La presunzione di distribuzione di utili occulti nelle società a ristretta base: il punto sulla giurisprudenza (Parte seconda)
Di Roberto Succio
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(commento a/notes to, Cassazione, sez. V, sent. 10 ottobre 2024, n. 26473)
Abstract (*)
La Suprema Corte affronta il tema della tassazione presuntiva, che comporta l’utilizzo di mezzi indiretti per accertare l’imponibilità fiscale, nel contesto della tassazione delle piccole imprese. Vi è una presunzione, non legale ma giurisprudenziale, secondo cui i soci di una società a ristretta base partecipativa – legati tra loro da legami familiari o personali – sono beneficiari dello stesso “reddito occulto” ottenuto dalla loro società. Secondo la legge, questo reddito deve essere tassato sia a livello societario che a livello dei singoli soci. Tale presunzione è confutabile. Il problema principale riguarda l’onere della prova: in generale, il Fisco deve dimostrare l’esistenza di maggiori ricavi occulti, mentre il contribuente è tenuto a provare tutti gli elementi di fatto che riducono o escludono l’obbligo fiscale. In questa particolare situazione, la Corte fornisce diverse osservazioni su cosa debba essere provato, da chi e fino a quale livello o grado di certezza.
The jurisprudence on the presumption of hidden profits distribution in companies with a restricted social basis (Part two) – The Supreme Court faces the topic of presumptive taxation, which involves the use of indirect means to ascertain tax liability, in small business taxation. There is a presumption, not a legal but a judicial one, that the participants of a limited liability company – linked one to another by family or personal connections – are the beneficiaries of the same “shadow income” gained by their company. According to the law, this income has to be taxed at the company level and at the participant level. This presumption is rebuttable. The main problem involves the burden of proof: generally speaking, tax Authorities must substantiate higher income items, while the taxpayer is required to prove all the factual bases that reduce or exclude the tax burden. In this peculiar situation, the Court offers multiple remarks about what must be proved, who must prove it and to what level or degree must it be proved
Sommario: 1. Le argomentazioni della Corte nella pronuncia in nota: dall’insussistenza della violazione del divieto di praesumpto de praesumpto al contenuto della prova del contrario incombente sul contribuente. – 2. I recenti ridimensionamenti della presunzione e il tentativo di riformulazione del contenuto della prova. – 3. Osservazioni conclusive e una proposta de lege condenda.
1. Nel caso in nota, la Corte ha cura di riepilogare analiticamente sia gli elementi presuntivi dedotti dall’Ufficio, sia il contenuto della prova contraria a carico dei soci.
L’accertamento societario – divenuto qui peraltro definitivo, e basato sull’omessa presentazione della dichiarazione dei redditi per il 2008 e, di conseguenza, l’omessa dichiarazione del reddito d’impresa conseguito nell’anno 2007 da parte della società partecipata – viene ritenuto proprio elemento indiziario di prova del maggior reddito in capo ai soci; ad esso si affiancano i fatti noti tradizionalmente presenti in siffatti accertamenti, vale a dire la partecipazione del contribuente oggetto dell’accertamento “a valle”, nella misura del 10%, al capitale sociale della società in argomento compartecipata da altri due soci – uno dei quali amministratore unico – nella misura, rispettivamente, del 50% e del 40%.
In diritto, la Corte ricorda come secondo un primo orientamento a fronte della presunzione della quale si fa applicazione la prova contraria doveva consistere unicamente nella dimostrazione che i maggiori ricavi dell’ente erano stati accantonati o reinvestiti[1], prova che il contribuente poteva fornire anche nel suo ruolo di titolare meramente formale delle quote, ma estraneo di fatto alla gestione societaria, perché comunque il ruolo formale permetterebbe, se del caso, di accedere ai libri sociali per acquisire elementi a tal fine.
In forza di un secondo successivo orientamento – nota ancora la sentenza oggetto del presente commento – della Corte di legittimità, si è riconosciuta la possibilità per il socio di vincere la presunzione di distribuzione degli utili extra bilancio dando anche la sola dimostrazione della propria estraneità alla gestione e conduzione societaria, avendo ricoperto un ruolo meramente formale di semplice intestatario delle quote sociali, senza avere concretamente svolto alcuna delle attività di gestione e controllo riservate dalla legge (e dallo statuto) al socio della società a responsabilità limitata[2].
Sempre apertis verbis, la sentenza in nota dà atto anche della «esistenza di arresti anche recenti […][3] che ribadiscono la tesi tradizionale – sostenuta nelle sue conclusioni anche dall’Ufficio del Pubblico Ministero – secondo cui il contribuente non può limitarsi a denunciare la propria estraneità alla gestione e conduzione societaria, ma può solo dimostrare, eventualmente anche ricorrendo alla prova presuntiva, che i maggiori ricavi non sono stati effettivamente realizzati dalla società e che quest’ultima non li ha distribuiti, ma accantonati o reinvestiti, ovvero che degli stessi se ne è appropriato altro soggetto, perché una ulteriore “agevolazione probatoria” colliderebbe con le ragioni che legittimano la presunzione posta dalla ristretta base sociale e ne svuoterebbe il contenuto».
A fronte di tale situazione, il Collegio ribadisce, dandovi adesione, la tesi emersa più di recente[4] che ammette, come prova contraria alla presunzione di distribuzione degli utili extra bilancio, anche la dimostrazione dell’assoluta estraneità del socio alla gestione e conduzione societaria.
Ciò, infatti, non collide affatto con la ragione dell’operatività della presunzione in parola, che si fonda appunto sulla massima di comune esperienza che, dalla ristrettezza della base sociale, fatto noto, inferisce un elevato grado di compartecipazione dei soci alla gestione della società e di reciproco controllo tra i soci medesimi. Una volta dimostrata, a dispetto della ristretta base sociale, l’assoluta estraneità del socio alla gestione e alla vita stessa della società, la suddetta massima di esperienza che perde il suo rilievo probatorio e non consente più di ritenere legittima la presunzione di distribuzione degli utili extracontabili in favore di tutti i soci.
Muovendo quindi da tali premesse, la Corte rileva la erroneità delle affermazioni rese dalla sentenza impugnata, che ritiene correttamente censurata con il ricorso dell’Amministrazione finanziaria.
Secondo il Collegio di legittimità, la CTR, si è – nella fattispecie – solo limitata ad esporre le argomentazioni addotte dal contribuente in ordine alla sua estraneità alla gestione e conduzione societaria, ricordando come egli abbia sostenuto di occuparsi esclusivamente di musica come tecnico del suono, di non avere alcuna competenza in ordine a qualsivoglia aspetto economico e di gestione e di essersi disinteressato dell’attività della società, avendola ritenuta inoperativa.
Si tratta, però, di allegazioni ritenute meramente “descrittive” di ciò che dovrebbe costituire oggetto di prova, e pertanto costituenti pure affermazioni, non idonee quindi a costituire prova di quanto sostenuto se poste a confronto con il materiale probatorio che le accompagna ed è presente in atti.
È quindi necessario esaminare – nei singoli casi che al giudice sono posti – sia il primo profilo relativo alla sussistenza o meno, nella fattispecie in esame di, una presunzione di secondo grado, sia il secondo profilo relativo al contenuto della prova contraria sul quale deve appuntarsi l’attenzione e l’attività del contribuente, oltre che la valutazione da parte del giudice.
L’argomento secondo il quale la presunzione in tema sarebbe una presunzione di secondo grado – quindi illegittima – perché fondata sull’esistenza di un accertamento, quello societario, avente esso già natura presuntiva, ha secondo chi scrive il difetto di identificare in modo erroneo il fatto certo posto a base del meccanismo presuntivo, pretendendolo di ritrovarlo nell’accertamento a livello societario che invece ha differente natura giuridica.
Il profilo relativo all’oggetto e al contenuto della prova contraria risulta altrettanto essenziale; ne è ulteriore prova l’attenzione che ha ad esso dedicato la dottrina.
Si è osservato che «il socio per superare la presunzione dell’avvenuta “distribuzione” di un utile extracontabile dovrebbe farsi carico di una prova contraria negativa, in realtà impossibile, con la conseguenza di dover concludere che ciò che viene chiesto è un paradosso in fatto, una prova diabolica che, come tale, non dovrebbe essere ammessa dall’ordinamento»[5]. L’affermazione, sia pure variamente articolata, trova ulteriori consensi tra molti autorevoli studiosi[6] secondo i quali il contenuto probatorio della stessa la rende non dissimile, data la difficoltà di provare il contrario, a una presunzione assoluta.
Bene quindi fa la Corte, nella sentenza che si annota, evidenzia e distingue i due temi: la valutazione della sussistenza o meno di una presunzione di secondo grado, che è tale ove il ragionamento presuntivo è disancorato da un fatto noto; quindi, la valutazione del contenuto della prova contraria incombente in capo al contribuente.
Rovesciando l’ordine di esame dei profili ridetti, ritengo che per identificare in modo più concreto e analitico il contenuto della prova della quale è onerato il contribuente vada in primo luogo decisamente escluso che la Corte di legittimità abbia inteso, nella giurisprudenza sin qui descritta, consentire l’operare nel sistema tributario di una presunzione non legale, «quasi senza possibilità di effettiva prova contraria»[7].
Va infatti ben distinto, prima logicamente e poi giuridicamente, l’elemento relativo alla prova del maggior reddito – oggetto di prova per presunzioni, salva sempre la prova del contrario da parte del contribuente – con l’elemento relativo alla sua diversa qualificazione derivante dalla fonte di produzione dello stesso.
È solo con riguardo a quest’ultima che il reddito non solo viene accertato, ma quantificato previa qualificazione come reddito d’impresa in capo ai soci che nel ripartirsi l’utile extrabilancio – in violazione in primo luogo degli obblighi contabili, quindi di quelli dichiarativi e non in ultimo quelli di versamento del dovuto – hanno concorso nella mancata osservanza, nella sua integralità, dei doveri tributari incombenti sulla società partecipata.
Dalla identificazione, sopra illustrata, del fatto noto nella ristrettezza della base societaria, oltre che nel connesso elemento consistente nell’esistenza dell’accertamento societario quale ulteriore presupposto di mero fatto, deriva l’esclusione della violazione – da parte del meccanismo probatorio qui descritto – del divieto in oggetto.
Come più volte la Suprema Corte ha chiarito, non si configura qui l’utilizzo in concreto di una presunzione di secondo grado, considerando che l’unico fatto noto «non è dato dalla sussistenza di maggiori redditi accertati induttivamente nei confronti della società, bensì dalla ristrettezza dell’assetto societario, che implica un vincolo di solidarietà e di reciproco controllo dei soci nella gestione sociale, con la conseguenza che, una volta ritenuta operante detta presunzione, spetta poi al contribuente fornire la prova contraria»[8].
Nel momento in cui si discute della qualificazione del reddito – come ben spiega proprio la recente giurisprudenza[9] fraintesa da parte della dottrina – ci si colloca nella seconda fase logica e giuridica del percorso argomentativo: si è già data la prova indiziaria da parte dell’Ufficio, e la si è posta a confronto con gli elementi di prova del contrario dedotti e offerti dalla società o dai soci contribuenti; si è verificata la prevalenza della prova dell’esistenza dell’utile extracontabile e si è ora intenti a determinare la ripartizione del quantum sottratto a imposizione tra i soci e la sua collocazione nella categorie reddituali per determinare il tributo personale da costoro dovuto.
È quindi, del tutto garantita – e giustamente, pena l’incostituzionalità del sistema – la prova del contrario con riguardo alla percezione da parte dei soci del maggior reddito: è parimenti garantita – altrettanto giustamente – l’esclusione della tassazione per esenzione di cui ai citati artt. 44 e 47, e 89 TUIR.
Tornando al profilo relativo al contenuto della prova contraria, va in primo luogo osservato che la tale prova contraria potrà vertere sul fatto opposto a quello presunto, ovvero su fatti incompatibili con l’esistenza del fatto presunto[10].
Va ricordato che la prova del fatto contrario a quello oggetto della presunzione legale può essere fornita con ogni mezzo, anche attraverso una sola presunzione semplice, purché grave e precisa[11].
La funzione del ragionamento inferenziale serve infatti a stabilire se un enunciato di fatto che si è già formulato in via ipotetica viene o non viene confermato a livello probatorio sulla base del fatto noto[12].
La legge, tuttavia, per evitare abusi, arbitri e fraintendimenti da parte del giudice, individua determinati requisiti delle presunzioni, alla presenza dei quali è subordinato il loro utilizzo. In ogni caso, la mancanza di criteri normativi espressi non esclude – e, anzi, implica – la necessità che la discrezionalità del giudice venga esercitata in modo razionale, non arbitrario e controllabile[13]
Ne deriva che l’impiego delle presunzioni è ammesso solo quando esse integrino in primo luogo i requisiti della “gravità”, della “precisione” e della “concordanza” come ricorda l’art. 2729, comma 1, c.c. Attraverso i requisiti posti dalla legge, pertanto, sono stati introdotti limiti e criteri tesi a evitare che la discrezionalità del giudice nell’impiego delle presunzioni possa essere esercitata in modo abusivo o arbitrario, o semplicemente del tutto erroneo.
La gravità di una presunzione semplice risiede nella capacità della presunzione stessa di produrre conclusioni relative al factum probandum che abbiano un rilevante grado di attendibilità.
La prova contraria potrà allora qui appuntarsi sul difetto di tale elemento, soffermandosi – a fronte della ristrettezza della base societaria – sul rilievo che potrebbe avere la disponibilità di una partecipazione di netta minoranza in capo a un socio (al limite del simbolico); potrebbe sostenersi che il socio non formalmente coinvolto nella gestione, magari esercente altra e autonoma attività fonte di altrettanto autonomi redditi, munito di conoscenze professionali o imprenditoriali differenti, tanto quanto non è stato coinvolto formalmente nell’impresa societaria analogamente potrebbe esser stato escluso dalla ripartizione dell’utile sottratto a imposizione.
L’idoneità a produrre conclusioni chiare, convergenti e non equivoche sui fatti ignorati integra il secondo requisito richiesto dalla legge, quello della precisione della presunzione, in parte sovrapponibile a quello della gravità. Si ritiene che la presunzione manchi di precisione quando è equivoca, ossia quando le conclusioni che possono essere inferite dai fatti noti non sono in grado di riportare in modo preciso al factum ignorato, ovvero riconducono, in modo contraddittorio, a una pluralità di fatti diversi[14].
Potrebbe quindi replicarsi, a fronte del fatto noto costituito dalla ristretta compagine societaria, che la partecipazione di un socio – magari anche in misura tutt’altro che simbolica, ma pur sempre non idonea a garantirgli la maggioranza nel governo della società – ha la funzione di garantirgli migliore conoscenza degli affari sociali ai quali ha interesse in quanto finanziatore della stessa, quindi interessato anche, all’interno delle dinamiche tra soci che ruotano anche sulla misura della partecipazione, ad esempio a nominare un componente del consiglio di amministratore o un componente del collegio sindacale.
Il requisito della concordanza delle inferenze presuntive previsto dall’art. 2729 c.c. pare invece contenere l’impiego delle presunzioni alla sola ipotesi in cui sia possibile formulare una pluralità di ragionamenti inferenziali (salvo eccezioni, almeno due) sulla base di diversi fatti noti, e tutte queste inferenze conducano alla medesima conclusione. Così interpretata, la norma condurrebbe a ritenere che solo in presenza di più elementi presuntivi si possa dire che vi sia una loro concordanza rispetto alla dimostrazione del fatto incerto sotto il profilo probatorio.
Certamente, la concordanza di più presunzioni gravi e precise, vale a dire il dirigersi tutte verso un medesimo risultato, consistente nel fatto da provarsi, senza biforcarsi verso diversi risultati, rappresenta una condizione ottimale di rilevante fondamento cognitivo, in quanto tale concordanza può essere equivalente a una vera e propria prova del fatto ignorato[15].
Peraltro, non si può escludersi, secondo chi scrive, che anche un solo elemento indiziario sia idoneo ad attribuire un grado di probabilità prevalente all’ipotesi sul factum probandum.
La presenza di un solo siffatto elemento può renderlo prevalente ove esso presenti caratteristiche di gravità e di precisione di una rilevanza tale da essere idoneo, anche da solo, a fondare la prova del fatto ignoto. Tale conclusione trova in primo luogo una giustificazione logica, residente nella necessità di evitare una limitazione eccessiva del campo di applicazione della norma e, quindi, dell’ambito di operatività delle presunzioni.
Sia la più autorevole dottrina sia la prevenente giurisprudenza, ponendo in disparte l’accezione restrittiva del requisito della concordanza, ritengono che non sia sempre necessaria una pluralità di inferenze presuntive relative allo stesso fatto ignorato. Infatti, se la presunzione è sufficientemente grave e particolarmente precisa, essa può costituire quindi da sola il fondamento probatorio dell’accertamento del fatto ignoto e da provarsi[16].
Secondariamente essa si basa anche sulla considerazione secondo la quale va in ultimo applicato il c.d. criterio della probabilità prevalente, secondo il quale la scelta del giudice deve prediligere l’ipotesi sul fatto che risulta aver ottenuto il grado relativamente più elevato di conferma probatoria, che prudenzialmente si applica ove da vari fatti noti siano derivabili diverse inferenze presuntive non concordanti: la soluzione è quella di stabilire quale di tali inferenze attribuisca un grado di conferma relativamente maggiore ad un’ipotesi sul fatto da ignoto[17].
Sul punto, la giurisprudenza di legittimità ha fornito alcune utili indicazioni[18], precisando come il socio di società di capitali a ristretta base partecipativa, che ricopra anche l’incarico di amministratore, può superare la presunzione di distribuzione ai soci degli eventuali utili extracontabili accertati, non limitandosi a dedurre la propria estraneità alla gestione per l’esistenza di un amministratore di fatto, ma dimostrando la mancata distribuzione degli utili extracontabili oggetto dell’accertamento tributario perché sottratti dal gerente di fatto.
In tali casi, la dimostrazione ad esempio dell’esistenza di un gerente di fatto della società – che può darsi anche in forza di elementi presuntivi – ben può opporsi e resistere di fronte al fatto noto consistente nella ristretta base societaria. La sua deduzione e prova, anche indiziaria, con la conseguente affermazione di apprensione da parte di tale soggetto amministratore de facto dell’utile extrabilancio, può opporsi efficacemente al fatto ignoto consistente nella distribuzione in capo ai soci. Essa presenta, rispetto al fatto noto consistente nella ristretta composizione societaria un grado di probabilità maggiore, dal momento che suggerisce una conclusione (appunto, l’appropriazione dell’utile extrabilancio da parte del gerente di fatto) tanto contraria al sistema come le sue premesse (la gestione della società da parte di un soggetto diverso da quello legalmente stabilito) dalle quale essa muove, risultando quindi assai più plausibile.
2. La L. n. 111/2023, recante delega al Governo per la riforma fiscale, all’art. 17, comma 1, lett. h) ha attribuito al Legislatore delegato il potere di prevedere una limitazione della possibilità di presumere la distribuzione ai soci del reddito accertato nei confronti delle società di capitali nei soli casi in cui è accertata, «sulla base di elementi certi e precisi»[19], l’esistenza di «componenti reddituali positivi non contabilizzati o di componenti negativi inesistenti».
La limitazione ai casi di applicazione della presunzione in argomento è assai rilevante e piuttosto inequivoca nel suo contenuto.
Con la nuova disposizione la presunzione di distribuzione degli utili in argomento non è più applicabile, ad esempio, nei casi diversi da quelli espressamente previsti. Si tratta di altri svariati casi di rettifica del reddito societario, sin qui fatti oggetto del meccanismo presuntivo in argomento: basti pensare alla eventualità in cui tale rettifica derivi dal disconoscimento della inerenza o della competenza dei costi, la cui rilevanza ai fini della rideterminazione dell’utile dell’esercizio societario, comunque, non si riverbera ex se sul reddito dei soci partecipanti.
Infatti, tale violazione delle disposizioni tributarie in tema di inerenza genera certamente un minor utile, quindi un minor reddito societario, che va rettificato per adeguare i tributi dovuti alla realtà contributiva della società; nondimeno, tale situazione però risulta consistere in un inadempimento agli obblighi tributari della società partecipata, che non celano l’esistenza di una liquidità finanziaria occulta suscettibile di essere distribuita ai soci.
Il Legislatore ha quindi ora raccolto le indicazioni da autorevole dottrina secondo la quale «la ricchezza non transitata nel bilancio e non indicata nella dichiarazione dei redditi» è invero «riconducibile ad una violazione di norme tributarie sostanziali capace di generare, in capo all’ente, risorse monetarie», in quanto la «mancanza della suddetta liquidità impedisce che si possa immaginare un’effettiva distribuzione»[20].
Altra dottrina aveva già in precedenza prefigurato in capo al nuovo testo dell’art. 7, comma 5-bis, D.Lgs. n. 546/1992[21], recante la riformulazione dell’onere della prova, la funzione di orientare in modo innovativo e differente il sistema e anche l’utilizzo della presunzione in argomento.
Con l’aggiunta nel surrichiamato art. 7 del nuovo comma 5-bis, ad opera dell’art. 6, L. n. 130/2022 si è stabilito che l’Amministrazione finanziaria «prova in giudizio le violazioni contestate con l’atto impugnato» e che il giudice annulla l’atto impositivo «se la prova della sua fondatezza manca o è contraddittoria o se è comunque insufficiente a dimostrare, in modo circostanziato e puntuale, comunque in coerenza con la normativa tributaria sostanziale, le ragioni oggettive su cui si fondano la pretesa impositiva e l’irrogazione delle sanzioni».
Alla luce di quanto sopra, ove l’Amministrazione finanziaria presuma che sia stata ripartita una somma corrispondente a costi realmente sostenuti, ma indeducibili, non sussisterebbero allora i requisiti di oggettività delle ragioni fondanti la pretesa impositiva di cui all’art. 7, comma 5-bis, D.Lgs. n. 546/1992, dal momento che la violazione della disciplina tributaria delle società di capitali consente la rideterminazione del reddito di tali entità ma non permette di far ritenere provata in forza di “ragioni oggettive” l’esistenza – così dovrebbe leggersi la disposizione – di una liquidità mobile, occultabile, quindi trasmissibile ai soci in violazione degli obblighi d’imposta[22].
Verrebbe sotto questo profilo, secondo l’interpretazione sopra illustrata, superata la recente giurisprudenza di legittimità secondo la quale[23] le regole di riparto dell’onere della prova non risultano mutate per effetto dell’art. 7, comma 5-bis, D.Lgs. n. 546/1992, nel testo introdotto dall’art. 6 L. n. 130/2022, che non comporta alcuna inversione della normale ripartizione del suddetto onere, né preclude il ricorso alle presunzioni semplici, ex artt. 2727 ss. c.c., trattandosi, comunque, di norma destinata a valere solo per i giudizi instaurati successivamente all’entrata in vigore (e, cioè al 16 settembre 2022)[24], operando, in difetto di norme transitorie, la regola generale dell’art. 11 delle preleggi.
Deve quindi ritenersi che se la riforma del 2022 non alterasse né comprimesse il campo di applicazione della presunzione in oggetto, diverso effetto dovrebbe invece avere l’attuazione della legge delega del 2023.
Risulta quindi sottolineata l’identificazione da parte del più recente intervento legislativo di una nuova e differente identità degli elementi probatori idonei a costituire prova sia pur indiziaria del maggior reddito in capo ai soci.
Il riferimento da un lato alla necessità per il giudice di annullare l’atto impositivo se la prova fornita dall’organo accertatore manchi o è contraddittoria o è comunque insufficiente a dimostrare la fondatezza della contestazione amministrativa, dall’altro alla analoga necessità – per ritenere provata l’esistenza delle liquidità trasmissibile ai soci – di ragioni oggettive, porta a far ritenere sussistente un diretto collegamento tra i due concetti.
In altri termini, se l’atto di accertamento per resistere all’impugnazione del contribuente deve fondarsi su ragioni oggettive, che diano prova della pretesa dell’Ufficio senza manchevolezze né contraddizioni né insufficienze, allora la prova fornita nel processo, per quanto fondata su basi presuntive, deve essere tale da superare una soglia di attendibilità tale che non lasci margini di incertezza sui fatti contestati.
Evidente è l’assonanza con i termini – quasi sovrapponibili – del processo penale; all’art. 530, comma 2, c.p.p. esso disciplina la sentenza di assoluzione che può essere emessa ogniqualvolta l’imputato non risulti colpevole del reato contestatogli «al di là di ogni ragionevole dubbio», secondo l’inciso del successivo art. 533, comma 1, c.p.p.
In una visione dinamica del sistema possiamo allora ritenere del tutto superata, non risultando più attuale a partire dall’entrata in vigore del ridetto art. 7, comma 5-bis (vale a dire dal 16 settembre 2022), con riguardo quindi agli avvisi di accertamento emessi da tale data[25] la prospettazione della giurisprudenza della Corte di legittimità sinora consolidata in forza della quale[26] «non può riscontrarsi alcuna differenza tra la percezione di maggiori ricavi e l’indeducibilità o inesistenza di costi».
Deve quindi escludersi che la presunzione di distribuzione operi pro futuro anche in relazione a costi non deducibili perché´ questi sono fiscalmente neutrali, cioè «di essi non è dato tener conto ai fini della determinazione della base imponibile, la quale tuttavia è da considerare comunque alterata, con conseguente inevitabile ricaduta sulla quantificazione delle imposte dovute»[27].
L’effetto della riforma è allora quello di ridimensionare in modo sensibile la portata della presunzione, che si applicherà a un minore numero di casi e a fattispecie caratterizzate solo da maggior gravità quanto a peso delle violazioni alle disposizioni tributarie, dovendosi considerare sicuramente meritevoli di maggiore attenzione e più severo trattamento, anche sanzionatorio, da parte degli Uffici, le operazioni quali l’occultamento di ricavi o l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti.
È allora necessaria, quanto più ora, una valutazione da compiere caso per caso che, senza disconoscere del tutto la logica presuntiva che si è illustrata, sottesa alla regola secondo cui nelle società a ristretta base partecipativa il maggior utile occulto può costituire oggetto di distribuzione tra i soci, ponga a confronto tale ipotesi indiziaria – che deriva dall’antecedente logico giuridico, avente natura indiziaria, dell’avviso di accertamento societario “a monte” e che si fonda sul fatto noto della ristrettezza della compagine societaria – con gli elementi di segno opposto dedotti e provati dal contribuente. Questi presenta detti elementi al giudice come elementi atti a dimostrare l’insussistenza del fatto ignoto consistente nella distribuzione del maggior utile sottratto a imposizione.
Così articolata, la presunzione in argomento risulta, secondo chi scrive, adeguatamente equilibrata perché intesa, come la qualifica autorevole dottrina, quale «esemplificazione del sindacato da essa esercitabile sulla ricostruzione presuntiva dei fatti da parte dei giudici di merito»[28].
Di fronte a tali prospettazioni, così come qui sopra intese, dovrà esprimersi il giudice.
3. Secondo chi scrive l’intervento legislativo avrebbe dovuto, per avere funzione risolutiva dell’equilibrio assai isostatico sopra descritto, agire su un diverso fronte.
Anziché depotenziare la vis probatoria della presunzione, che ora risulta fortemente limitata, e modificare la qualificazione del reddito presuntivamente distribuito in capo ai soci, la cui natura finanziaria è ora imposta dalla scelta legislativa al punto da prevalere sulla concreta natura del reddito in argomento, alla luce della fonte dalla quale esso deriva, sarebbe stato opportuno intervenire sul piano processuale.
Resta infatti del tutto privo di disciplina il rapporto – che deve essere in qualche modo risolto normativamente per non produrre più alcun cortocircuito – tra il giudizio avente per oggetto l’accertamento societario “a monte” e quello o quelli aventi per oggetto l’accertamento in capo ai singoli soci “a valle”.
Almeno due erano e sono le vie che il Legislatore poteva seguire per dare la stabilità del diritto positivo a queste situazioni di grande incertezza.
Sino a oggi, la giurisprudenza di legittimità[29] prevalente ritiene infatti applicabile l’art. 295 c.p.c., che risolve la situazione per mezzo della sospensione del giudizio “a valle”[30] nelle ipotesi in cui il Giudice debba decidere una controversia pregiudiziale[31] dalla cui definizione dipenda l’esito della causa pregiudicata.
Tale soluzione avrebbe ricevuto maggiore solidità ove recepita in una norma di legge ad hoc, da inserirsi nel D.Lgs. n. 546/1992, novellando sul punto, in via esemplificativa, il solo art. 39 di tale testo normativo, che ben avrebbe potuto – ecco la prima possibile soluzione – individuare la pendenza del giudizio avente per oggetto l’accertamento societario come causa di sospensione ex art. 295 c.p.c.
In quanto limitata alla sola pendenza del giudizio, tale ragione di stop provvisorio del giudizio “a valle” ha una duplice funzione.
In primo luogo, consente al giudicato formatosi sul giudizio “a monte” di fissare un punto fermo del meccanismo presuntivo: se quel giudicato è di annullamento dell’avviso di accertamento societario, viene meno l’antefatto logico fondante l’accertamento in capo ai soci[32] e non risultando prodotto alcun utile extrabilancio – difettando l’elemento indiziario che ne può dar prova, e non bastando il fatto noto della ristretta base a provare ex se il fatto ignoto – non può dirsi prodotto alcun utile da parte di costoro[33].
Parimenti, se quel giudicato è di conferma dell’accertamento societario, nulla quaestio sorge in ordine all’esistenza dell’utile extrabilancio, che può ritenersi provato nella sua esistenza sussistendo sia l’elemento indiziario sia il fatto noto: a questo punto il dibattito processuale si sposta unicamente sulla presenza o meno della prova del contrario, relativa alla avvenuta o meno distribuzione di tale utile in capo ai soci che il contribuente, alla luce della pronuncia in commento, può fornire anche dimostrando la propria estraneità in concreto alla gestione societaria.
Alternativamente ancora, il Legislatore avrebbe potuto muovere i passi dall’osservazione di quanto avviene in ipotesi di accertamento effettuato nei confronti di società di persone o di capitali trasparenti: qui la rettifica nei confronti della società comporti l’instaurazione di un litisconsorzio[34] fra società e soci trattandosi di un fenomeno processuale di plurisoggettività che si riconnette inevitabilmente all’esistenza di un unico legame o rapporto giuridico sostanziale fra più soggetti o parti nel processo tributario.
Dal punto di vista dei soci, quella accennata per ultima risulta, mi pare, la via più garantista; ciascuno di costoro viene posto in grado di fornire nel processo che lo riguarda anche direttamente prova dell’illegittimità dell’accertamento nei confronti della società, aggredendo direttamente il contenuto di tale atto e consentendo con ciò di travolgere la presunzione in proprio danno[35]. E ciò senza precludere, nella stessa sede processuale, il contrasto alla presunzione di distribuzione in capo a ciascuno, che è comunque consentito.
Entrambe le questioni verrebbero poi risolte, magari anche in modo difforme tra i soci – ben potendo risultare provato il difetto di coinvolgimento nella gestione societaria di uno di costoro e non di altri – con una sola sentenza.
Tale situazione vedrebbe in ogni caso una doppia linea di difesa attribuita ai soci, con evidente rafforzamento del diritto di costoro di tutelarsi ex art. 24 Cost., senza compressione alcuna dell’operare della presunzione e con imponente semplificazione e maggiore speditezza dell’andamento processuale della vicenda.
È infatti sotto gli occhi di tutti lo squilibrio che si crea, senza giustificazione ragionevole, tra la posizione dei soci – che non possono contestare l’accertamento societario “a monte” (dal quale ben potrebbero avere pregiudizio) perché non sono legittimati a impugnarlo, né possono in tal giudizio intervenire sino a che non sono attinti dall’accertamento “a valle” – e quella dell’Amministrazione finanziaria, che invece può ampiamente difendere le proprie pretese in ambedue i giudizi[36] e per di più con il vantaggio del meccanismo presuntivo a proprio favore.
A fronte di ciò, resta quindi insuperabile la mancanza di legittimazione processuale dei soci per impugnare l’avviso di accertamento in ordine al reddito societario, poiché l’avviso di accertamento che lo contesta deve essere comunque notificato solo alla medesima[37]; né pare praticabile alcuna via interpretativa in forza dell’art. 14, comma 3, D.Lgs. n. 546/1992[38]. Non possono certo ritenersi infatti i soci «destinatari dell’atto impugnato» o «parti del rapporto tributario controverso»[39] come tale disposizione prevede.
Resta l’auspicio che nella presente stagione di riforme, che ancora pare perduri, il Legislatore delegato riconosca che «convien tenere altro viaggio»[40]..
(*) Il saggio è stato sottoposto a double blind peer review con valutazione positiva. Esso confluirà nel fascicolo n. 1/2025 (semestrale) della Rivista telematica di diritto tributario.
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
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[1]Ex plurimis, Cass. n. 18032/2013, Cass. n. 24534/2017, Cass. n. 29412/2017, Cass. n. 32959/2018.
[2] Consistente la giurisprudenza sul punto: Cass., sez. V, ord. 7 giugno 2024, n. 15991; Cass., sez. VI-V, ord. 4 marzo 2022, n. 7170; Cass., sez. V, ord. 15 settembre 2021, n. 24870; Cass., sez. V, ord. 1° dicembre 2020, n. 27445; Cass., sez. V, ord. 24 luglio 2020, n. 15895; Cass., sez. VI-V, ord. 9 luglio 2018, n. 18042; Cass., sez. V, sent. 14 luglio 2017, n. 17461; Cass., sez. VI-V, ord. 22 dicembre 2016, n. 26873; Cass., sez. VI-V, ord. 2 febbraio 2016, n. 1932.
[3] Il rimando espresso in motivazione è a Cass., sez. V, sent. 29 luglio, n. 21158.
[4] Espressa di recente da Cass., sez. V, ord. 9 luglio 2024, n. 18764.
[5] Lovecchio L., La diabolica prova contraria alla presunta distribuzione di utili nella società a ristretta base sociale, in il fisco, 2014, 20, 1943 ss.
[6] Analoghe critiche muovono Cedro M., In tema di accertamento nei confronti dei soci di redditi non dichiarati dalle società di capitali a ristretta base sociale: segnali di maggiore tutela per i soci, in Rass. trib., 2020, 3, 846 ss.; Coppola P., La questione dell’onere della prova contraria (vincolata) in capo ai soci di società a ristretta base azionaria, in Riv. tel. dir. trib., 2021, 1, 924 ss.; Contrino A., Ancora sulla presunzione di distribuzione di utili occulti nelle società di capitali “a ristretta base proprietaria”, in Rass. trib., 2013, 5, 1115; Scanu G., La presunzione di distribuzione degli utili nelle “piccole” società di capitali tra ragione fiscale e difesa del contribuente, in Riv. trim. dir. trib., 2012, 2, 443 ss.; Perrone A., Perché non convince la presunzione di distribuzione di utili ‘occulti’ nelle società di capitali a ristretta base proprietaria, in Riv. dir. trib., 2014, 575 ss.; Marcheselli A., La presunzione di distribuzione degli utili societari delle c.d. società a ristretta base, tra induzioni ragionevoli e abnormità istruttorie, in GT – Riv. giur. trib., 2016, 1, 88 ss.
[7] Così si esprimono De Vizia E. – De Risi E., Società a ristretta base partecipativa: tra automatismo presuntivo e onus probandi, divergenze tra pronunce di legittimità e merito, GT – Riv. giur. trib., 2024, 8/9, 720 ss.
[8] In argomento, Cass., sez. V, ord. 28 ottobre 2022, n. 31882 e Cass., sez. V, 2 luglio 2020, n. 13550.
[10] Comoglio L.P., Le prove civili, Torino, 2010, 645 e 652 ss.; Patti S., Probatio e praesumptio: attualità di un’antica contrapposizione, in Riv. dir. civ., 2001, 4, I, 487. Ritengo questa lettura più corretta, seguendo la quale non si incorre nelle obiezioni della dottrina che sottolinea la impossibilità di dar prova della non apprensione degli utili extrabilanci da parte dei soci. Provare di non aver ricevuto tali somme significherebbe dover dar prova di un fatto negativo; in argomento, anche sul punto specifico, Scanu G., La presunzione di distribuzione degli utili nelle “piccole” società di capitali tra ragione fiscale e difesa del contribuente, cit.; Contrino A., Ancora sulla presunzione di distribuzione di utili occulti nelle società di capitali “a ristretta base proprietaria”, cit., loc. cit.; Id., Ristretta base sociale e prova mediante presunzione semplice della distribuzione occulta di utili, in GT – Riv. giur. trib., 2014, 8/9, 703 ss.; Lovecchio L., La diabolica prova contraria alla presunta distribuzione di utili nella società a ristretta base sociale, cit.; Marcheselli A., La presunzione di distribuzione degli utili societari delle c.d. società a ristretta base, tra induzioni ragionevoli e abnormità istruttorie, cit.; Cedro M., In tema di accertamento nei confronti dei soci di redditi non dichiarati dalle società di capitali a ristretta base sociale: segnali di maggiore tutela per i soci, cit.; Coppola P., La questione dell’onere della prova contraria (vincolata) in capo ai soci di società a ristretta base azionaria, cit.
[11] Cass., 16 maggio 1997, n. 4328; Cass., 21 giugno 1985, n. 3721.
[12] Taruffo M., Considerazioni sulle prove per induzione, in Riv. trim dir. proc. civ., 2010, 4, 1165 ss.
[13] Sul tema, si veda Ferrer Beltrán J., La valoración racional de la prueba, Madrid-Barcelona-Buenos Aires, 2007.
[14] Comoglio L.P. – Ferri C.- Taruffo, M., Lezioni sul processo civile, I, Bologna, 2011, 508.
[15] Taruffo M., Considerazioni sulle prove per induzione, cit.; in giurisprudenza, in questo senso, Cass., 31 ottobre 2008, n. 26331, secondo la quale, se non risultano più inferenze presuntive, si verifica un vizio di motivazione e quindi la decisione è censurabile; in tema anche Cass., 15 luglio 2008, n. 19445.
[16] Si rimanda per la giurisprudenza a Cass., 29 luglio 2009, n. 17574; Cass., 11 settembre 2007, n. 19088; Cass., 1° agosto 2007, n. 16993; Cass., 11 maggio 2007, n. 10847; Cass., 18 aprile 2007, n. 9245; Cass., 24 gennaio 2007, n. 1575; in dottrina Comoglio L.P., cit., 667; Taruffo M., La prova dei fatti giuridici. Nozioni generali, Milano, 1992, 449 ss.
[17] Taruffo M., La prova dei fatti giuridici, cit., 264 ss.
[18] Cass., Sez. VI-V, ord. 4 marzo 2022, n. 7170; Cass., sez. V, sent. 29 luglio 2024, n. 21158.
[19] È evidente l’assonanza con il contenuto dell’art. 7, comma 5-bis, D.Lgs. n. 546/1992.
[20] Beghin M., Gli utili da ristretta base partecipativa nelle torbide acque dei “costi indeducibili”, in il fisco, 2021, 1, 79 ss.
[21] Consolo C., Natura, contenuti e riforma organica del processo tributario riformato, in Consolo C. – Melis G. – Perrino A.M., Il giudizio tributario, Milano, 2022, 28 ss.; Della Valle E., La nuova disciplina dell’onere della prova nel diritto tributario, in il fisco, 2022, 40, 3807 ss.; Glendi C., L’istruttoria del processo tributario riformato. Una rivoluzione copernicana!, in Dir. prat. trib., 2022, 6, 2194 s.; Moschetti G., Il comma 5-bis dell’art. 7 d.lgs. n. 546 del 1992: un quadro istruttorio per ora solo abbozzato, tra riaffermato principio dispositivo e diritto pretorio acquisitivo, in Riv. tel. dir. trib., 2023, 1, 243 ss.; Muleo S., Le “nuove” regole sulla prova nel processo tributario, in www.giustiziainsieme.it, 20 settembre 2022.
[22] In dottrina così si esprime anche Schiavolin R., La giurisprudenza sulla distribuzione presunta degli utili di società di capitali a base ristretta si allontana sempre più dai dati normativi, in Dir. prat. trib.,2023, 4, 1273 ss.
[24] In ordine all’efficacia ratione temporis solo pro futuro della innovazione legislativa del 2022, si veda anche Cass., sez. V, ord. 25 luglio 2024, n. 20816.
[25] Si leggano Lovisolo A., Sull’onere della prova e sulla prova testimoniale nel processo tributario: prime osservazioni in merito alle recenti modifiche ed integrazioni apportate all’art. 7d.lgs. n. 546 del 1992, in Dir. prat. trib., 2023, 1, 45 ss., spec. 48; Comelli A., in Commentario breve alle leggi del processo tributario, V ed., Padova, 2023, sub art. 7, par. XVI.
[26] Vedasi Cass. civ., 19 ottobre 2012, n. 17959,
[27] In argomento, Cass. civ., 18 febbraio 2020, n. 3980; Cass. civ., 12 novembre 2020, n. 25501; secondo Cass. civ., 4 maggio 2021, n. 11599 e Cass. civ., 2 febbraio 2021, n. 2224 secondo la quale, ancora, «anche nel caso in cui il costo è indeducibile, per le più variegate ragioni (magari perché´ è stato violato il principio di competenza d.p.r. n. 917 del 1986, ex art. 109, sicche´ la somma doveva essere versata in altro esercizio, o per mancata inerenza o per violazione di norme fiscali, come il d.p.r. n. 917 del 1986, art. 99), ma è stato effettivamente sostenuto, con somme erogate in concreto … la società matura un reddito di impresa di importo maggiore a quello dichiarato, con presunzione di distribuzione dello stesso ai soci in proporzione della quota posseduta. In tali ipotesi, infatti, la società ha erogato tutte le somme presenti nel passivo del conto economico tra i costi, ma si tratta di costi indeducibili che vanno ad alterare il conto economico, che, una volta emendato da tale errore, comporta inevitabilmente ricavi maggiori e, quindi, un reddito maggiore rispetto a quello dichiarato… che si presume distribuito ai soci delle società a ristretta partecipazione». In dottrina si vedano in tema le considerazioni di Coppola P., Ancora sui costi indeducibili ma effettivi attribuiti per presunzione ai soci di società di capitali a ristretta base azionaria, in Riv. tel. dir. trib., 2022, 2, 847 ss.; Dami F., Maggior imponibile significa utile distribuibile: una conclusione assurda da superare nel “nuovo” processo tributario, in GT – Riv. giur. trib., 2023, 1, 47 ss.; Pino C., “Automatismo presuntivo” per gli utili accertati in capo alle società di capitali a ristretta base sociale, in Corr. trib., 2022, 12, 1025 ss.; Rasi F., L’inarrestabile “lotta” della Cassazione contro le società a ristretta base proprietaria: nuove difese dalla riforma del processo tributario? in Riv. tel. dir. trib., 2022, 2, 632 ss.
[28] Schiavolin R., La giurisprudenza sulla distribuzione presunta degli utili di società di capitali a base ristretta si allontana sempre più dai dati normativi, cit., 1271 che in nota richiama Cass. civ., 12 giugno 2002, n. 8351, la quale fa riferimento proprio alle questioni di fatto di cui si è detto nel testo.
[29] Cfr. Cass., 31 gennaio 2011, n. 2214 e 8 febbraio 2012, n. 1867.
[30] Sul tema si veda ancora Coppola P., La questione dell’onere della prova contraria (vincolata) in capo ai soci di società a ristretta base azionaria, cit.. Sull’istituto della sospensione necessaria si veda anche Leoncini L., Connessione delle cause e sospensione necessaria nel processo tributario, in Riv. tel. dir. trib., 2021, 2, 811 ss.; il contributo tratta la distinzione fra pregiudizialità esterna disciplinata dal comma 1-bis dell’art. 39 D.Lgs. n. 546/1992 come modificato dal D.Lgs. n. 156/2015 (che si verifica cioè quando la causa pregiudiziale penda di fronte a giurisdizioni diverse da quella tributaria) e pregiudizialità interna, quando sia la causa pregiudiziale che quella dipendente pendano di fronte alla giurisdizione tributaria
[32] Vedasi Cass. civ., 24 novembre 2015, n. 23899, secondo la quale «la sentenza, passata in giudicato, di accertamento negativo dell’utile extracontabile sociale, emessa nel giudizio tra una società di capitali a ristretta base sociale e l’Amministrazione finanziaria, fa stato, anche nei confronti del socio, in virtù dell’efficacia riflessa del giudicato, estesa ai soggetti estranei al processo, ma titolari di diritti dipendenti o subordinati alla situazione giuridica in esso definita, sicché risulta giustificato l’annullamento dell’avviso di accertamento verso quest’ultimo, di cui è venuto meno il presupposto» (conf., Cass. civ., 27 ottobre 2017, n. 25556); Cass. civ., 22 giugno 2021, n. 17696; Cass. civ., 23 maggio 2019, n. 13989, nel senso che se dal giudicato nei confronti della società risulta l’insussistenza o la minore consistenza di utili extracontabili, esso ha efficacia riflessa nei giudizi sui redditi dei soci perché «rimuove (in tutto o in parte) il presupposto da cui dipende il maggior utile da partecipazione»; ancora vedasi Cass. civ., 10 dicembre 2021, n. 39285, secondo la quale l’accertamento societario sarebbe “presupposto” e “pregiudicante” degli accertamenti a carico dei soci.
[33] Cass. civ., 17 novembre 2022, n. 33978 nel senso che «qualora la difesa del socio non si fondi su eccezioni personali diverse da quelle dedotte dalla società, il giudicato formatosi nel giudizio relativo ai redditi di questa manifesta la sua efficacia nel giudizio relativo al socio» ma anche Cass. civ., 3 maggio 2022, n. 13839, per la quale il giudicato sull’accertamento nei confronti della società ha un “effetto riflesso” nei giudizi sugli accertamenti nei confronti dei soci.
[34] Sul litisconsorzio si veda Ferlazzo Natoli L., Contributo allo studio dell’intervento nel processo tributario, Messina, 1998; Glendi C., Le SS.UU. della Suprema Corte si immergono ancora nel gorgo del litisconsorzio necessario, in GT – Riv. giur. trib., 2008, 11, 993; Nussi M., A proposito di accertamento del reddito delle società di persone e litisconsorzio necessario (verso un processo tributario sulle questioni?), in GT – Riv. giur. trib., 2008, 9, 771; Muscarà S., L’eterogenea vicenda del litisconsorzio necessario: urgenze organizzative delle Commissioni tributarie e primi “ravvedimenti operosi” della Cassazione ai fini della decongestione dello scaturente contenzioso, in Riv. dir. trib., 2011, 1, I, 19; Coppa D., Accertamento dei redditi prodotti in forma associata e litisconsorzio necessario, in Rass. trib., 2008, 4, 978.
[35] Cass. civ., 11 aprile 2016, n. 7103, secondo la quale «la sussistenza di utili extracontabili costituisce il presupposto non della presunzione di distribuzione degli stessi tra i soci, ma dell’accertamento della concreta percezione di una determinata somma, da ciascun socio, in ragione della sua quota di partecipazione agli utili sociali»; si legga anche Cass. civ., 17 novembre 2022, n. 33978, nel senso che la validità dell’avviso a carico della società «costituisce presupposto indefettibile per legittimare la presunzione di attribuzione ai soci degli eventuali utili extracontabili accertati».
[36] Contrino A., Ancora sulla presunzione di distribuzione di utili occulti nelle società di capitali “a ristretta base proprietaria”, cit., 1015; Golisano M., Brevi note in tema di trasparenza per “presunzione” e limiti soggettivi del giudicato, in Dir. prat. trib., 2015, 3, II, 523 ss.; Sciotta L., La “profilassi” processuale nell’accertamento degli utili occulti delle società di capitali a “ristretta base”: le dimensioni del diritto di difesa del socio, in GT – Riv. giur. trib., 2019, 8/9, 699 ss.; Piccininni L. – Manzon E., Il giudicato tributario, in Consolo C. – Melis G. – Perrino A.M., Il giudizio tributario, Milano, 2022, 777 ss., secondo il quale sia la tesi per cui il giudicato nei confronti della società avrebbe effetti c.d. “riflessi” sui soci a causa di una dipendenza sostanziale nella determinazione degli imponibili, sia quella di un unitario ed inscindibile accertamento nei confronti di società e soci, dovrebbero comportare un’efficacia vincolante tanto a favore, quanto contro questi ultimi.
[37] Cass. civ., 10 gennaio 2013, n. 441; Cass. civ., 6 febbraio 2023, n. 3568.
[38] Schiavolin R., La giurisprudenza sulla distribuzione presunta degli utili di società di capitali a base ristretta si allontana sempre più dai dati normativi, cit., 1249.
[39] Per tutte Cass. civ., 12 gennaio 2012, n. 255; Cass. civ., 11 marzo 2021, n. 6854; si leggano in argomento Albertini F.V., Considerazioni sull’intervento adesivo dipendente nel processo tributario, in Riv. dir. trib., 2023, 1, I, 25 ss.; Castaldi L., La parte ricorrente e la c.d. “pluralità di parti” nel processo tributario, in Consolo C. – Melis G. – Perrino A.M., Il giudizio tributario, cit., 140 ss.
[40] Dante Alighieri, Divina Commedia, Inferno, Canto 1, v. 91.
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La Società può utilizzare i dati di navigazione, ovvero i dati raccolti automaticamente tramite i Siti della Società. Pacini editore srl può registrare l’indirizzo IP (indirizzo che identifica il dispositivo dell’utente su internet), che viene automaticamente riconosciuto dal nostro server, pe tali dati di navigazione sono utilizzati al solo fine di ottenere informazioni statistiche anonime sull’utilizzo del Sito .
La società utilizza i dati resi pubblici (ad esempio albi professionali) solo ed esclusivamente per informare e promuovere attività e prodotti/servizi strettamente inerenti ed attinenti alla professione degli utenti, garantendo sempre una forte affinità tra il messaggio e l’interesse dell’utente.
Trattamento dei dati
A fini di trasparenza e nel rispetto dei principi enucleati dall’art. 12 del GDPR, si ricorda che per “trattamento di dati personali” si intende qualsiasi operazione o insieme di operazioni, compiute con o senza l’ausilio di processi automatizzati e applicate a dati personali o insiemi di dati personali, come la raccolta, la registrazione, l’organizzazione, la strutturazione, la conservazione, l’adattamento o la modifica, l’estrazione, la consultazione, l’uso, la comunicazione mediante trasmissione, diffusione o qualsiasi altra forma di messa a disposizione, il raffronto o l’interconnessione, la limitazione, la cancellazione o la distruzione. Il trattamento dei dati personali potrà effettuarsi con o senza l’ausilio di mezzi elettronici o comunque automatizzati e comprenderà, nel rispetto dei limiti e delle condizioni posti dal GDPR, anche la comunicazione nei confronti dei soggetti di cui al successivo punto 7.
Modalità del trattamento dei dati: I dati personali oggetto di trattamento sono:
trattati in modo lecito e secondo correttezza da soggetti autorizzati all’assolvimento di tali compiti, soggetti identificati e resi edotti dei vincoli imposti dal GDPR;
raccolti e registrati per scopi determinati, espliciti e legittimi, e utilizzati in altre operazioni del trattamento in termini compatibili con tali scopi;
esatti e, se necessario, aggiornati;
pertinenti, completi e non eccedenti rispetto alle finalità per le quali sono stati raccolti o successivamente trattati;
conservati in una forma che consenta l’identificazione dell’interessato per un periodo di tempo non superiore a quello necessario agli scopi per i quali essi sono stati raccolti o successivamente trattati;
trattati con il supporto di mezzi cartacei, informatici o telematici e con l’impiego di misure di sicurezza atte a garantire la riservatezza del soggetto interessato cui i dati si riferiscono e ad evitare l’indebito accesso a soggetti terzi o a personale non autorizzato.
Natura del conferimento
Il conferimento di alcuni dati personali è necessario. In caso di mancato conferimento dei dati personali richiesti o in caso di opposizione al trattamento dei dati personali conferiti, potrebbe non essere possibile dar corso alla richiesta e/o alla gestione del servizio richiesto e/o alla la gestione del relativo contratto.
Comunicazione dei dati
I dati personali raccolti sono trattati dal personale incaricato che abbia necessità di averne conoscenza nell’espletamento delle proprie attività. I dati non verranno diffusi.
Diritti dell’interessato.
Ai sensi degli articoli 15-20 del GDPR l’utente potrà esercitare specifici diritti, tra cui quello di ottenere l’accesso ai dati personali in forma intelligibile, la rettifica, l’aggiornamento o la cancellazione degli stessi. L’utente avrà inoltre diritto ad ottenere dalla Società la limitazione del trattamento, potrà inoltre opporsi per motivi legittimi al trattamento dei dati. Nel caso in cui ritenga che i trattamenti che Lo riguardano violino le norme del GDPR, ha diritto a proporre reclamo all’Autorità Garante per la Protezione dei Dati Personali ai sensi dell’art. 77 del GDPR.
Titolare e Responsabile per la protezione dei dati personali (DPO)
Titolare del trattamento dei dati, ai sensi dell’art. 4.1.7 del GDPR è Pacini Editore Srl., con sede legale in 56121 Pisa, Via A Gherardesca n. 1.
Per esercitare i diritti ai sensi del GDPR di cui al punto 6 della presente informativa l’utente potrà contattare il Titolare e potrà effettuare ogni richiesta di informazione in merito all’individuazione dei Responsabili del trattamento, Incaricati del trattamento agenti per conto del Titolare al seguente indirizzo di posta elettronica: privacy@pacinieditore.it. L’elenco completo dei Responsabili e le categorie di incaricati del trattamento sono disponibili su richiesta.
Ai sensi dell’art. 13 Decreto Legislativo 196/03 (di seguito D.Lgs.), si informano gli utenti del nostro sito in materia di trattamento dei dati personali.
Quanto sotto non è valido per altri siti web eventualmente consultabili attraverso i link presenti sul nostro sito.
Il Titolare del trattamento
Il Titolare del trattamento dei dati personali, relativi a persone identificate o identificabili trattati a seguito della consultazione del nostro sito, è Pacini Editore Srl, che ha sede legale in via Gherardesca 1, 56121 Pisa.
Luogo e finalità di trattamento dei dati
I trattamenti connessi ai servizi web di questo sito hanno luogo prevalentemente presso la predetta sede della Società e sono curati solo da dipendenti e collaboratori di Pacini Editore Srl nominati incaricati del trattamento al fine di espletare i servizi richiesti (fornitura di volumi, riviste, abbonamenti, ebook, ecc.).
I dati personali forniti dagli utenti che inoltrano richieste di servizi sono utilizzati al solo fine di eseguire il servizio o la prestazione richiesta.
L’inserimento dei dati personali dell’utente all’interno di eventuali maling list, al fine di invio di messaggi promozionali occasionali o periodici, avviene soltanto dietro esplicita accettazione e autorizzazione dell’utente stesso.
Comunicazione dei dati
I dati forniti dagli utenti non saranno comunicati a soggetti terzi salvo che la comunicazione sia imposta da obblighi di legge o sia strettamente necessario per l’adempimento delle richieste e di eventuali obblighi contrattuali.
Gli incaricati del trattamento che si occupano della gestione delle richieste, potranno venire a conoscenza dei suoi dati personali esclusivamente per le finalità sopra menzionate.
Nessun dato raccolto sul sito è oggetto di diffusione.
Tipi di dati trattati
Dati forniti volontariamente dagli utenti
L’invio facoltativo, esplicito e volontario di posta elettronica agli indirizzi indicati su questo sito comporta la successiva acquisizione dell’indirizzo del mittente, necessario per rispondere alle richieste, nonché degli eventuali altri dati personali inseriti nella missiva.
Facoltatività del conferimento dei dati
Salvo quanto specificato per i dati di navigazione, l’utente è libero di fornire i dati personali per richiedere i servizi offerti dalla società. Il loro mancato conferimento può comportare l’impossibilità di ottenere il servizio richiesto.
Modalità di trattamento dei dati
I dati personali sono trattati con strumenti manuali e automatizzati, per il tempo necessario a conseguire lo scopo per il quale sono stati raccolti e, comunque per il periodo imposto da eventuali obblighi contrattuali o di legge.
I dati personali oggetto di trattamento saranno custoditi in modo da ridurre al minimo, mediante l’adozione di idonee e preventive misure di sicurezza, i rischi di distruzione o perdita, anche accidentale, dei dati stessi, di accesso non autorizzato o di trattamento non consentito o non conforme alle finalità della raccolta.
Diritti degli interessati
Ai soggetti cui si riferiscono i dati spettano i diritti previsti dall’art. 7 del D.Lgs. 196/2003 che riportiamo di seguito:
1. L’interessato ha diritto di ottenere la conferma dell’esistenza o meno di dati personali che lo riguardano, anche se non ancora registrati, e la loro comunicazione in forma intelligibile.
2. L’interessato ha diritto di ottenere informazioni:
a) sull’origine dei dati personali;
b) sulle finalità e modalità del trattamento;
c) sulla logica applicata in caso di trattamento effettuato con l’ausilio di strumenti elettronici;
d) sugli estremi identificativi del titolare, dei responsabili e del rappresentante designato ai sensi dell’articolo 5, comma 2;
e) sui soggetti o delle categorie di soggetti ai quali i dati personali possono essere comunicati o che possono venirne a conoscenza in qualità di rappresentante designato nel territorio dello Stato, di responsabili o incaricati.
3. L’interessato ha diritto di ottenere:
a) l’aggiornamento, la rettificazione ovvero, quando vi ha interesse, l’integrazione dei dati;
b) la cancellazione, la trasformazione in forma anonima o il blocco dei dati trattati in violazione di legge, compresi quelli di cui non è necessaria la conservazione in relazione agli scopi per i quali i dati sono stati raccolti o successivamente trattati;
c) l’attestazione che le operazioni di cui alle lettere a) e b) sono state portate a conoscenza, anche per quanto riguarda il loro contenuto, di coloro ai quali i dati sono stati comunicati o diffusi, eccettuato il caso in cui tale adempimento si rivela impossibile o comporta un impiego di mezzi manifestamente sproporzionato rispetto al diritto tutelato.
4. L’interessato ha diritto di opporsi, in tutto o in parte:
a) per motivi legittimi al trattamento dei dati personali che lo riguardano, ancorché pertinenti allo scopo della raccolta;
b) al trattamento di dati personali che lo riguardano a fini di invio di materiale pubblicitario o di vendita diretta o per il compimento di ricerche di mercato o di comunicazione commerciale.
Dati degli abbonati
I dati relativi agli abbonati sono trattati nel rispetto delle disposizioni contenute nel D.Lgs. del 30 giugno 2003 n. 196 e adeguamenti al Regolamento UE GDPR 2016 (General Data Protection Regulation) a mezzo di elaboratori elettronici ad opera di soggetti appositamente incaricati. I dati sono utilizzati dall’editore per la spedizione della presente pubblicazione. Ai sensi dell’articolo 7 del D.Lgs. 196/2003, in qualsiasi momento è possibile consultare, modificare o cancellare i dati o opporsi al loro utilizzo scrivendo al Titolare del Trattamento: Pacini Editore Srl – Via A. Gherardesca 1 – 56121 Pisa. Per ulteriori approfondimenti fare riferimento al sito web http://www.pacinieditore.it/privacy/
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