Sanzioni amministrative per violazioni tributarie e responsabilità concorsuale nel caso dei consulenti

Di Giovanna Petrillo -

(commento a/notes to Cass., sez. trib., 28 agosto 2024, n. 23229)

Abstract (*)

La Corte di Cassazione con la sentenza annotata interviene su una questione estremamente rilevante che involge, da un lato, l’identificazione del soggetto cui imputare la sanzione e, dall’altro, la possibilità che alla violazione concorrano più soggetti. La pronuncia rappresenta un’importante occasione di riflessione sul più ampio tema della responsabilità concorsuale, che è in continuo fermento tra logiche di repressione rispetto a condotte dotate di una particolare carica lesiva ed esigenze di affermazione della tipicità della condotta offensiva e di responsabilità per fatto proprio.

Administrative sanctions for tax violations and concurrent liability in the case of consultants – The Supreme Courte with the annotated judgment intervenes on an extremely relevant issue involving, on the one hand, the identification of the person to whom the penalty should be imputed; on the other, the possibility that more than one person may be involved in the violation. The judgment represents a useful opportunity for reflection, on the broader issue of concurrent liability, in constant ferment between the logic of repression with respect to conduct endowed with a particular injurious charge and the need for affirmation of the typicality of the offending conduct, and of liability for one’s own deed.

 

Sommario: 1. Il caso e le questioni. – 2. Il rapporto tra l’art. 7 D.L. n. 269/2003 e l’art. 9 D.Lgs. n. 472/1997: due aspetti ontologicamente differenti. – 3. La modulazione del concorso in coerenza con le finalità intrinseche dell’art. 7 D.L. n. 269/2003: prospettive e limiti.

1. Nel caso vagliato dalla Suprema Corte vi era un accertamento eseguito a carico di vari soggetti ritenuti coinvolti in una maxi-frode erariale, che era stata attuata mediante un consorzio e alcune società cooperative, appositamente costituite per conseguire vantaggi economici a mezzo di condotte illecite, nello specifico, mediante reclutamento di manodopera e un giro di fatture per operazioni inesistenti. L’Agenzia delle Entrate in sede di ricostruzione delle condotte tenute dagli amministratori, anche di fatto, delle società aveva rilevato l’attiva collaborazione di professionisti dotati di competenze specifiche e funzionali, quali commercialisti, consulenti del lavoro e società di elaborazione dati. In particolare, tra essi, era stata individuata una società di elaborazione dati, nella persona del suo legale rappresentante-professionista, che, secondo gli esiti della verifica, si ritenne aver conseguito cospicui vantaggi dall’attività di consulenza prestata, in particolare in favore di alcune società cooperative.

Il professionista aveva contestato gli addebiti dell’Amministrazione finanziaria impugnando gli atti irrogativi delle sanzioni davanti alla Commissione tributaria provinciale di Milano, che aveva tuttavia rigettato il ricorso.

La Commissione tributaria regionale della Lombardia, adita in appello, in riforma della pronuncia di primo grado, aveva invece annullato gli atti sanzionatori.

In particolare, il giudice regionale – richiamando alcuni precedenti arresti del giudice di legittimità – aveva argomentato che l’art. 7 D.L. 30 settembre 2003, n. 269, nel prevedere l’imputazione delle sanzioni amministrative – relative al rapporto fiscale proprio di società o enti con personalità giuridica – esclusivamente a carico della compagine sociale, impedisce la comminazione di sanzioni nei confronti «di altri soggetti e quindi dei consulenti, nonché degli amministratori o dipendenti di altre persone giuridiche».

L’Agenzia delle Entrate contestava la decisione, sostenendo che la pronuncia, affermando che soggetto passivo delle sanzioni è la sola società dotata di personalità giuridica, ex art. 7 D.L. n. 269/2003, era da censurare laddove escludeva il concorso del consulente di società di capitali, diversamente regolato dall’art. 9 D.Lgs. n. 472/1997.

Il giudice di legittimità ha giudicato errata la decisione del giudice di secondo grado, in quanto quest’ultimo, senza soffermarsi sulla condotta concretamente addebitata dall’Amministrazione finanziaria alla legale rappresentante della società, ha escluso la sua assoggettabilità alle sanzioni, invocando una interpretazione del citato art. 7 abrogatrice, di fatto, dell’art. 9 D.Lgs. n. 472/1997 in tutti i casi in cui la condotta del terzo si relazioni alla condotta illecita di società dotate di personalità giuridica in termini di “compartecipazione” interessata e autonoma rispetto alla condotta medesima.

Da ciò l’affermazione del seguente principio di diritto: «in tema di sanzioni amministrative relative al rapporto tributario, la ratio che giustifica ai sensi dell’art. 7, d.l. n. 269 del 2003, convertito con modificazioni in l. n. 326 del 2003, l’applicazione della sanzione alla sola società dotata di personalità giuridica non esclude il concorso del terzo nella condotta illecita, quando essa si concretizzi in una compartecipazione interessata e autonoma al perseguimento di finalità illecite, con conseguente applicazione nei suoi confronti dell’art. 9 del d.lgs. n. 472 del 1997».

2. La soluzione propugnata nel caso di specie dal giudice di legittimità s’innesta in un contesto di divergenti interpretazioni della disciplina di riferimento vigente ratione temporis, alcune maggiormente aderenti alla lettera dell’art. 7 sopra richiamato (Cass., 25 ottobre 2017, n. 25284; 13 novembre 2018, n. 29116; 23 aprile 2014, n. 9122), e altre che, valorizzando il dato sistematico, ritenevano imprescindibile nell’interpretazione del citato art. 7 distinguere le ipotesi in cui l’amministratore, anche di fatto, avesse operato nell’interesse della società, da quelle in cui la società fosse solo una finzione, costituita da una persona fisica quale paravento delle proprie condotte, illecitamente incidenti sugli obblighi fiscali (Cass., 28 agosto 2013, n. 19716; 8 marzo 2017, n. 5924; 18 aprile 2019, n. 10975).

Sulla scorta di questo secondo orientamento, la Suprema Corte ha ritenuto che il distinguo si ponga nella “decodificazione” della società al fine di verificare se essa abbia vita e finalità economiche distinte da quelle del suo amministratore oppure sia uno strumento artificioso impiegato dalla persona fisica per sottrarsi alle sanzioni. E ciò troverebbe fondamento all’interno del medesimo art. 7, là dove individua il “soggetto giuridico” (ente o persona fisica) che trae effettivo beneficio dalla violazione (cfr. Cass., 13 novembre 2020, n. 25757).

In questa prospettiva, il sistema risulta indirizzato a chi dall’illecita condotta trae vantaggio (limpidamente in dottrina, Paparella F., Sulle responsabilità delle persone giuridiche per le sanzioni amministrative tributarie, nota a Cass. n. 21790/2020, in Giur. comm., 2021, 4, II, 772-774, il quale ritiene che si possa derogare all’applicazione dell’art. 7 solo quando sia ravvisabile un “vantaggio diretto”, “esclusivo” ed “economicamente valutabile” nei confronti del trasgressore): se è la società, essa sarà destinataria della sanzione; se è la persona fisica, che dietro il paravento della società persegue i propri illeciti vantaggi, la sanzione colpirà chi dell’illecito ne è l’autore materiale e giuridico.

Ragionando in questi termini, l’applicazione della sanzione amministrativa al solo titolare dell’obbligazione tributaria non appariva già insuperabile, nel senso che nel caso in cui fosse stato dimostrato che nella fattispecie concreta si volesse eludere un’eventuale responsabilità diretta della persona fisica, allora, la sanzionabilità di quest’ultima poteva riaffermarsi superando lo schermo della personalità giuridica (cfr. Cass., 20 ottobre 2021, n. 29038; 22 novembre 2021, n. 36003; 25 luglio 2022, n. 3231; 11 ottobre 2024 n. 26511). Questo meccanismo, sicuramente articolato in termini di dinamica probatoria, ha poi costituito il paradigma cui ha fatto riferimento il legislatore in sede di formulazione del novello art. 2-bis D.Lgs. n. 472/1997, ai sensi del quale, nel caso in cui si dimostri che la persona giuridica, la società o l’ente privo di personalità giuridica siano fittiziamente costituiti o interposti, la sanzione è irrogata nei confronti del soggetto che ha agito per loro conto. Come osservato in dottrina, la concentrazione della sanzione amministrativa sul titolare dell’obbligazione tributaria (la società) era già superabile dimostrando che «nella fattispecie concreta si è fatto ricorso a tale disciplina al solo scopo di eludere un’eventuale responsabilità diretta della persona fisica» (v. Di Siena M., Il concorso nell’illecito fiscale della persona giuridica. La fine ragionevole di un equivoco ed uno spunto per il futuro?, in Riv. dir. trib., 2021, 1, II, 35 ss.), con sostanziale individuazione nel «criterio del beneficio» «l’elemento strutturale implicito della fattispecie sanzionatoria dell’art. 7 d.l. n. 269/2003» (cfr. Ronco S.M., Limiti alla riferibilità della sanzione alla persona giuridica, principio del beneficio e rilievo dell’autore materiale: considerazioni e prospettive di riforma, in Riv. dir. trib., 2018, 5, I, 597-598).

Quanto osservato è funzionale alla disamina del rapporto esistente tra l’art. 7 D.L. n. 269/2003 e l’art. 9 D.Lgs. n. 472/1997, e in ispecie alla verifica se l’ambito applicativo di tali disposizioni possa ritenersi unico, e dunque sovrapponibile, oppure no (sulle ancora più complesse trame tra art. 7 D.L. n. 269/2003 e art. 9, D.Lgs. n. 472/1997, nell’ambito della disciplina anteriore al D.Lgs. n. 87/2024, alla luce dell’art. 11, comma 5, D.Lgs. n. 472/1997 – anch’esso applicabile ai casi di violazioni plurisoggettive, ma evidentemente ispirato al principio solidaristico, anziché a quello concorsuale – v. Consolo G., Possibili deroghe ai limiti soggettivi del giudicato in caso di illeciti plurisoggettivi relativi al rapporto fiscale di società ed enti con personalità giuridica, in Riv. dir. trib., 2023, 2, II, 77 ss., spec. 93-95).

La conclusione raggiunta dalla Suprema Corte, che è stata in senso negativo, merita piena adesione.

In effetti, si tratta di due aspetti ontologicamente differenti in quanto una cosa è l’identificazione del soggetto giuridico cui indirizzare la sanzione, se cioè l’ente oppure il suo legale rappresentante o chi della società se ne occupi nel concreto (l’amministratore di fatto); altro è invece constatare che alla consumazione dell’illecito possa partecipare un soggetto oppure una pluralità di soggetti, che pertanto rispetto alla commissione di una violazione si trovino in posizione concorrenziale.

Tale ricostruzione è corroborata dalla portata del sintagma “compatibilità”, utilizzato nel comma 3 dell’art. 7 D.L. n. 269/2003.

E infatti, il concetto di compatibilità non può tradursi nella abrogazione implicita di qualunque parte del D.Lgs. n. 472/1997 si trovi in astratta contraddizione con il menzionato art. 7, ma semplicemente che con esso si impongono esigenze di coordinamento e di armonizzazione delle due discipline (per una puntuale disamina critica della giurisprudenza di legittimità che ha mostrato sensibilità rispetto alla connessione tra la violazione delle norme tributarie e gli interessi sottesi alla violazione stessa, identificando il fondamento normativo di questa prospettiva di indagine nel comma 3 del citato art. 7, cfr. Trivellin M., Illeciti tributari e responsabilità degli amministratori negli enti con personalità giuridica, in Riv. tel. dir. trib., 2023, 2, 817 ss.).

In quest’ottica, il “concorso” di cui al citato art. 9 non viene svuotato, ma modulato proprio in coerenza alle finalità intrinseche dell’art. 7, dovendo afferire ad un soggetto terzo, a sua volta autonomo centro di imputazione di situazioni giuridiche, a cui sia addebitabile il comune interesse nella condotta illecita, per il perseguimento di suoi “specifici” vantaggi, distinti cioè da quelli della società contribuente.

Pertanto, per riconoscere l’applicabilità del citato art. 9, è necessario che il concorrente sia identificabile con un soggetto terzo il quale tenga una condotta finalizzata al raggiungimento di un autonomo beneficio, non essendovi altrimenti ragione per distinguerlo dalla fattispecie normativa introdotta per esonerare dalla sanzione colui che abbia tenuto una condotta diretta al conseguimento di benefici per la sola società.

Non a caso, seguendo analogo percorso ricostruttivo, la Corte di Cassazione, sezione tributaria, con la sentenza n. 20697 del 25 luglio 2024, intervenendo in tema di concorso di soggetti terzi nelle violazioni tributarie delle società, aveva statuito il principio di diritto secondo cui «l’art. 9 del decreto legislativo 472 del 1997 è norma compatibile con l’art. 7 del decreto legge n. 269 del 2003, convertito, con modificazione, dalla legge n. 326 del 2003, con la conseguenza che è configurabile, nella sussistenza di tutti gli elementi costitutivi, il concorso di persone terze nelle violazioni tributarie relative alle società con personalità giuridica e la loro sanzionabilità».

In particolare, il giudice di legittimità aveva affermato che si tratta di un orientamento, quello specificamente riguardante la incompatibilità dell’art. 9 D.Lgs. n. 472/1997 con l’art. 7 D.L. n. 269/2003, che, con specifico riferimento alla figura considerata nel caso esaminato (un notaio), non poteva essere condiviso, e ciò proprio sul presupposto che l’art. 7, comma 3, D.L. n. 269/2003, esige che l’interprete ricerchi quali regole dettate dal D.Lgs. n. 472/1997 (di impronta personalistica) continuano ad essere applicabili alle persone fisiche, ovvero (per converso) quali norme del D.Lgs. n. 472/1997, non siano compatibili con l’art. 7, comma 1, D.L. n. 269/2003.

Per la Suprema Corte, la circostanza che il dato testuale esprima in maniera chiara la volontà legislativa di riferire le sanzioni amministrative tributarie esclusivamente alla persona giuridica contribuente, non vale ad escludere tout court l’applicabilità dell’art. 9 D.Lgs. n. 472/1997, come confermato anche dalla clausola di compatibilità di cui al terzo comma della stessa norma, e, dunque, la configurabilità del concorso di ulteriori soggetti nella stessa violazione in presenza di quelli che, sulla base di quanto affermato nella dottrina penalistica, sono gli elementi costitutivi della responsabilità per concorso di persone nell’illecito tributario, ovvero la pluralità di agenti; la realizzazione dell’elemento oggettivo dell’illecito da parte di almeno uno degli agenti; il contributo causale del singolo concorrente alla realizzazione del fatto illecito; la volontà effettiva di cooperare alla commissione dell’illecito.

Nella medesima logica, il giudice di legittimità (cfr. Cass. n. 21222/2024) ha ritenuto legittima l’irrogazione delle sanzioni amministrative tributarie all’intermediario finanziario esterno in concorso con la società (ex art. 9 D.Lgs. n. 472/1997) in quanto, l’art. 7 D.L. n. 269/2003 postula che la persona fisica, autrice della violazione, abbia agito nell’interesse e a beneficio della società rappresentata o amministrata. Solo in tale circostanza la sanzione pecuniaria, in deroga al principio personalistico, non colpisce l’autore materiale della violazione ma grava sul diverso soggetto giuridico che è l’effettivo beneficiario delle violazioni commesse dal proprio rappresentante o amministratore (Cass. n. 10651/2022; Cass. n. 36037/2021; Cass. n. 29038/2021; Cass. n. 25757/2020; Cass. n. 10975/2019).

Fermo quanto esposto, al fine di procedere alla ricerca di un’actio finium regundorum tra le condotte legittime del professionista e quelle che invece assumono una venatura rilevante in termini di irrogazione delle sanzioni, nella pronuncia in commento la Suprema Corte evidenzia che per il consulente della società il vantaggio non può identificarsi nel compenso professionale percepito, anch’esso inquadrabile in una condotta esclusivamente finalizzata a conseguire benefici per la società, ma deve trattarsi di un quid pluris, cioè di benefici che vadano ben oltre il corrispettivo della propria prestazione, traducendosi, in altri termini, non già in una mera prestazione al servizio di un committente, ma in una diretta e comune finalità di concorso nell’attuazione di condotte soggettivamente intese a ottenere vantaggi economici non spettanti, mediante il compimento di illeciti fiscali.

Si tratta di ipotesi nelle quali il terzo, consulente o altro, rispetto alla società non si pone come soggetto esercente le sue tipiche attività, ma, anche tradendo il suo codice deontologico, riveste altri ruoli, ad esempio di “suggeritore interessato”, che curi, anche tecnicamente, operazioni finalizzate a raggiungere obiettivi illeciti o elusivi, oppure occupi la posizione del mediatore tra vari soggetti per il raggiungimento di benefici non spettanti, o, ancora, si proponga come ideatore di operazioni complesse, elusive oppure evasive.

3. La pronuncia in commento rappresenta un’occasione di riflessione su un tema complesso, ossia quello della responsabilità concorsuale, in continuo fermento tra logiche di repressione rispetto a condotte dotate di una particolare carica lesiva ed esigenze di riaffermazione del principio di legalità, nella sua specifica declinazione di tipicità della condotta offensiva, e di responsabilità per fatto proprio.

In riferimento alle violazioni amministrative tributarie, la disciplina sul concorso di persone (art. 9 D.Lgs. n. 472/1997) condivide, in generale, il contenuto dell’art. 110 c.p. (sull’istituto del concorso di persone nell’illecito tributario senza pretese di completezza, cfr. Ricci C., Il concorso di persone in Giovannini A. – Di Martino A. – Marzaduri E., a cura di, Trattato di diritto sanzionatorio tributario, 2016, Tomo II, 1515 ss.; Giovannini A., Concorso, continuazione e ravvedimento nella disciplina delle sanzioni amministrative tributarie, in Dir. prat. trib., 1999, 1, I, 153 ss.; Cordeiro Guerra R., Concorso di persone ed autore mediato nella nuova disciplina delle sanzioni amministrative tributarie, in Rass. trib., 2000, 2, 395 ss.; Del Federico L., Il concorso di persone e la responsabilità dell’autore mediato, in Corr. trib., 2002, 32, 2938 ss.). Come evidenziato, l’elemento fondante la decisione in commento è rappresentato dalla distinzione tra due differenti piani da tenere opportunamente distinti: da un lato, l’identificazione del soggetto cui imputare la sanzione e, dall’altro, la possibilità che alla violazione concorrano più soggetti (ipotesi che ricade nell’ambito applicativo dell’art. 9 D.Lgs. n. 472/1997 sul concorso di persone).

Il primo dei due aspetti riguarda la relazione tra società e suoi organi, mentre il secondo concerne l’unità o pluralità di soggetti la cui condotta abbia concorso al compimento dell’illecito.

Come osservato, l’illecito fiscale, al pari di quello penale, può essere il frutto di un concorso di condotte plurisoggettive, ricadendosi in tal caso nella sfera di applicazione dell’art. 9. Questa disposizione non riguarda, infatti, il rapporto tra “società e suo amministratore”, ma solo il concorso con altri soggetti nel compimento dell’illecito, che dunque devono essere soggetti estranei alla compagine sociale, trovando altrimenti applicazione le regole racchiuse nell’art. 7 citato: l’art. 9 non viene abrogato implicitamente dall’art. 7, ma deve essere coordinato con esso. Da tanto discende che il concorso del consulente esterno resta configurabile, ma con limiti e condizioni più stringenti essendo necessario che il professionista abbia perseguito un vantaggio proprio e autonomo, distinto da quello della società.

In definitiva, l’autonomo e distinto beneficio che il terzo deve conseguire, perché possa anch’egli rispondere per concorso, è necessario requisito per la verifica di compatibilità della disciplina introdotta dal D.Lgs. n. 472/1997 con la regola dell’art. 7, così come previsto dal comma 3 della suddetta norma.

Si tratta, ovviamente, di un campo assai delicato che involge anche il rapporto fra il dato positivo di cui all’art. 9 D.Lgs. n. 472/1997, e l’art. 5, comma 1, del medesimo decreto ai sensi del quale «le violazioni commesse nell’esercizio dell’attività di consulenza tributaria e comportanti la soluzione di problemi di speciale difficoltà sono punibili solo in caso di dolo o colpa grave» (sul punto, cfr. Mauro M., Considerazioni critiche sul concorso del consulente negli illeciti amministrativi da elusione fiscale, in Riv. tel. dir. trib., 2023, 2, 802 ss.) in cui ogni estensione della responsabilità va valutata con estrema prudenza (più in generale sulla tematica, Marcheselli A., Considerazioni eterodosse sull’elemento soggettivo delle sanzioni tributarie. Responsabilità oggettiva, gestione del rischio, intelligenza artificiale, deontologia professionale ed etica del profitto, in Riv. tel. dir. trib., 2021, 1, 235 ss.).

Per completezza occorre altresì valutare il portato, in relazione agli esaminati artt. 9, D.Lgs. n. 472/1997 e 7 D.L. n. 269/2003, del comma 3 dell’art. 13-bis D.Lgs. n. 74/2000 che, contemplando una aggravante ad effetto speciale, particolarmente rigorosa, presuppone il concorso (qualificato) del consulente nella commissione del reato riferendosi proprio al «concorrente nell’esercizio dell’attività di consulenza fiscale svolta da un professionista o da un intermediario finanziario o bancario attraverso l’elaborazione o la commercializzazione di modelli di evasione fiscale» (in chiave squisitamente penalistica sembra peraltro intravedersi un fil rouge degli interventi legislativi nel più marcato disvalore delle condotte poste in essere dal professionista e, in senso lato, degli illeciti cui lo stesso partecipa. L’apporto ad elevato contenuto tecnico del consulente se orientato al perseguimento di finalità criminose, diviene infatti difficilmente intellegibile, il che ne accentua necessariamente la portata lesiva, sul punto cfr. Attanasio D., La compartecipazione criminosa del consulente fiscale e la controversa comunicabilità della relativa aggravante, in Sistema penale, 2020, 1, 22). Ai fini dell’integrazione dell’aggravante non sarà tuttavia sufficiente un qualsiasi contributo causale alla commissione del reato in quanto occorrerà che il contributo causale si sia sostanziato proprio nel fornire un “modello” di operazione evasiva; in particolare, il termine elaborazione implica che il modello deve essere dotato, nel suo meccanismo di realizzazione, di un certo grado di complessità e di insidiosità in termini di idoneità concreta ad ostacolare l’accertamento dei fatti da parte dell’Amministrazione finanziaria (in tal senso, si veda Lanzi A. – Aldovrandi P., Diritto penale tributario, Padova, 2020, 138 ss., nonché ampiamente Mauro M., La responsabilità tributaria del consulente, Milano, 2023, 102 ss.). Si richiede pertanto una specifica modalità della condotta, ovvero la “serialità” che, se pur non prevista espressamente dalla norma, è desumibile dalla locuzione “elaborazione o commercializzazione di modelli di evasione”, rappresentativa di una certa abitualità e ripetitività della condotta incriminata (in tal senso da ultimo cfr. Cass. pen., sez. III, sent. n. 1220/2025; nonché, Cass. pen., sez. III, n. 23095/2022; Cass. pen., n. 36212/2019; Cass., sez. III, sent. n. 1999/2018).

In questo contesto così complesso la pronuncia in commento può, dunque, orientare l’interprete nella vasta ed eterogenea gamma di situazioni che possono caratterizzare il rapporto fra professionista e cliente: è ovvio infatti che accanto ad un nucleo di ipotesi in relazione alle quali risulterà relativamente sicura la liceità o meno del comportamento del consulente, residuerà una fascia intermedia in ordine alla quale il dubbio dovrà essere sciolto di volta in volta dal giudice tenendo in considerazione tutti gli elementi del caso concreto.

In particolare, sulla scorta di questa pronuncia, l’applicazione della sanzione amministrativa ai terzi che concorrono nella violazione sarebbe sostenibile ogniqualvolta ci si trovi innanzi a soggetti che non si pongono in posizione di sovraordinazione (come la società con il suo dipendente o con il suo amministratore) oppure in posizione di mera collaborazione professionale (come il consulente rispetto alla società committente), ma a soggetti in posizione di equiordinazione, indipendenti e volitivamente preordinati al perseguimento di benefici mediante condotte illecite. È necessario, in sostanza, che il consulente non si sia limitato a svolgere le sue tipiche funzioni professionali, ma, attraverso le sue capacità tecniche, abbia condiviso, o coinvolto, la società nel compimento di condotte illecite tese a ottenere vantaggi economici non spettanti.

Sulla base degli evidenziati limiti, da rapportarsi peraltro al portato della recente riforma delle sanzioni amministrative che estende anche agli enti privi di personalità giuridica la riferibilità delle sanzioni tributarie, si garantirebbe una applicazione più equa e rigorosa delle sanzioni che poggia sui principi generali che regolano le sanzioni amministrative nel concorso di persone, la cui portata con riferimento alla fattispecie concreta va calibrata alla luce della condotta concretamente addebitabile al terzo. In questa prospettiva – al netto delle complesse ricadute sul piano dell’onus probandi, specie alla luce del nuovo art. 7, comma 5-bis, D.Lgs. n. 546/1992, ed in linea con la portata pervasiva assegnata alla clausola di compatibilità, cui il già richiamato art. 7 subordina l’applicazione dei principi generali del D.Lgs. n. 472/1997 – potrà evolvere l’operato del giudice senza mai trascurare i criteri restrittivi di interpretazione delle norme sanzionatorie.

Diversamente ragionando, si incorrerebbe nel rischio di un sistema in cui gli autori della violazione nella consapevolezza di poter essere esenti dalle sanzioni sulla scorta di una lettura di fatto abrogatrice dell’art. 9, potrebbero liberamente e consapevolmente scegliere irresponsabilmente di osservare o meno la legge tributaria sulla base solo di valutazioni di convenienza economica e non di liceità della condotta tenuta.

(*) Il saggio è stato sottoposto a double blind peer review con valutazione positiva. Esso confluirà nel fascicolo n. 1/2025 (semestrale) della Rivista telematica di diritto tributario.

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