». Per individuare il possesso del reddito occorre, quindi, riferirsi, come richiesto dalla teoria utilitaristica, al potere di disporre non della sua fonte produttiva, ma del reddito in quanto tale; peraltro, visto che la Corte si riferisce alla “titolarità” di tale potere, la relativa perdita, con conseguente carenza dello status di beneficiario effettivo, dovrebbe essere apprezzata sul piano giuridico, ossia nei termini di un’obbligazione di ritrasferimento che, pur potendo in via eccezionale desumersi dai fatti (OCSE, Model Tax Convention on Income and on Capital, 2017, Art. 11, par. 10.2), deve pur sempre sussistere sul piano legale – contrattuale (come sembra peraltro confermare anche Cass. n. 3380/23, parr. 3.1-3-2; tuttavia, sul piano della giurisprudenza di legittimità, la questiona appare ancora incerta in quanto in molte altre circostanza la Cassazione ha preferito, sovrapponendo così la clausola del beneficiario effettivo ai profili di sostanza economica tipici, invece, dell’abuso del diritto, un approccio maggiormente incentrato sui profili economici, ritenendo sufficienti delle mere circostanze di fatto, come ad es., la piena corrispondenza tra reddito in entrata e reddito in uscita; si veda ex multis Cass., sent. n. 17746/2021, par. 3.1, n. 24287/2019, par. 1.3).

Rispetto alla teoria utilitaristica del possesso, come appena tratteggiata, la posizione espressa dalla Corte di Cassazione nella sentenza in rassegna merita, tuttavia, un correttivo.

I giudici affermano, infatti, che il «possesso del reddito» va «inteso come materiale disponibilità del medesimo» (par. 5.4), mentre per la teoria utilitaristica quel che conta è il potere di disporre del reddito, nel senso di godere in via definitiva delle relative utilità economiche. La differenza non è di poco conto in quanto, ad esempio, l’Agenzia delle Entrate ha escluso che i veicoli di cartolarizzazione abbiano il possesso dei redditi conseguiti, pur avendone la materiale disponibilità (in particolare secondo l’Agenzia «la presenza del vincolo di destinazione dei patrimoni “segregati” esclude a priori un profilo di possesso del reddito rilevante ai fini tributari», Risposta ad interpello n. 132/2021 nonché circ. n. 8/E/2003). Tuttavia, se si considera che nella Relazione ministeriale all’art. 1 D.P.R. n. 597/1973 il possesso del reddito veniva ricondotto alla sua “materiale disponibilità”, in contrapposizione alla mera “titolarità giuridica” del medesimo, il riferimento della Cassazione alla “materiale disponibilità” dovrebbe intendersi, visto che la Cassazione desume proprio dall’art. 1 TUIR la nozione di “possesso”, nel senso della “disponibilità effettiva” del reddito, ossia del potere di deciderne liberamente l’impiego. Tale ricostruzione appare corretta anche in ragione del fatto che il possesso, come peraltro sottolineato dalla ricordata pronuncia della Consulta, deve essere adattato alle varie categorie reddituali, e, quindi, deve poter valere anche con riferimento a redditi il cui criterio d’imputazione non è per cassa, ma per maturazione giuridica, per la quale, evidentemente, è del tutto irrilevante la materiale disponibilità.

Ricostruita in questi termini, la nozione di possesso utilizzata dalla Cassazione può ritenersi conclusivamente coerente con quella di beneficiario effettivo per come elaborata dall’OCSE risultando, quindi, in grado di preservarne la portata internazionale al di là della sua valenza anche tecnica sul piano della legislazione interna, ad esempio ai fini dell’art. 37 D.P.R. n. 600/1973. Dovrebbe comunque ravvisarsi una differenza tra il generale concetto di “possesso del reddito” e “beneficiario effettivo” nel senso che, in ragione dei contesti in cui quest’ultimo è utilizzato, lo scopo applicativo del secondo risulterebbe circoscritto ai casi in cui l’allocazione del reddito è funzione ad un ben preciso scopo: l’eliminazione della doppia imposizione di dividendi, interessi e royalties – il che spiegherebbe l’ancoraggio di tale nozione all’assenza di un obbligazione di ritrasferimento del reddito ricevuto per effetto della quale l’intermediario, non rimanendo di fatto inciso del reddito, non può subire alcun doppia imposizione; mentre il “possesso” ex art. 1 TUIR riguarderebbe, ovviamente, tutte le tipologie di redditi e non solo con riferimento alla loro doppia imposizione. Su tali basi dovrebbe, inoltre, dubitarsi della correttezza del già ricordato orientamento della Cassazione che individua le condizioni per l’applicazione della clausola del beneficiario effettivo sulla base del triplice test del “substantive business activity test”, del “dominion test” e del “business purpose test”, in quanto l’unica verifica rilevante sarebbe quella prevista dal “dominion test”.

4. Alla luce di quanto complessivamente osservato non sembra possa dubitarsi della portata generale – sebbene con le limitazioni sopra evidenziate – non solo della clausola del beneficiario effettivo, ma anche del suo addentellato “operativo”, ossia l’approccio look through.

Se, infatti, tale clausola opera attribuendo il reddito direttamente al soggetto che lo possiede, ignorando ogni entità interposta obbligata a ritrasferirlo al primo, allora, non è possibile identificare il beneficiario effettivo se non “guardando attraverso” tali entità e, quindi, il metodo look through non costituisce l’eccezione, ma la regola per la corretta applicazione di tale clausola; il che esclude, pertanto, che condizione per essere beneficiario effettivo di un reddito si debba anche esserne il percipiente diretto. Si tratta di un aspetto di fondamentale importanza poiché diversamente risulterebbero ontologicamente, e irragionevolmente, penalizzate le strutture di investimento o finanziamento indiretto.

Per tale ragione l’approccio look through costituisce anche un valido test per verificare la presenza di un indebito vantaggio fiscale: attribuendo direttamente il reddito al relativo beneficiario effettivo è, infatti, possibile verificare la presenza di un indebito vantaggio fiscale confrontando gli effetti fiscali, in termini di esenzione o riduzione della ritenuta, che si avrebbero ove l’interponente partecipasse o finanziasse direttamente la società che gli corrispondente il reddito oppure effettuasse il medesimo investimento o finanziamento utilizzando uno o più veicoli interposti; qualora in entrambi i casi sussista la medesima riduzione o esenzione dalla ritenuta, la presenza di un abuso del diritto nell’utilizzo dei veicoli interposti deve escludersi non sussistendo in tale caso alcun vantaggio fiscale, nel senso di ulteriore rispetto all’operazione alternativa rappresentata dal finanziamento o partecipazione diretti, e, dunque, men che meno di natura indebita censurabile ai sensi dell’art. 10-bis L. n. 212/2000 (per una più diffusa analisi delle ricadute di tali considerazioni, Brunelli F. – Tronci S. – Aquaro L., Osservazioni in tema di beneficiario effettivo e strutture d’investimento del private equity, in Riv. tel. dir. trib., 2022, 2, 565 ss.). Ciò dimostra che non necessariamente le strutture indirette sono abusive e, quindi, devono essere considerate quali alternative aventi tra loro pari dignità fiscale. Volendo esemplificare, una conferma in tal senso può essere rinvenuta nel caso, molto frequente, dei finanziamenti sindacati, ad esempio, mediante un accordo di sub participation, in cui la finalità perseguita non è di tipo fiscale, ma risponde all’obiettivo di trasferire il rischio dal lender ai sub-participant del mancato incasso, totale o parziale, dei crediti verso i borrowers.

Sarebbe, quindi, illogico penalizzare delle strutture di finanziamento che perseguono un genuino business purpose.

Generalizzando tale impostazione, una norma, come quella recata dal comma 3-bis dell’art. 27 D.P.R. n. 600/1973, che, senza menzionare la clausola del beneficiario effettivo, esenta, a certe condizioni, gli utili corrisposti a determinate categorie di OICR dalla ritenuta altrimenti prevista dal comma 1 del medesimo articolo, dovrebbe ritenersi applicabile anche nei confronti di OICR che, pur non incassando direttamente l’utile distribuito dalla società italiana, in quanto percepito, come avviene tipicamente, mediante una o più holding intermedie, ne risultino comunque beneficiari effettivi soddisfacendo tutti i requisiti posti da tale disposizione – peraltro per le già ricordate ragioni di non discriminazione, tale conclusione deve ritenersi applicabile anche verso i fondi extraUE (sul tema, v. più in generale Salvati A., Questioni in tema di clausola del beneficiario effettivo e holding di partecipazione, in Il Nuovo Diritto delle Società, 2025, 3, 516 ss.). Inoltre, così interpretata, tale disposizione confermerebbe, a riprova della duplice funzione dell’approccio look through, che ove la holding soddisfi i requisiti per l’esenzione dalla ritenuta ai sensi dell’art. 27-bis D.P.R. n. 600/1973, attuativo come noto della Direttiva Madre-Figlia (n. 2011/96/UE), tale regime non potrebbe essere disconosciuto sulla base della clausola antiabuso recata dall’art. 10-bis L. n. 212/2000; infatti, anche laddove tale società holding dovesse risultare priva di sostanza economica, e fosse l’OICR il beneficiario effettivo dei dividendi, mancherebbe l’elemento dell’indebito vantaggio fiscale, necessario, come noto, per l’applicare il predetto art. 10-bis, giacché “guardando attraverso” la società holding, il reddito verrebbe attribuito esclusivamente all’OICR che, a sua volta, per effetto del suddetto comma 3-bis non avrebbe comunque subito la ritenuta.

Un possibile limite alla piena generalizzazione dell’approccio look through può, tuttavia, essere ravvisata nel fatto che il piano dei rapporti partecipativi è concettualmente distinto da quello dell’attribuzione del reddito. Infatti, anche nel caso in cui la società B, interposta tra la propria subsidiary A e il proprio unico socio C, venga considerata “trasparente”, sul piano legale la società A continuerebbe comunque ad essere solo indirettamente partecipata da C.

La questione non è nuova in quanto si è tradizionalmente posta rispetto alla Direttiva Interessi & Royalties (n. 49/2003/CE) che, così come l’art. 26-quater D.P.R. n. 600/1973 con cui è stata attuata sul fronte interno, subordina espressamente l’esenzione dalla ritenuta alla condizione, inter alia, che gli interessi o le royalties siano pagati, da un lato, al socio diretto (o tra società sorelle partecipate direttamente dal medesimo socio) e, dall’altro, al relativo beneficiario effettivo. L’approccio look through non consentirebbe, quindi, in caso di finanziamento indiretto di beneficiare di tale esenzione poiché, una volta che il reddito sia attribuito all’interponente quale suo beneficiario effettivo, il medesimo non risulterebbe comunque pagato al socio diretto (Fernandes S.M. – Bernales R. – Goeydeniz S. – Michel B. – Popa O. – Santoro E., A Comprehensive Analysis of Proposals To Amend the Interest and Royalties Directive -Part 1, in European Taxation, 2011, 9, 412).

Tant’è che in passato la Corte di Cassazione, proprio valorizzando il dato letterale dell’art. 26-quater, e la sua conformità a quello della Direttiva, ha escluso che ai fini del corrispondente regime di esenzione sia applicabile l’approccio look through dovendo, quindi, il beneficiario effettivo coincidere con il socio diretto della società debitrice; ciò anche perché, secondo la Corte, il regime della Direttiva avrebbe natura agevolativa e, quindi, non prestandosi così ad interpretazioni estensive (Cass., sent. n. 14905/2023, n. 6005/2023 e n. 24297/2019). Sennonché come correttamente osservato dalla Cassazione nella più sentenza qui in rassegna, «il regime previsto dall’art. 26, comma 5-bis appare […] finalizzato al medesimo obiettivo – l’eliminazione del rischio di doppia imposizione – che ha ispirato l’introduzione dell’art. 26-quater in recepimento della Direttiva IRD [i.e. Interessi & Royalties]» (par. 5.5). Pertanto, come osservato in dottrina, il vincolo della partecipazione diretta, peraltro non presente nella originaria proposta della Direttiva, non troverebbe una chiara giustificazione, se non sul piano della salvaguardia del gettito riducendo i casi di applicazione dell’esenzione; infatti, contravvenendo alle finalità della stessa Direttiva, tale vincolo determina un’irragionevole doppia imposizione sugli interessi pagati all’interno del medesimo gruppo e tra i medesimi soggetti (Di Staso M. – Russo R., The EC Interest and Royalties Directive – A Comment, in European Taxation, 2004, 4, 146). In un’ottica sostanzialistica si potrebbe così sostenere che l’approccio look through debba operare anche sul piano dei rapporti partecipativi consentendo così di applicare la Direttiva Interessi & Royalties, coerentemente alla sua ratio, anche ai finanziamenti indiretti che ne soddisfano i relativi requisiti. Tuttavia, nel caso del pagamento degli interessi, diversamente da quello dei dividendi, la canalizzazione del relativo flusso finanziario è indipendente dai rapporti partecipativi e quindi, in una situazione in cui C partecipa B che partecipa a sua volta A, non sembra possibile inferire, dal fatto che C è il beneficiario effettivo dei redditi pagati da A a B e da questi ritrasferiti a C, che tra A e C vi è, anche solo ai fini fiscali, un rapporto partecipativo diretto (si vedano, anche ai fini dei possibili conflitti di allocazione sul piano pattizio derivanti dall’approccio look through, Gutmann D. – Austry S.,Tax Treaties and Beneficial Ownership: The Sté Planet Decision [Conseil d’Etat, 20 May 2022, Case No. 444451], in European Taxation, 2022, 11, 504).

In quest’ottica non pare di facile inquadramento la portata del principio affermato dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea nella sentenza Danese (cause riunite C -115/16, C-118/16, C-119/16 e C-299/16) relativa alla Direttiva Interessi & Royalties secondo cui «la sola circostanza che la società percettrice degli interessi in uno Stato membro non ne sia il “beneficiario effettivo” non esclude necessariamente l’applicabilità dell’esenzione prevista dall’articolo 1, paragrafo 1, della direttiva 2003/49. È, infatti, concepibile che gli interessi medesimi siano esentati a tal titolo, nello Stato della fonte, nel caso in cui la società percettrice ne trasferisca l’importo ad un beneficiario effettivo stabilito nell’Unione che risponda peraltro a tutti requisiti indicati dalla direttiva 2003/49 ai fini del beneficio dell’esenzione» (par. 94).

L’ipotesi più plausibile, quanto meno in termini di coerenza rispetto al fatto che la Corte di Giustizia non ha in alcun modo rilevato l’incompatibilità del vincolo della partecipazione diretta con il diritto unionale, sarebbe quella di ritenere che se, come espressamente affermato da tale Corte, il beneficiario effettivo deve soddisfare «tutti i requisiti indicati dalla Direttiva 2003/49 (enfasi aggiunta)», allora il principio in commento risulterebbe valido solo nel caso in cui il soggetto a cui vengono ritrasferiti gli interessi, ossia il beneficiario effettivo, sia un altro socio diretto della medesima società figlia rispetto a quello a cui gli interessi sono stati pagati direttamente da tale società; tuttavia, trattandosi di un’ipotesi di scarsa rilevanza pratica, una simile ricostruzione renderebbe di fatto lettera morta (o quasi) il principio enunciato dalla Corte di Giustizia. Più in genere così formulata, e interpretata, la Direttiva produrrebbe un effetto antitetico rispetto al principio, che non sembra revocabile in dubbio, secondo cui le strutture di finanziamento diretto e indiretto vanno in generale considerate aventi pari dignità fiscale ove il beneficiario effettivo degli interessi soddisfi comunque tutti i requisiti per l’esenzione o riduzione della ritenuta.

In conclusione, data la finalità della Direttiva e il suo inequivocabile dato letterale, che non pare superabile sul piano interpretativo (essendo fin troppo evidente che il significato del termine “diretto” non può ricomprendere anche quello di “indiretto”), il superamento del vincolo della partecipazione diretta appare possibile soltanto in una prospettiva de iure condendo e in tale ottica il ricordato principio indicato dalla Corte di Giustizia costituirebbe al più un monito al legislatore unionale affinché modifichi il testo della Direttiva – eventualmente sulla spinta di uno specifico rinvio pregiudiziale sul punto – eliminando tale vincolo così da consentire che attraverso l’approccio look through possa essere data piena efficacia agli scopi perseguiti dalla Direttiva, ossia rimuovere la doppia imposizione (giuridica) sugli interessi cross-border pagati tra imprese associate.

5. L’analisi compiuta ha evidenziato come la sentenza n. 4427/2025 della Corte di Cassazione qui in rassegna, rappresenti un importante punto di svolta ai fini di una corretta comprensione del significato e ruolo della clausola del beneficiario effettivo che va ben al di là delle, pur importanti, precisazioni fornite con riferimento al comma 5-bis dell’art. 26 D.P.R. di cui, finalmente, si è accolta l’applicazione secondo l’approccio del look through, superando così l’avversa tesi dell’Agenzia delle Entrate. Si è visto, infatti, che i principi enucleati dalla Corte con riferimento a tale disposizione, ossia che la clausola del beneficiario effettivo ha ad oggetto il possesso del reddito nel senso assunto dal TUIR, risultando perciò applicabile anche a favore del contribuente secondo il predetto approccio look through, hanno un chiaro respiro sistematico di portata generale. Ciò rivela, peraltro, la duplice natura del metodo look through: sia quale approccio per l’attribuzione del reddito, sia quale test per verificare la presenza di un abuso del diritto laddove sia in gioco l’alternativa tra investimento o finanziamento diretto e indiretto.

Non resta, quindi, che augurarsi che la Cassazione prosegua lungo questa via evitando di utilizzare, come invece spesso accade, tale clausola alla stregua di una norma antiabuso generale legittimando così l’applicazione, sotto mentite spoglie, dell’art. 10-bis L. n. 212/2000. Le due clausole hanno, infatti, presupposti diversi (si pensi ad es. al caso di una società priva di sostanza economica, ma che non ritrasferisce i redditi ricevuti al socio, in tal caso la clausola del beneficiario effettivo è chiaramente inapplicabile, ma la fattispecie potrà comunque essere censurata ai sensi dell’art. 10-bis); tant’è che la prevenzione delle condotte abusive, anche sul fronte internazionale, è tassativamente affidata ad altri strumenti come la limitation on benefits clause o, più in generale, il principal purpose test ora formalmente incluso anche nel Modello OCSE di Convenzione (2017). Inoltre, l’utilizzo della clausola del beneficiario effettivo in un’ottica antiabuso, senza però la diretta applicazione dell’art. 10-bis, deve ritenersi illegittimo anche sul piano procedimentale poiché comporta l’elusione, a danno del contribuente, delle specifiche garanzie previste da tale articolo (su tali profili si vedano ex multis Weber D., EU beneficial ownership further developed: a view from a different angle, in World Tax Journal, 2022, 2, 68; Assonime, Dividendi “in uscita”: le nozioni di beneficiario effettivo e di abuso del diritto alla luce delle sentenze della Corte di Giustizia UE [c.d. “sentenze danesi”], Studio n. 10/2020, 13; Assonime, Flussi transfrontalieri di interessi e royalties: le nozioni di beneficiario effettivo e di abuso del diritto alla luce delle sentenze della Corte di Giustizia Ue [c.d. “sentenze danesi”], Studio n. 13/2020, 6; Arginelli P. – Tenore M., Key Decision of the Italian Supreme Court on the Relationship between the Concepts of Beneficial Ownership and Abuse of Tax Treaties, in Bulletin for International Taxation, 2022, 5, 261; Giannelli A., Finanziamenti “a cascata” ed esenzione dalla ritenuta sugli interessi ex art. 26-quater D.P.R. n. 600/1973: l’assenza di un congruo margine (mark up) in capo alla società holding non implica di per sé la carenza del requisito del beneficiario effettivo, cit.; Du Toit C.P., Beneficial Owner: The Enigma Storms Ahead, in Bullentin for International Taxation, 2021, 11/12, 618).

(*) Il saggio è stato sottoposto a double blind peer review con valutazione positiva. Esso confluirà nel fascicolo n. 1/2025 (semestrale) della Rivista telematica di diritto tributario.

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