Produzione di energia rinnovabile e redditività dell’impresa agricola: note a margine della recente ordinanza della Cassazione
Di Emilia Bruno
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Abstract (*)
Con l’ordinanza in commento, la Corte di Cassazione si è pronunciata sul classamento catastale di un impianto fotovoltaico insistente su terreno agricolo e concorrente allo svolgimento di attività agricola, con particolare riferimento all’ipotesi in cui l’imprenditore agricolo non sia proprietario del terreno, ma mero utilizzatore in base a un contratto di locazione finanziaria. La collocazione di impianti fotovoltaici nelle aree agricole e la controversa questione della tassazione dei proventi dell’attività di produzione e cessione di energia elettrica e calorica da fonti rinnovabili agroforestali e fotovoltaiche sono state oggetto di frequenti avvicendamenti normativi. Il tema, inquadrato nella più ampia prospettiva dell’impresa agricola odierna e delle attività produttive di reddito agrario, consente di soffermarsi sui profili evolutivi del settore e sul contributo dello stesso alla realizzazione delle finalità, prevalenti, di sostenibilità e tutela ambientale, in virtù della crescente attitudine delle imprese di valorizzare le proprie biomasse per ottenere biogas, biocarburanti ed energia elettrica da sfruttare.
Renewable energy production and profitability of the agricultural enterprise: notes on the margins of the recent order of the Court of Cassation – In the order under note, the Supreme Court defines the cadastral classification of a photovoltaic system installed on agricultural land, of which the agricultural entrepreneur is not the owner but the user under a leasing contract. The placement of photovoltaic installations on agricultural land and the controversial question of taxation of revenues from the production and sale of energy from renewable sources have been subject to regulatory changes. This topic, in the context of modern agricultural enterprises and income-generating activities, allows to discuss the evolving profiles of the sector and its contribution to the achievement of the objectives of sustainability and environmental protection, considering the ability of enterprises to exploit their own biomass to obtain biogas, biofuels and electricity.
Sommario: 1. Inquadramento catastale di impianto fotovoltaico su terreno agricolo. – 2. Questione esaminata dalla Suprema Corte nella sentenza in commento. – 3. Qualificazione della produzione energetica da fonti rinnovabili nella giurisprudenza e nella prassi. – 4. Attività agricole connesse e tutela ambientale nella prospettiva multifunzionale dell’impresa agricola odierna. Considerazioni conclusive.
1. Con l’ordinanza n. 29754, depositata il 19 novembre 2024, la Corte di Cassazione è intervenuta sul trattamento catastale di un impianto fotovoltaico situato su un terreno agricolo, nell’ipotesi in cui l’imprenditore agricolo non ne sia proprietario, ma mero utilizzatore in base a un contratto di locazione finanziaria, così pronunciandosi: «In materia di catasto, l’impianto fotovoltaico insistente su un terreno agricolo e concorrente allo svolgimento dell’attività agricola, secondo la previsione dell’art. 1, comma 423, della legge 23 dicembre 2005, n. 266 (e successive modificazioni ed integrazioni), in linea con l’interpretazione datane dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 66 del 24 aprile 2015, anche nel caso in cui l’imprenditore agricolo (individuale o collettivo) non ne sia proprietario, ma mero utilizzatore (lessee) in base a contratto di locazione finanziaria (leasing), deve essere classato – in presenza dei requisiti soggettivi ed oggettivi previsti dall’art. 9, comma 3-bis, del d.l. 30 dicembre 1993, n. 557, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 1994, n. 133 – come fabbricato rurale strumentale (con la conseguente attribuzione della categoria D/10) all’esito di procedura “DOCFA”, giacché la produzione di energia fotovoltaica, che deve essere sempre imputabile all’imprenditore agricolo (individuale o collettivo), se normalmente impiegata (con l’utilizzazione prevalente di attrezzature e risorse aziendali) nell’attività agricola, costituisce attività connessa ai sensi dell’art. 2135, terzo comma, cod. civ.».
Con la pronuncia in esame, i giudici di legittimità hanno annullato la decisione con cui la Commissione tributaria regionale aveva accolto l’appello dell’Amministrazione finanziaria sul presupposto che la proprietà superficiaria dell’impianto non fosse riferibile a un imprenditore agricolo e, pertanto, non soddisfacesse i requisiti di ruralità previsti dalla normativa, e hanno rinviato la causa ad altro Collegio, sottolineando la necessità di accertare la presenza dei requisiti previsti dalla legge per il riconoscimento del carattere di ruralità.
Per la Suprema Corte, se l’impianto concorre allo svolgimento dell’attività agricola e soddisfa i requisiti soggettivi ed oggettivi previsti dall’art. 9, comma 3-bis, D.L. 30 dicembre 1993, n. 557, può essere qualificato come fabbricato rurale strumentale, con classamento nella categoria D/10, anche qualora non sia di proprietà dell’imprenditore agricolo, ma sia utilizzato da quest’ultimo attraverso un contratto di leasing, considerato che la produzione di energia fotovoltaica, che deve sempre essere imputabile all’imprenditore agricolo se normalmente impiegata nell’attività agricola, costituisce attività connessa ai sensi dell’art. 2135, comma 3, c.c.
2. Nel caso di specie, il ricorso in Cassazione era stato proposto da una società di leasing avverso la sentenza con cui la Commissione tributaria regionale – chiamata a decidere su una controversia avente ad oggetto l’impugnazione di un avviso di accertamento per rettifica della classe catastale di un impianto fotovoltaico, dotato di una potenza complessiva non superiore al limite di Kw 200 – riformava la decisione di primo grado sul presupposto che la titolarità del diritto di superficie del suolo su cui era collocato l’impianto fosse di un soggetto non esercente impresa agricola e, di conseguenza, l’impianto fotovoltaico non presentasse il carattere della ruralità.
Il ricorso proposto si articola su tre motivi, di cui i primi due venivano accolti e il terzo rigettato.
Per ragioni di pregiudizialità logico-giuridica la Corte esamina, preliminarmente, il terzo motivo di ricorso, poiché riguardante la forma dell’atto impositivo. Si denunciava, infatti, la violazione e falsa applicazione degli artt. 3 L. 7 agosto 1990, n. 241, 7 L. 27 luglio 2000, n. 212, 52, commi 2 e 2-bis, D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., per essere stato erroneamente ritenuto dal giudice di secondo grado che l’avviso di accertamento con rettifica di classamento fosse munito di adeguata motivazione, che coincideva con l’indicazione dei presupposti di fatto e le ragioni di diritto per la rettifica della categoria da D/10 a D/1.
I giudici di legittimità ritengono il motivo suindicato infondato, richiamando il principio di autosufficienza del ricorso per Cassazione, sancito dall’art. 366 c.p.c., in ragione del quale qualora il ricorrente censuri la sentenza di una Commissione tributaria regionale sotto il profilo della congruità del giudizio espresso in ordine alla motivazione di un avviso di accertamento è necessario, a pena di inammissibilità, che il ricorso riporti testualmente i passi della motivazione dell’atto che si assumono erroneamente interpretati o pretermessi dal giudice di merito, poiché solo in questo modo si consente alla Suprema Corte di verificare la congruità dell’atto medesimo con le ragione fatte valere dal contribuente (tra i precedenti si richiamano, Cass. 29 luglio 2015, n. 16010; 6 novembre 2019, n. 28570; 28 giugno 2017, n. 16147; 10 dicembre 2021, n. 39283; 14 marzo 2022, n. 8156; 30 novembre 2023, n. 33442; 26 agosto 2024, n. 23105).
Inoltre, la Corte precisa che l’atto impositivo oggetto di contestazione origina da una dichiarazione di variazione del classamento catastale, presentata secondo la procedura DOCFA. Poiché l’onere di motivazione del relativo avviso si ritiene soddisfatto con la mera indicazione dei dati oggettivi e della classe attribuita, solo se gli elementi di fatto indicati dal contribuente non siano stati disattesi dall’Amministrazione finanziaria e l’eventuale discrasia tra rendita proposta e rendita attribuita derivi da una valutazione tecnica sul valore economico dei beni, considerato, inoltre, che l’Amministrazione finanziaria non ha disatteso i dati indicati dal contribuente ma attribuito una diversa categoria catastale al fabbricato, l’avviso di accertamento presenta un’adeguata motivazione, idonea a far comprendere al contribuente i presupposti di fatto e le ragioni di diritto della pretesa.
Con il primo motivo di ricorso si rilevava che il giudice di secondo grado avesse omesso di tener conto del soggetto cui appartiene l’impianto fotovoltaico. L’impianto di cui si discute appartiene in proprietà superficiaria ad una società di leasing, che aveva acquistato in origine il diritto di superficie sul terreno sottostante a garanzia della concessione in leasing dell’edificando impianto fotovoltaico alla società proprietaria del terreno sottostante, per cui la destinazione dell’impianto era a servizio dell’impresa agricola esercitata dalla beneficiaria sul medesimo terreno.
In ragione di ciò, in caso di leasing, i requisiti soggettivi ed oggettivi per il riconoscimento della “ruralità” dovevano essere verificati in relazione ai soggetti utilizzatori dei fabbricati ai sensi dell’art. 9, comma 3-bis, D.L. n. 557/1993, convertito, con modificazioni, dalla L. 26 febbraio 1994, n. 133.
Con il secondo motivo di ricorso, si eccepiva la violazione e falsa applicazione degli artt. 1, comma 423, L. 23 dicembre 2005, n. 266, 2135 c.c., 32 e 34 D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, 9, commi 3 e 3-bis, D.L. n. 557/1993, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.
Il ricorrente denunciava l’infondatezza dell’appello promosso dall’Agenzia delle Entrate, poiché il riconoscimento dei benefici fiscali inerenti il classamento immobiliare presuppone che la produzione e cessione di energia da fonti fotovoltaiche sia effettuata da produttori agricoli; inoltre, con riferimento al caso di specie, l’impianto fotovoltaico è di proprietà della società appellata che non esercita un’impresa agricola ed ha costruito l’impianto a seguito dell’acquisto del diritto di superficie sul terreno di proprietà della società agricola alla quale è stato concesso in leasing l’impianto.
In secondo grado, non è stato considerato che la produzione di energia elettrica mediante l’impianto fotovoltaico costituiva “attività connessa” all’attività agricola esercitata dalla società; che quest’ultima era imprenditore agricolo; che la produzione e la cessione di energia elettrica mediante l’impianto fotovoltaico generavano reddito agrario in capo alla suddetta società; che l’impianto fotovoltaico costituiva fabbricato rurale.
3. I giudici accolgono il primo e secondo motivo di ricorso, ritenendoli fondati e chiariscono la portata dei requisiti soggettivi e oggettivi di ruralità di un impianto fotovoltaico.
Già in una precedente pronuncia, la Cassazione aveva affermato che, ai soli fini delle imposte di registro, ipotecarie e catastali, gli impianti fotovoltaici di grande potenza, realizzati per produrre energia da immettere nella rete elettrica nazionale per la vendita, devono essere qualificati come beni immobili in ragione della connessione strutturale e funzionale tra terreno e impianti, che consente di ritenerli inscindibili. Infatti, «la messa in opera di un impianto di apprezzabili dimensioni, ivi compresa l’integrazione tra i diversi elementi e il loro allacciamento alla rete elettrica nazionale, lascia, infatti, presupporre un collegamento con il luogo in cui lo stesso è impiantato funzionale ad una duratura utilizzazione del bene in quel determinato posto mentre la precarietà dell’ancoraggio al suolo e l’esportabilità non può in alcun modo comportare un’alterazione dell’originaria funzionalità» (in questi termini, Cass.,14 marzo 2024, n. 6480).
Nella pronuncia in esame, la Corte richiama un condivisibile orientamento della dottrina, che riconosce la natura immobiliare anche del singolo pannello fotovoltaico, dopo che sia stato imbullonato o incastrato nella struttura di sostegno, e delle turbine della centrale elettrica, così valorizzando il loro collegamento strutturale e funzionale con il terreno. Coerentemente con quanto disposto dall’art. 812 c.c., la natura di un bene va considerata alla luce degli interessi che insistono sullo stesso, pertanto, nel caso di specie, il pannello a seguito dell’immobilizzazione pur non perdendo la propria identità reale è funzionalmente connesso con il suolo. Si modifica dunque la sua considerazione giuridica.
Le medesime conclusioni possono rintracciarsi nelle indicazioni contenute negli atti di prassi secondo cui le centrali elettriche a pannelli fotovoltaici devono essere inclusi nella categoria “D/1 – opifici” e nella medesima rendita catastale devono essere inclusi anche i pannelli fotovoltaici, come già previsto per le turbine delle centrali elettriche. Inoltre, si precisa che sono i pannelli fotovoltaici a determinare il carattere sostanziale di centrale elettrica e, quindi, di opificio, per cui la facile amovibilità delle componenti degli impianti fotovoltaici e la circostanza che le medesime componenti possano essere posizionate in altro luogo mantenendo inalterata la loro originale funzionalità, senza richiedere antieconomici interventi di adattamento, non sono gli unici fattori rilevanti ai fini catastali (si veda, Agenzia del Territorio, ris. 6 novembre 2008, n. 3; Agenzia delle Entrate, circ. 19 dicembre 2013, n. 36/E).
La questione più rilevante della pronuncia in commento riguarda l’attribuzione del requisito della ruralità (e conseguente classificazione in categoria D/10) ad un impianto fotovoltaico, su cui una società di leasing è titolare di un diritto di superficie, in seguito alla cessione in suo favore del diritto suddetto sul terreno sottostante, la cui proprietà spetta ad una società esercente attività agricola.
L’art. 1, comma 423, L. n. 266/2005, nel testo vigente ratione temporis, qualificava la produzione e la cessione di energia elettrica e calorica da fonti rinnovabili agroforestali e fotovoltaiche nonché di carburanti ottenuti da produzioni vegetali provenienti prevalentemente dal fondo e di prodotti chimici derivanti da prodotti agricoli provenienti prevalentemente dal fondo effettuate dagli imprenditori agricoli, come attività connesse ai sensi dell’art. 2135, comma 3, c.c. e, dunque, produttive di reddito agrario.
Nel dichiarare l’infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 423, L. n. 266/2005, la Corte Costituzionale ha sottolineato che il legislatore, per individuare la categoria delle attività connesse, ricorre al criterio della prevalenza dell’attività propriamente agricola nell’economia complessiva dell’impresa (Corte cost., 24 aprile 2015, n. 66).
Come stabilito al terzo comma dell’art. 2135 c.c., si definiscono connesse quelle attività ulteriori esercitate dall’imprenditore agricolo, dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione, che hanno ad oggetto prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall’allevamento di animali, nonché le attività dirette alla fornitura di beni o servizi mediante l’utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse dell’azienda normalmente impiegate nell’attività agricola esercitata.
Con riferimento all’attività di cui si discute, poiché si tratta di un’attività diretta alla fornitura di beni, deve farsi riferimento al requisito della utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse dell’azienda normalmente impiegate nell’attività agricola. In particolare, ciò che rileva è il fondo, come risorsa primaria dell’impresa agricola, che, anche quando è utilizzato per la collocazione degli impianti fotovoltaici, insieme alle eventuali superfici utili degli edifici addetti al fondo, deve comunque risultare normalmente impiegato nell’attività agricola.
Inoltre, è opportuno sottolineare che la ratio dell’intera normativa in materia, è volta a riconoscere un regime favorevole per l’impresa agricola anche in presenza dell’esercizio di attività connesse, purché non venga meno la vocazione agricola dell’impresa stessa (per approfondimenti sulla nozione di impresa agricola e i suoi profili evolutivi, D’Amati N., Le istituzioni dell’agricoltura. Diritto e ambiente, Bari, 2003; D’Amati N., La nuova formulazione dell’art. 2135 cod.civ. e i problemi ambientali in D’Amati N., a cura di, L’impresa agraria tra fisco, problemi ambientali e programmazione territoriale, Bari, 2006, 101 ss.; Muleo S., Impresa agraria e imposizione reddituale, Milano, 2005; Muleo S. – Stevanato D. – Lupi R., Capacità economica agricola e forma societaria tra criteri catastali ed effettivi, in Dial. trib., 2008, 1, 41 ss.; Picciaredda F., La nozione di reddito agrario, Milano, 2004, 253).
Nel rispetto della ratio indicata, la circolare dell’Agenzia delle Entrate, 6 luglio 2009, n. 32/E ha precisato che «si tratta, dunque, di un’attività connessa “atipica” in quanto il suo svolgimento non richiede all’imprenditore agricolo l’impiego di prodotti derivanti dalla coltivazione del fondo. Tale produzione prescinde, infatti, dalla coltivazione del fondo, del bosco o dall’allevamento di animali; ciò nonostante, trattandosi di attività agricola “connessa” presuppone, comunque, un collegamento con l’attività agricola tipica, caratterizzata dalla presenza di un’azienda con terreni coltivati e distinti in catasto con attribuzione di reddito agrario. In particolare, i terreni, di proprietà dell’imprenditore agricolo o, comunque nella sua disponibilità, devono essere condotti dall’imprenditore medesimo ed essere ubicati nello stesso Comune ove è sito il parco fotovoltaico, ovvero in Comuni confinanti. Per rispettare la ratio della disposizione si rende, inoltre, necessario individuare specifici criteri di “connessione” con l’attività agricola che consentano di evitare di attrarre al regime dei redditi agrari attività prive di un significativo rapporto con l’attività agricola stessa».
In applicazione dei principi suddetti, gli immobili ospitanti impianti fotovoltaici realizzati su fondi agricoli presentano il carattere della ruralità ove ricorrano i requisiti richiamati (su cui v. la nota del Ministero delle Politiche Agricole e Forestali, 27 luglio 2008, n. 38961). E si deve accertare l’esistenza dell’azienda agricola, ossia la presenza di terreni e fabbricati di fatto e congiuntamente correlati alla produzione agricola; più precisamente, in base a quanto stabilito dall’art. 9, comma 3, lett. c), D.L. 30 dicembre 1993, n. 5574, il fondo deve avere superficie non inferiore a 10.000 metri quadrati (fatta eccezione per alcune fattispecie, per cui tale limite è ridotto a 3.000 metri quadrati), fermo restando che le particelle interessate devono essere iscritte al catasto terreni con attribuzione di reddito agrario (cfr. circ. n. 36/E/2013). Infine, si richiede che sussista uno dei requisiti oggettivi richiamati ai punti 1 e 2 del citato paragrafo 4 della circ. n. 32/E/2009.
La regola descritta si applica anche in caso di contratto di leasing, purché l’energia elettrica prodotta dall’impianto fotovoltaico, di cui l’imprenditore agricolo sia mero utilizzatore e non proprietario, sia destinata a supportare agricola svolta sul terreno in cui l’impianto stesso è stato installato ovvero in un terreno limitrofo ad esso, essendo requisito sufficiente la disponibilità del suddetto manufatto, indipendentemente dal titolo. Infatti, non si impongono requisiti e limiti di carattere soggettivo ai fini della sussistenza della ruralità in catasto.
4. La pronuncia consente di soffermarsi brevemente sulla controversa questione della tassazione dei proventi dell’attività di produzione e cessione di energia elettrica e calorica da fonti rinnovabili agroforestali e fotovoltaiche, che sempre più frequentemente si pone all’attenzione dell’interprete e degli operatori in virtù della crescente attitudine delle imprese agricole moderne di valorizzare le proprie biomasse ai fini dell’ottenimento di biogas e biocarburanti o di energia elettrica che le stesse imprese possono sfruttare (in argomento, Bagnoli M. – Rocchi A., La prevalenza nel fotovoltaico “agricolo”: problemi attuali e prospettive, in Corr. trib., 2015, 46, 4551; Fontana C., Fiscalità delle imprese agricole, Torino, 2017, 182 ss.).
L’iniziale favor del legislatore verso la produzione agroenergetica si sostanzia nella qualificazione della stessa come attività produttiva di reddito agrario, anche se l’originaria disciplina fiscale prevista per le attività di produzione e vendita di energia da fonti rinnovabili, pur ispirata da una logica di vantaggio del legislatore verso queste attività, era connotata da un ambito di applicazione ristretto ai soli casi di energia generata dalle c.d. biomasse.
L’art. 1, comma 423, L. n. 266/2005, nella sua formulazione originaria, annoverava la produzione e la cessione di energia elettrica da fonti rinnovabili agroforestali, effettuate da imprenditori agricoli, tra le attività connesse di cui all’art. 2135, comma 3, c.c., considerandole produttive di reddito agrario. Successivamente, con la L. n. 296/2006, art. 1, comma 369, il legislatore ha accomunato l’energia calorica a quella elettrica, estendendo il regime delle fonti energetiche agroforestali a quelle fotovoltaiche.
Come noto, nel nostro ordinamento lo statuto dell’impresa agricola viene delineato all’art. 2135 c.c., che lega la qualifica di imprenditore agricolo al tipo di attività svolta, distinguendo a tal proposito tra attività agricole principali e attività agricole connesse. Sebbene tale formulazione si sarebbe potuta considerare di per sé sufficiente a inglobare la produzione e cessione di energia elettrica da fonti rinnovabili agroforestali nel novero delle attività connesse a quelle dell’imprenditore agricolo, la confutazione di ogni dubbio è avvenuta per effetto dell’esplicita conferma contenuta nel già citato articolo 1, comma 423, L. n. 266/2005 (Goldoni M., L’art. 2135 del codice civile e le esigenze di un ripensamento sul piano sistematico della specialità dell’impresa agricola, in Rivista di diritto agrario, 2019, 2, 353 ss.; Iannarelli A., La parabola della “specialità” dell’impresa agricola dopo il d.lgs. sulle crisi di impresa: considerazioni critiche, in Riv. dir. agr., 2019, 1, 197 ss.).
Tuttavia, l’installazione di impianti fotovoltaici e la loro collocazione nelle aree agricole sono state oggetto di frequenti avvicendamenti normativi. A valle della Legge finanziaria del 2006, che ha inteso fornire attuazione agli obiettivi fissati dalla Direttiva 2001/77/CE, l’incentivazione della produzione di energie da fonti rinnovabili si è avvalsa dell’equiparazione dell’energia calorica a quella elettrica e dell’estensione del regime delle fonti energetiche agroforestali a quelle fotovoltaiche.
Modifiche ulteriori sono state introdotte dalla Legge finanziaria 2007 che ha annoverato tra le attività connesse di cui al terzo comma dell’art. 2135 c.c. la produzione di carburanti ottenuti dai vegetali provenienti prevalentemente dal fondo e la produzione di elementi chimici derivanti da prodotti agricoli, anche essi provenienti prevalentemente dal fondo, effettuate dagli imprenditori agricoli. La Legge finanziaria 2008 ha quindi stabilito che i proventi derivanti da queste attività debbano tassarsi alla stregua degli altri proventi dell’agricoltura, salva l’opzione per la determinazione del reddito nei modi ordinari.
La disciplina fin qui delineata ha posto difficoltà applicative, su cui è intervenuta anche la prassi, ex multis, con la circ. n. 32/E/2009. L’Agenzia delle Entrate ha provato a risolvere anzitutto questioni di carattere definitorio, delineando l’ambito soggettivo e oggettivo dell’art. 1, comma 423, Legge finanziaria 2006, la disciplina di determinazione del reddito ai fini delle imposte dirette, il concetto della prevalenza e soffermandosi, con riferimento al tema del fotovoltaico, sul trattamento tributario della tariffa incentivante per la produzione di energia elettrica da fonte fotovoltaica e dei certificati verdi e sulle linee generali della disciplina IVA e IRAP in materia (cfr. Bagnoli M. – De Leonardis I., È attività connessa la produzione di energia rinnovabile da parte delle imprese agricole, in Corr. trib. 2009, 35, 2868 ss.).
L’attribuzione della qualifica di imprenditore agricolo è subordinata allo svolgimento di una delle attività elencate nella norma come agricole; inoltre, relativamente all’attività di produzione e vendita di energia da fonti rinnovabili, l’elemento soggettivo rappresenta l’unico vincolo imposto dal legislatore, non essendo previste ulteriori specificazioni sul piano oggettivo.
Nell’interpretazione dell’Agenzia delle Entrate, la nozione di attività connessa viene perciò estesa includendovi espressamente quella di produzione di energia.
Con riferimento all’attività suddetta, la definizione di cui al terzo comma dell’art. 2135 c.c. non richiama il concetto di prevalenza, ma richiede la sussistenza di una “effettiva relazione e coerenza” con l’attività agricola principale: in particolare, la circ. n. 32/E/2009 chiarisce che, «sebbene letteralmente la norma richiami il concetto di prevalenza solo con riferimento alla produzione di carburanti e di prodotti chimici, si ritiene che il suddetto requisito debba sussistere anche per la produzione di energia elettrica e calorica da fonti fotovoltaiche in ragione dell’assimilazione operata dal legislatore di tale produzione alle attività agricole connesse». L’Amministrazione recupera invece il criterio della prevalenza con riferimento alla produzione di energia da fonti agroforestali e da fonti fotovoltaiche.
Riguardo la prima categoria, il requisito della prevalenza si considera soddisfatto quando in termini quantitativi, i prodotti utilizzati nello svolgimento delle attività connesse ed ottenuti direttamente dall’attività agricola svolta sul fondo, risultano prevalenti ossia superiori, rispetto a quelli acquistati presso terzi.
Con riferimento al reddito prodotto attraverso fonti fotovoltaiche si deve considerare che l’uso di sistemi fotovoltaici non implica la trasformazione di un prodotto agricolo, pertanto, il criterio del prevalente utilizzo di prodotti ottenuti dal fondo o dall’allevamento degli animali non può essere assunto come elemento di qualificazione dell’attività poiché essa finirebbe per non risultare mai attività agricola. Occorre allora individuare un criterio di prevalenza alternativo. Nel tempo, pur essendo riconosciuta la natura atipica di tali attività, le stesse sono state ricomprese tra quelle agricole per connessione invocando il rispetto del requisito della prevalenza. Nella stessa direzione, alcuni Autori hanno tentato di colmare il vuoto normativo in materia, introducendo criteri di connessione che vincolano il giudizio sulla sussistenza del requisito della prevalenza alle caratteristiche oggettive dell’attività agricola principale (quantità o valore della produzione, impiego di strumenti tipici, funzionalità alla coltivazione, silvicoltura e allevamento), relegando ad un ruolo marginale la produzione energetica e trascurando che la finalità principale dell’art. 1, comma 423, è quella agevolativa (Nichetti B., Il trattamento tributario della produzione energetica da fonti rinnovabili realizzata da imprenditori agricoli nell’interpretazione dell’agenzia delle entrate, in Boll. trib., 2010, 9, 672).
La categoria delle agroenergie rappresenta una concreta risposta alle esigenze di tutela ambientale, che attestano l’affermazione di una nuova scala di obiettivi e valori che si configurano in termini sempre più netti sullo sfondo delle scelte ordinamentali (Iannarelli A., Pluralismo definitorio dell’attività agricola e pluralismo degli scopi legislativi: verso un diritto post-moderno?, in Riv. dir. agr., 2006, 1, 196; Lattanzi P. – Villamena S., Agricoltura ed energia: dallo “scontro” fra interessi alla logica di “mutuo sostegno”, in Cerrina Ferroni G. – Fronsini T. E. – Mezzetti L. – Petrillo P. L., a cura di, Ambiente, energia, alimentazione – Modelli giuridici comparati per lo sviluppo sostenibile, vol. 1, tomo II, Firenze, 2016, 554).
Nel comparto agricolo la continua dilatazione del criterio della connessione delle attività e il parametro flessibile della prevalenza costituiscono un vero e proprio incentivo per l’affermazione dell’azienda agroenergetica, prioritariamente orientata alla produzione di agroenergie piuttosto che alla coltivazione e all’allevamento (cfr. Selicato G., La fiscalità dell’agricoltura in Italia: proposte, de iure condendo, per un concorso dei sistemi rurali al perseguimento degli obiettivi di neutralità climatica, in Uricchio A. F. – Selicato G., a cura di, Green Deal e prospettive di riforma della tassazione ambientale, Bari, 2022, 369 ss.).
Questa tipologia di attività esprime il carattere multifunzionale dell’impresa agricola (sul concetto di multifunzionalità in agricoltura, Buia G., Agricoltura multifunzionale e produzione integrata: profili giuridici – multifunctional agriculture and integrated production: legal aspects, in Riv. quadr. dir. dell’ambiente, 2019, 1, 42 ss.; Canfora I., Il fondo rustico, i pannelli solari e l’agrarietà per connessione: come non snaturare la vocazione agricola dell’impresa, in Riv. dir. agr., 2016, 4, 242 ss.; Marchianò G., Regolazione dell’energia elettrica da fonte rinnovabile in particolare nei terreni agricoli in Ambiente diritto, 2020, 4, 96 ss.; Primerano G.A., Il carattere multifunzionale dell’agricoltura tra attività economica e tutela dell’ambiente in Dir. amm., 2019, 4, 837 ss.), che costituisce un valido modello per il raggiungimento degli obiettivi dello sviluppo sostenibile poiché coniuga l’aspetto più tradizionale dell’attività agricola, quale l’approvvigionamento alimentare, con le finalità di tutela dell’ambiente e del contesto rurale, conservazione del paesaggio e sicurezza alimentare (sul tema, Cardillo M., La tassazione dell’energia prodotta da fonti fotovoltaiche, in Dir. prat. trib., 2010, 6, 1043 ss.).
Il prevalente interesse per la promozione di energie rinnovabili ha fatto sì che si delineasse una normativa di carattere incentivante, al tempo stesso poco attenta alle reali dinamiche del mondo agricolo (cfr. Puri P., La produzione dell’energia tra tributi ambientali e agevolazioni fiscali, in Dir. prat. trib., 2014, 2, 309 ss.).
Seppure al momento permangono misure agevolative di cui il settore è destinatario, tuttavia mancano interventi legislativi in grado di aumentarne la redditività, intervenendo, ad esempio, in modo sistematico sul tema della diversificazione delle attività. A livello europeo, in materia di politica agricola comune, il regolamento sul sostegno allo sviluppo rurale delinea interventi a favore delle energie rinnovabili tra le misure cui l’azienda può aderire per diversificare le attività e tra i servizi di base e rinnovamento dei villaggi nelle zone rurali sono compresi investimenti nelle energie rinnovabili per infrastrutture su piccola scala. Altra strada da percorrere può essere quella dei rapporti di collaborazione tra i diversi operatori della filiera alimentare e altri soggetti impegnati nel settore, come le associazioni di produttori. Lo strumento della cooperazione consente, infatti, di diffondere progetti e prassi virtuose già in atto su alcuni territori, tra cui la promozione dell’uso di energie rinnovabili, la tutela del paesaggio, l’approvvigionamento di fonti rinnovabili da utilizzare nel ciclo produttivo, la preferenza per lo sviluppo di filiere corte.
(*) Il saggio è stato sottoposto a double blind peer review con valutazione positiva. Esso confluirà nel fascicolo n. 1/2025 (semestrale) della Rivista telematica di diritto tributario. Il contributo è stato elaborato nell’ambito del progetto “ON Foods-Research and innovation network on food and nutrition Sustainability, Safety and Security – Working ON Foods”. Project funded under the National Recovery and Resilience Plan (NRRP), Mission 4, Component 2, Investment 1.3 – Call for proposals No. 341 of 15 March 2022 of Italian Ministry of University and Research funded by the European Union – NextGenerationEU; Award Number: Project code PE00000003, Concession Decree No. 1550 of 11 October 2022 adopted by the Italian Ministry of University and Research, CUP: H93C22000630001.
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
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1 Ivi si precisa quanto segue: «1. La produzione di energia fotovoltaica derivante dai primi 200 KW di potenza nominale complessiva, si considera in ogni caso connessa all’attività agricola; 2. la produzione di energia fotovoltaica eccedente i primi 200 KW di potenza nominale complessiva, può essere considerata connessa all’attività agricola nel caso sussista uno dei seguenti requisiti: a) la produzione di energia fotovoltaica derivi da impianti con integrazione architettonica o da impianti parzialmente integrati, come definiti dall’articolo 2 del D.M. 19 febbraio 2007, realizzati su strutture aziendali esistenti. b) il volume d’affari derivante dell’attività agricola – esclusa la produzione di energia fotovoltaica – deve essere superiore al volume d’affari della produzione di energia fotovoltaica eccedente i 200 KW. Detto volume deve essere calcolato senza tenere conto degli incentivi erogati per la produzione di energia fotovoltaica; c) entro il limite di 1 MW per azienda, per ogni 10 KW di potenza installata eccedente il limite dei 200 KW, l’imprenditore deve dimostrare di detenere almeno 1 ettaro di terreno utilizzato per l’attività agricola».
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