Sul concorso del consulente tributario con il trasgressore organico agli enti collettivi: critica alla giurisprudenza creativa

Di Michele Mauro -

(commento a/notes a Cass., 25 marzo 2025, n. 7948 e n. 7951)

Abstract (*)

Con l’art. 7 D.L. n. 269/2003, il cui regime è stato esteso dal D.Lgs. n. 87/2024 a tutte le società o enti, il legislatore, derogando il principio personalistico, secondo cui la sanzione è riferita alla persona che materialmente ha commesso o concorso a commettere l’illecito, ha inteso punire direttamente l’ente, per avere consentito la violazione fiscale a proprio vantaggio (c.d. “colpa organizzativa”). Di conseguenza, al fine di configurare il concorso di persone nell’illecito, non assume rilievo la qualifica di soggetto interno o esterno (i.e. il consulente) all’ente. Non appare, dunque, condivisibile il revirement della giurisprudenza di legittimità, secondo cui l’esclusione della sanzione ex art. 7 D.L. n. 269/2003 deve intendersi riferita soltanto alle persone fisiche, legate alla società da un rapporto organico (“di diritto” o “di fatto”), ma non ai terzi esterni all’ente, tra cui il consulente, che abbiano concorso alla commissione dell’illecito ex art. 9 D.Lgs. n. 472/1997.

On the complicity of the tax consultant with the organic offender in collective entities: criticism of creative jurisprudence – With Article 7 of Decree-Law No. 269/2003, extended by Decree-Law No. 87/2024 to all companies, the legislator, derogating to the personalistic principle, according to which the sanction is referred to the person who materially committed or concurred in committing the offence, intended to directly punish the company, for allowing the tax violation to its own advantage (so-called “guilt of organization”). Therefore, in order to affirm the complicity in tax violations, the status of an internal or external party (i.e., the consultant) to the company does not assume significance. So, it is not acceptable the “revirement” of the jurisprudence of legitimacy, according to which the exclusion of the sanction of Article 7 Decree Law No. 269/2003 must be understood to refer only to persons, linked to the company by an organic relationship (de jure or de facto), but not to persons external to the company, including the consultant, who have contributed to the commission of the offence sanctioned by Article 9 Decree Law No. 472/1997.

 

Sommario: 1. Il consolidato revirement della Cassazione sul concorso del consulente negli illeciti tributari sanzionati a carico di enti collettivi. – 2. Critica della tesi giurisprudenziale: la ratio della rimproverabilità della condotta nelle violazioni tributarie relative al rapporto fiscale proprio di enti collettivi. – 3. L’insanabile contrasto della tesi giurisprudenziale con l’attuale art. 21-bis D.Lgs. n. 74/2000.

1. Con altre due pronunce recenti (Cass., 25 marzo 2025, n. 7948 e n. 7951) la Corte di Cassazione ha ribadito il proprio revirement (Cass., 25 luglio 2024, n. 20697; Cass., 30 luglio 2024, n. 21122; Cass., 28 agosto 2024, n. 23229) sulla compatibilità del concorso del consulente negli illeciti amministrativi tributari con la regola di cui all’art. 7 D.L. n. 269/2003 (ora riprodotta, per tutte le società o enti, all’art. 2, comma 2-bis, D.Lgs. n. 472/1997), che riferisce la sanzione pecuniaria esclusivamente alla società o ente con personalità giuridica.

Il mutamento di indirizzo è segnato dalle sentenze n. 20697 e n. 21122 del luglio 2024, in base alle quali l’esclusione della sanzione ex art. 7 D.L. n. 269/2003 è riferita soltanto alle persone fisiche legate alla società da un rapporto organico (“di diritto” o “di fatto”), ma non ai terzi esterni all’ente, tra cui il consulente, che abbiano concorso alla commissione dell’illecito ex art. 9 D.Lgs. n. 472/1997.

Il complesso percorso argomentativo rimarcato dalla Suprema Corte è sostanzialmente il medesimo. Dopo aver sottolineato che in materia di sanzioni amministrative tributarie vige il principio (mutuato dal diritto penale) della responsabilità personale dell’autore della violazione (previsto dall’art. 2, comma 2, D.Lgs. n. 472/1997), i giudici di legittimità – nelle sentenze del 2025 – hanno evidenziato che, in deroga a tale principio (nonché in deroga all’art. 11 D.Lgs. n. 472/1997 che, nella versione vigente ratione temporis, prevedeva la responsabilità solidale delle società nel cui interesse ha agito la persona fisica autrice della violazione), l’art. 7 D.L. n. 269/2003 (convertito nella L. n. 326/2003) ha eccezionalmente stabilito che le sanzioni amministrative relative al rapporto fiscale proprio di società od enti con personalità giuridica sono esclusivamente a carico della persona giuridica. In linea con consolidati precedenti (cfr., tra le altre, Cass., 20 ottobre 2021, n. 29038; Cass., 22 novembre 2021, n. 36003; Cass., 25 luglio 2022, n. 23231), secondo la Cassazione l’applicazione di quest’ultima disposizione presuppone che la persona fisica, autrice della violazione, abbia agito nell’interesse e a beneficio della società rappresentata o amministrata, poiché solo la ricorrenza di tale condizione giustifica il fatto che la sanzione pecuniaria, in deroga al principio personalistico, non colpisca l’autore materiale della violazione, ma sia posta in via esclusiva a carico del diverso soggetto giuridico, quale effettivo beneficiario delle violazioni tributarie commesse dal proprio rappresentante o amministratore. Viceversa, qualora risulti che il rappresentante o l’amministratore della società con personalità giuridica abbiano agito nel proprio esclusivo interesse, utilizzando l’ente quale schermo interposto (fittizio o reale) per sottrarsi alle conseguenze degli illeciti tributari commessi a proprio personale vantaggio, viene meno la ratio che giustifica l’applicazione dell’art. 7 in argomento e, in applicazione dell’art. 37, comma 3, D.P.R. n. 600/1973, la sanzione amministrativa pecuniaria colpisce la persona fisica autrice dell’illecito (precisamente, nella sentenza n. 7948/2025 la Suprema Corte, richiamando la precedente pronuncia n. 33457/2023, ha sottolineato che la fattispecie di cui all’art. 37, comma 3, D.P.R. n. 600/1973, secondo cui «In sede di rettifica o di accertamento d’ufficio sono imputati al contribuente i redditi di cui appaiono titolari altri soggetti quando sia dimostrato, anche sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti, che egli ne è l’effettivo possessore per interposta persona», mira a riallineare l’attività svolta da un altro soggetto sull’effettivo percettore dei redditi).

Dopo tali premesse, si è innestato il “creativo” revirement secondo cui l’art. 9 D.Lgs. n. 472/1997, che regola il concorso di persone nell’illecito in maniera sovrapponibile all’art. 110 c.p., rappresenta una disposizione compatibile con l’art. 7 D.L. n. 269/2003, per cui è da ritenersi configurabile, ove sussistano tutti gli elementi costitutivi, il concorso di terzi nelle violazioni tributarie relative alle società con personalità giuridica (al contrario, in precedenza la Suprema Corte aveva costantemente affermato che, in tema di violazioni tributarie, ai sensi dell’art. 7 D.L. n. 269/2003, le sanzioni amministrative erano esclusivamente a carico della persona giuridica contribuente, titolare del rapporto tributario, con esclusione della responsabilità delle persone fisiche – tra cui proprio il consulente – per concorso nell’illecito, indipendentemente dalla sussistenza di un rapporto organico delle medesime con l’ente, mentre restavano sanzionabili, ex art. 9 D.Lgs. n. 472/1997, i concorrenti esterni rispetto alla violazione tributaria commessa da soggetti privi di personalità giuridica: cfr. Cass., 22 maggio 2020, n. 9448, cui hanno fatto seguito le successive pronunce nn. 9449, 9450, 9451; Cass., 28 aprile 2022, n. 13232; Cass., 6 maggio 2022, n. 14364; Cass., 13 luglio 2023, n. 20146). Pertanto i soggetti terzi, e segnatamente il consulente nei casi esaminati, sono sanzionabili in via amministrativa a titolo di concorso negli illeciti relativi al rapporto fiscale proprio di società o ente con personalità giuridica, anche dopo l’entrata in vigore del D.L. n. 269/2003.

Il perno del rinnovato orientamento è costituito dalla distinzione tra i soggetti legati all’ente da un rapporto organico (i.e. amministratore “di diritto” o “di fatto”) rispetto ai soggetti esterni, per i quali l’istituto del concorso di persone, di cui all’art. 9 D.Lgs. n. 472/1997, rientrerebbe tra le disposizioni compatibili con l’art. 7 D.L. n. 269/2003, ai sensi del terzo comma di quest’ultima disposizione.

In tal senso depone, ad avviso della Suprema Corte, la nozione di “rapporto fiscale” proprio di società o enti cui si riferisce il menzionato art. 7, nonché l’avverbio “esclusivamente” previsto al fine di ricondurre le sanzioni amministrative soltanto a carico della persona giuridica.

Si tratta, come specificato nelle pronunce in commento, di precisazioni testuali da interpretare in maniera sistematica, nel senso di escludere dal campo di applicazione dell’art. 7 le persone fisiche che, non agendo in nome e per conto della persona giuridica, abbiano comunque concorso alla realizzazione della violazione tributaria, in virtù di un rapporto, con la persona giuridica, diverso da quello di immedesimazione organica (di diritto o di fatto).

Inoltre, sempre ad avviso dei giudici di legittimità, una diversa conclusione provocherebbe una disparità di trattamento tra il terzo che concorre nell’illecito di una persona fisica rispetto al terzo che concorre in una violazione punita a carico di un ente con personalità giuridica.

Peraltro le due sentenze più recenti (Cass. n. 7948 e n. 7951 del 25 marzo 2025) hanno disatteso l’orientamento maggiormente restrittivo adottato con la pronuncia n. 23229/2024, in cui la Suprema Corte aveva circoscritto le ipotesi di configurabilità del concorso del consulente, riferendole ai soli casi in cui al terzo fosse addebitabile l’interesse, nella condotta illecita, di perseguire personali “specifici” vantaggi, distinti da quelli propri della società contribuente.

Precisamente, l’autonomo e distinto beneficio che il terzo otteneva dalla violazione tributaria, costituiva, secondo la richiamata decisione del 2024, un requisito necessario per affermare la compatibilità della disciplina sul concorso di persone, di cui all’art. 9 D.Lgs. n. 472/1997, con le previsioni dell’art. 7 D.L. n. 269/2003, come previsto dal comma 3 di quest’ultima disposizione.

A tal fine, con specifico riferimento al consulente della società, era dunque necessario dimostrare che il concorrente ottenesse un autonomo vantaggio distinto dal compenso professionale percepito (anch’esso inquadrabile in una condotta esclusivamente finalizzata a conseguire benefici per la società), consistente in un quid pluris, cioè in utilità che andassero oltre il corrispettivo della prestazione professionale, traducendosi in una diretta e comune finalità di concorso nell’attuazione di condotte finalizzate ad ottenere vantaggi economici indebiti, mediante il compimento di illeciti fiscali.

Orbene, i riportati orientamenti giurisprudenziali, sebbene sorretti da articolate argomentazioni, non appaiono condivisibili. Di seguito saranno formulate talune considerazioni critiche alla luce delle quali si ritiene di escludere la configurabilità del concorso esterno (i.e. del professionista) negli illeciti tributari dai quali scaturiscono sanzioni irrogate direttamente nei confronti dell’ente.

2. Per cogliere le criticità dell’articolata tesi giurisprudenziale occorre muovere dalla ratio della responsabilità dell’ente collettivo – introdotta dall’art. 7 D.L. n. 269/2003 ed estesa, dal D.Lgs. n. 87/2024, a tutte le società o enti, anche privi di personalità giuridica – al fine di chiarire il requisito della rimproverabilità della condotta.

Preliminarmente è bene rammentare che il sistema delle sanzioni amministrative tributarie, disciplinato dal D.Lgs. n. 472/1997, si fonda sui principi di ispirazione penalistica (cfr., tra gli altri, Lupi R., Prime osservazioni sul nuovo sistema delle sanzioni amministrative tributarie, in Rass. trib., 1998, 2, 328 ss.; Marongiu G., La nuova disciplina delle sanzioni amministrative tributarie, in Dir. prat. trib., 1998, 2, I, 264 ss.; Tosi L., Profili soggettivi della disciplina delle sanzioni tributarie, in Rass. trib., 1999, 5, 1328 ss.; Giovannini A., Sui principi del nuovo sistema sanzionatorio non penale in materia tributaria, in Dir. prat. trib., 1997, I, 1188 ss.; Del Federico L., Introduzione alla riforma delle sanzioni amministrative tributarie: i principi sostanziali del D.Lgs. n. 472/1997, in Riv. dir. trib., 1999, 2, I, 107 ss.; Batistoni Ferrara F., Principio di responsabilità, elemento soggettivo e responsabilità del contribuente, in Dir. prat. trib., 1999, 5, I, 1509 ss.; Cordeiro Guerra R., [voce] Sanzioni amministrative tributarie, in Digesto disc. priv., sez. comm., Agg., Torino, 2017, 456 ss.), tra i quali risalta quello personalistico, secondo cui la sanzione è riferita alla persona che materialmente ha commesso o concorso a commettere l’illecito (art. 2, comma 2). Ciò non ha consentito di escludere, con una qualche malcelata incoerenza (cfr. Falsitta G., Confusione concettuale e incoerenza sistematica nella recente riforma delle sanzioni tributarie non penali, in Riv. dir. trib., 1998, 5, I, 475 ss.), che ove l’autore della violazione non coincida con il soggetto beneficiario dell’illecito, quest’ultimo risponda in via solidale della sanzione.

Pertanto, il regime di responsabilità sanzionatoria degli enti collettivi, a seguito della riforma attuata con il D.Lgs. n. 87/2024, pur avendo superato le censure di irragionevole disparità di trattamento tra enti con o senza personalità giuridica (come ampiamente noto, l’art. 7 D.L. n. 269/2003 aveva previsto che, limitatamente alle sanzioni amministrative relative al rapporto fiscale proprio di società o enti con personalità giuridica, erano esclusivamente quest’ultimi soggetti a rispondere della sanzione. Secondo una parte della dottrina, l’art. 7 individuava nella persona giuridica un soggetto di diritto autonomamente capace di essere destinatario di sanzioni e di compiere illeciti amministrativi, permettendo di imputare all’ente medesimo la commissione dell’illecito: cfr., di recente, Ronco S.M., Limiti alla riferibilità della sanzione alla persona giuridica, principio del beneficio e rilievo dell’autore materiale: considerazioni e prospettive di riforma, in Riv. dir. trib., 2018, 5, I, 595 ss., ove ampi riferimenti dottrinari. Tale imputazione era giustificata proprio dal fatto che il vantaggio economico della violazione ricade sull’ente, che soddisfa l’interesse di un illecito risparmio di imposta), si scontra tuttora, prima facie, con il principio personalistico, che da tempo ha alimentato il dibattito sul “doppio binario” del sistema sanzionatorio, alla base del sincretismo dei modelli concettuali di riferimento (cfr., tra i tanti, Marongiu G., Le sanzioni amministrative tributarie: dall’unità al doppio binario, in Riv. dir. trib., 2004, 3, 414 ss.; Gallo F., L’impresa e la responsabilità per le sanzioni amministrative tributarie, in Rass. trib., 2005, 1, 19 ss.; Peverini L., Brevi riflessioni in tema di responsabilità dell’amministratore di società per le sanzioni amministrative tributarie, in Rass. trib., 2022, 4, 845 ss., il quale ha osservato che il coordinamento tra i principi generali della responsabilità personale e la responsabilità dell’ente per la sanzione realizzava un bilanciamento tra i criteri penalistici ispiratori della riforma e gli interessi erariali a contrastare il fenomeno dell’evasione, incassando comunque la sanzione per il tramite delle obbligazioni poste in capo all’ente, pur formalmente non identificato come destinatario dell’irrogazione della misura punitiva).

Difatti, con riguardo alla responsabilità per la sanzione pecuniaria applicabile (anche a seguito della riforma) alle persone fisiche, restano in vigore le previsioni (opportunamente adattate) dell’art. 11 D.Lgs. n. 472/1997 che, coinvolgendo nella responsabilità soggetti diversi dall’autore materiale della violazione (i quali possono anche accollarsi l’obbligazione sanzionatoria), aggira comunque il principio della responsabilità personale, attuando una forma occulta di responsabilità oggettiva.

Peraltro, parte della dottrina non ha mai condiviso la scelta del legislatore del 1997 di far proprio, in linea generale, l’antico brocardo societas delinquere non potest (v., tra gli altri, Falsitta G., Confusione concettuale e incoerenza sistematica nella recente riforma delle sanzioni tributarie non penali, cit., 475 ss.; Tabet G., Considerazioni introduttive, in Tabet G., a cura di, La riforma delle sanzioni amministrative tributarie, Torino, 2000, 10).

Già in tempi risalenti è stato osservato come né il principio della responsabilità personale né quello di colpevolezza avrebbero costituito un ostacolo insormontabile alla introduzione di misure sanzionatorie di carattere patrimoniale a carico dell’ente collettivo (cfr. Bricola F., Il costo del principio “societas delinquere non potest” nell’attuale dimensione del fenomeno societario, in Riv. it. proc. pen., 1976, 951).

Pertanto, l’esigenza di concentrare le sanzioni sul soggetto che avesse tratto effettivo beneficio dalla violazione perpetrata ha indotto il legislatore, con l’art. 7 D.L. n. 269/2003 (convertito, con modificazioni, dalla L. n. 326/2003), a stabilire che le sanzioni amministrative relative al rapporto fiscale proprio di società o enti con personalità giuridica fossero esclusivamente a carico della persona giuridica.

Tale assunto è confermato dal recente intervento riformatore e, in specie, dal nuovo comma 2-bis dell’art. 2 D.Lgs. n. 472/1997, in cui è previsto che, qualora sia accertato che la persona giuridica, la società o l’ente privo di personalità giuridica sono fittiziamente costituiti o interposti, la sanzione è irrogata nei confronti della persona fisica che ha agito per loro conto (cfr., con riferimento a tale novità normativa, Del Federico L., La riforma delle sanzioni amministrative: profili generali e principi di novità, in Giovannini A., a cura di, La riforma fiscale. I diritti e i procedimenti, Vol. III Accertamento, sanzioni e rapporti tra processi, Pisa, 2024, 188).

La disposizione recepisce il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità in tema di enti con personalità giuridica costituiti per fini illeciti (cfr., tra le tante, Cass., 11 novembre 2022, n. 34434; Cass. civ., 6 giugno 2022, n. 18116. L’orientamento è ribadito anche nelle prime pronunce oggetto di revirement sulla configurabilità del concorso del consulente in caso di sanzioni irrogate a società con personalità giuridica: v. Cass. n. 20697/2024; Cass. n. 21122/2024; Cass. n. 23229/2024), sanzionando il trasgressore (socio o amministratore, “di diritto” ovvero “di fatto”) che, a prescindere dalla carica sociale rivestita, abbia tratto personalmente un vantaggio economico dall’illecito.

In particolare, la richiamata giurisprudenza ha inteso punire direttamente il soggetto che abbia agito nel proprio esclusivo interesse, utilizzando l’ente con personalità giuridica come schermo per sottrarsi alle conseguenze degli illeciti tributari commessi a proprio vantaggio. In simili circostanze, è stato disapplicato il disposto dell’art. 7 D.L. n. 269/2003 in favore dell’art. 37, comma 3, D.P.R. n. 600/1973, in base al quale il reddito della società interposta e la conseguente sanzione sono imputati all’effettivo possessore.

È chiaro, dunque, che l’interpretazione giurisprudenziale, da cui origina l’intervento riformatore, si fonda sull’assunto che l’ente, in quanto fittizio o interposto, dalla violazione perpetrata non abbia conseguito alcun vantaggio, inteso quale elemento contra ius.

Se appare indubbio che, in tali fattispecie, il consulente possa rispondere per concorso, al ricorrere di tutti i presupposti necessari (specie in termini di colpevolezza: cfr., amplius, Mauro M., La responsabilità tributaria del consulente, Milano, 2023, 77 ss.; Ricci C., il concorso di persone, in Giovannini A. – Di Martino A. – Marzaduri E., a cura di, Trattato di diritto sanzionatorio tributario. Diritto sanzionatorio amministrativo, tomo II, Milano, 2016, 1517), con la persona fisica (amministratore “di diritto” o “di fatto”) che abbia agito nel proprio esclusivo interesse, si ritiene invece di escludere che, ove l’ente sia l’effettivo destinatario della sanzione, il professionista possa essere attinto dalla responsabilità concorsuale.

Difatti, nei casi in cui abbia tratto effettivo beneficio dalla violazione, l’ente è in grado di subire il giudizio sulla propria condotta e colpevolezza, ricondotto all’omessa adozione delle misure preventive idonee ad evitare la violazione fiscale, e cioè alla cd. colpevolezza organizzativa.

Come risulta anche dal dichiarato obiettivo della riforma attuata con il D.Lgs. n. 87/2024 (in specie nel dossier parlamentare del 19 marzo 2024), l’ottica è quella di adeguare il sistema sanzionatorio tributario alla logica ordinamentale espressa dal D.Lgs. n. 231/2001, sulla responsabilità oggettiva degli enti collettivi (con o senza personalità giuridica).

Segnatamente, i principi attuati dal decreto de quo in materia di “responsabilità degli enti per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato”, mirano ad imputare la sanzione al soggetto (i.e. l’organismo produttivo) che effettivamente abbia tratto vantaggio dalla condotta illecita (cfr., di recente, Varazi F., Spunti in merito alla sanzionabilità [fiscale amministrativa] del soggetto che ha effettivamente tratto beneficio dalla violazione, in Boll. trib., 2020, 20, 1483 ss.). Pertanto, anche ai fini tributari, il giudizio sulla condotta dell’ente e sulla sua colpevolezza – giova ribadirlo – è riconducibile all’omessa adozione delle misure preventive idonee ad evitare la violazione fiscale. In questa prospettiva, peraltro, non è contraddetto il carattere afflittivo della sanzione tributaria, alla base della disciplina recata dal D.Lgs. n. 472/1992 (v. Alfano R., Sanzioni amministrative tributarie e tutela del contribuente, Napoli, 2020, 62 ss., ove riferimenti bibliografici), e, diversamente da quanto ritenuto dalla Suprema Corte nelle pronunce in commento, non si verifica alcuna disparità di trattamento con le persone fisiche, per le quali sussiste un diverso regime ai fini della punibilità, certamente compatibile con l’istituto del concorso di persone nell’illecito.

In altri termini, rifuggendo da ogni indagine circa la consapevolezza dei singoli partecipi alla commissione dell’illecito tributario (inteso quale struttura unitaria) in concorso tra loro, con l’art. 7 D.L. n. 269/2003 il legislatore ha ritenuto rimproverabile della violazione, per responsabilità oggettiva (in specie “colpa organizzativa”), esclusivamente la società o ente che ne ha tratto beneficio.

Risulta pienamente condivisibile, in conclusione, il precedente orientamento della giurisprudenza di legittimità (cfr., tra le altre, Cass., 22 maggio 2020, nn. 9448, 9449, 9450 e 9451; Cass., 13 novembre 2020, n. 25757; Cass., 7 settembre 2023, n. 26057), secondo cui la qualifica di soggetto “interno” o “esterno” (i.e. il professionista) all’ente non rileva al fine di individuare le fattispecie per le quali può realizzarsi il concorso di persone nell’illecito. Invero, l’inequivocabile dato testuale dell’art. 7 D.L. n. 269/2003, che ha inteso punire una forma di responsabilità oggettiva, esclude tout court l’operabilità dell’istituto, a prescindere da qualsivoglia rapporto (organico o meno) con l’ente.

3. L’attuale disciplina sull’efficacia delle sentenze penali nel processo tributario costituisce, ad avviso di chi scrive, un’ulteriore conferma dell’incompatibilità dell’istituto del concorso di persone (i.e. del consulente, ai sensi dell’art. 9 D.Lgs. n. 472/1997) con il disposto dell’art. 7 D.L. n. 269/2003.

In particolare, ai sensi dell’attuale art. 21-bis, comma 3, D.Lgs. n. 74/2000 (introdotto dal D.Lgs. n. 87/2024), nel processo tributario l’efficacia di giudicato della sentenza di assoluzione “perché il fatto non sussiste” produce effetti anche nei confronti della persona fisica nell’interesse della quale ha agito il dipendente, il rappresentante legale o negoziale, ovvero nei confronti dell’ente e della società (con o senza personalità giuridica) nell’interesse dei quali ha agito il rappresentante o l’amministratore anche di fatto, nonché nei confronti dei loro soci o associati.

La disposizione, estendendo gli effetti del giudicato penale favorevole (sui medesimi fatti materiali oggetto di valutazione nel processo tributario) nei confronti del soggetto rappresentato, rende non punibile per gli illeciti amministrativi sia l’autore della violazione, sia il soggetto (rappresentato) che ne ha beneficiato.

È, dunque, evidente che il legislatore, omettendo – nella disposizione de qua – ogni riferimento, tra i soggetti non punibili, al terzo concorrente nell’illecito (tra cui il consulente), ha di fatto confermato che la disciplina del concorso di persone nelle violazioni amministrative tributarie, di cui all’art. 9 D.Lgs. n. 472/1997, non è applicabile in nessuna delle ipotesi in cui l’autore della violazione non è considerato punibile, compresa quella degli illeciti sanzionati a carico di enti collettivi.

Invero, anche nei casi di illecito ascrivibile ad una persona fisica, ove l’istituto del concorso di persone è certamente operante, non si può configurare la responsabilità concorsuale del terzo qualora l’autore della violazione non sia punibile. Tale fattispecie è semmai riconducibile, al ricorrere degli elementi costitutivi previsti, alla figura dell’autore mediato di cui all’art. 10 D.Lgs. n. 472/1997, il quale stabilisce che «salva l’applicazione dell’art. 9 chi, con violenza o minaccia o inducendo altri in errore incolpevole ovvero avvalendosi di persona incapace, anche in via transitoria, di intendere e di volere, determina la commissione di una violazione ne risponde in luogo del suo autore materiale» (sulla figura dell’“autore mediato” cfr., tra i tanti, Cordeiro Guerra R., Concorso di persone ed autore mediato nella nuova disciplina delle sanzioni amministrative tributarie, in Rass. trib., 2000, 2, 395 ss.; Paparella F., La rilevanza dell’autore mediato, in Giovannini A. – Di Martino A. – Marzaduri E., a cura di, Trattato di diritto sanzionatorio tributario. Diritto sanzionatorio amministrativo, cit., tomo II, 1531 ss.). Quest’ultima figura, in specie, riveste rilevanza concettuale autonoma e derogatoria della fattispecie concorsuale, nel senso che la sua disciplina stabilisce i casi in cui è integrata la punibilità di uno soltanto dei concorrenti (tra cui, eventualmente, il consulente), così escludendo in radice la sussistenza del concorso con soggetto non punibile (in tal senso si è espressa anche l’Amministrazione finanziaria, che nella circ. n. 180/E/1998 ha affermato, con riferimento all’art. 9 D.Lgs. n. 472/1997, che «più che di salvezza, dovrebbe parlarsi, come per il codice penale, di deroga a tale norma, dal momento che viene stabilita la punibilità di uno soltanto dei concorrenti»).

Del resto, ove si propendesse per la tesi opposta, potrebbero verificarsi casi in cui il consulente, nonostante il giudicato penale favorevole al reo, finirebbe per essere l’unico soggetto cui eventualmente irrogare la sanzione tributaria, senza che peraltro abbia tratto alcun beneficio personale dall’evasione perpetrata. Ne deriverebbe, dunque, una irrazionale discriminazione tra la posizione del rappresentante (“di diritto” o “di fatto”) e del rappresentato, entrambi non punibili in sede amministrativa, e quella del consulente. Per quest’ultimo, viepiù, la responsabilità in ordine alle sanzioni sarebbe illegittimamente trasformata in una sorta di responsabilità oggettiva da posizione, in netto contrasto con i capisaldi del sistema sanzionatorio di cui al D.Lgs. n. 472/1997, ossia con l’intento di punire in primis l’autore della violazione (art. 2, comma 2, D.Lgs. n. 472/1997) e con l’elemento soggettivo della colpevolezza (art. 5 D.Lgs. n. 472/1997), che per il consulente è comunque disciplinato in senso restrittivo (il richiamato art. 5, al comma 1, prevede che «Le violazioni commesse nell’esercizio dell’attività di consulenza tributaria e comportanti la soluzione di problemi di speciale difficoltà sono punibili solo in caso di dolo o colpa grave»: v. Mauro M., Considerazioni critiche sul concorso del consulente negli illeciti amministrativi da elusione fiscale, in Riv. tel. dir. trib., 2023, 2, 802 ss.).

(*) Il saggio è stato sottoposto a double blind peer review con valutazione positiva. Esso confluirà nel fascicolo n. 1/2025 (semestrale) della Rivista telematica di diritto tributario.

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

Alfano R., Sanzioni amministrative tributarie e tutela del contribuente, Napoli, 2020

Batistoni Ferrara F., Principio di responsabilità, elemento soggettivo e responsabilità del contribuente, in Dir. prat. trib., 1999, 5, I, 1509 ss.

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