EDITORIALE – Innocenti evasori: la Cassazione verso il triplo binario (e oltre). Osservazioni a Cass. civ., sez. V, 14 febbraio 2025, n. 3800

Di Adriana Salvati -

I. Con una recentissima e articolata sentenza, la Corte di Cassazione, sezione tributaria, ha esaminato presupposti e limiti di applicabilità del nuovo art. 21-bis D.Lgs. n. 74/2000, adottando una soluzione interpretativa piuttosto suggestiva, con la quale, tra il detto e non detto, la recente novella legislativa viene sostanzialmente confinata in un ambito di minore “rilevanza”.

L’occasione è data da un ricorso proposto dall’Agenzia delle Entrate avverso una sentenza della Corte di Giustizia tributaria di secondo grado della Puglia, relativa ad una contestazione di fatture per operazioni inesistenti: a fronte dell’assoluzione in sede penale, la Corte di Giustizia tributaria aveva ritenuto che la sentenza penale fosse decisiva anche a fini fiscali.

Nel caso di specie, vi sarebbe stato un errore dirimente da parte del giudice tributario, che aveva ritenuto la sentenza penale irrevocabile quando, invece, era ancora pendente il giudizio d’appello. Sennonché, dall’esame della fattispecie, la Corte trae spunto per operare un’ampia e complessa ricostruzione dei rapporti tra processo penale e tributario, alla luce della modifica operata con l’art. 21-bis D.Lgs. n. 74/2000.

Limitandosi agli aspetti più rilevanti della pronuncia, la Corte censura la sentenza di merito, (ri)affermando il noto principio per cui la sentenza penale, anche irrevocabile e ancorché con la formula “il fatto non sussiste”, non è idonea ad esplicare alcun effetto vincolante nel processo tributario, assumendo solo il rilievo di elemento di prova, soggetto ad autonoma valutazione da parte del giudice tributario (Cass. n. 2814/2020; n. 6532/2020). E tanto anche se i fatti oggetto di sentenza irrevocabile di assoluzione siano gli stessi per i quali è stato emanato l’avviso di accertamento (Cass. n. 6918/2013; n. 2938/2015; n. 10578/2015, n. 17258/2019; n. 4645/2020).

Questo principio viene ritenuto dalla Corte tutt’ora vigente e questo perché l’art. 21-bis D.Lgs. n. 74/2000, relativo alle sentenze di assoluzione perché “il fatto non sussiste” o “l’imputato non lo ha commesso”, emesse a seguito di dibattimento, si riferirebbe solo al trattamento sanzionatorio e non all’imposta. Secondo la Cassazione, la norma si inserirebbe «nei principi e direttive mirate alla nuova determinazione dell’assetto sanzionatorio e penale», al solo scopo di rafforzare l’integrazione dei sistemi sanzionatori nella prospettiva del rispetto del principio del ne bis in idem.

L’art. 21-bis D.Lgs. n. 74/2000, esplicherebbe, quindi, i suoi effetti esclusivamente con riguardo alle sanzioni irrogate, mentre con riguardo all’imposta la valutazione della sentenza penale resterebbe autonoma, esattamente come avveniva prima della riforma. Si legge nella sentenza che: «il rapporto di imposta tra contribuente ed erario non partecipa al rapporto penale che attiene invece al rapporto sanzionatorio», per il quale soltanto si porrebbe l’esigenza di una valutazione unitaria.

Per sostenere questa tesi, la Corte esamina il complesso delle disposizioni, di cui al D.Lgs. n. 74/2000, dal quale emergerebbe inalterata la struttura binaria che governa i rapporti tra i due processi, penale e tributario, e al cui interno la disposizione introdotta all’art. 21-bis avrebbe previsto un meccanismo di riequilibrio solo con riferimento all’applicazione delle sanzioni.

La suddetta interpretazione sarebbe conforme anche alla giurisprudenza unionale, perché, limitando l’efficacia del giudicato penale alle sole sanzioni, eviterebbe le criticità connesse alla compatibilità con i principi europei, secondo cui l’Amministrazione fiscale deve poter autonomamente accertare la sussistenza di operazioni fraudolente ai fini IVA (ad esempio, causa C-108/19, EN.SA.): in sostanza, secondo la Corte, se la sentenza penale vincolasse automaticamente il giudice tributario, si rischierebbe di limitare l’autonomia dell’accertamento fiscale, potenzialmente in contrasto con il diritto europeo.

Infine, la limitazione all’ambito sanzionatorio dell’art. 21-bis sarebbe in linea anche con i principi costituzionali, di capacità contributiva, di uguaglianza, e assicurerebbe il diritto alla difesa dell’Agenzia delle Entrate, che non partecipa al processo penale.

Da tale ricostruzione si è dedotto che, se sulla sanzione è preminente la necessità che il regime sanzionatorio sia unitario in applicazione del ne bis in idem, sull’imposta, invece, l’accertamento mira ad assicurare l’attuazione delle norme impositive per realizzare la “giusta imposta”, nell’equilibrio tra dovere contributivo e principio di capacità contributiva.

Per quel che attiene all’efficacia temporale della norma, la Corte ritiene che essa trovi immediata applicazione a tutte le controversie pendenti non solo per le violazioni realizzate dopo il 1° settembre 2024, ma anche per le precedenti.

La sentenza conclude, quindi, affermando che il giudice di merito dovrà apprezzare, con valutazione autonoma, la sentenza penale di assoluzione al fine dell’accertamento dell’imposta dovuta, mentre, con riguardo alla sanzione, verificata la sussistenza dei medesimi fatti sui quali è intervenuta la sentenza penale, dovrà applicare l’art. 21-bis, annullando la sanzione.

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II. Quanto all’entrata in vigore dell’art. 21-bis, le conclusioni della sentenza appaiono senz’altro condivisibili, laddove si evidenzia che l’art. 5 D.Lgs. 14 giugno 2024, n. 87 ha stabilito l’irretroattività degli interventi innovatori solo per le altre modifiche normative e che la relazione di accompagnamento avvalora tale tesi, sottolineando la necessità di adeguarsi agli orientamenti CEDU e della stessa Corte costituzionale. La conclusione è omogenea a quella di Cass. n. 936/2025, ove pure si è affermato che l’indicato ius superveniens si applica anche ai casi in cui la sentenza penale dibattimentale di assoluzione sia divenuta irrevocabile prima dell’entrata in vigore del citato D.Lgs. n. 87/2024, purché, alla data di entrata in vigore del medesimo, sia ancora pendente il giudizio di cassazione contro la sentenza tributaria d’appello.

Quanto, invece, alla limitazione alle sole sanzioni dell’ambito applicativo dell’art. 21-bis D.Lgs. n. 74/2000, seppure ampiamente motivata e non senza alcuni spunti di interesse, la pronuncia sembra contrastare, in modo netto, con il dato normativo e con la ratio legis.

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III. In prima battuta, non può non sottolinearsi che è la crisi del sistema del doppio binario a porsi alla radice della riforma. Le criticità di tale sistema, infatti, sono state più volte sottolineate e rinvengono la propria matrice proprio in ambito giurisprudenziale, ove sovente si è messa in luce l’inadeguatezza del doppio binario così come originariamente concepito (cfr. per una rassegna sul tema, ex multis, Giovanardi A., Prime osservazioni sullo schema di decreto legislativo recante revisione del sistema sanzionatorio tributario, in Riv. tel.. dir. trib., 2024, 1, 354 ss.; Giovannini A., Diritto punitivo tributario: residualità applicativa del ne bis in idem e rapporti tra processi, in Riv. tel. dir. trib., 4 settembre 2024; Id., Sui rapporti fra principio di proporzionalità, ne bis in idem e specialità nel riformato sistema punitivo tributario, in Riv. tel. dir. trib., 2024, 2 e pubblicato online il 20 luglio 2024, www.rivistadirittotributario.it; Dorigo S., Il doppio binario nella prospettiva penale. Crisi del sistema e spunti per una riforma, in Rass. trib., 2017, 2, 436 ss., che sottolineava che «è, insomma, il “diritto vivente” che si è incaricato di depotenziare istituti ormai non più confacenti al mutato contesto e di preparare la strada verso nuove soluzioni»).

La riforma operata con il D.Lgs. n. 87/2024, allora, lungi dal lasciare inalterato lo schema del doppio binario, ha inteso, invece, innovarne proprio la struttura, come emerge dall’art. 20 della legge delega 9 agosto 2023, n. 111. Ed infatti, il legislatore poneva proprio l’obiettivo di «rivedere i rapporti tra il processo penale e il processo tributario prevedendo, in coerenza con i princìpi generali dell’ordinamento, che, nei casi di sentenza irrevocabile di assoluzione perché il fatto non sussiste o l’imputato non lo ha commesso, i fatti materiali accertati in sede dibattimentale facciano stato nel processo tributario quanto all’accertamento dei fatti medesimi e adeguando i profili processuali e sostanziali connessi alle ipotesi di non punibilità e di applicazione di circostanze attenuanti all’effettiva durata dei piani di estinzione dei debiti tributari, anche nella fase antecedente all’esercizio dell’azione penale».

La riforma, quindi, è intervenuta sul complesso coacervo dei rapporti tra processo penale e tributario e non si è limitata ad agire solo sul fronte dell’adeguamento delle sanzioni al principio del ne bis in idem, come paventato dalla sentenza.

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IV. In seconda battuta, si rileva che l’interpretazione della norma, proposta dalla Corte, sembra alludere al rischio di un acritico automatismo nella trasposizione della sentenza penale all’interno del processo tributario, come se l’assoluzione penale potesse ostacolare l’accertamento della violazione del contribuente evasore sul piano tributario. Eppure il dettato normativo è chiaro laddove fa riferimento all’efficacia dell’accertamento dei fatti materiali: la richiesta esplicita del legislatore, nella legge delega, di prevedere che «i fatti materiali accertati in sede dibattimentale facciano stato nel processo tributario» non lasciano spazio ad alcun dubbio rispetto alla valenza complessiva dell’accertamento operato in sede in penale.

La valorizzazione dell’univocità dell’accertamento materiale del fatto costituisce l’obiettivo principale della riforma, anche nella prospettiva del rispetto del principio del ne bis in idem, e questo per armonizzare la disciplina con i principi generali dell’ordinamento.

La disposizione risponde, innanzitutto, all’esigenza di attuare il principio di non contraddizione e di coerenza del sistema, rispetto ai quali, in moltissime occasioni, si è avvertito stridente il rapporto con il sistema del doppio binario (si vedano in particolare i rilievi di Tesauro F., Ammissibilità nel processo tributario delle prove acquisite in sede penale, in Rass. trib., 2015, 2, 323 ss., e Marcheselli A., La circolazione dei materiali istruttori dal procedimento penale a quello tributario, in Rass. trib., 2009, 1, 83 ss.).

Sottolineo l’aspetto della materialità del fatto perché è su di esso che si incentra l’equivoco di fondo alla base della pronuncia: la norma non sancisce, sic et simpliciter, l’efficacia del giudicato penale della sentenza di assoluzione, ma chiaramente lo circoscrive all’accertamento del fatto materiale. E tanto è stato puntualmente evidenziato da altra pronuncia di Cassazione (15 gennaio 2025, n. 936) che ha sottolineato che la disposizione non si riferisce al giudicato penale in sé e per sé, ma all’accertamento dei fatti contenuti nella relativa decisione.

Ciò che interessa non è il valore extrapenale del dispositivo della sentenza, ma il valore extrapenale degli accertamenti di fatto.

Ecco, allora, che le distorsioni paventate nella sentenza in esame non sono realistiche.

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V. Nella sostanza, non può disconoscersi che il recupero della omogeneità della verità processuale sul fatto risponde alla necessità di attuare il principio di non contraddizione.

Questo principio attiene alla essentia, alla sostanza, e stride con la possibilità che, per effetto di un doppio binario processuale, ciò che non esiste dal punto di vista fenomenico in ambito penale, possa invece esserlo in ambito tributario, e tanto nonostante i noti sofismi sulla diversa struttura dei due processi e il differente impianto probatorio.

L’essere è e non può non essere, come sostenuto da Parmenide.

Vale a dire che, quando i fatti e le prove esaminate nel processo penale e in quello tributario sono i medesimi e le conclusioni raggiunte nel primo processo sono che “il fatto non sussiste” o “l’imputato non lo ha commesso”, è chiaramente illogico e incoerente che, nel processo tributario, si attesti una realtà fenomenica del tutto opposta.

Ecco allora che, se è il fatto ad essere centrale e se esso va giustamente circoscritto alle ipotesi oggettive e naturalistiche, non si comprende come il medesimo fatto possa esistere in un ramo dell’ordinamento e non in un altro.

Questa precisazione non è del tutto estranea alla sentenza in esame, laddove, pur ritenendo di circoscrivere l’efficacia del giudicato penale alle sole sanzioni, afferma la necessità di verificare la coincidenza del fatto in relazione al capo di imputazione e riferire la formula assolutoria alla contestazione.

Questo significa che la Corte ha ben compreso la centralità al fatto, specificando che esso andrà riguardato sotto «il versante naturalistico», «nucleo oggettivo nella sua materialità fenomenica» ed è certamente corretta la precisazione della sentenza in merito alla delimitazione dell’efficacia ai fatti comuni all’ipotesi di reato e all’illecito.

Ma tanto non comporta affatto una limitazione dell’efficacia della sentenza di assoluzione alle sole sanzioni: la riaffermazione dell’autonoma valutazione del giudice tributario va, invece, riferita alla verifica del fatto materiale accertato, alla c.d. attinenza ai fatti, in modo da distinguere le ipotesi in cui il reato tributario si fonda su diversi elementi (ad esempio, la prova del dolo o il superamento delle soglie di punibilità) e verificare che l’assoluzione sia stata determinata da uno specifico accertamento che il fatto non sussiste o l’imputato non vi abbia partecipato e non da insufficienti elementi di prova, distinguendosi la diversa rilevanza dei due commi dell’art. 530 c.p.p.

Con la conseguenza che, con riferimento al l’ipotesi richiamata dalla Corte, l’assoluzione connessa al mancato superamento della soglia di punibilità non comporta di per sé l’inesistenza dell’illecito tributario sotto soglia.

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VI. Questo ragionamento può essere comprovato anche con riguardo al principio di circolarità delle prove. Ed infatti, le antinomie tra il sistema del doppio binario, il principio di circolarità delle prove e il coordinamento del materiale probatorio, nei diversi ambiti, sono stati oggetto soprattutto di interventi giurisprudenziali che, in diverse occasioni, hanno sottolineato l’utilizzabilità del materiale istruttorio raccolto in ciascun procedimento, quale elemento di prova e fonte di convincimento da parte del giudice che istruisce l’altro (ex multis, Cass. civ., sez. V, 22 settembre 2021, n. 25632; 2 settembre 2022, n. 25962; sul tema Marcheselli A., La circolazione dei materiali istruttori dal procedimento penale a quello tributario, cit., 83, già sottolineava che «non è chiaro perché sia esclusa l’efficacia del giudicato penale nel processo tributario, quando nel processo penale non si sia fatto uso di alcuna delle prove vietate dal processo tributario»).

Il principio era stato chiaramente circoscritto già dalla nota pronuncia della CEDU, che metteva in luce la necessità di «sapere se i procedimenti in questione si sono svolti in una maniera che evita, per quanto possibile, qualsiasi ripetizione nella raccolta e valutazione degli elementi di prova, principalmente attraverso un’interazione adeguata tra le diverse autorità competenti, facendo sembrare che la statuizione dei fatti effettuata in uno dei procedimenti è stata ripresa nell’altro» (cfr. CEDU, 15 novembre 2016, A. e B. c. Norvegia, ricorsi nn. 24130/11 e 29758/11. Sul tema si veda Giovannini A., Il ne bis in idem per la Corte Edu e il sistema sanzionatorio tributario domestico, nota a sentenza, Corte europea diritti dell’uomo, sez. II, 4 marzo 2014, n. 18640, in Rass. trib., 2014, 5, 1164 ss.).

Il principio va coniugato con il divieto del bis in idem in senso sostanziale, che opera non soltanto sul piano delle pene, ma anche su quello dei procedimenti e dei processi per fatti materiali sostanzialmente identici (così Giovannini A., Recepimento e limiti dei princìpi “superiori” nel processo tributario, in Rass. trib., 2017, 2, 344 ss.).

Ecco allora che il riconoscimento dell’efficacia del giudicato penale, quanto ai fatti accertati e nelle ipotesi previste dal legislatore, risponde alla necessità di porre un argine alle distorsioni che il sistema del doppio binario genera anche con riferimento al principio di circolarità delle prove, coniugandolo con le esigenze sottese al principio del ne bis in idem e di coerenza del sistema.

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VII. La Cassazione ritiene che la limitazione all’ambito sanzionatorio dell’art. 21-bis risponda ad esigenze di carattere costituzionale e di rispetto del principio di capacità contributiva e questo perché, mentre per l’applicazione delle sanzioni sarebbe preminente l’esigenza di unitarietà in ragione della regola del ne bis in idem, sull’imposta, invece, è preminente l’accertamento della “giusta imposta”, nell’equilibrio tra dovere contributivo e principio di capacità contributiva.

A ben vedere, però, è la lettura della Corte a prospettare una collisione dell’art. 21-bis con i principi costituzionali e, in special modo, con il principio di capacità contributiva. E questo perchè vi è uno stretto nesso tra la capacità contributiva e l’accertamento della effettiva realtà dei fatti che la manifesta: l’effettività e la realità del presupposto sono elementi strutturali della nozione, sicché l’inesistenza del fatto materiale, accertata nel processo penale, confligge di per sé con il fondamento del dovere contributivo.

In sostanza, se si valorizza l’efficacia del giudicato penale con riferimento al fatto, la prospettiva corretta è esattamente inversa: è l’accertamento dell’inesistenza dei fatti materiali ad impedire agli stessi di essere assunti a presupposto d’imposta.

Questo elemento è dirimente anche rispetto alle considerazioni operate dalla Corte con riferimento agli orientamenti europei sulla necessaria autonomia dell’Amministrazione finanziaria nell’accertamento dell’imposta, che, nell’esempio richiamato, attengono alla sussistenza di operazioni fraudolente ai fini IVA.

Ebbene, a me pare che, nel ragionamento avanzato, siano sovrapposti piani differenti, atteso che l’efficacia del giudicato penale di assoluzione nel processo tributario non lede in alcun modo l’autonomia valutativa dell’Amministrazione.

Il lavoro di accertamento, operato in ambito amministrativo, è oggetto del controllo giurisdizionale in sede tributaria e, in ipotesi di reato, anche in sede penale: se in quest’ultima sede, è comprovata la insussistenza del fatto (o il compimento dello stesso) non vi è ragione alcuna per escludere l’efficacia di tale accertamento nel processo tributario e tanto non ha alcuna relazione con quanto autonomamente valutato a monte dall’Amministrazione nel procedimento, oggetto di controllo giurisdizionale.

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VIII. La sentenza in esame ritiene che la limitazione dell’ambito applicativo dell’art. 21-bis alle sole sanzioni sia avvalorata dalla collocazione sistematica della norma ed, essenzialmente, dalla sopravvivenza della regola del doppio binario nell’impianto legislativo: in sostanza, l’efficacia di giudicato riconosciuta alle sentenze penali di assoluzione, quanto all’accertamento delle imposte dovute, si porrebbe in antitesi rispetto al principio generale dell’autonomia dei due processi.

Anche questa tesi non sembra condivisibile, soprattutto considerando la trasposizione della disposizione nell’art. 119 del Testo Unico della giustizia tributaria (D.Lgs. n. 175/2024).

L’odierna collocazione viene considerata ininfluente dalla Corte perché la predisposizione dei Testi Unici non ha valenza innovativa, eppure la scelta legislativa esprime chiaramente l’intento di dare rilevanza alla ricostruzione unitaria del fatto nel processo.

In ogni caso, fermo restando che proprio le criticità del doppio binario sono alla radice della riforma, tale regola non è in alcun modo contraddetta da quanto disposto dall’art. 21-bis.

Come più volte evidenziato, ferme restando tutte le perplessità sulla limitazione operata dalla norma (ad esempio, con riferimento al decreto di archiviazione o all’esito del giudizio abbreviato, sulle quali si rinvia a Flora G., Profili penali della legge delega per la riforma fiscale, in Dir. pen. proc., 2023, 11, 1413 ss.; Giovanardi A., Prime osservazioni sullo schema di decreto legislativo recante revisione del sistema sanzionatorio tributario, cit. e – mi si consenta il richiamo – al mio, Riflessioni sulla mancata considerazione del ruolo dell’archiviazione nel decreto legislativo sulle sanzioni tributarie, in Riv. trim. dir. trib., 2024, 3, 545 ss.), resta il fatto che la disposizione ha inteso attribuire efficacia nel processo tributario alle sole sentenze irrevocabili di assoluzione perché “il fatto non sussiste” o “l’imputato non lo ha commesso”, pronunciate, nei confronti del medesimo soggetto, in seguito a dibattimento.

Questo significa chiaramente che, in tutte le altre ipotesi, il doppio binario continua ad operare, sicché non vi è alcuna necessità di ridurre l’ambito applicativo della norma alle sole sanzioni per giustificare la convivenza delle diverse disposizioni.

IX. Alla radice della scelta legislativa, che ha imposto un allineamento per la fattispecie di cui all’art. 21-bis, vi è inequivocabilmente il riconoscimento che il processo penale costituisce il sistema più efficace per l’accertamento dei fatti materiali controversi, «consentendo alla ricostruzione conseguente di raggiungere un livello di verosimiglianza tale da poter essere ragionevolmente considerata come la sola rilevante per il diritto, giacché la migliore possibile nel momento storico dato» (in questi termini Giovannini A., Diritto punitivo tributario: residualità applicativa del ne bis in idem e rapporti tra processi, cit.).

E questo riconoscimento non può essere limitato solo all’accertamento della sanzione e tanto è già è stato rilevato, con un intervento precursore della possibile deriva interpretativa in esame, da Marcheselli A., Imposta evasa, profitto del reato tributario, il mito del doppio binario della prova tra penale e amministrativo e le nuove frontiere del profitto confiscabile, in Riv. tel. dir. trib., 2024, 1, 372 ss., che sottolineava che si potrebbe ritenere, logicamente, che il differente standard probatorio non riguardi, genericamente, il diritto tributario e il diritto penale, ma solo il diritto penale e il diritto tributario sostanziale, non quello sanzionatorio, con la conseguenza inaudita di un doppio standard, perché la parte relativa all’imposta potrebbe fondarsi solo sul “più probabile che non”, mentre la parte sanzionatoria dovrebbe attingere il livello dell’oltre ragionevole dubbio.

Come se solo uno standard probatorio meno accurato potesse soddisfare l’art. 53 Cost.

E, del resto, a seguire il ragionamento operato dalla Cassazione, ci troveremmo dinanzi ad una situazione paradossale in cui, a fronte di un’assoluzione penale perché il fatto non sussiste, il medesimo fatto potrebbe essere ritenuto esistente per l’accertamento di un’imposta evasa, ma non per le sanzioni.

Si legge nella sentenza che il giudice di merito dovrebbe valutare la sentenza penale di assoluzione, al fine dell’accertamento dell’imposta dovuta, mentre, con riguardo alla sanzione, dovrà applicare l’art. 21-bis, annullando la sanzione.

Ne consegue che si potrebbero generare ulteriori ibridi concettuali per cui, non solo a fronte di un’assoluzione per inesistenza del fatto, potrebbe riscontrarsi la sussistenza di un illecito, fondato sui medesimi fatti comprovatamente inesistenti, ma tale illecito non sarebbe punibile con la sanzione (o le sanzioni) che al compimento dello stesso sono strettamente connesse.

La conseguenza di questo ragionamento è che, in sostanza, si va a sostituire il doppio binario con uno triplo, atteso lo sdoppiamento del processo tributario quanto agli esiti attinenti all’imposta, da un lato, e alla sanzione, dall’altro.

È evidente, allora, che la lettura corretta è quella collegata all’interpretazione letterale, logica e sistematica della disposizione: diversamente opinando, si aprono le porte a quella dimensione del subconscio, cara ad Arthur Schnitzler in Doppio sogno, in cui ci si perde nei labirinti della coscienza, in quel medio-conscio in cui si incrinano le certezze e si demolisce la sovranità del dogma di coerenza.

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