Alimentazione, sostenibilità e profili fiscali: una introduzione

Di Alberto Comelli -

Abstract (*) (**)

I rapporti tra l’alimentazione e l’imposizione tributaria sono esaminati, nella prospettiva della giurisprudenza costituzionale, alla luce della tutela del diritto alla salute, intesa «come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività» (art. 32, comma 1, Cost.). Sotto un diverso profilo, viene esaminata la tematica della raccolta e smaltimento dei rifiuti alimentari, nella sua evoluzione da tassa sui rifiuti verso il modello della tariffazione puntuale, con un sempre più accentuato rilievo, in concreto, alla tutela dell’ambiente e alla circolarità dell’economia. 

Food, Sustainability and Tax Profiles: An Introduction – The relationship between food and taxation is examined – from the perspective of the Constitutional Court’s case law – in the light of the protection of the right to health, seen as «a fundamental right of the individual and interest of the community» (art. 32, paragraph 1, Constitution). From a different viewpoint, the issue of food waste collection and disposal is analysed, in its evolution from waste tax to the model of the so-called tariffazione puntuale (pay-as-you-throw), with an increasing emphasis laid, in concrete terms, on environmental protection and the circularity of economy.

Sommario: 1. Premessa. – 2. La tutela del diritto alla salute, declinata sul versante tributario: a) la sentenza della Corte costituzionale n. 83/2015, in materia di imposta sulle sigarette elettroniche. – 3. (Segue). b) La sentenza della Corte costituzionale n. 240/2017, ancora sull’imposta sulle sigarette elettroniche. – 4. (Segue). c) La sentenza della Corte costituzionale n. 49/2024, in materia di imposta sul consumo delle bevande edulcorate. – 5. La raccolta e lo smaltimento dei rifiuti alimentari, nella prospettiva della tutela dell’ambiente: dalla tassa sui rifiuti alla tariffazione puntuale. – 6. Tassa sui rifiuti e tariffazione puntuale: analogie e differenze. – 7. Il sistema della tariffazione puntuale quale criterio di determinazione del corrispettivo del servizio, orientato verso una maggiore equità e precisione, rispetto alla tassa sui rifiuti. – 8. La tariffazione puntuale in Emilia-Romagna e, segnatamente, nel Comune di Parma. – 9. Il corrispettivo del servizio reso per la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti, con riferimento alla tariffazione puntuale, ha natura privatistica e non tributaria. – 10. Osservazioni conclusive: l’evoluzione della disciplina in esame sotto il profilo della disincentivazione alla produzione dei rifiuti e dell’incentivazione della raccolta differenziata e del riciclo.

1. Questo breve intervento rappresenta una preliminare introduzione al tema del convegno odierno, senza alcuna pretesa di esaustività. Il titolo del convegno racchiude in sé una serie di profili, che sono stati solo in parte scandagliati dalla letteratura tributaristica, pur essendo il settore dell’alimentazione non poco significativo, sotto il profilo economico, nell’area geografica emiliana e, più in generale, nell’economia italiana.

L’obiettivo di questa breve introduzione è quello di svolgere alcune considerazioni preliminari rispetto alle suddette problematiche, le quali saranno ulteriormente sviluppate nelle singole relazioni, di cui è già prevista la pubblicazione.

Questi profili, sempre più ricchi di sfaccettature, assumono importanza parimenti sotto il profilo teorico e applicativo. I rapporti tra l’alimentazione e l’imposizione tributaria possono essere idealmente suddivisi in due parti: da un lato, la produzione e il consumo di prodotti alimentari e, dall’altro, la raccolta, lo stoccaggio e lo smaltimento dei rifiuti, pur senza trascurare il tema degli incentivi fiscali nel settore in esame. Resta sullo sfondo la pur fondamentale tematica dell’imposizione tributaria nel settore dell’agricoltura, il cui approfondimento è previsto durante la sessione del convegno in programma presso l’Università di Teramo il 16 maggio 2025.

2. Fatta questa premessa, la tematica dell’alimentazione e del suo collegamento con la sostenibilità dev’essere prioritariamente declinata, sotto il profilo (anche) tributario, in primis, alla luce del diritto alla salute, quale “diritto sociale” costituzionalmente guarentigiato dall’art. 32 della Carta fondamentale, nella sua dimensione allo stesso tempo individuale e collettiva (v. Cavallo Perin R., L’interesse della collettività alla tutela della salute, in Dir. amm., 2024, 3, 745 ss.). Questa considerazione stimola immediatamente una importante domanda. Lo Stato può (o deve) intervenire legiferando in modo da colpire maggiormente, sul versante dell’imposizione, alcuni alimenti e/o bevande che sono ritenuti nocivi o potenzialmente pericolosi per la salute umana? In altre parole, è legittimo che lo Stato orienti, in qualche misura, i consumi, incoraggiandone alcuni e penalizzandone altri, sotto il profilo del carico tributario? Potrebbe sembrare una problematica di natura filosofica (convergente verso quella della sussistenza, auspicabile o meno, di una funzione pubblica, in qualche misura, di tipo etico e/o pedagogico), ma tale approccio sarebbe certamente riduttivo e parziale e, pertanto, insoddisfacente.

Al fine di rispondere a questa importante domanda, è preliminarmente opportuno esaminare, in estrema sintesi, tre sentenze della Corte costituzionale. In primis, la sentenza n. 83/2015, in materia di imposta sulle sigarette elettroniche, sottopone ad uno scrutinio i primi due commi dell’art. 62-quater D.Lgs. n. 504/1995 (T.U. in materia di imposte sulla produzione e sui consumi), introdotti dall’art. 11, comma 22, D.L. n. 76/2013, convertito con modificazioni dalla L. n. 99/2013. L’ampia diffusione delle cosiddette “sigarette elettroniche” e la corrispondente riduzione della vendita di tabacchi tradizionali, con una significativa riduzione del corrispondente prelievo fiscale, aveva indotto il Governo ad intervenire con urgenza, al fine di bilanciare tale riduzione, assoggettando ad imposizione i prodotti succedanei contenenti nicotina o altre sostanze, nonché i dispositivi meccanici ed elettronici che ne consentivano il consumo, comprese le parti di ricambio.

La sentenza n. 83/2015 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 62-quater per la sua manifesta irragionevolezza (sub art. 3 Cost.), laddove «va ravvisata [l’]intrinseca irrazionalità della disposizione che assoggetta ad un’aliquota unica e indifferenziata una serie eterogenea di sostanze, non contenenti nicotina, e di beni aventi uso promiscuo». E aggiunge che «il regime fiscale dell’accisa con riferimento al mercato dei tabacchi, trova la sua giustificazione nel disfavore nei confronti di un bene riconosciuto come gravemente nocivo per la salute e del quale si cerca di scoraggiare il consumo».

Pertanto, non è manifestamente irrazionale e/o irragionevole, sotto il profilo costituzionale, un prelievo tributario che penalizzi il consumo di un bene che sia considerato nocivo per la salute umana. Più in generale, la finalità extratributaria di tutelare la salute, mediante un tributo calibrato sulla produzione o sul consumo di un bene riconosciuto come nocivo, è pienamente compatibile con l’assetto costituzionale e, segnatamente, con l’art. 3 della Carta fondamentale.

Al riguardo, è stato esattamente affermato che «il diritto alla salute, per il tramite dell’art. 3 Cost., entra nel diritto tributario» (Giovannini A., La Consulta dichiara illegittima l’imposta sulle sigarette elettroniche, in Corr. trib., 2015, 30, 2343). Senza considerare che il concetto di salute presenta “confini sempre più estesi” (così ancora Giovannini A., op. loc., cit., 2343) e comprende l’attività sanitaria e quella extrasanitaria, anche in una prospettiva preventiva rispetto alla malattia o all’infermità, orientando l’attività medesima verso «uno stato di completo benessere fisico, psichico e sociale» (Balduzzi R., Salute [diritto alla], in Cassese S., diretto da, Diz. dir. pubbl., vol. VI, Milano, 2006, 5395).

Conseguentemente, tra i compiti non secondari che l’art. 32 Cost. assegna allo Stato, assume certamente importanza quello di ridurre il più possibile i fattori di rischio per la salute umana, anche nel luogo di lavoro, nell’ottica della prevenzione e nell’interesse della stessa collettività, per la quale la tutela della salute assume un grandissimo valore, non solamente in quanto tale, ma anche ai fini della spesa pubblica e del suo necessario finanziamento in “equilibrio tra le entrate e le spese” nel bilancio, alla stregua dell’art. 81, comma 1, Cost. Questa prospettiva non può non comprendere anche la fondamentale tematica dell’alimentazione, ben potendo l’imposizione essere calibrata al fine di limitare, mediante un carico fiscale più elevato, il consumo di alimenti suscettibili di nuocere seriamente alla salute umana, sulla base di robusti e ampiamente condivisi studi scientifici.

3. La successiva sentenza della Consulta n. 240/2017 (sulla quale si veda la nota adesiva di Verrigni C., La tassazione delle sigarette elettroniche e la natura giuridica delle accise, in Giur. cost., 2017, 6, 2494 ss.) ha nuovamente esaminato l’imposta sulle sigarette elettroniche, con riferimento all’art. 62-quater D.Lgs. n. 504/1995, il cui comma 1-bis era stato inserito proprio per superare i profili di incostituzionalità che l’arresto n. 83/2015 aveva stigmatizzato, come sopra evidenziato. Pur essendo identico il giudice rimettente, vale a dire il TAR per il Lazio, in entrambi i casi con due ordinanze, la denunciata illegittimità costituzionale nella seconda sentenza riguardava «l’irrazionalità della sottoposizione delle sostanze liquide da inalazione senza combustione prive di nicotina al medesimo regime impositivo previsto per le sostanze liquide contenenti nicotina».

Per quanto qui interessa, sotto il profilo del diritto alla salute, la sentenza afferma selettivamente alcuni principi desunti dall’ordinamento dell’Unione Europea e da quello internazionale, con particolare riferimento alla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio del 3 aprile 2014, n. 2014/40/UE. E aggiunge che essi «confermano ulteriormente la ragionevolezza della disciplina legislativa anche in relazione alle esigenze di tutela della salute, tenuto conto dell’attrattività che l’inalazione senza combustione, anche priva di nicotina, potrebbe avere rispetto ai giovani e ai non fumatori».

Con la conseguenza secondo cui non è irrazionale «la sottoposizione ad un identico regime fiscale – comunque dal carico ridotto rispetto ai prodotti da combustione – di tutti i prodotti da inalazione». In tal modo, superando la censura di costituzionalità (anche) sub art. 32 della Carta fondamentale. Inoltre, la finalità secondaria della tutela della salute, che caratterizza l’imposta sul consumo di cui al comma 1-bis dell’art. 62-quater D.Lgs. n. 504/1995, «legittima anche l’eventuale effetto di disincentivo, in nome del principio di precauzione, nei confronti dei prodotti che potrebbero costituire un tramite verso il tabacco».

La Corte, pertanto, ha legittimato il prelievo fiscale sul consumo di questi beni, pur aventi una natura in parte eterogenea (si pensi, ad esempio, ai liquidi nicotinici e a quelli solo aromatici), accomunati da significativi riflessi (almeno potenziali) su esternalità negative per la collettività, in termini di possibile aumento delle malattie fumo-correlate, che possono interessare diversi organi e, in modo particolare, l’apparato broncopolmonare e quello cardiovascolare. Sul piano giuridico ed economico, l’effetto prodotto dall’imposta in esame è orientato a disincentivare il consumo di questi beni, scoraggiandone l’acquisto mediante l’imposizione di un prelievo fiscale, suscettibile di aumentare il costo per il consumatore finale. Proprio il costo di acquisto di questi beni, considerati meramente voluttuari, costituirebbe la ricchezza economica da sottoporre ad imposizione, in termini di (non irrazionale e non irragionevole) manifestazione di capacità contributiva.

4. Un’altra sentenza particolarmente importante della Consulta, che merita di essere segnalata in questa breve introduzione, è la n. 49/2024, anche se la questione di legittimità costituzionale è stata sollevata dal TAR per il Lazio in riferimento al principio di eguaglianza, di cui agli artt. 3 e 53 Cost. e non anche sub art. 32 (v. Mondini A., Il fine extrafiscale giustifica i mezzi [con la virtù della scienza]. Considerazioni intorno alla costituzionalità della sugar tax e della fiscalità comportamentale, in Riv. dir. fin. sc. fin., 2024, 2, 71 ss.). La questione riguarda l’art. 1, commi da 661 a 676, L. n. 160/2019 (Legge di Bilancio per il 2020 e bilancio pluriennale 2020-2022), vale a dire l’«imposta sul consumo di bevande analcoliche […] denominate bevande edulcorate» (comma 661), le cui disposizioni hanno effetto, dopo numerosi rinvii, dal 1° luglio 2025 (comma 676). Queste bevande consistono nei prodotti finiti e nei «prodotti predisposti per essere utilizzati come tali previa diluizione, rientranti nelle voci NC 2009 e 2202 della nomenclatura combinata dell’Unione europea […] destinati al consumo alimentare umano» (comma 662). Per edulcorante si intende qualsiasi sostanza, avente origine naturale, ovvero sintetica, suscettibile di conferire un sapore dolce alle bevande.

L’imposta è monofase e ammonta, per i prodotti finiti, a 10,00 euro per ettolitro e, «per i prodotti predisposti ad essere utilizzati previa diluizione», a 0,25 euro per chilogrammo (comma 665). Sono esenti le bevande il cui contenuto di edulcoranti non supera una determinata soglia, vale a dire 25 grammi per litro, per i prodotti finiti e 125 grammi per chilogrammo, per i prodotti predisposti per essere utilizzati previa diluizione (comma 666). In via di principio e senza considerare nozioni ancor più tecniche, il contenuto complessivo di edulcoranti contenuti nelle bevande va determinato in relazione al potere edulcorante di ciascuna sostanza, stabilito convenzionalmente (comma 667) (cfr. la relazione presentata in questo convegno da Corasaniti G., L’imposta sul consumo delle bevande edulcorate: struttura e profili di costituzionalità, in corso di pubblicazione in Dir. prat. trib., 2025, per cortese autorizzazione dell’Autore).

Osserva la Corte che l’imposta in esame rientra nella categoria dei «tributi indiretti sulla produzione e sul consumo di certi beni, contraddistinti da una prevalente finalità extrafiscale, che, nella specie, è individuata nel contrasto di condotte – dei singoli e delle imprese – incidenti negativamente sulla salute. Tale finalità è perseguita mediante il disincentivo della commercializzazione e del consumo di specifici prodotti ritenuti dannosi appunto per la salute, il cui eccessivo utilizzo può, pertanto, generare anche un aggravio di spesa pubblica, connesso alla conseguente necessità di assicurare appropriate cure attraverso il Servizio sanitario nazionale» (punto 3.2 della sentenza).

Ai fini dello scrutinio di costituzionalità, calibrato sul principio di eguaglianza e non sulla tutela della salute, la sentenza esamina brevemente, in una prospettiva internazionale e comparata, due studi pubblicati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), rispettivamente nel 2015 e nel 2022. Nel primo (denominato: Fiscal Policies for Diet and Prevention of Noncommunicable Diseases) è contenuto l’invito rivolto agli Stati a introdurre una imposizione specifica sulle bevande analcoliche alle quali vengono aggiunti dolcificanti, di origine naturale o sintetica, allo scopo di limitarne il consumo. L’obiettivo è quello di ridurre il sovrappeso, l’obesità e il diabete, con effetti positivi anche sulla carie dentale, alla luce dei risultati e degli studi scientifici compiuti negli Stati nei quali l’imposta è già stata applicata. Nel rapporto pubblicato nel 2022 (denominato: Sugar-sweetened Beverage Taxes in the WHO European Region: Success Through Lessons Learned and Challenges Faced), è stato reiterato l’invito ad introdurre tale imposta negli Stati che non l’hanno ancora implementata, in considerazione dei positivi effetti e dei risultati ottenuti in relazione alla limitazione del consumo di bevande analcoliche edulcorate e del significativo contenimento di alcune malattie (tra le quali l’obesità, il diabete e l’ipertensione).

Alla luce dei due citati rapporti dell’OMS, l’imposta in esame, secondo la Consulta, è giustificata sulla base dell’attitudine delle bevande analcoliche edulcorate, «per la loro particolare composizione, a provocare diabete, obesità e altre patologie non trasmissibili: attitudine puntualmente attestata da studi scientifici riversati in raccomandazioni di organismi internazionali specificamente volti a suggerire l’imposizione fiscale sulle medesime bevande» (punto 3.3 della sentenza). Le risultanze scientifiche già citate giustificano pienamente, in questa prospettiva, il presupposto dell’imposta e l’individuazione (e il calcolo) della base imponibile, oltre che dei soggetti passivi.

Conseguentemente, l’imposta in esame disincentiva e scoraggia, in piena sintonia con l’impostazione dell’OMS a livello internazionale e comparato, il consumo di edulcoranti nelle bevande analcoliche, laddove tali bevande (a prescindere dal loro costo sul mercato) presentano un elevato contenuto calorico e un basso livello nutrizionale. In positivo, si può affermare che il tributo promuove, in via di principio, una sana e corretta alimentazione, anche se con riferimento ad un solo tipo di bevande, pur essendovi numerose altre bevande e alimenti (che, ad esempio, contengono una elevata e sproporzionata quantità di zuccheri aggiunti) il cui consumo può essere dannoso per la salute umana. Alla luce dei dati scientifici offerti e pubblicati dall’OMS, l’imposta orienta i consumatori finali, sia pure indirettamente, nella direzione di un (più) corretto stile di vita, a livello di abitudini alimentari e persegue, pertanto, una finalità sociale apprezzabile e, in senso lato, virtuosa.

Peraltro, la finalità dissuasiva ed extrafiscale di questo prelievo, rispetto al consumo di bevande analcoliche edulcorate, nocive (non solo potenzialmente) per la salute umana, non è incompatibile col principio di capacità contributiva, come scolpito dalla giurisprudenza costituzionale.

La struttura e la ratio di questa imposta fanno emergere una fattispecie di tutela della salute, intesa «come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività» (art. 32, comma 1, Cost.), declinata sul versante tributario, che, per così dire, si confronta, in un senso bidirezionale, col principio di capacità contributiva e, in qualche misura, ne amplia ulteriormente il perimetro. Si potrebbe affermare, in apicibus, che l’imposta in esame scaturisce da un astratto bilanciamento di valori costituzionali, vale a dire da un assetto tendenzialmente ragionevole e non incoerente tra la tutela della salute e la capacità contributiva. Queste osservazioni non implicano che la disciplina positiva del tributo non possa e, anzi, non debba essere migliorata e resa più razionale.

5. È opportuno soffermare l’attenzione anche sulla fondamentale tematica della raccolta e smaltimento dei rifiuti alimentari, nella prospettiva della tutela dell’ambiente, fermo restando che «la gestione dei rifiuti costituisce attività di pubblico interesse», come afferma l’art. 177, comma 2, D.Lgs. n. 152/2006 e successive modificazioni e integrazioni (denominato codice dell’ambiente). È stato efficacemente affermato che i rifiuti sono «un prodotto dell’attività umana che modifica e interferisce con gli equilibri naturali, danneggiandoli. La loro riduzione e l’efficiente gestione di quelli che vengono prodotti è dunque un fattore essenziale per la tutela dell’ambiente» (Del Corona L., La Tari: natura, evoluzione e funzione ambientale, in Federalismi.it, 5 aprile 2023, 13).

È interessante esaminare brevemente il rapporto tra la TARI (vale a dire la tassa sui rifiuti) e la tariffazione puntuale dei rifiuti, la cui introduzione non è omogenea a livello nazionale, bensì è stata introdotta dai Comuni, per così dire, “a macchia di leopardo”, come consentito dall’art. 1, comma 668, L. n. 147/2013. Non si vuole ripercorrere la travagliata evoluzione della disciplina dei tributi (non ancora del tutto completata) che, a partire dal 1993, hanno costellato l’imposizione sulla raccolta e lo smaltimento dei rifiuti, iniziando dalla tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani (TARSU), prevista dal D.Lgs. n. 507/1993, con diverse caratteristiche, discipline e denominazioni (v. Guidara A., Dalla TARSU alla TARIP: tra diritto tributario e suggestioni privatistiche, in Riv. giur. AmbienteDiritto.it, 2022, 1, 1 ss.). Dal vocabolario Treccani online (Sinonimi e contrari, 2003), si evince che la parola “zibaldone” significa, in senso estensivo, un «insieme confuso e disordinato di elementi di varia natura», vale a dire un’accozzaglia, ammasso, guazzabuglio, marasma, minestrone.

Ebbene, la parola “zibaldone” è suscettibile di descrivere chiaramente, in modo colorito ed efficace, i frettolosi e poco meditati passaggi dalla TARSU alla TIA (tariffa di igiene ambientale) 1, dalla TIA 1 alla TIA 2 (tariffa ambientale integrata), dalla TIA 2 al TARES (tributo comunale sui rifiuti e sui servizi), dal TARES alla TARI dal 1° gennaio 2014. Se si considera il passaggio dalla TARSU alla TARI, nel giro di pochi anni (dal 1993 al 1° gennaio 2014), si registrano discipline che si sono sovrapposte e, in numerosi casi, sono state contemporaneamente applicate dai Comuni, con una enorme confusione, suscettibile di generare disorientamento e creare non pochi problemi, sul versante operativo, agli enti locali e, in sede processuale, ai giudici tributari. Al riguardo, la sentenza delle sezioni unite della Corte di Cassazione n. 8631/2020, afferma, in modo forse eccessivamente diplomatico, che il quadro normativo in esame è «caratterizzato da un’evoluzione non sempre coerente e ordinata».

La TARI è stata istituita dall’art. 1, commi 639 e 641 ss., L. n. 147/2013 (Legge di Stabilità per il 2014). Essa, «destinata a finanziare i costi del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti, a carico dell’utilizzatore» (comma 639), ha sostituito i preesistenti tributi dovuti ai Comuni a titolo di «pagamento del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti conservandone, peraltro, la medesima natura tributaria» (così Cass., sez. trib., n. 2146/2024).

La TARI è un tributo comunale, che non integra i presupposti che caratterizzano i tributi di scopo. Esso è calibrato sulla disponibilità dell’area produttrice di rifiuti e, segnatamente, il suo presupposto consiste nel possesso o nella detenzione di locali o di aree scoperte, «a qualsiasi uso adibiti, suscettibili di produrre rifiuti urbani», in virtù dell’art. 1, comma 641. Inoltre, sono escluse «le aree scoperte pertinenziali o accessorie a locali tassabili, non operative, e le aree comuni condominiali di cui all’art. 1117 c.c. che non siano detenute o occupate in via esclusiva» (così ancora il comma 641). I commi successivi dell’art. 1 prevedono deroghe, riduzioni di tariffe ed agevolazioni, a titolo esemplificativo, a fronte di occupazioni e detenzioni temporanee, vale a dire inferiori a 183 giorni nel corso del medesimo anno solare.

Peraltro, questo tributo dev’essere versato «in relazione all’espletamento da parte dell’ente pubblico di un servizio nei confronti della collettività che da tale servizio riceve un beneficio, e non già in relazione a prestazioni fornite ai singoli utenti» (così ancora Cass., sez. trib., n. 2146/2024). Dall’esame della struttura del tributo emerge un rapporto autoritativo, con una forte tonalità pubblicistica tra l’ente pubblico e l’utente, del tutto prevalente (se non proprio esclusiva) rispetto ad una eventuale connotazione di tipo sinallagmatico rispetto al singolo utente del servizio.

6. La TARI rientra nella categoria dei tributi ambientali in senso stretto, laddove colpisce direttamente fattori inquinanti, quali sono certamente i rifiuti solidi urbani, in sede di raccolta, stoccaggio e smaltimento, dopo un eventuale (parziale) riciclo. I rifiuti producono effetti negativi sull’ambiente, vale a dire un impatto, in larga misura, negativo e scientificamente dimostrato, che converge (in via potenziale) nel presupposto dell’imposta e nella relativa soggettività passiva, collegata alla ripartizione dei costi del servizio di gestione dei rifiuti, che tuttora si realizza, almeno in parte, secondo criteri di normalità, pur nella diversificazione delle soluzioni legittimamente adottate dagli enti locali, che attualmente spaziano dalla TARI ordinaria alla tariffazione puntuale (v. Guidara A., Tassazione del turismo e tassazione dei rifiuti: interrelazioni tra tributi ambientali e possibile concorso della prima al finanziamento della gestione dei rifiuti, in Riv. dir. trib., 2023, 6, I, 631 e 632).

Peraltro, la TARI ordinaria e la tariffazione puntuale consentono entrambe (pur con le loro significative differenze) di realizzare gli obiettivi dell’Unione Europea in materia ambientale, scolpiti dall’art. 191, par. 1, del Trattato sul funzionamento dell’UE (TFUE) e, segnatamente, la salvaguardia, tutela e miglioramento della qualità dell’ambiente, la protezione della salute umana, l’utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali e il contrasto ai cambiamenti climatici. Inoltre, la TARI ordinaria e la tariffazione puntuale implementano, in diversa misura, i principi della precauzione, dell’azione preventiva, della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all’ambiente, nonché il principio “chi inquina paga”, di cui all’art. 191, par. 2, TFUE.

La tariffazione puntuale, inoltre, favorisce e orienta la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti verso la circolarità dell’economia, laddove la sua applicazione postula una minore produzione di rifiuti (specialmente se indifferenziati) e un approccio consapevolmente più rispettoso dell’ambiente e del territorio. In particolare, la tariffazione puntuale promuove un sempre più elevato livello di riciclo e riutilizzo dei rifiuti medesimi, diminuendo la loro quantità che dev’essere espulsa dal sistema economico e orientando quest’ultimo verso modelli fondati su una maggiore sostenibilità della produzione e dei consumi, accompagnata da una riduzione degli sprechi e degli impieghi improduttivi (critica il concetto di “sostenibilità” Irti N., L’insostenibile enigma della sostenibilità, in Il Sole 24 ore, 16 marzo 2025, supplemento Domenica, VIII, il quale afferma che questa parola è decisiva, ma anche «vaga e indeterminata»).

7. La tariffazione puntuale, prevista dall’art. 1, comma 668, L. n. 147/2013, consiste in un “sistema” che può essere introdotto dai Comuni con proprio regolamento, qualora essi realizzino una «misurazione puntuale della quantità di rifiuti conferiti al servizio pubblico». Nonostante il decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare 20 aprile 2017 abbia stabilito i «criteri per la realizzazione da parte dei comuni di sistemi di misurazione puntuale della quantità di rifiuti conferiti al servizio pubblico o di sistemi di gestione caratterizzati dall’utilizzo di correttivi ai criteri di ripartizione del costo del servizio», l’assetto di diritto positivo in materia di tariffazione puntuale tuttora resta piuttosto lacunoso, anche con riferimento ad alcuni profili fondamentali.

Ad esempio, ai fini della determinazione della tariffa applicabile, il Comune potrebbe discostarsi dai criteri individuati dal regolamento che prevede le norme per la elaborazione del metodo normalizzato per la definizione delle componenti di costo da coprire con le entrate tariffarie e per la determinazione della tariffa di riferimento (quale insieme dei criteri e delle condizioni che devono essere rispettati per la determinazione della medesima tariffa), relativa alla gestione dei rifiuti urbani, di cui al D.P.R. n. 158/1999. Difatti, sembra che i Comuni, pur potendo considerare questi criteri, ai sensi dell’art. 1, comma 668, L. n. 147/2013, possano individuare criteri ad essi complementari e/o alternativi (cfr. Guidara A., Dalla TARSU alla TARIP: tra diritto tributario e suggestioni privatistiche, cit., 15). Questo profilo accresce non poco l’indeterminatezza della relativa disciplina, in relazione ad un aspetto fondamentale, vale a dire con riferimento alla determinazione della tariffazione, che dovrebbe essere calcolata, in larga misura, sulla base della reale produzione dei rifiuti conferiti dall’utente finale.

In via di principio, si tratta di un criterio di determinazione assai più preciso del quantum dovuto, orientato senza dubbio verso una maggiore equità, rispetto alla TARI, che responsabilizza gli utenti e favorisce comportamenti virtuosi degli stessi, sotto il profilo della tutela ambientale, in termini di incremento della raccolta differenziata e di corrispondente riduzione dei rifiuti indifferenziati.

Pur essendo una tematica di grande rilevanza, non solamente per gli utenti finali ma anche per i Comuni, non vi è stato un approfondimento ampio e in senso verticale da parte della letteratura di settore, con pochissime (ma significative) eccezioni.

8. Con riferimento all’Emilia-Romagna, la tariffazione puntuale è stata individuata quale strumento fondamentale per realizzare gli obiettivi e le finalità definiti dalla L. regionale n. 16/2015, «a sostegno dell’economia circolare, della riduzione della produzione dei rifiuti urbani, del riuso dei beni a fine vita, della raccolta differenziata». Ai sensi dell’art. 5, comma 1, di questa legge, «la tariffazione puntuale è strumento per incentivare prioritariamente il contenimento e la riduzione della produzione di rifiuti e per potenziare secondariamente l’invio a riciclaggio delle diverse frazioni di rifiuti tramite le raccolte differenziate».

Inoltre, il Piano regionale di gestione dei rifiuti e per la bonifica delle aree inquinate 2022-2027, approvato dall’Assemblea legislativa della Regione Emilia-Romagna con deliberazione n. 87 del 12 luglio 2022, ha ribadito l’importanza della tariffazione puntuale quale azione strategica per il raggiungimento degli obiettivi previsti nello stesso Piano.

Se si considera il Comune di Parma, esso ha applicato la TARI fino al 31 dicembre 2022 e la tariffazione puntuale dei rifiuti dal 1° gennaio 2023. Come già la TARI, gli introiti della tariffazione puntuale finanziano i costi della raccolta e smaltimento dei rifiuti e, chiunque possieda, detenga od occupi, a qualsiasi titolo, locali o aree scoperte nel territorio del Comune di Parma, suscettibili di produrre i rifiuti, è tenuto al pagamento di tale servizio. A differenza della TARI, che era gestita dal Comune, la tariffazione puntuale consiste in un servizio per il quale i pagamenti sono riscossi dal soggetto affidatario della gestione dei rifiuti urbani, che, per il Comune di Parma, è la società denominata Iren Ambiente S.p.a.

Ai sensi dell’art. 27 del “Regolamento per la disciplina della tariffa rifiuti corrispettiva. Ambito territoriale di Parma”, approvato con deliberazione del Consiglio Comunale n. 26 del 28 aprile 2023 (e successive modificazioni e integrazioni), in vigore dal 1° gennaio 2025, in attuazione di quanto previsto dall’art. 9-bis L. regionale 5 ottobre 2015, n. 16 (e successive modificazioni e integrazioni) in materia sanzionatoria, l’accertamento e la contestazione delle violazioni al regolamento medesimo «è effettuata dal Comune anche tramite il Gestore in qualità di soggetto affidatario della gestione del servizio e della riscossione della tariffa, con provvedimento da notificare entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui è commessa la violazione».

È prevista la redazione di un «atto di accertamento esecutivo, di cui all’articolo 1, comma 792, legge 27 dicembre 2019, n. 160, emesso secondo le modalità di legge, con il quale si procede al recupero della tariffa non versata, con gli oneri aggiuntivi eventualmente previsti dalla legge e dal contratto di servizio applicabile» (così, ancora, l’art. 27 del regolamento). Le sanzioni amministrative pecuniarie per le violazioni del regolamento variano da un minimo di 25,00 ad un massimo di 500,00 euro, secondo un’apposita tabella, prevista dal comma 2 dell’art. 27 del citato regolamento.

9. Una tematica particolarmente rilevante è costituita dall’esatta qualificazione del corrispettivo della tariffazione puntuale come tributo, ovvero come corrispettivo di natura privatistica del servizio reso per la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti. La questione è molto rilevante per un duplice motivo: da essa dipende, in primis, la devoluzione delle relative liti al giudice tributario (se si tratta di un tributo) o a quello ordinario (se la natura del pagamento non è tributaria), nonché l’assoggettamento o meno all’IVA del corrispettivo in esame.

La questione è stata affrontata e risolta (sia pure in modo molto conciso) dalle sezioni unite della Corte di Cassazione nell’ordinanza 29 aprile 2021, n. 11290, per un regolamento di giurisdizione in relazione ad una lite pendente innanzi alla CTP di Mantova, con riferimento all’impugnazione (da parte di una società che gestiva un ipermercato) di una fattura emessa dalla società affidataria del servizio inerente ai rifiuti urbani, in tema di tariffazione puntuale sui rifiuti, per il secondo semestre 2018, in virtù dell’art. 1, comma 668, L. n. 147/2013. La Corte premette che vi è stata una «evoluzione, indubbiamente complessa, della normativa in tema di servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti, e di qualificazione della natura dei relativi costi».

E aggiunge l’univoco indirizzo interpretativo in ordine alla natura della TIA 2, alla luce della sentenza delle stesse Sezioni Unite n. 8631/2020, convergente verso la sua natura privatistica, con conseguente assoggettabilità all’IVA del pagamento dei corrispettivi. E ricorda, inoltre, la pacifica natura tributaria della TARI, «destinata a finanziare i costi del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti», nel solco tracciato dalla decisione della Corte costituzionale n. 238/2009, che aveva affermato la natura tributaria della TIA 1, quale mera variante della TARSU.

Questa sentenza ha indicato i parametri al fine di qualificare come tributaria (o meno) una entrata pubblica, a prescindere dal nomen iuris assegnato in sede legislativa, vale a dire «indipendentemente dalla qualificazione offerta dal legislatore» (Corte cost. n. 89/2017), da considerare non vincolante nell’ottica del corretto inquadramento in apicibus della fattispecie concreta. I criteri sostanziali sono i seguenti: a) la doverosità della prestazione, orientata, «in via prevalente, a procurare una definitiva decurtazione patrimoniale a carico del soggetto passivo» (così Cass., Sez. Un., n. 11290/2021); b) l’assenza di un rapporto sinallagmatico tra le parti; e c) il collegamento del presupposto economicamente rilevante con la spesa pubblica. Questi parametri sono stati successivamente ribaditi in altre decisioni della Consulta, in relazione a diverse fattispecie (si vedano, a titolo esemplificativo, le sentenze nn. 89/2018 e 269/2017). Si deve trattare, in questa prospettiva, di un «prelievo coattivo che è finalizzato al concorso alle pubbliche spese ed è posto a carico di un soggetto passivo in base ad uno specifico indice di capacità contributiva (sentenza n. 102 del 2008). Tale indice deve esprimere l’idoneità di tale soggetto all’obbligazione tributaria» (Corte cost. n. 70/2015).

Peraltro, nessuno di questi tre criteri è stato adeguatamente approfondito nell’ordinanza della Corte di Cassazione, nella sua più autorevole composizione, n. 11290/2021, pur essendo stati opportunamente menzionati come le (uniche) linee guida per autenticamente evincere la natura tributaria o meno dei corrispettivi da versare alla società affidataria del servizio inerente ai rifiuti urbani, a fronte della fattura emessa per l’applicazione della tariffazione puntuale.

Rispetto alla TARI, la tariffazione puntuale prevede un diverso meccanismo di calcolo dei rifiuti, che l’utente finale conferisce, ai fini della necessaria raccolta (e smaltimento), assai meno grezzo e senza dubbio più preciso e analitico, almeno potenzialmente, suscettibile di valorizzare il principio “pay-as-you-throw”. Tuttavia, la maggiore effettività alla quale tende la determinazione della base imponibile della tariffazione puntuale, rispetto alla TARI, non elimina del tutto misurazioni parziali, forfettizzazioni e parametri, che sembrano allontanare, almeno in parte, lo strumento in esame da un sistema di concreta misurazione puntuale e analitica.

Senza considerare che sarebbe errato, sul piano metodologico, in primis verificare la sussistenza di un corrispettivo, che sarebbe da assoggettare all’IVA quale prestazione di servizi effettuata a titolo oneroso, ai sensi degli artt. 3 e 4 D.P.R. n. 633/1972, per poi escluderne la natura tributaria proprio per effetto della soggezione all’IVA. Semmai, occorre prima verificare se il corrispettivo che deve versare l’utente presenta una natura tributaria, a prescindere dalla sua denominazione formale e, in seconda battuta, qualora, questa natura sia esclusa, accertare se si tratta di una prestazione di servizi espletata a titolo oneroso (da un soggetto passivo), da assoggettare all’IVA.

10. Il diverso meccanismo di determinazione della base imponibile, rispetto alla TARI, che pacificamente è un tributo, non fa venir meno l’obbligatorietà del pagamento della prestazione, con un depauperamento patrimoniale a carico dell’utente. Al riguardo, è da escludere l’esistenza di un profilo di vera e propria autoritatività, in senso pubblicistico, nel rapporto tra la società affidataria del servizio e l’utente finale. In altre parole, sarebbe una forzatura individuare, nel pagamento del corrispettivo da parte dell’utente, a fronte della tariffazione puntuale, la sussistenza di una prestazione pecuniaria coattiva a favore di un ente impositore e questo profilo aggiunge un ulteriore elemento avente una tonalità marcatamente privatistica e non pubblicistica nell’inquadramento generale del rapporto medesimo. L’esistenza di un sinallagma, vale a dire di un do ut des, tra la società affidataria e l’utente finale, con un rapporto di stretta interdipendenza tra le prestazioni e le controprestazioni, è un chiaro indice che dev’essere attentamente considerato.

Con riferimento al collegamento tra la prestazione che scaturisce da un presupposto economicamente rilevante (e misurabile) e le spese pubbliche, non vi è dubbio che il corrispettivo versato dall’utente finale per i rifiuti conferiti è destinato a coprire dei costi che sono a carico della collettività, su base locale, laddove la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti costituiscono un interesse non solamente del singolo individuo. Peraltro, il regolamento comunale, sul quale l’iter logico-giuridico dell’ordinanza n. 11290/2021 fonda più volte le proprie argomentazioni svalutative del profilo tributario delle prestazioni in esame, non può certamente influenzare la natura giuridica dei corrispettivi versati dagli utenti del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti. Inoltre, non assume senza dubbio rilevanza la devoluzione delle relative liti al giudice ordinario, prevista sorprendentemente nel medesimo regolamento, laddove il riparto di giurisdizione è una materia riservata alla legge, ai sensi dell’art. 117, comma 1, Cost.

Alla luce di quanto precede, occorre certamente svalutare la rilevanza della denominazione del corrispettivo o del prelievo, essendo più importante, ai fini del corretto inquadramento, la disciplina giuridica sostanziale rispetto alla denominazione formale. Infine, nella disciplina della tariffazione puntuale, fissata dall’art. 1, comma 668, L. n. 147/2013, non sono previste specifiche disposizioni in materia di accertamento, sanzioni amministrative e riscossione, che sarebbero imprescindibili qualora si trattasse di un prelievo tributario.

Conseguentemente, ex positivo iure la natura dei corrispettivi versati ai fini della tariffazione puntuale è da considerare di tipo privatistico e le relative liti sono devolute al giudice ordinario, come affermato dalle sezioni unite della Corte di Cassazione e non al giudice tributario (contra, Guidara A., Dalla TARSU alla TARIP, cit., loc. cit., 22-25).

In conclusione, la traiettoria evolutiva del servizio di gestione dei rifiuti, nel passaggio dalla TARI alla tariffazione puntale, mostra un sempre più accentuato rilievo alla tutela dell’ambiente e, segnatamente, alla disincentivazione alla produzione dei rifiuti e all’incentivazione della raccolta differenziata e del riciclo, favorendo progressivamente (nel settore in esame) la circolarità dell’economia, quale modello che promuove la crescita economica tutelando l’ambiente, inteso come fattore fondamentale per lo sviluppo equilibrato e sostenibile.

(*) Il saggio è stato sottoposto a double blind peer review con valutazione positiva. Esso confluirà nel fascicolo n. 1/2025 (semestrale) della Rivista telematica di diritto tributario.

(**) Trattasi della relazione introduttiva al convegno che si è svolto il 10 aprile 2025 organizzato dall’Università di Parma, Dipartimento di giurisprudenza, studi politici e internazionali, nell’ambito del progetto di ricerca denominato “Food for future”. Il convegno è stato organizzato in collaborazione con l’Università di Teramo, Dipartimento di giurisprudenza, col patrocinio dell’Associazione Italiana del Professori e degli Studiosi di Diritto Tributario, della rivista Diritto e pratica tributaria, dell’Ordine dei Dottori commercialisti e degli Esperti contabili di Parma, dell’Ordine degli Avvocati di Parma e del Comune di Parma.

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

Balduzzi R., Salute (diritto alla), in Cassese S. (diretto da), Diz. dir. pubbl., vol. VI, Milano, 2006, 5393 ss.

Barabino P., La “salute” nel diritto tributario tra agevolazioni e regimi fiscali, in Riv. dir. trib., 2020, 5, I, 421 ss.

Buccisano A., Fiscalità ambientale tra principi comunitari e costituzionali, in Dir. prat. trib., 2016, 2, I, 590 ss.

Campodonico F., L’incostituzionalità dell’imposta di consumo sulle sigarette elettroniche, in Dir. prat. trib., 2016, 3, 1277 ss.

Campodonico F., La Corte costituzionale torna sulle sigarette elettroniche: scollamento teorico o tentativo di aggiustamento?, in Dir. prat. trib., 2018, 3, 1311 ss.

Cavallo Perin R., L’interesse della collettività alla tutela della salute, in Dir. amm., 2024, 3, 745 ss.

Comelli A., Riflessioni sulla tassazione ambientale, all’epoca della pandemia innescata dal COVID-19, nella prospettiva di un’ampia riforma tributaria, in Dir. prat. trib., 2021, 1, 44 ss.

Corasaniti G., L’imposta sul consumo delle bevande edulcorate: struttura e profili di costituzionalità, in corso di pubblicazione in Dir. prat. trib., 2025, per cortese autorizzazione dell’Autore

Del Corona L., La Tari: natura, evoluzione e funzione ambientale, in Federalismi.it, 5 aprile 2023, 1 ss.

García Martínez A., La financiación del servicio público de recogida de residuos urbanos en Italia, in Patón García G. – Luchena Mozo G.M. (a cura di), Estrategias fiscales de residuos y economía circular, Barcellona, 2024, 237 ss.

Giovannini A., La Consulta dichiara illegittima l’imposta sulle sigarette elettroniche, in Corr. trib., 2015, 30, 2341 ss.

Granelli L., L’incidenza del principio “chi inquina paga” sul presupposto della TARI, in Boll. trib., 2024, 8, 633 ss.

Guidara A., Dalla TARSU alla TARIP: tra diritto tributario e suggestioni privatistiche, in Riv. giur. AmbienteDiritto.it, 2022, 1, 1 ss.

Guidara A., Tassazione del turismo e tassazione dei rifiuti: interrelazioni tra tributi ambientali e possibile concorso della prima al finanziamento della gestione dei rifiuti, in Riv. dir. trib., 2023, 6, I, 619 ss. e, specialmente, 628 ss.

Irti N., L’insostenibile enigma della sostenibilità, in Il Sole 24 ore, 16 marzo 2025, supplemento Domenica, VIII

Mendola D., La Sugar Tax: un tributo con fini extrafiscali con cui il legislatore si allinea agli obiettivi di tutela del diritto alla salute in ambito unionale, internazionale e comparato, in Dir. prat. trib. int., 2024, 3, 963 ss.

Mondini A., Il fine extrafiscale giustifica i mezzi (con la virtù della scienza). Considerazioni intorno alla costituzionalità della sugar tax e della fiscalità comportamentale, in Riv. dir. fin. sc. fin., 2024, 2, 65 ss.

Tropea A., L’armonizzazione europea della tassa rifiuti. L’applicazione del principio pay as you throw, in Dir. prat. trib. int., 2019, 3, 703 ss.

Uricchio A.F., Fiscalità alimentare e circolare: problemi e opportunità a seguito dell’introduzione di sugar tax e plastic tax, in Dir. agroalim., 2020, 1, 185 ss.

Verrigni C., La tassazione delle sigarette elettroniche e la natura giuridica delle accise, in Giur. cost., 2017, 6, 2494 ss.

Scarica il commento in formato pdf

Tag:, , , , , , ,