Sulla fiscalità delle liberalità indirette: aspetti evolutivi, criticità applicative e profili di riforma mancati
Di Michela Filippini e Karim Elsisi
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Abstract (*)
Le donazioni indirette e informali, eseguite senza il rispetto delle formalità prescritte dal codice civile, continuano a sollevare rilevanti questioni interpretative e applicative. Nonostante i recenti sviluppi normativi, tra cui le modifiche introdotte dal D.Lgs. 18 settembre 2024, n. 139 permangono molte problematiche applicative. Tra queste spiccano l’assoggettabilità ad imposta delle donazioni informali (nulle per il diritto civile) e la determinazione dei termini di decadenza dell’Erario dai propri poteri accertativi in relazione alle c.d. liberalità non donative. La sentenza della Corte di Cassazione 20 marzo 2024, n. 7442 ha ulteriormente affrontato entrambi queste complessità, riaffermando la rilevanza fiscale delle donazioni indirette ed informali, quali manifestazioni effettive di capacità contributiva, a prescindere dalla loro nullità o mancata osservanza dei requisiti formali previsti dal codice civile. Inoltre, la pronuncia ha fornito indicazioni significative sull’applicazione dei termini di decadenza, suggerendo l’applicabilità di un termine decennale, decorrente dalla data di effettuazione della liberalità. Il presente saggio propone un’analisi critica delle questioni ancora irrisolte, contestualizzandole nell’ambito del più ampio quadro normativo tributario.
Indirect donations: persistent practical challenges and (missed) opportunities for a reform – Indirect and informal donations, executed without the formalities prescribed by the Civil Code, continue to pose serious interpretative and applicative challenges. Notwithstanding recent legislative developments, including the amendments introduced by Legislative Decree No. 139 of September 18, 2024, several of the old contentious issues endure. These include the taxability of informal donations (null under civil law), as well as the computation of statutory limitations for tax assessments. Supreme Court ruling No. 7442 of March 20, 2024, has further analyzed these complexities, reaffirming the tax relevance of informal and indirect donations as manifestations of economic capacity, notwithstanding their nullity or lack of compliance with formal requirements in civil law. Moreover, the decision provided critical guidance on the application of the statute of limitations, positing apreference for a ten-year term commencing from the date of the donation. This paper undertakes a critical analysis of these unresolved issues, contextualizing them within the broader tax regulatory framework.
Sommario: 1. Premessa. – 2. Cenni civilistici sulle c.d. liberalità non donative. – 3. La disciplina delle liberalità indirette contenuta nel D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 346 e le novità del D.Lgs. 18 settembre 2024, n. 139. – 4. La sentenza 20 marzo 2024, n. 7442 della “sezione tributaria” della Suprema Corte. – 5. Criticità vecchie e nuove: l’occasione persa della riforma. – 6. Considerazioni conclusive.
1. Le liberalità indirette e informali costituiscono una particolare manifestazione liberale realizzate attraverso modalità negoziali diverse dalla donazione “classica” e caratterizzate da una complessa interazione tra profili civilistici e tributari. La disciplina di tali fattispecie, sebbene consolidata nei suoi principi fondamentali, continua a rappresentare un terreno fertile per i dibattiti dottrinali e giurisprudenziali.
Anche alla luce delle recenti modifiche introdotte dal D.Lgs. 18 settembre 2024, n. 139, la condotta del legislatore sembra manifestare un tentativo di bilanciamento tra esigenze di certezza del diritto e finalità prettamente fiscali, mancando tuttavia di affrontare (neppure nella più recente opera di riforma) alcune delle più rilevanti criticità emerse. Ad esempio, permangono ancora questioni aperte con riguardo alla rilevanza fiscale delle liberalità informali (e, dunque, al rapporto tra forma e sostanza nell’applicazione del tributo), ma anche in punto di individuazione del termine di decadenza per l’accertamento delle liberalità diverse dalle donazioni.
Questo contributo, muovendo dall’importante pronuncia della Corte di Cassazione, 20 marzo 2024, n. 7442, intende effettuare una ricognizione sistematica delle problematiche ancora irrisolte e illustrare, al contempo, le potenziali implicazioni delle scelte normative plasmate nel vigente ordinamento giuridico e tributario.
2. Com’è noto, l’art. 769 c.c. definisce la donazione come il contratto con il quale, per spirito di liberalità, una parte (il donante) arricchisce l’altra (il donatario), disponendo a favore di quest’ultima di un suo diritto o assumendo un’obbligazione nei suoi confronti. Due sono, dunque, gli elementi caratterizzanti la donazione: (i) il primo, di natura oggettiva, è l’attribuzione patrimoniale senza corrispettivo: l’incremento del patrimonio del donatario con conseguente depauperamento di quello del donante, che può avvenire mediante disposizione di un diritto (donazione reale), oppure con l’assunzione verso il donatario di una obbligazione; e (ii) il secondo, soggettivo, consiste nell’intento di liberalità (c.d. animus donandi): la piena spontaneità dell’attribuzione, in assenza di vincoli rilevanti per l’ordinamento.
Appartengono, invece, alla categoria delle donazioni indirette, cui fanno riferimento gli artt. 737, comma 1, e 809, c.c., le liberalità non donative (ovvero risultanti da atti diversi da quelli previsti all’art. 769 c.c.) idonee a raggiungere un risultato equivalente alla donazione propriamente detta. Invero, nelle donazioni indirette le parti, per raggiungere l’intento di liberalità, anziché utilizzare lo schema tipico della donazione, ricorrono ad altri schemi negoziali, caratterizzati da una diversa ed autonoma causa rispetto a quella propriamente liberale (l’animus donandi). Volendo individuare il carattere principale delle liberalità realizzate in forma indiretta, si può dire che queste ultime, pur avendo in comune con la donazione tipica la conseguenza di creare un arricchimento senza alcuna contropartita, si differenziano dalle donazioni tipiche per il modo in cui si realizza l’arricchimento dei beneficiari.
Le liberalità indirette possono realizzarsi sia attraverso contratti rispetto ai quali il beneficiario è terzo (e.g., un contratto a favore del terzo, come la sottoscrizione di un contratto di assicurazione sulla vita nel quale si indica come beneficiario un soggetto terzo, al quale il contraente non è legato da alcun vincolo di mantenimento o dipendenza economica; cfr. Cass. civ., sez. III, sent. 16 aprile 2015, n. 7683 e Cass. civ., sez. III, sent. 19 febbraio 2016, n. 3263), sia mediante una combinazione di più negozi giuridici dei quali risulta parte il beneficiario della liberalità indiretta (e.g., si pensi al caso in cui un genitore fornisca al figlio le somme per acquistare e intestarsi un immobile: in tal caso non si configurerà semplicemente una donazione diretta del denaro, bensì una donazione indiretta dello stesso immobile acquistato dal figlio; cfr. Coppo L., Donazioni e liberalità non donative, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2019, 4, 1385 ss.).
Quanto appena detto consente di affermare, sotto il profilo causale, che – al contrario della donazione diretta – le liberalità indirette risultano necessariamente caratterizzate da una “doppia causa”: un atto per essere qualificabile come liberalità indiretta deve necessariamente avere una propria causa ulteriore, diversa e autonoma rispetto al mero animus donandi che muove l’agire del donante (cfr. Cass. civ., Sez. Un., sent. 27 luglio 2017, n. 18725 e Valenza F., La donazione indiretta tra diritto civile e diritto tributario, in Nuova giur. civ. comm., 2001, 3, 180 ss.).
Sotto il profilo formale, le liberalità indirette non sono soggette alla disciplina di cui all’art. 782 c.c. (non espressamente richiamato dall’art. 809 c.c.) e, pertanto, non sono soggette al rispetto dei requisiti di forma previsti ad substantiam per le donazioni dirette (i.e., la formalizzazione per atto pubblico ricevuto dal notaio alla presenza di due testimoni), essendo invece sufficiente l’osservanza delle regole formali prescritte per il negozio tipico utilizzato per realizzare lo scopo di liberalità.
La ragione di tale diversa disciplina formalistica risiede nel fatto che, mentre la donazione diretta è caratterizzata da una intrinseca debolezza causale (da colmare mediante l’impiego di forme solenni), nella donazione indiretta tale debolezza non sussiste, in quanto il negozio sottostante è comunque dotato di una propria causa (e formalità), a cui si aggiunge l’intento donativo che, pertanto, non necessità di ulteriori formalità di sorta (cfr. Cass. civ., sez. II, sent. 16 marzo 2004, n. 5333; Cass. civ., sez. II, sent. 29 marzo 2001, n. 4623). In sintesi: mentre la donazione diretta, avendo quale unica causa la funzione liberale, necessita inevitabilmente di un’integrazione sul piano della forma (la forma colma la debolezza causale), la donazione indiretta dispone già di una causa propria e dunque non occorre il “soccorso” di una particolare forma solenne, essendo sufficiente il rispetto della forma prescritta per il negozio di base.
Trattazione separata meritano quegli atti che liberali che si sostanziano nell’impiego – per realizzare la liberalità – di negozi diversi dalle donazioni, ma che in realtà non hanno altra causa se non quella donativa.
In pratica, si tratta di negozi che non hanno altro scopo se non quello liberale che vengono attuati attraverso mezzi giuridici diversi dalle donazioni dirette, in assenza delle formalità stabilite all’art. 782 c.c. In tal senso, la dottrina (Cicero C. – Maxia M., Osservazioni sul problema del formalismo delle attribuzioni patrimoniali effettuate per spirito di liberalità, in Riv. not., 2018, 1, 151 ss.) e la giurisprudenza (Cass. civ., Sez. Un., sent. 27 luglio 2017, n. 18725, cit.) hanno definito tali particolari atti/negozi come “donazioni tipiche ad esecuzione indiretta”. Si è, allora, in presenza di una donazione “informale” (cfr. Cass. civ., sez. V, sent. 20 marzo 2024, n. 7442).
In questi casi, la donazione è radicalmente nulla poiché posta in essere in assenza delle formalità previste all’art. 782 c.c. Tali liberalità, inoltre, sono insuscettibili di sanatoria, essendo consentita la sola rinnovazione, con efficacia ex nunc, per effetto di un altro atto dotato dei requisiti di forma e di sostanza prescritti dalla legge, con l’eccezione della convalida delle liberalità da parte degli eredi ex art. 799 c.c. Come chiarito dalla giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. civ., sez. I, ord. 18 febbraio 2022, n. 5488), nell’ipotesi di nullità del contratto (nella specie quello di donazione) gli obblighi di restituzione tra le parti sono mutuati dalla disciplina dell’indebito oggettivo ex art. 2083 c.c., venendo a mancare la causa giustificativa delle attribuzioni patrimoniali (cfr. Giorgi G., I criteri identificativi della donazione di non modico valore e il suo rapporto con il mandato a donare, in www.rivistapactum.it, 25 agosto 2022). L’azione per la ripetizione dell’indebito in discorso si prescrive nel termine di dieci anni, che inizia a decorrere non dalla data di pronuncia della sentenza di nullità della donazione informale, bensì dalla data del pagamento effettuato al momento del compimento dell’atto nullo (cfr. Cass. civ., sez. III, sent. 12 maggio 2014, n. 10250).
3. Muovendo da questo breve ma opportuno inquadramento civilistico, è possibile delineare il regime fiscale previsto per le liberalità indirette.
L’ambito oggettivo di applicazione dell’imposta sulle successioni e donazioni (art. 1, comma 1, D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 346, “TUS”) comprende, salvo esclusioni ed esenzioni, tutti i «trasferimenti di beni e diritti per successione a causa di morte ed ai trasferimenti di beni e diritti per donazione o altra liberalità tra vivi […] [f]erma restando l’applicazione dell’imposta anche alle liberalità indirette risultanti da atti soggetti a registrazione», fattispecie, quest’ultima, richiamata al successivo comma 4-bis, ove si stabilisce che il tributo donativo si applica anche «[…] alle liberalità indirette risultanti da atti soggetti a registrazione».
La sfera applicativa è molto ampia, rientrandovi, per quanto qui d’interesse, sia le altre liberalità tra vivi – escluse le erogazioni liberali effettuate per spese di mantenimento, educazione, malattia, abbigliamento o nozze (art. 742 c.c.), e le donazioni di modico valore (art. 783 c.c.) – sia le liberalità indirette risultanti da atti soggetti a registrazione, come reiteratamente ribadito dalla prassi amministrativa (cfr. circ. 22 gennaio 2008, n. 3/E dele circ. 11 agosto 2015, n. 30/E). Ai fini dell’applicazione dell’imposta sulle donazioni a tali categorie di liberalità, l’art. 55 TUS, prevede che: (i) gli atti di donazione sono soggetti a registrazione secondo le disposizioni del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 (“TUR”); e che (ii) sono «soggetti a registrazione in termine fisso anche gli atti aventi ad oggetto donazioni, dirette o indirette, formati all’estero nei confronti di beneficiari residenti».
Per il regime di imponibilità delle “liberalità diverse dalle donazioni”, occorre far riferimento a quanto stabilito al successivo art. 56-bis TUS, il quale prevede, con applicazione di aliquote diverse, sia l’ipotesi di imponibilità delle liberalità indirette oggetto di registrazione volontaria che delle liberalità “confessate” nell’ambito di procedimenti diretti all’accertamento di altri tributi. Con decorrenza 1° gennaio 2025, il D.Lgs. n. 139/2024ha modificato l’art. 56-bis TUS: (i) sancendo l’applicabilità delle ordinarie aliquote di cui all’art. 56 TUS in caso di registrazione volontaria e l’aliquota massima dell’8% in caso di registrazione a seguito di accertamento; (ii) eliminando la seconda condizione che richiedeva che le liberalità avessero determinato un incremento patrimoniale superiore all’importo di 350 milioni di lire (euro 180.759,91); e, infine, (iii) escludendo l’applicabilità dell’imposta alle donazioni d’uso di cui all’art. 770, comma 2, c.c.
Dal quadro sopra tratteggiato sembra ragionevole affermare che le donazioni indirette siano rilevanti ai fini dell’applicazione dell’imposta di donazione, là dove: (i) risultino da atti soggetti a registrazione formati per iscritto nel territorio dello Stato (l’obbligo di registrazione di contratti verbali è previsto solo nei casi di cui all’art. 3 TUR e di enunciazione ex art. 22 TUR); (ii) siano volontariamente registrate; ovvero (iii) sia accertata la loro esistenza, in quanto dichiarata – a scopo “difensivo” – dallo stesso contribuente, nell’ambito di un procedimento accertativo avente ad oggetto altri tributi, sulla base di quanto previsto dall’art. 56-bis, comma 1, TUS.
In linea generale, nel contesto normativo non è ravvisabile un obbligo generalizzato di registrazione di tutte le liberalità indirette: diversamente opinando, infatti, non sarebbe spiegabile la limitazione del potere accertativo dell’Erario. Vieppiù, il dato letterale del summenzionato art. 56-bis TUS sembra voler premiare l’autodichiarazione del contribuente che voglia evitare – in ottica di alternatività più che di obbligatorietà – conseguenze fiscali più gravose in materia di imposte sul reddito: è stato infatti osservato che, «quand’anche risultasse dalle indagini l’esistenza di una liberalità informale, il fisco non potrebbe agire senza una dichiarazione del contribuente, al quale la legge consente la scelta alternativa dilasciar avanzare la procedura d’accertamento già iniziata e riguardante altre imposte, quelle reddituali, oppure di dichiarare la gratificazione ricevuta, impedendo la continuazione di quella procedura, se tale gratificazione fosse quantitativamente congrua, ed affrontando il peso dell’imposta sugli atti liberali» (cfr. Gaffuri G., Note riguardanti la novellata imposta sulle successioni e donazioni, in Rass. trib., 2007, 2, 441).
La disciplina appare meno chiara se si fa riferimento alle donazioni informali, che, come detto, dal punto di vista civilistico sono radicalmente nulle.
Secondo parte della dottrina (cfr. Busani A., Imposta di successione e donazione, Milano, 2020, 1298) la naturale conseguenza della nullità della donazione in discorso sul piano civilistico dovrebbe essere l’irrilevanza ai fini tributari, pena la violazione del principio costituzionale di capacità contributiva. Invece, secondo la giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. civ., sez. V, sent. 29 ottobre 2010, n. 22118; Cass. civ., sez. V, sent. 18 gennaio 2012, n. 634; Cass. civ., sez. V, sent. 20 marzo 2024, n. 7442), l’autonomia del piano tributario da quello civilistico, da un lato, e il fatto che la liberalità informale rappresenta comunque una manifestazione di capacità contributiva idonea ad essere attratta a tassazione, dall’altro, avrebbero come inevitabile conseguenza l’assoggettamento della liberalità informale a imposta secondo gli stessi limiti posti dal citato art. 56-bis TUS (in tale senso, in dottrina, v. anche Leo M. – Musto A., Donazione di denaro [di non modico valore] mediante bonifico bancario, in Notariato, 61, 29 marzo 2024).
In questo contesto s’inserisce la recente previsione di cui all’art. 4-bis TUS, introdotta con il D.Lgs. n. 139/2024, secondo cui il beneficiario di attribuzioni liberali del capitale del trust (siano esse formalizzate o meno in un atto pubblico) effettuate dal trustee è sempre tenuto alla dichiarazione delle stesse e conseguente assoggettamento a tassazione. Questa nuova previsione individua una specifica (e limitata) fattispecie imponibile, riguardante le sole attribuzioni (formali e informali) provenienti da trust, senza tra l’altro estendersi alle liberalità indirette compiute dal trustee, che resterebbero pertanto soggetta al regime previsto dall’art. 56-bis TUS.
Infine, nessun riferimento è rinvenibile, in alcuna delle citate disposizioni, con riguardo al fondamentale profilo del termine decadenziale del potere dell’Ufficio di accertare le liberalità indirette o informali.
4. Alcuni degli aspetti maggiormente controversi della disciplina fiscale in materia di liberalità informali e indirette, non risolti dalla novella di cui al D.Lgs. n. 139/2024, sono state oggetto di analisi nella nota sentenza della Corte di Cassazione, 20 marzo 2024, n. 7442, che – pur non avendo apportato un significativo contributo innovativo rispetto ai precedenti giurisprudenziali (tanto che la stessa Corte parla di esegesi «confermata e ribadita») rappresenta una pregevole sintesi dello stato dell’arte in materia e offre molteplici spunti di riflessione.
Nel maggio 2014, un contribuente aveva ricevuto – e successivamente rifiutato di fronte a un notaio – un trasferimento di titoli e denaro mediante ordinativo bancario da parte dello zio, che era stato oggetto di voluntary disclosure. Nell’avviso di liquidazione, l’Ufficio qualificava il trasferimento come una donazione indiretta soggetta ad imposta sulle donazioni, e contestava l’omesso pagamento dell’imposta nonostante il successivo rifiuto della liberalità da parte del contribuente.La Commissione tributaria regionale della Lombardia, confermando le conclusioni del giudice di prime cure, riteneva che il trasferimento in questione fosse da qualificare generalmente come liberalità da assoggettare al tributo donativo.
Il ricorso del contribuente alla Suprema Corte si fondava su quattro motivi.
Per quanto d’interesse in questa sede, con il primo motivo il contribuente contestava la possibilità che un atto affetto da nullità (i.e., una donazione tipica ad esecuzione indiretta) potesse determinare l’insorgenza di un’obbligazione tributaria; con il secondo motivo, invece, contestava l’omesso esame di un fatto decisivo, ossia il rifiuto della liberalità ricevuta.
In relazione al primo motivo, che è stato respinto, la Suprema Corte ha ribadito, ripercorrendo quanto statuito dalle Sezioni Unite ai soli fini civilistici (cfr. Cass. civ., Sez. Un., sent. 27 luglio n. 18725, cit.), che «il trasferimento, attraverso un ordine di bancogiro del disponente, di strumenti finanziari dal conto di deposito titoli del beneficiante a quello del beneficiario non rientra tra le donazioni indirette (art. 809 cod. civ.) ma configura una donazione tipica (art. 769 cod. civ.) ad esecuzione indiretta, soggetta alla forma dell’atto pubblico (art. 782, primo comma, cod. civ.), salvo che sia di modico volare (art. 783 cod. civ.), poiché realizzato non tramite un’operazione triangolare di intermediazione giuridica, ma mediante un’intermediazione gestoria dell’ente creditizio». E, fatta tale premessa, ha chiarito che la fattispecie delle donazioni informali assume una connotazione diversa sul piano tributario: l’incarico al correntista di effettuare il pagamento, trasmesso con l’ordine di bonifico, è da considerarsi come una delegazione di pagamento (cfr. Cass. civ., sez. III, sent. 22 maggio 2015, n. 10545, Cass. civ., sez. III, ord. 23 maggio 2018, n. 13068, Cass. civ., sez. V, sent. 17 marzo 2021, n. 7428) che realizza il fine di liberalità. Onde appaiono evidenti e incontestabili – argomenta la Suprema Corte – il dato soggettivo (animus donandi) e oggettivo (causa donandi, rappresentata dall’effettivo trasferimento di ricchezza), con obbligo di assoggettamento ad imposta di tale liberalità (ancorché priva di effetti sul piano civilistico) in forza dell’art. 56-bis TUS, che disciplina le liberalità diverse dalle donazioni, nel quale rientrerebbero tanto le liberalità indirette quanto quelle informali.
In ottica sistematica, la Suprema Corte ha concluso che: (i) con riferimento alle donazioni informali e le donazioni indirette non risultati da atti soggetti alla registrazione non è previsto un generale obbligo di registrazione; tuttavia (ii) per «le liberalità diverse dalle donazioni, ossia tutti quegli atti di disposizione mediante i quali viene realizzato un arricchimento (del donatario) correlato ad un impoverimento (del donante) senza l’adozione della dorma solenne [n.d.r. donazioni informali e indirette]» è prevista la registrazione nel caso in cui risultino da dichiarazioni rese nell’ambito di procedimenti diretti all’accertamento di tributi ex art. 56-bis, comma 1, TUS. Fatta comunque salva la facoltà di registrazione della liberalità, onde evitare che il successivo riferimento nell’ambito di procedimenti relativi ad altre imposti determini l’assoggettamento ad imposta con aliquote superiori (ex art. 56-bis, comma 2, TUS). Per la Suprema Corte, dunque, il trasferimento bancario era da qualificare come donazione “informale” imponibile ai sensi dell’art. 56-bis, comma 1, TUS, in quanto emersa nell’ambito di una procedura di c.d. voluntary disclosure.
Anche il secondo motivo di gravame è stato respinto dalla Suprema Corte, argomentando che il dato fattuale del rifiuto della liberalità compiuto dalla ricorrente presso un notaio fosse già stato analizzato dal giudice d’appello, là dove ha ritenuto che l’assenza di accordo tra le parti fosse irrilevante per il perfezionamento della liberalità: la sentenza di appello (CTR Lombardia – sez. staccata di Brescia, sent. 22 ottobre 2018, n. 290/19) si era limitata invero a constatare che «[…] il dato oggettivo è pertanto che il denaro è confluito su un conto corrente intestato alla contribuente, che ne ha ottenuto la disponibilità e titolarità».
Di particolare rilievo risulta il chiarimento offerto dalla Suprema Corte circa la decorrenza dei termini di decadenza dell’Ufficio dal potere accertativo in relazione alle liberalità indirette (e informali).
In particolare, è stato ritenuto che, in assenza di un obbligo di registrazione delle donazioni indirette (che determinerebbe l’applicazione dell’ordinario termine di decadenza quinquennale, decorrente dalla data in cui la registrazione sarebbe dovuta avvenire ex art. 76 TUR), il termine di decadenza dall’azione accertativa dovrebbe essere quello decennale, generalmente applicabile ai sensi dell’art. 78, comma 1, TUR, a decorrere dalla data della donazione e non della sua “confessione”.
Va segnalato che quest’ultima statuizione è stata sconfessata da una successiva sentenza sul tema (cfr. Cass. civ., sez. V, sent. 9 luglio 2024, n. 18724) ove, nell’ambito dell’analisi di una fattispecie non dissimile, la Corte ha ritenuto applicabile il termine quinquennale in virtù del richiamo dell’art. 76 TUR da parte dell’art. 60 TUS: in questa pronunzia, il dies a quo è stato individuato nel momento di volontaria dichiarazione della liberalità al Fisco, per coerenza con quanto previsto per l’enunciazione di atti non registrati e vista l’individuazione del presupposto dell’imposta nell’autodichiarazione della liberalità.
5. Il lodevole tentativo di sistematizzazione operata dalla Suprema Corte, che mantiene la sua attualità nonostante la novella di cui D.Lgs. n. 139/2024, merita alcune considerazioni.
Le donazioni “informali” (donazioni dirette ad esecuzione indiretta) sono – come evidenziato in precedenza – atti privi dei requisiti di forma richiesti e affetti da nullità, determinando, in ragione di ciò, un arricchimento “effimero”: l’arricchimento del percettore della donazione indiretta diviene, infatti, definitivo solo decorso il termine decennale per l’esercizio (da parte del donante o di suoi eventuali eredi) dell’azione di ripetizione.
Se questione è pacifica sul piano civilistico, non altrettanto si può dire sul piano fiscale, ove si registrano due filoni interpretativi di segno opposto.
Secondo una parte della dottrina tributaria (cfr., per tutti, Stevanato D., Donazioni e liberalità indirette nel tributo successorio, Padova, 2000, 37 ss.; Stevanato D. – Lupi R., Trasferimenti informali di ricchezza e imposta di donazione, in Dialoghitributari, 2012, 5, 542 ss.), la supposta imponibilità ai fini del tributo donativo degli atti liberali nulli per difetto di forma – allora affermata dalla Suprema Corte con la nota Cass. civ., sez. V, sent. 18 gennaio cit. – metterebbe in discussione uno dei cardini del tributo donativo – e, indirettamente, dell’imposta di registro –, ossia il riferimento allo schema giuridico formale che determina la manifestazione di ricchezza. Per questa parte della dottrina, la soluzione proposta da altri, ossia sostenere l’obbligo di registrare le dazioni informali ai sensi del rinvio all’art. 38 TUR (a mente del quale la nullità o l’annullabilità dell’atto non esenta dall’obbligo di chiederne la registrazione e di pagare la relativa imposta; per approfondito commento sul tema, cfr. Batistoni Ferrara F., Atti simulati ed invalidi nell’imposta di registro, Napoli, 1969, 93 ss.) non sarebbe accoglibile perché la norma citata presuppone che vi sia pur sempre un atto da registrare (ancorché affetto da nullità o annullabile), mentre nel caso delle liberalità informali mancherebbe anche tale (basilare) presupposto, «non essendovi nemmeno un simulacro documentale da portare alla registrazione». A favore dell’autonomia sistematica del tributo donativo rispetto all’imposta di registro militerebbe la facoltà di recupero di tale tributo ai sensi dell’art. 42 TUS (secondo Busani A., op. cit., 984, i casi di rimborso elencati dal summenzionato articolo non sarebbero “a numero chiuso” e, in caso di fattispecie non contemplate, il rimborso spetta al solvens ai sensi del principio generale di cui all’articolo 2033 c.c.), differentemente dall’irrilevanza delle vicende successive all’atto prevista in materia di imposta di registro (cfr., Fedele A., Il regime fiscale di successioni e liberalità, in Riv. dir. trib., 2003, 1, 799 ss.).
Secondo altra parte (inizialmente minoritaria) della dottrina (cfr., tra gli altri, Ghinassi S., Liberalità informali e tributo successorio, in Rass trib., 2012, 3, 764 ss.; Carunchio S., La tassazione delle liberalità indirette e informali, in il fisco, 2015, 36, 3429 ss.), le liberalità informali rientrerebbero, invece, a pieno titolo all’interno dell’ambito applicativo del tributo donativo, indipendentemente dal trattamento riservato a queste manifestazioni liberali sul piano civilistico. Tale impostazione fa leva sia sul già citato regime di imponibilità previsto dall’art. 38 TUR per gli atti nulli e sulla manifestazione di capacità contributiva che scaturisce da tali liberalità. L’assoggettabilità al tributo di tali fenomeni liberali è stata affermata – come detto – dalla Suprema Corte con la sentenza del marzo 2024, incontrando i favori di altra parte della dottrina che l’ha valutata (cfr., da ultimo, Gaffuri G. – Gaffuri A.M., L’imposta sulle successioni e donazioni, Milano, 2024, 123-124).
Si reputa comunque che alcune ulteriori considerazioni siano necessarie nel contesto normativo determinatosi con la reintroduzione del tributo donativo-successorio da parte del D.L. 3 ottobre 2006, n. 262 (“D.L. n. 262/2006”).
Con l’art. 2, comma 53 di tale decreto, l’ambito applicativo dell’imposta sulle donazioni è stato significativamente ampliato (rispetto alla precedente formulazione dell’art. 1 TUS) al fine di ricomprendervi anche «[…] tutti gli atti a titolo gratuito fatti […]»; potendosi (rectius dovendosi), ad oggi, ritenere ivi incluse anche le attribuzioni liberali che sono “fatte”, in violazione delle regole di forma previste dalla legge civile. Una conferma in tale senso sembra potersi rinvenire in una (relativamente) recente sentenza di legittimità, ove la Suprema Corte ha affermato che «[i]l fenomeno delle liberalità atipiche è certamente rilevante fiscalmente anche nell’ambito della nuova imposta di donazione. In quanto esso rientra nell’ampia nozione di trasferimenti gratuiti che il legislatore del 2006 ha utilizzato […] per individuare il presupposto impositivo del tributo» (cfr. Cass. civ., sez. V, sent. 12 gennaio 2022, n. 735, a cui la pronuncia della Suprema Corte del marzo 2024 fa espresso rinvio).
L’assoggettabilità delle liberalità informali ad imposizione sembrerebbe dunque discendere non solo dal principio di capacità contributiva (e non del rinvio operato dall’art. 60 TUS alla disciplina prevista dal TUR per gli atti invalidi), ma anche dalla condotta tenuta dal legislatore del 2006, a nulla più rilevando – nell’odierno contesto normativo – la ricerca di una stretta riproposizione sul piano fiscale di aspetti civilistici. In particolare, il citato legislatore sembrerebbe aver riconosciuto normativamente un concetto già radicato nell’ambito di altri tributi: se l’atto materialmente inesistente (che, a differenza di quello nullo, non produce alcun effetto dal punto di vista naturalistico, oltre che giuridico) non può essere indice di capacità contributiva, lo stesso non si può dire dell’atto nullo cui ben può corrispondere una (fattuale) espressione di capacità contributiva. Tale approccio del legislatore del 2006 (probabilmente indirizzato a superare precedenti orientamenti normativi incerti) appare altresì in linea con la necessità sistematica di attrarre ad imposizione anche quelle forme di liberalità diverse da quelle formalmente realizzate secondo i criteri dettati dal codice civile (cfr., Fedele A., op. cit., 799 ss.). Una conferma di tale impostazione sembra potersi trarre dall’art. 4-bis TUS, introdotto in tempi recenti, in forza del quale è attribuita rilevanza ai fini del tributo donativo anche alle liberalità informali realizzate a favore del beneficiario di un trust da parte del trustee.
Alcune osservazioni meritano di esser svolte, infine, in relazione al problema del termine di decadenza dell’Amministrazione dal potere accertativo.
Conformemente al quadro delineato dalla sentenza n. 7442 in commento, posta l’inapplicabilità del termine quinquennale previsto per gli atti assoggettati a registrazione obbligatoria (art. 76, comma 1, TUR, applicabile alla imposta di donazione ai sensi dell’art. 55, comma 1, TUS), si dovrebbe considerare applicabile (sia con riferimento alle liberalità indirette che agli atti liberali informali) il termine decennale ex art. 78 TUR, con decorrenza dalla realizzazione della liberalità, quale momento rilevante per il trasferimento di ricchezza e della capacità contributiva, e non della “confessione”.
Il termine quinquennale decorrente dalla “confessione” (proposto dalla successiva Cass., sez. V, sent. 9 luglio 2024, n. 18724, cit.) presenta, infatti, alcuni punti di criticità: (i) in primis, facendo corrispondere il dies a quo con il momento della dichiarazione all’Erario dell’avvenuta liberalità si realizzerebbe una estensione sine die dei termini di esercizio del potere accertativo dell’Ufficio, con la conseguenza che l’azione dell’Amministrazione sarebbe, in questi casi, de facto, priva di limiti temporali; inoltre, (ii) il momento di dichiarazione della liberalità nell’ambito di attività accertativa non rappresenta momento rilevante ai fini della definizione della capacità contributiva del donante, giacchè tale momento può rinvenirsi o all’atto dell’effettivo trasferimento o, paradossalmente, decorso il termine per l’azione di ripetizione, ma mai all’atto della “confessione” della liberalità nel corso di un’attività di verifica.
6. Il tema delle liberalità indirette e informali presenta un quadro normativo e giurisprudenziale complesso, inevitabilmente foriero di criticità applicative. Da un lato, la disciplina civilistica si confronta con problematiche legate alla forma e alla validità degli atti liberali; dall’altro, l’approccio fiscale è invece improntato, anche a seguito delle modifiche operate nel corso degli anni dal legislatore, alla imposizione di quei fenomeni civilisticamente inefficaci ma che rappresentando comunque una fattuale manifestazione della capacità contributiva del donante.
In questo complesso contesto, la sentenza n. 7442/2024 rappresenta un punto di riferimento per chiarire alcuni degli aspetti maggiormente controversi della disciplina in discorso, non meritando condivisione – per le ragioni illustrate – il successivo dietrofront della stessa Suprema Corte circa il termine di decadenza dal potere accertativo dell’Ufficio, avvenuto a pochi mesi di distanza.
Da ultimo, con le modifiche introdotte dal D.Lgs. n. 139/2024, pur apprezzabili in alcuni aspetti, si è persa l’occasione di risolvere le ambiguità e le incoerenze esistenti e, dunque, di delineare una disciplina chiara della materia.
(*) Il saggio è stato sottoposto a double blind peer review con valutazione positiva. Esso confluirà nel fascicolo n. 1/2025 (semestrale) della Rivista telematica di diritto tributario.
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
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