A. La recente sentenza della Corte di Giustizia tributaria di I grado di Torino, sez. II, n. 1436/2024, si è pronunciata in merito alla questione della determinazione della TARI per gli studi professionali e, in particolare, sulla disciplina prevista dall’art. 58-quinquies D.L. n. 124/2019, che ha modificato il D.P.R. n.158/1999, prevedendo lo scorporo degli studi professionali dalla categoria comprendente gli uffici in genere e l’inserimento degli stessi nella “nuova” categoria denominata “Banche, istituti di credito e studi professionali”.
Nel caso di specie, la ricorrente aveva impugnato un avviso di pagamento lamentando l’illegittimità del prelievo in quanto il Comune di Torino, non adeguandosi al disposto del citato art. 58-quinquies D.L. n. 124/2019, avrebbe impedito agli studi professionali di godere della sensibile riduzione delle tariffe da applicare alla nuova categoria dal 2020 in poi.
Il giudice di prime cure ha rigettato il ricorso della contribuente e, invece, condiviso in toto le difese dell’ente locale, richiamando la L. n. 147/2013, che, all’art. 1, ha previsto due modalità diverse per la determinazione delle tariffe TARI, disponendo, al comma 651, l’applicazione dei criteri determinati con il regolamento di cui al D.P.R. n. 158/1999 e, in alternativa, al comma 652, la facoltà per il Comune di commisurare la tariffa «alle quantità e qualità medie ordinarie di rifiuti prodotti per unità di superficie, in relazione agli usi e alla tipologia delle attività svolte nonchè al costo del servizio sui rifiuti».
Ebbene, secondo la Corte di Giustizia di Torino, l’art. 58-quinquies del D.L. n. 124/2019 invocato dalla ricorrente a sostegno delle proprie ragioni, sarebbe intervenuto solo sui criteri previsti dal comma 651 e non sulla diversa facoltà prevista dal comma 652, utilizzata dal Comune convenuto. A conforto della propria tesi il Collegio ha rilevato come lo stesso art. 57-bis D.L. n. 124/2019 avrebbe confermato la suddetta facoltà «fino a diversa regolamentazione disposta dall’Autorità di regolazione per energia, reti ed ambiente» (ARERA) e come quest’ultima, poi, nel modificare il MTR (Metodo Tariffario servizio integrato di gestione dei Rifiuti negli anni dal 2018 al 2025) non avrebbe apportato sostanziali innovazioni relativamente al calcolo dei corrispettivi rilevanti per la determinazione delle entrate tariffarie.
Nella fattispecie esaminata, quindi, per seguire il ragionamento della sentenza in commento, l’Amministrazione comunale, avrebbe adottato, in base al predetto comma 652, un sistema di rilevazione della produzione quali-quantitativa dei rifiuti, individuando specifiche categorie di utenza domestica e non domestica con specifici coefficienti di produttività quantitativa e qualitativa di rifiuti, indipendenti dai parametri previsti dal D.P.R. n. 158/1999, come modificato dal più volte richiamato art. 58-quinquies D.L. n. 124/2019, con autonomi criteri di commisurazione della tariffa, nel rispetto del principio “chi inquina paga”.
La vicenda esaminata dalla Corte di Giustizia consente alcune riflessioni sui criteri di determinazione delle tariffe e sull’applicazione del tributo alla categoria degli studi professionali.
B. La questione dei criteri di determinazione delle tariffe TARI è stata sovente oggetto di attenzione e, come è stato correttamente rilevato, «a fronte di una normazione alluvionale, scarsamente coordinata e sistematizzata, la giurisprudenza è stata chiamata, di volta in volta, a definire gli aspetti distintivi del prelievo, con esiti talvolta dirompenti per quanto riguarda il meccanismo di finanziamento del servizio» (così Ronco S.M., La ‘perdita di centro’ della dimensione tributaria nella Tari tra interventi dell’Arera ed economia circolare, in Riv. dir. trib. 2023, 6, I, 649).
In sostanza, il quadro normativo che si è progressivamente delineato nel tempo, frutto anche di sovrapposizioni e della mancanza di un coordinamento sistematico, è piuttosto frastagliato e incerto, con la conseguenza che l’individuazione di criteri applicativi chiari, per le diverse ipotesi rilevanti, è divenuta sempre più complessa, anche in considerazione della possibilità, sancita dall’art. 1, comma 668, L. n. 147/2013, di abbandonare la logica tributaria ed imprimere alla tariffa natura privatistica.
Il primo step dell’indagine, naturalmente, non può che essere individuato nel disposto di cui alla L. n. 147/2013, che ha affidato la definizione del prelievo alla determinazione dell’ente locale, secondo la logica di una tariffazione normalizzata o puntuale, con il chiaro intento di favorire quest’ultima. E questo perché la ripartizione del costo del servizio basata su criteri presuntivi potrebbe non garantire un’effettiva tutela ambientale, sicché sarebbe più efficace adottare meccanismi di tariffazione puntuale che incentivino comportamenti virtuosi.
Il comma 650 dell’art. 1 L. n. 147/2013 prevede espressamente che la TARI sia corrisposta in base ad una tariffa commisurata ad anno solare e il comma 651 specifica, come anticipato, che il Comune, nella commisurazione della tariffa, debba tener conto dei criteri determinati con il regolamento, di cui al D.P.R. n. 158/1999, per il metodo normalizzato. Dopo di che, il successivo comma 652 ha previsto la possibilità per lo stesso Comune di commisurare la tariffa alle quantità e qualità medie ordinarie di rifiuti prodotti per unità di superficie, in relazione agli usi e alla tipologia delle attività svolte, nonché al costo del servizio sui rifiuti e questo proprio in ragione del rispetto del principio “chi inquina paga”, sancito dall’art. 14 della Direttiva 2008/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 novembre 2008.
Le tariffe per ogni categoria o sottocategoria omogenea vengono in tal modo determinate dal Comune moltiplicando il costo del servizio per unità di superficie imponibile accertata, previsto per l’anno successivo, per uno o più coefficienti di produttività quantitativa e qualitativa di rifiuti.
Tale facoltà permane fino all’intervento di nuove disposizioni ad opera dell’Autorità di regolazione per energia, reti ed ambiente (ARERA), la cui centralità nel meccanismo di attuazione del tributo emerge chiaramente dall’art. 1, comma 527, lett. f), L. n. 205/2017, che, infatti, ad essa demanda la predisposizione ed aggiornamento del metodo tariffario per la determinazione dei corrispettivi del servizio integrato dei rifiuti da operare, comunque, sulla base della valutazione dell’efficientamento dei costi e del principio “chi inquina paga” (cfr. Guidara A., Dalla Tarsu alla Tarip: tra diritto tributario e suggestioni privatistiche, in Rivista giuridica Ambientediritto.it, 2022, 1, 1 ss.).
Il legislatore ha lasciato, quindi, ampi margini di autonomia ai Comuni, ma ciò ha generato differenze tra metodi di tariffazione presuntiva e puntuale, che potrebbero non sempre essere giustificate.
In sostanza, dall’assetto normativo delineato, emerge che i Comuni possono applicare la TARI secondo tre diversi criteri: il metodo normalizzato, di cui all’art. 1, comma 651, L. n. 147/2013; il metodo della quantità e qualità media ordinaria, di cui ai primi due periodi dell’art. 1, comma 652, L. n. 147/2013, e il metodo normalizzato “corretto”, di cui al terzo periodo dell’art. 1, comma 652, L. n. 147/2013, che prevede l’adozione dei coefficienti di cui alle tabelle 2, 3a, 3b, 4a e 4b dell’allegato 1 al regolamento di cui al D.P.R n. 158/1999, inferiori ai minimi o superiori ai massimi ivi indicati del 50%, e può altresì non considerare i coefficienti di cui alle tabelle 1a e 1b del medesimo allegato 1.
Alla radice delle diverse previsioni va considerata la necessità di far fronte, comunque, alla difficoltà oggettiva di determinare il volume esatto di rifiuti urbani conferito da ciascun detentore che può avvenire ricorrendo a criteri basati sulla capacità produttiva, calcolata in funzione della superficie degli immobili occupati, nonché della loro destinazione e/o in relazione alla natura dei rifiuti prodotti, elementi in base ai quali l’Amministrazione può consentire di calcolare i costi dello smaltimento e ripartirli tra i vari utenti (cfr. T.A.R. Campania 19 giugno 2019, n. 3385). E tanto è stato valutato dalla giurisprudenza di legittimità, laddove ha ritenuto compatibile la normativa in esame con il principio evincibile dall’art. 15, lett. a), Direttiva 2006/12 (cfr. Cass. civ. n. 17498/2017).
C. Date queste premesse, il secondo step dell’indagine attiene alla specifica opzione del Comune per la modalità “alternativa” di determinazione del tributo, di cui al comma 652 dell’art. 1 in esame e, in particolare, alla sua applicazione agli studi professionali che l’art. 58-quinquies D.L. n. 124/2019, ha comunque scorporato dalla categoria degli uffici in genere, ed inserito con banche e istituti di credito, valorizzando il diverso impatto rispetto agli altri componenti della categoria di provenienza (uffici in genere), in conformità all’adozione del principio “chi inquina paga” e in ragione della notoria diversa composizione qualitativa e quantitativa dei rifiuti prodotti, cui far ragionevolmente corrispondere una tariffa meno gravosa. Riduzione di non poco conto, se è vero che, in merito alla modifica normativa, è sorta subito una prima questione relativa al regime transitorio disposto dalla normativa emergenziale per il Covid 19, che ha consentito ai comuni la possibilità di confermare per il 2020 le tariffe TARI adottate nel 2019 (ex art. 107, comma 5, D.L. n. 18/2020), possibilità di cui solo alcuni enti locali hanno beneficiato, mentre altri, di concerto e sulla spinta degli ordini professionali (ad esempio, Roma Capitale), hanno preferito adeguarsi al nuovo disposto normativo applicando immediatamente la più bassa tassazione prevista per gli studi professionali.
La vicenda esaminata dai giudici torinesi offre lo spunto per porre l’attenzione su alcune questioni che superano la specificità del caso ed investono carattere generale, riguardando: a) la (ir)ragionevolezza dell’adozione di un sistema di determinazione del tributo se esso si traduce in un trattamento deteriore rispetto a quello previsto dal contesto normativo (che, non a caso, è stato riformato con l’obiettivo di ridimensionare la tassazione degli studi professionali nella consapevolezza della composizione qualitativa e quantitativa dei rifiuti da essi prodotti), e b) i criteri che il Comune deve, comunque, rispettare nella individuazione dei parametri adottati.
D. Va in proposito rilevato che la scelta operata dal Comune in merito ai criteri di determinazione del tributo, prevista espressamente dal disposto normativo, è ritenuta insindacabile dalla giurisprudenza amministrativa che ha espressamente affermato che trattasi del frutto di una opzione appartenente al merito dell’azione amministrativa (Consiglio di Stato, sez. I, 3 ottobre 2019, n. 2557). Sennonché i criteri di determinazione della tariffa sono chiaramente espressione di discrezionalità tecnica e nell’adozione degli stessi occorre, comunque, rispettare i principi fondamentali di proporzionalità, adeguatezza e trasparenza (cfr. Del Federico L., Il concorso dell’utente al finanziamento dei servizi pubblici, tra imposizione tributaria e corrispettività, in Rass. trib., 2013, 6, 1222 ss.; Id., Tasse, tributi paracommutativi e prezzi pubblici, Torino, 2000).
Sotto questo profilo, si può pertanto evidenziare che il riferimento a criteri razionali di ripartizione dei costi tra le due macrocategorie di utenze (domestiche e non domestiche), ai sensi dell’art. 4 D.P.R. n. 158/1999, implica la necessità di esplicitare il criterio utilizzato (cfr. T.A.R. Campania 19 giugno 2019, n. 3385).
Occorre, quindi, che siano resi noti i vari elementi e indici che concorrono alla fissazione della misura della tariffa fissa e di quella variabile, la cui conoscibilità costituisce il presupposto indefettibile per verificare la correttezza del calcolo della tariffa in concreto applicata.
Inoltre, nell’applicazione di una tariffazione TARI sulla base del metodo della quantità e qualità media ordinaria, è necessario che il Comune fissi coefficienti razionali e non eccedenti i massimi previsti dal metodo normalizzato, in assenza di indici di produzione specifici che giustifichino l’opzione (sulla questione cfr. Consiglio di Stato, n. 4223/2017, che rileva anche che l’ente può operare, al più, una valutazione di ordine tecnico, che sola consente un giudizio avulso da considerazioni di opportunità rispetto ad altri interessi).
E questo chiaramente incide sulla ragionevolezza e coerenza del sistema prescelto dal Comune: la deviazione del modello adottato dall’ente locale deve comunque essere espressione di una scelta razionale e, se si devia dal massimo previsto per il modello standardizzato, è necessario che tale aumento abbia una propria ragionevolezza e giustificazione e sia almeno intellegibile per l’utenza.
Tanto è stato chiaramente evidenziato dalla giurisprudenza amministrativa che ha chiarito che i provvedimenti relativi alle tariffe devono essere caratterizzati da «una congruenza esterna», nel senso che «devono essere idonei a rivelare la ragionevolezza del percorso logico seguito dall’amministrazione nel processo di individuazione dei coefficienti per le diverse aree del territorio» (Cons. St., sez. V, 1° agosto 2015, n. 3781; Cons. St., sez. V, 9 novembre 2011, n. 5908; Cons. St., sez. V, 10 febbraio 2009, n. 750; T.A.R. Lazio, 1° giugno 2020 n. 5788; 8 novembre 2016, n. 11052). E la questione è stata ripresa ancor più di recente dal T.A.R. Veneto, con la sentenza n. 2668/2024, che ha ribadito la legittimità per i Comuni di applicare tariffe TARI differenziate tra utenze domestiche e non domestiche, purché tali differenziazioni siano giustificate e proporzionate alla effettiva produzione di rifiuti.
Ne consegue che l’opzione per la determinazione alternativa che in qualche modo viene anche guardata con favore dal legislatore, comporta tuttavia la necessità, da un lato, di un’adeguata e trasparente determinazione della tariffa, e, dall’altro, di indici di produzione dei rifiuti, relativi alla specifica realtà territoriale, fondati su un’adeguata indagine territoriale a supporto che giustifichi l’adozione di tale sistema, in assenza dei quali il Comune non può determinare coefficienti di produzione al di fuori dei minimi e massimi fissati dal regolamento di cui al D.P.R. n. 158/1999.
Trasparenza e proporzionalità, insomma, si rendono ancor più essenziali nel momento in cui è l’ente ad adottare un proprio criterio di tariffazione e deve, in tutti i modi, evitare situazioni di incongruità nel prelievo: l’assenza di adeguata trasparenza nell’adozione delle tariffe e la mancanza di una giustificazione razionale della devianza dai criteri individuati dal legislatore per attuare il principio “chi inquina paga”, con aggravio di contribuzione non supportata da ragioni comprovate, destano, infatti, seri dubbi di legittimità.
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
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Del Federico L., Tasse, tributi paracommutativi e prezzi pubblici, Torino, 2000Fedele A., (voce) Tassa, in Enc. giur., XXX, Roma, 1993
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Uricchio A., La riforma dei tributi comunali, in Uricchio A. – Galeone P. – Aulenta M. – Ferri A. (a cura di), I tributi comunali dentro e oltre la crisi, Bari, 2021, 3 ss.
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