La stabile organizzazione IVA: riflessioni critiche in merito all’ambito definitorio e al concetto di “intervento” (Parte I)
Di Stefano Pavesi e Davide Laruffa
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Abstract (*)
L’articolo offre una analisi delle ragioni che hanno introdotto nel sistema dell’IVA una definizione autonoma di “stabile organizzazione”, alla quale sono attribuiti obblighi e diritti connessi all’applicazione dell’imposta, in funzione del suo coinvolgimento nelle operazioni di acquisto e vendita. Tale riflessione deriva dalla considerazione che tuttora gli operatori economici incorrono in difficoltà interpretative che li orientano verso l’istituto dell’interpello dal quale, tuttavia, ritraggono interpretazioni che non sempre appaiono idonee a fornire le certezze che gli operatori richiedono.
VAT fixed establishment: critical thoughts on the scope of definition and on the meaning of “intervention”, arising specific VAT obligations (Part one) – The article offers an analysis of the background reasons implying the introduction into the VAT system of a specific definition of Fixed Establishment which is entitled to exercise rights and obliged to comply with obligations connected with the application of VAT, as a consequence of its “intervention” in the purchases and supplies. The above thoughts derive from the circumstance that taxyayers incur in difficult interpretations addressing them to requests of binding rulings to the Tax Authorities, where these latter provide official interpretations which do not provide to the taxpayers the required certainty.
Sommario: 1. Introduzione. – 2. Il ruolo della stabile organizzazione ai fini dell’applicazione dell’IVA. – 3. Definizione di stabile organizzazione.
1. Probabilmente uno degli argomenti più dibattuti dall’introduzione del sistema di tassazione indiretta basato sull’IVA è quello della definizione del ruolo della stabile organizzazione nell’ambito del meccanismo applicativo dell’imposta. Ancora oggi, infatti, dopo quasi quarant’anni dalla sua prima elaborazione1, la “fixedestablishment” trova una difficile collocazione in merito al proprio ambito definitorio e al relativo coinvolgimento nell’ambito delle operazioni di acquisto e vendita. Le ultime interpretazioni fornite dalla prassi amministrativa2 evidenziano una spaccatura sempre più marcata rispetto a quanto già condiviso con la proposta fornita dai servizi giuridici della Commissione europea3 e rispetto a quanto si rinviene dalle varie interpretazioni della normativa comunitaria fornite nel tempo dalla Corte di Giustizia europea.
2. Senza voler affrontare un excursus storico circa la nozione di stabile organizzazione ai fini IVA, risulta tuttavia utile rammentarne l’origine normativa al fine di comprenderne la funzione.
Già la Direttiva 77/388/CEE del 17 maggio 1977 (Sesta Direttiva) richiamava il “centro di attività stabile” al fine di determinare il luogo di tassazione dei servizi resi in ambito internazionale. Prima della riforma avvenuta nel 2010 detto luogo si identificava, come regola generale, nello Stato in cui il prestatore aveva stabilito la sede della sua attività economica o dove aveva istituito un centro di attività stabile «a partire dal quale la prestazione di servizi viene resa»4. Per taluni servizi, che ai nostri fini non meritano di essere elencati, la regola generale anzidetta era derogata, nel prevedere la rilevanza territoriale nello Stato in cui il destinatario ha istituito la sede della propria attività o ha istituito un centro di attività stabile «per il quale è avvenuta la prestazione di servizi».
La Sesta Direttiva non riportava tuttavia una definizione di “centro di attività stabile” ma la riferiva come istituita dal soggetto passivo in uno Stato differente da quello in cui esso aveva la propria sede. Così facendo, seppure implicitamente, la Direttiva chiariva l’unicità del soggetto passivo, del quale il centro di attività stabile costituiva un ulteriore luogo di stabilimento rispetto alla sede e la cui utilità era riservata alla determinazione del requisito territoriale dei servizi che, appunto, era legato al luogo di stabilimento della “struttura” utilizzata dal soggetto per renderli o, nel caso dei servizi acquistati, per la quale essi erano resi.
In ambito di recepimento domestico della Direttiva, il D.P.R. n. 633/1972 affermava anch’esso la rilevanza del centro di attività stabile ai fini della determinazione della territorialità dei servizi, ma lo definiva “stabile organizzazione”, ingenerando dubbi circa la possibile coincidenza con la definizione riportata dal Commentario OCSE con finalità evidentemente differenti da quelle perseguite dalla normativa IVA e, comunque, senza fornirne una definizione5.
Il concetto di stabile organizzazione viene richiamato nell’ambito della normativa unionale e nell’ambito della normativa nazionale negli articoli che disciplinano la territorialità6 delle prestazioni di servizi, il soggetto debitore dell’imposta7 e i rimborsi a soggetti non residenti8.
La Direttiva 8/2008/CEE ha poi introdotto un nuovo criterio di determinazione del requisito territoriale applicabile alle prestazioni di servizi, visto che la precedente regola non rifletteva più il luogo in cui ne avviene l’effettivo consumo9. Uno degli effetti della globalizzazione consiste infatti in un allontanamento tra il luogo in cui i servizi sono erogati e il luogo in cui gli stessi sono consumati: questo, in generale, corrisponde al luogo in cui risiede l’acquirente. La modifica, recepita nel 2010 nell’ambito della Direttiva 2006/112/CE10, è stata disciplinata dal Regolamento di attuazione n. 282/201111 che, per primo, fornisce – mutuandola dalla giurisprudenza – anche la definizione di stabile organizzazione ai fini IVA.
Come disposto dall’art. 288 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea i regolamenti – e tra essi quello di nostro interesse – sono vincolanti in tutti i loro elementi e direttamente applicabili negli Stati membri dell’Unione; ne consegue che quanto previsto dal Regolamento UE n. 282/2011 costituisce la definizione normativa e la disciplina (anche) italiana di stabile organizzazione ai fini IVA.
Prima di commentare la definizione di stabile organizzazione ai fini IVA appare utile identificarne lo scopo che non corrisponde a quello posto a fondamento dell’omonima – ma differente – struttura definita ai fini dell’imposizione diretta. Certo, l’omonimia ha spesso ingenerato confusione negli interpreti che, specie prima del Regolamento n. 282/2011, talvolta interpretavano il concetto IVA attingendo da logiche proprie di altri settori tributari. La distinzione tra le due differenti strutture sembra sia stata oramai unanimemente accolta.
Ciò detto, la stabile organizzazione IVA assolve essenzialmente a due funzioni primarie, in ambito IVA, la determinazione:
del luogo di tassazione (territorialità) laddove esso sia identificato in corrispondenza dello Stato di stabilimento di una delle parti dell’operazione e
del soggetto debitore dell’imposta, per le operazioni che assumono rilevanza territoriale nel luogo della stabile organizzazione12.
In merito al requisito territoriale, come noto, l’art. 44 della Direttiva IVA individua, quale regola generale, la rilevanza dei servizi resi ad un soggetto passivo IVA nel luogo in cui esso ha stabilito la sede della propria attività economica. Ove tuttavia i servizi siano resi ad una stabile organizzazione di tale soggetto passivo, situata in un territorio differente da quello in cui ha stabilito la sede dell’attività, la territorialità insiste nel luogo della stabile organizzazione. L’art. 45 della Direttiva IVA individua poi la regola territoriale generale per i servizi resi ai non soggetti passivi IVA, nel luogo in cui il prestatore ha la sede della propria attività economica, o nel luogo della sua stabile organizzazione, se i servizi sono “prestati da” essa in uno Stato diverso da quello della sede dell’attività economica.
Oltre all’ambito territoriale dei servizi, occorre considerare che alcune cessioni di beni legano il luogo di tassazione allo Stato di stabilimento di una delle parti. Si tratta in particolare di quei beni, come l’energia, il gas, il calore o il freddo che, se ceduti tramite sistemi di distribuzione, seguono la regola territoriale posta dall’art. 38 della Direttiva IVA. Tali beni, se ceduti ad un soggetto passivo rivenditore, scontano l’IVA nello Stato in cui tale soggetto ha fissato la sede della propria attività economica o dove esso dispone della stabile organizzazione “per la quale i beni vengono erogati”.
Interessante osservare che la norma italiana di recepimento del requisito territoriale riporta il riferimento alla stabile organizzazione nell’art. 7, comma 1, lett. d), D.P.R. n. 633/1972 nell’ambito della definizione di “soggetto passivo stabilito”, includendovi appunto la stabile organizzazione, limitatamente alle operazioni da essa “rese o ricevute”. Ne consegue che l’art. 7-ter del decreto IVA non menziona direttamente la stabile organizzazione, ma opera un implicito rimando ad essa quando si riferisce al “soggetto passivo stabilito”. Anche l’art. 7-bis, comma 3 – relativo alle cessioni di gas, energia ecc. tramite reti di distribuzione – pur coerente con la Direttiva, si limita a citare la stabile organizzazione per escludere la rilevanza territoriale delle cessioni anzidette ove siano «poste in essere nei confronti di stabili organizzazioni all’estero».
La seconda funzione della stabile organizzazione, come detto, consiste nell’individuazione del soggetto debitore dell’imposta per le operazioni che assumano rilevanza territoriale nello Stato in cui insiste una tale struttura. Sul punto, l’art. 192–bis della Direttiva IVA afferma – in negativo – che la stabile organizzazione situata nello Stato in cui è dovuta l’IVA13 non assume rilevanza quale debitore dell’imposta per le cessioni di beni e prestazioni di servizi poste in essere in tale Stato senza l’intervento della stessa («does not intervene in that supply»).
È questo il caso delle operazioni che, in base ad una regola non legata al luogo di stabilimento delle parti (quali, ad esempio, le cessioni domestiche di beni mobili o le prestazioni di servizi immobiliari), assumono rilevanza territoriale nello Stato in cui insiste la stabile organizzazione del cedente o prestatore. Tale struttura non si qualifica come debitore dell’imposta, a meno che le operazioni anzidette abbiano luogo grazie al suo “intervento”.
La norma italiana di recepimento, l’art. 17, commi 3 e 4, del Decreto IVA, deroga all’ordinaria determinazione del debitore d’imposta che opera per i soggetti non residenti, nel caso in cui essi detengano una stabile organizzazione in Italia, con riferimento alle operazioni “effettuate da o nei confronti” di tali soggetti, «qualora le stesse siano rese o ricevute per il tramite di stabili organizzazioni nel territorio dello Stato». Risulta evidente quanto la terminologia utilizzata differisca dal dettato della Direttiva, con conseguenti dubbi interpretativi in capo agli operatori economici.
L’art. 44 D.Lgs. 30 agosto 1993, n. 331 afferma poi che gli acquisti intracomunitari effettuati in Italia da soggetti non residenti e privi di stabile organizzazione sono registrati per il tramite di una identificazione IVA locale, intendendo che gli acquisti intracomunitari effettuati da soggetti che dispongono di una stabile organizzazione locale devono invece essere registrati da essa. La stabile organizzazione, difatti, è utilizzata strumentalmente anche ai fini della registrazione di operazioni che avvengono senza il suo coinvolgimento, ma che richiedono ad un soggetto estero di doversi obbligatoriamente avvalere di un numero di registrazione IVA locale. Ciò deriva dal fatto che la Corte di Giustizia UE14 ha giudicato inammissibile la doppia identificazione IVA quale soggetto stabilito, al fine della registrazione delle operazioni che avvengono grazie all’intervento della stabile organizzazione e quale soggetto non stabilito, per le operazioni che non vedono intervenire tale struttura.
Quanto precede evidenzia una discrasia definitoria tra la Direttiva e la norma domestica, in merito al ruolo della stabile organizzazione quale debitore d’imposta. Difatti, se la Direttiva qualifica la stabile organizzazione come debitore d’imposta per le sole operazioni effettuate grazie al suo intervento, la norma domestica le accorda tale ruolo con riferimento tanto alle operazioni rese da essa, quanto a quelle ricevute per il suo tramite.
3. Vale inoltre considerare che la stabile organizzazione IVA non assurge al ruolo autonomo di soggetto passivo IVA15, posto che tale qualifica è accordata a chiunque eserciti, in modo indipendente e in qualsiasi luogo, un’attività economica.
Il soggetto passivo, così definito, mantiene pertanto la propria unicità16 ancorché possa esercitare l’attività economica in diversi Stati, dove lo stesso si stabilisce tramite proprie articolazioni organizzative: le stabili organizzazioni. Si è già evidenziata la ratio che sottende la disciplina di tali organizzazioni, che può nell’essenza riassumersi nella necessità di identificare in modo appropriato la territorialità dell’IVA e nell’individuazione del debitore dell’imposta.
Come anticipato il requisito territoriale è legato in generale al luogo di stabilimento del committente dei servizi – e di taluni beni – in quanto in una economia globalizzata tale criterio risulta meglio riflettere il luogo in cui ne avviene il consumo. La stabile organizzazione nella sua definizione appare coerentemente identificare una articolazione del soggetto passivo, idonea a poter consumare per sé i servizi che le sono resi e per altro verso, anche a poter effettuare tramite il proprio intervento, delle operazioni che territorialmente rilevano nello Stato un cui essa insiste.
Ciò è tanto più vero quanto più ci si riferisce al contesto storico-economico in cui la nozione di stabile organizzazione IVA è stata elaborata. La definizione è stata elaborata dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia UE17 in un arco temporale molto esteso, che muove da un’epoca precedente la globalizzazione, per trovare una sua sintesi nel Regolamento UE di attuazione n. 282/2011, emanato a seguito del c.d. VAT package che riformava le regole di territorialità dei servizi, per meglio riflettere la distanza ormai assunta tra il luogo di produzione dei servizi e quello in cui avviene il loro consumo.
Coerentemente con quanto detto, si pone l’art. 11 del Regolamento n. 282/2011, nell’affermare che la stabile organizzazione consiste in:
un’organizzazione situata in un luogo diverso da quello in cui il soggetto passivo ha stabilito la sede della propria attività economica;
dotata di un grado sufficiente di permanenza in tale luogo. Peraltro non è specificato un tempo minimo di permanenza;
dotata di un adeguato corredo sia tecnico che umano tale da consentirle
nell’ambito degli acquisti «di ricevere e di utilizzare i servizi che le sono forniti per le esigenze proprie di detta organizzazione»,
nell’ambito delle vendite di «consentirle di fornire i servizi di cui assicura la prestazione».
Ai fini definitori, per inciso, la circostanza di disporre di un numero di identificazione IVA non implica l’esistenza di una stabile organizzazione, in mancanza dei requisiti qualificanti sopra elencati.
In merito alla dotazione umana e tecnica, è utile richiamare i chiarimenti forniti dalla Corte di Giustizia18UE la quale, muovendo dalla causa C-605/12 (nota come “Welmory Case”) ha affermato che ai fini della definizione di stabile organizzazione non rileva la circostanza che la dotazione umana sia costituita da dipendenti propri e che la dotazione tecnica sia composta da beni di proprietà del soggetto passivo e, nella specie, della sua stabile organizzazione; difatti è sufficiente l’esercizio di un controllo che sia assimilabile a quello esercitato su una dotazione propria, perchè la dotazione tecnica e umana possano costituire una simile organizzazione.
Tale ultima considerazione consente di identificare stabili organizzazioni IVA che comprendano ad esempio una dotazione umana costituita da “contractors” e una dotazione tecnica a noleggio, purché sussistano i requisiti sostanziali anzidetti. Del pari, alla medesima definizione possono anche accedere le cosiddette stabili organizzazioni “occulte”, la cui dotazione umana è costituita da alcuni dipendenti di una subsidiary locale del gruppo di appartenenza e la dotazione tecnica è costituita dai relativi beni. Occorre tuttavia considerare che la sede dell’attività economica è considerata, nell’ambito della normativa IVA, quale principale riferimento per la determinazione della territorialità dei servizi, in quanto essa garantisce certezza giuridica; la stabile organizzazione deve essere invece considerata a tali fini quale misura residuale, da adottare restrittivamente, nei soli casi in cui la territorialità basata sul luogo della sede sortisca effetti irrazionali o generi conflitti tra Stati membri. Ciò detto, una subsidiary di un soggetto estero non può considerarsi quale stabile organizzazione di esso19, ma potrebbe identificarsi al suo interno la presenza di risorse umane e tecniche che costituiscano la stabile organizzazione del soggetto estero. Tale caso deve essere tuttavia valutato con attenzione, in quanto si realizza solo se il soggetto con sede dell’attività all’estero dispone di unaccesso immediato e permanente a detti mezzi umani e tecnici della subsidiary locale, come se si trattasse di mezzi propri20.
Le dotazioni umane e tecniche assumono infatti la rilevanza definitoria che ci interessa se hanno un grado di permanenza – non temporalmente definito – tale da consentire alternativamente:
di ricevere e utilizzare i servizi che le vengono forniti per le proprie esigenze;
di fornire i servizi che fornisce (…).
La ricezione e l’utilizzo dei servizi forniti per le esigenze proprie della stabile organizzazione richiamano chiaramente il consumo al quale connettere la determinazione del requisito territoriale. Vi sono casi di stabili organizzazioni, definite “passive”, che non ricoprono necessariamente anche un ruolo nella fornitura di beni o servizi; è questo il caso ad esempio delle stabili organizzazioni il cui unico ruolo consiste nel fornire supporto alla sede amministrativa o ad altre stabili organizzazioni dell’unico soggetto passivo di cui sono una emanazione territoriale. Tali stabili organizzazioni rilevano ai fini della determinazione del requisito territoriale dei servizi che ricevono ed utilizzano per le proprie esigenze.
Più complesso è invece il ruolo della stabile organizzazione c.d. “attiva”, ossia quello di assicurare la fornitura di servizi (e di taluni beni). Anche in tal caso la stabile organizzazione può assumere un ruolo nella determinazione del requisito territoriale, quando esso è legato al luogo di stabilimento del prestatore; in aggiunta, la stabile organizzazione attiva può qualificarsi come debitore dell’imposta per le operazioni la cui territorialità corrisponde al relativo Stato di stabilimento, assunto che tali operazioni abbiano luogo grazie al suo intervento.
La lettura che precede, di un ruolo differente e disgiunto della stabile organizzazione, nella sua accezione di “passiva” e “attiva” trova fondamento logico nelle diverse finalità cui sono deputate tali diverse funzioni ricoperte dalle strutture ed ha avuto accoglimento nella lettura fornita dal Working Paper n. 791, pubblicato dalla Commissione UE in data 15 gennaio 2014. Sebbene detto Working Paper, come quello che lo seguirà nel maggio 2015, non costituisca una posizione ufficiale assunta dai servizi giuridici della Commissione UE, non può omettersi di considerare che tali servizi, hanno comunque espresso una propria visione che appare razionale e condivisibile. Lo stesso afferma che «Una struttura che dispone delle risorse umane e tecniche necessarie per ricevere e utilizzare i servizi che le vengono forniti per le proprie esigenze non ha necessariamente risorse sufficienti per fornire tali servizi da sola. Pertanto, una struttura che si qualifica come “stabile organizzazione passiva” non deve essere automaticamente trattata come una “stabile organizzazione attiva”, né si deve considerare che intervenga automaticamente nelle forniture effettuate dalla sede principale».
Volendo semplificare, le esigenze proprie cui sono destinati i servizi forniti alla stabile organizzazione non si identificano nella necessità di porre in essere proprie operazioni attive, ma semplicemente nel consumo ad esempio al fine del sostentamento della stessa organizzazione. Ne consegue che la stabile organizzazione passiva deve disporre di un corredo tecnico e umano, da un lato, e di un grado di permanenza, dall’altro, tali da consentirle effettivamente di ricevere e di utilizzare i servizi che le sono resi.
Ben può capitare, quindi, che una stabile organizzazione assuma rilevanza nella sua sola funzione passiva o attiva, oppure che ricopra entrambe le funzioni che, tuttavia, devono essere valutate disgiuntamente stanti i diversi scopi perseguiti ai fini della corretta applicazione dell’imposta.
Un ulteriore importante chiarimento fornito dalla Commissione, nel Working Paper n. 857 del 6 maggio 2015, attiene l’irrilevanza del ruolo della stabile organizzazione IVA nell’ambito delle cessioni di beni. La norma, del resto fa chiaro riferimento alle prestazioni di servizi e la rilevanza di un diverso luogo di stabilimento rispetto alla sede centrale assolve la funzione di determinane la territorialità. Il luogo di tassazione delle cessioni di beni, fatto salvo il caso particolare di taluni beni ceduti in reti di distribuzione (gas, energia, calore) è determinato dal luogo in cui gli stessi si trovano al momento della cessione o dal quale inizia il trasporto, se del caso, e prescinde dallo status soggettivo delle parti dell’operazione. Per tale ragione la stabile organizzazione non assume rilevanza a tal fine.
Ciò detto, il ruolo passivo della stabile organizzazione ai fini della determinazione del requisito territoriale di taluni acquisti appare di agevole lettura, mentre residua per gli operatori la necessità – non sempre semplice – di identificare tra i servizi (o beni) acquistati, quelli che la stabile organizzazione consuma per esigenze proprie.
Più complessa è invece la determinazione delle operazioni attive di cui la stabile assicura la prestazione, così da assumerne un ruolo di debitore d’imposta. Di tale aspetto si tratterà nella parte seconda dell’articolo.
(*) Il saggio è stato sottoposto a double blind peer review con valutazione positiva. Esso confluirà nel fascicolo n. 1/2025 (semestrale) della Rivista telematica di diritto tributario.
2 Risposta a interpello n. 57 del 17 gennaio 2023; Risposta a interpello n. 374 del 10 luglio 2023; Risposta a interpello n. 33 del 13 febbraio 2025; Risposta a interpello n. 64 del 4 marzo 2025.
5 Giorgi M., La stabile organizzazione nel sistema dell’imposta sul valore aggiunto, in Riv. dir. trib.int., 2000, 1, 59 ss.
6 Art. 44 Direttiva 2006/112/CE e art. 7-ter D.P.R. n. 633/1972.
7 Artt. 192-bis e 193 Direttiva 2006/112/CE e art. 17 D.P.R. n. 633/1972.
8 Art. 3 Direttiva 2008/9/CE e art. 38-bis2 D.P.R. n. 633/1972.
9 La necessità è ben illuStrata nei consideranda della Direttiva: «Per tutte le prestazioni di servizi il luogo di imposizione dovrebbe essere di norma il luogo in cui avviene il consumo effettivo (enfasi aggiunta)».
10 Di seguito anche semplicemente “Direttiva IVA”.
11 Regolamento di Esecuzione (UE) n. 282/2011 del Consiglio del 15 marzo 2011, art. 11
«1. Ai fini dell’applicazione dell’articolo 44 della direttiva 2006/112/CE, la «stabile organizzazione» designa qualsiasi organizzazione, diversa dalla sede dell’attività economica di cui all’articolo 10 del presente regolamento, caratterizzata da un grado sufficiente di permanenza e una struttura idonea in termini di mezzi umani e tecnici atti a consentirle di ricevere e di utilizzare i servizi che le sono forniti per le esigenze proprie di detta organizzazione.
2. Ai fini dell’applicazione degli articoli seguenti la «stabile organizzazione» designa qualsiasi organizzazione, diversa dalla sede dell’attività economica di cui all’articolo 10 del presente regolamento, caratterizzata da un grado sufficiente di permanenza e una struttura idonea in termini di mezzi umani e tecnici atti a consentirle di fornire i servizi di cui assicura la prestazione:
a) l’articolo 45 della direttiva 2006/112/CE;
b) a decorrere dal 1o gennaio 2013 l’articolo 56, paragrafo 2, secondo comma, della direttiva 2006/112/CE;
c) fino al 31 dicembre 2014 l’articolo 58 della direttiva 2006/112/CE;
d) l’articolo 192 bis della direttiva 2006/112/CE.
3. Il fatto di disporre di un numero di identificazione IVA non è di per sé sufficiente per ritenere che un soggetto passivo abbia una stabile organizzazione».
12 Working Paper 15 gennaio 2014, n. 791 e Working Paper 6 maggio 2015, n. 857.
13 Utile fare riferimento alla versione originale inglese della Direttiva, in quanto la traduzione italiana è fuorviante.
14 Corte di Giustizia UE, sent. 15 luglio 2004, causa C-354/03.
15 Art. 9, Titolo III, Direttiva 2006/112/CE e art. 4 D.P.R. n. 633/1972.
16 La mancanza di autonoma rilevanza soggettiva della stabile organizzazione rispetto alla sede dell’attività risulta vieppiù evidente se si considera la non rilevanza ai fini IVA dei servizi intercorrenti tra esse. Si veda CGUE 23 marzo 2006, causa C-210/04 (c.d. FCE Bank).
18 La Corte di Giustizia, con la causa C-605/12 (c.d. Welmory), ha affermato che una FE può esistere anche in alcuni casi in cui le risorse umane e tecniche non appartengono alla società estera, se questa ne ha il controllo sostanziale. Nelle conclusioni della causa RAL (Channel Islands) e altri (C-452/03, EU:C:2005:65, punto 52), l’Avvocato generale ha affermato che «si arriverebbe a risultati inaccettabili se si dovesse ipotizzare l’esistenza di una stabile organizzazione solo quando le risorse umane sono impiegate dal soggetto passivo stesso. Sarebbe inoltre un abuso se un soggetto passivo potesse trasferire l’imposizione dei suoi servizi da uno Stato membro all’altro semplicemente coprendo il suo fabbisogno di risorse umane con diversi fornitori di servizi».
Tuttavia, come chiarito dalla Corte di Giustizia dell’UE, anche se una stabile organizzazione non richiede necessariamente risorse umane e tecniche proprie, il soggetto passivo deve comunque – sulla base del requisito di un grado sufficiente di permanenza in relazione alla stabile organizzazione – avere un controllo comparabile sulle risorse umane e tecniche.
Inoltre, il 7 aprile 2022 la Corte di Giustizia europea (“CGUE”) ha emesso la sua decisione sul caso Berlin Chemie (C-333/20). In sostanza, la Corte di Giustizia europea ha confermato che una filiale che fornisce servizi esclusivi di marketing e pubblicità attraverso la disponibilità delle proprie risorse umane e tecniche alla società madre non costituisce una stabile organizzazione ai fini IVA di quest’ultima.
Recentemente, il 29 giugno 2023, nella sua decisione sulla causa C-232/22, Cabot Plastics Belgium SA, la Corte di Giustizia europea ha chiarito che un soggetto passivo a cui vengono forniti servizi di produzione da una società affiliata, che agisce esclusivamente per il soggetto passivo in questione, non ha una stabile organizzazione ai fini IVA nello Stato membro dell’UE in cui opera la società affiliata, a meno che non abbia il potere di disporre dei mezzi umani e tecnici della società affiliata come se fossero propri.
19 Vedasi la Sentenza della Corte di Giustizia europea relativa alla causa C-533/22, SC Adient Ltd. CO. KG.
20 Vedasi Sentenza della Corte di Giustizia europea relativa alla causa C-232/22, Cabot Plastic Belgium cit.
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Diritti degli interessati
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1. L’interessato ha diritto di ottenere la conferma dell’esistenza o meno di dati personali che lo riguardano, anche se non ancora registrati, e la loro comunicazione in forma intelligibile.
2. L’interessato ha diritto di ottenere informazioni:
a) sull’origine dei dati personali;
b) sulle finalità e modalità del trattamento;
c) sulla logica applicata in caso di trattamento effettuato con l’ausilio di strumenti elettronici;
d) sugli estremi identificativi del titolare, dei responsabili e del rappresentante designato ai sensi dell’articolo 5, comma 2;
e) sui soggetti o delle categorie di soggetti ai quali i dati personali possono essere comunicati o che possono venirne a conoscenza in qualità di rappresentante designato nel territorio dello Stato, di responsabili o incaricati.
3. L’interessato ha diritto di ottenere:
a) l’aggiornamento, la rettificazione ovvero, quando vi ha interesse, l’integrazione dei dati;
b) la cancellazione, la trasformazione in forma anonima o il blocco dei dati trattati in violazione di legge, compresi quelli di cui non è necessaria la conservazione in relazione agli scopi per i quali i dati sono stati raccolti o successivamente trattati;
c) l’attestazione che le operazioni di cui alle lettere a) e b) sono state portate a conoscenza, anche per quanto riguarda il loro contenuto, di coloro ai quali i dati sono stati comunicati o diffusi, eccettuato il caso in cui tale adempimento si rivela impossibile o comporta un impiego di mezzi manifestamente sproporzionato rispetto al diritto tutelato.
4. L’interessato ha diritto di opporsi, in tutto o in parte:
a) per motivi legittimi al trattamento dei dati personali che lo riguardano, ancorché pertinenti allo scopo della raccolta;
b) al trattamento di dati personali che lo riguardano a fini di invio di materiale pubblicitario o di vendita diretta o per il compimento di ricerche di mercato o di comunicazione commerciale.
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