Limiti e peculiarità dell’autotutela obbligatoria in tema di sanzioni amministrative tributarie

Di Carlo Sallustio -

Abstract (*)

L’articolo evidenzia come l’autotutela obbligatoria disciplinata dall’art. 10-quater dello Statuto dei diritti del contribuente abbia un ambito di applicazione limitato quando verte in via esclusiva sul riesame dell’irrogazione di sanzioni amministrative tributarie. Si delineano, inoltre, alcune peculiarità che connotano l’applicazione dell’autotutela in tale ambito dal punto di vista sostanziale e processuale.

Limits and peculiarities of compulsory self-defence in the area of administrative tax penalties – The article highlights how the compulsory self-protection governed by Article 10-quater of the Statute of Taxpayers’ Rights has a limited scope of application when it relates exclusively to the review of the imposition of administrative tax penalties. It also outlines some peculiarities that characterize the application of self-protection in this area from a substantive and procedural point of view.

 

Sommario: 1. Il fondamento dell’art. 10-quater e l’ambito oggettivo di applicazione. – 2. Sull’applicabilità dell’autotutela obbligatoria quando il riesame verte solo sul profilo sanzionatorio e sui suoi limiti. – 3. Il giudizio di impugnazione del provvedimento di diniego espresso di autotutela. Problematiche processuali con particolare riguardo all’art. 12, comma 5-bis, D.Lgs. n. 472/1997. – 4. Conclusioni.

1. Con la circ. 7 novembre 2024, n. 21/E redatta a commento delle modifiche normative intervenute sull’autotutela, l’Agenzia delle Entrate ha compreso nella nozione di atto di imposizione di cui all’art. 10-quater, disciplinante l’autotutela obbligatoria «qualunque atto mediante il quale l’amministrazione finanziaria eserciti il proprio potere autoritativo con effetti di natura patrimoniale pregiudizievoli nei riguardi del contribuente», aggiungendo che in tale genus rientrano anche (ma non solo) gli «atti recanti una pretesa impositiva».

La dottrina ha sottolineato tale profilo, rilevando come al novero degli atti che possono formare oggetto di autotutela si aggiungono quelli catastali, di per sé privi di tale caratteristica, nonché quelli che pur privi di effetti esecutivi sono comunque idonei a incidere nella sfera giuridica del contribuente, come i dinieghi espliciti di agevolazione o di rimborso (così Ficari V., Autotutela in salita per definire la manifesta illegittimità, in Norme&Tributi Plus Fisco, Il Sole 24 Ore, 10 novembre 2024).

Certamente la volontà del legislatore delegante si è concretizzata in una più compiuta ed efficace regolamentazione dell’istituto. La disciplina in esame, che ha novellato la L. 27 luglio 2000 n. 212 sullo Statuto dei diritti del contribuente con gli artt. 10-quater e 10-quinquies, si muove nell’ottica segnata dall’art. 4 della legge delega n. 111/2023, che mira al potenziamento dell’autotutela attraverso modifiche strutturali che tengono conto delle peculiarità che connotano l’ordinamento tributario. La qualificazione dell’autotutela come attività essenzialmente discrezionale (cfr. inter-alias, Cass. n. 18992/2019) deve fare i conti con la peculiare situazione del diritto tributario, in cui l’attività amministrativa incide in via prevalente su diritti soggettivi anziché su interessi legittimi e il rapporto tributario trova fondamento nell’art. 53 della Costituzione. In tale contesto, la previsione normativa che – quanto meno nei casi più rilevanti – l’autotutela costituisca un obbligo giuridico per l’Amministrazione finanziaria (previsione normativa che però per la Consulta costituisce una mera facoltà per il legislatore: cfr. sentenza n. 181/2017; in senso critico a tale sentenza cfr., inter alias, Piva G., L’autotutela tributaria dopo l’intervento della Corte costituzionale: fossile giuridico o strumento ancora attuale di tutela azionabile dal contribuente?, in Boll. trib., 2019, 3, 235 ss.; Piantavigna P., Disorientamenti della Corte costituzionale, in Riv. dir. fin. sc. fin., 2017, 4, II, 96 ss.), corrisponde a condivisibili esigenze di ripristino di un «un rapporto di correttezza tra il fisco ed i contribuenti» e di «effetti deflattivi […] sul contenzioso» (in tal senso la relazione illustrativa alla legge delega sulla riforma tributaria).

Ciò premesso, non sembra tuttavia scontato ritenere che l’art. 10-quater L. n. 212/2000 sull’autotutela obbligatoria abbia un ambito oggettivo così ampio da applicarsi a tutte le prestazioni patrimoniali attuate autoritativamente dall’Amministrazione finanziaria.

È il caso dell’autotutela diretta a rimuovere in via esclusiva l’illegittima applicazione delle sanzioni amministrative tributarie, laddove ciò non dipenda da (i.e. non si correli a) questioni legate alla determinazione dell’imponibile o dell’imposta (sul punto, con riferimento alle sanzioni in generale, si veda Basilavecchia M., Autotutela obbligatoria, l’elenco tassativo dei casi non dà certezze sugli atti revocabili, in Norme&Tributi Plus Fisco, Il Sole 24 Ore, 9 aprile 2024).

Si pensi alla violazione dell’art. 12 D.Lgs. n. 472/1997, ossia all’omessa o errata applicazione della continuazione, progressione e cumulo giuridico o, comunque, alla illegittima determinazione delle sanzioni in un atto di irrogazione sanzioni.

In questi casi, non sempre il vizio che inficia la sanzione irrogata è in un rapporto di necessaria conseguenzialità con quello che attiene alla pretesa impositiva, quanto meno se l’errore che incide sull’entità e le modalità di determinazione della sanzione non è il riflesso di un vizio che investe – a monte – la qualificazione e determinazione della fattispecie impositiva dal punto di vista materiale o giuridico.

Certo, se la rideterminazione delle sanzioni irrogate rappresenta la diretta conseguenza di un vizio incidente sulla pretesa tributaria, ossia se è occasione per la revisione degli aspetti sanzionatori conseguenti, l’autotutela decisoria attiene all’atto di imposizione in senso lato (espressivo della potestà impositiva declinata nella sua massima estensione e nelle sue varie forme, che possono estendersi finanche agli atti di determinazione della rendita catastatale), mentre ben diverso è il caso in cui oggetto dell’autotutela non siano l’imponibile e l’imposta, ma la sola illegittima determinazione delle sanzioni amministrative tributarie secondo i criteri tecnici stabiliti dal legislatore.

Ebbene, in questa seconda ipotesi, diversi argomenti interpretativi sembrerebbero militare nel senso che l’art. 10-quater non trovi applicazione.

Anzitutto, la disposizione in commento stabilisce che l’Amministrazione finanziaria procede in tutto o in parte all’annullamento di “atti di imposizione” ovvero alla “rinuncia all’imposizione”, delineando un modello di autotutela obbligatoria centrato sull’imposta e sull’imponibile, rispetto al quale altri profili (non ultimo quello dei vizi in punto di irrogazione delle sanzioni amministrative tributarie) assumono un ruolo ancillare e sussidiario, ossia in tanto rilevano in quanto siano la conseguenza dell’attività decisoria sui profili impositivi.

In effetti, se un significato deve darsi alla nozione di atto di imposizione in questa sede, non è dubitabile che il suo fondamento vada ricercato nella prestazione patrimoniale imposta connotata dalla doverosità della prestazione, dalla mancanza di un rapporto sinallagmatico tra le parti e dal suo collegamento alla pubblica spesa con riferimento ad un presupposto economicamente rilevante (cfr. Corte cost., nn. 73/2005, 334/2006, 64/2008, 335/2008, 141/2009, 238/2009), laddove però il presupposto di fatto – a differenza di quanto avviene nel caso della sanzione amministrativa tributaria – non ha natura di illecito (cfr. Melis G., Prestazioni imposte [dir. trib.], in Enc. giur. Treccani, Diritto on line, 2013).

In ciò, la norma è coerente con quanto già stabiliva l’art. 2 dell’abrogato D.M. n. 37/1997, di cui riprende larga parte del dettato normativo («L’Amministrazione finanziaria può procedere, in tutto o in parte, all’annullamento o alla rinuncia all’imposizione […] nei casi in cui sussista illegittimità dell’atto o dell’imposizione»), salvo limitare i casi di autotutela obbligatoria ad ipotesi tassative indicative di manifesta illegittimità anziché fornire un’elencazione esemplificativa.

E proprio i casi che il legislatore ritiene – per così dire – “sintomatici” di siffatta manifesta illegittimità dell’atto o dell’imposizione, hanno (o sembrano avere) invariabilmente ad oggetto la determinazione della pretesa impositiva nel senso indicato.

Si tratta, in effetti, dell’errore di persona (i.e. sul contribuente, cui deve dirigersi la tassazione), dell’errore di calcolo (tipicamente: della base imponibile o dell’imposta), di quello sull’individuazione del tributo, dell’errore materiale del contribuente, che sia facilmente riconoscibile dall’Amministrazione finanziaria, dell’errore sul presupposto d’imposta (che è sicuramente l’ipotesi di più ampio respiro); della mancata considerazione di pagamenti di imposta regolarmente eseguiti e, infine, della mancanza di documentazione successivamente sanata, non oltre i termini ove previsti a pena di decadenza.

2. Se questo è, quando l’oggetto dell’autotutela non è la rinuncia o l’annullamento dell’imposizione, ma l’eliminazione di un vizio che attiene esclusivamente al procedimento di irrogazione della sanzione, che si connette alla violazione del precetto tributario, si dovrebbe escludere l’applicazione dell’art. 10-quater, rientrandosi nelle fattispecie residuali di autotutela facoltativa, disciplinate dall’art. 10-quinquies.

In realtà, si ritiene che l’inclusione dell’autotutela che verte sulle sole sanzioni nell’art. 10-quater debba avvenire valorizzando il fondamento normativo di tale disposizione.

Nello specifico, si ritiene che per individuare il perimetro applicativo di tale norma occorra avere riguardo non già al tipo di atto o di attività svolta dall’Autorità fiscale (di accertamento della giusta imposta o di irrogazione della sanzione commisurata ai parametri preordinati dalla legge), ma all’interesse sotteso a tali attività, che in entrambe consiste nella corretta attuazione del principio costituzionale di capacità contributiva.

Il che presuppone l’individuazione del bene giuridico tutelato dal sistema sanzionatorio amministrativo tributario (sul punto, inter-alias, Del Federico L., Le sanzioni amministrative nel diritto tributario, Milano, 1993 e, più di recente, Melis G., Gli interessi tutelati, in Giovannini A. – Dimartino A. – Marzaduri E., Trattato di diritto sanzionatorio tributario, Milano, 2016, in part. 1297 ss.), laddove le sanzioni amministrative tributarie si connotano per la presenza di un unico bene giuridico protetto che è l’interesse ad una tempestiva contribuzione in ragione della capacità contributiva tramite un efficiente funzionamento del sistema fiscale (Boria P., L’interesse fiscale, Torino, 2002, 332 e 368).

Ora, se l’irrogazione delle sanzioni amministrative tributarie (i.e. la loro legittima applicazione) ha il fine di indurre, attraverso la sua funzione ad un tempo preventiva e repressiva dell’evasione, all’assolvimento tempestivo dell’obbligazione tributaria, attuando così il principio di capacità contributiva di cui all’art. 53 della Costituzione, se ne deve dedurre che anche un procedimento di autotutela concernente in via esclusiva l’irrogazione delle citate sanzioni rientri nell’alveo dell’art. 10-quater, perché strumentalmente e indirettamente finalizzato a realizzare il medesimo scopo dell’attività impositiva, ossia la tempestiva e corretta attuazione della giusta imposta.

La circ. n. 21/E/2024 non esamina la questione, ma la risolve in senso positivo laddove – pur trattando di un tema affatto diverso («3.4 La definibilità delle sanzioni a seguito di provvedimento di autotutela parziale») afferma incidentalmente (alla nota 13) che «[…] può costituire oggetto di autotutela l’atto di irrogazione delle sanzioni di cui al comma 7 dell’art. 16 del decreto legislativo sanzioni», ossia un atto che ha esclusivamente ad oggetto le sanzioni amministrative.

Se la citata autotutela rientra in astratto nello spettro applicativo dell’art. 10-quater, il passaggio successivo è verificare in concreto i casi “sintomatici” di manifesta illegittimità individuati dalla norma che si attaglino a tale fattispecie, posto che – come si è detto – la disposizione si focalizza in linea generale su profili che attengono alla determinazione dell’imposta.

Un primo caso sintomatico che può rilevare nell’autotutela che verte solo sulle sanzioni (i.e. che prescinde da ogni valutazione afferente al profilo impositivo) è l’errore di calcolo, che potrebbe assumere particolare rilievo nel caso di inosservanza dei criteri relativi all’individuazione della sanzione unica ai sensi dell’art. 12 D.Lgs. n. 472/1997. La fattispecie dovrebbe ritenersi applicabile non solo se vi è stata un’errata o lacunosa applicazione del cumulo giuridico, della continuazione o della progressione (si pensi all’applicazione del cumulo giuridico limitatamente ai tributi di ciascun anno di imposta, violando il comma 5-bis per cui, se l’Ufficio non contesta tutte le violazioni o non irroga la sanzione contemporaneamente rispetto a tutte quelle contestate, quando in seguito vi provvede determina la sanzione complessiva tenendo conto delle violazioni oggetto del precedente provvedimento), ma anche nelle (invero rare) ipotesi in cui la condotta sia stata totalmente omissiva.

La difficoltà nell’individuare altre ipotesi applicabili alla manifesta illegittimità delle sanzioni è conseguenza della scelta di politica legislativa, cha ha optato per un numero chiuso di casi indicativi della manifesta illegittimità e che sarebbe (almeno in parte) superabile se si desse all’errore di calcolo una connotazione inclusiva non solo dell’errore materiale (il c.d. errore ostativo, che cade sulla dichiarazione) ma anche del vizio che incide sull’iter logico e che a sua volta comporta, di riflesso, un errore nel computo della sanzione. In questa prospettiva, nel caso specifico in cui il procedimento di autotutela verte solo sulle sanzioni l’errore logico che l’Agenzia delle Entrate colloca in via generale nell’ambito dell’errore sul presupposto impositivo quando attiene all’atto di imposizione, rientrerebbe qui nell’alveo dell’errore di calcolo.

Un esempio di errore logico può essere offerto dalla violazione del principio della lex mitior (art. 3, comma 3, D.Lgs. n. 472/1997) quando – in alcuni casi – negli atti impositivi emanati dopo il 1° gennaio 2016, relativi ad anni d’imposta pregressi, si era continuato ad irrogare la sanzione per infedele dichiarazione ex art. 1 D.Lgs. n. 471/1997, anteriore alla vigenza del D.Lgs. n. 158/2015, che era meno favorevole per il trasgressore.

In tal caso, l’errore sulla determinazione della sanzione riguarda un vizio a monte del meccanismo di computo ex art. 12 citato, che potrebbe ritenersi incluso nell’errore di calcolo estensivamente interpretato.

È interessante notare come il legislatore tributario, nell’ottica di ampliare l’ambito dell’autotutela obbligatoria, superi in tale contesto le categorie del diritto amministrativo, il quale invece non considera l’errore ostativo oggetto di annullamento d’ufficio (ex art. 21-nonies L. n. 241/1990) ma solo di rettifica, istituto rientrante nell’ambito degli atti di convalescenza, (cfr., tra le tante, T.A.R. Umbria, sez. I, sent., 5 luglio 2010, n. 401; T.A.R. Sicilia, sez. II, 9 maggio 2005, n. 729; in dottrina cfr. Ghetti G., voce Correzione, rettifica e regolarizzazione dell’atto amministrativo, in Digesto pubbl., IV, Torino, 1989, 198).

Altro caso tassativo di manifesta illegittimità che potrebbe realizzarsi nell’autotutela sulle sole sanzioni è quello dell’errore di persona nell’ipotesi in cui l’atto di irrogazione sanzioni fosse emesso nei confronti di un soggetto diverso da quello che ha commesso la violazione.

L’ipotesi principale è quella delle sanzioni irrogate agli eredi del trasgressore, violando il chiaro dettato dell’art. 8 D.Lgs. n. 472/1997 (cfr. Cass., ord. n. 34273/2022, per la quale «l’intrasmissibilità agli eredi delle sanzioni tributarie rappresenta una questione rilevabile d’ufficio dal giudice, poiché attiene alla fattispecie costitutiva del diritto dell’Erario di irrogare le stesse [arg. da Cass., Sez. 5, 24.7.2019, n. 19988, Rv. 654763-01, nonché, Cass., Sez. 5, 7.4.2017, n. 9094, Rv. 646905-02, in motivazione, alla p. 8, sub p. 6.1]»).

Non sono invece applicabili alla materia di cui si discute i casi sintomatici costruiti essenzialmente nella prospettiva del riesame del profilo impositivo (in cui la revisione in autotutela della sanzione è il riflesso di quello sul tributo, per cui la prima segue la seconda), quali l’errore sull’individuazione del tributo, quello sul presupposto d’imposta e quello della mancata considerazione di pagamenti di imposta regolarmente eseguiti.

Sembrerebbero inoltre fuori del perimetro applicativo citato (e dunque confinati nell’autotutela facoltativa) alcuni casi particolarmente rilevanti, tra cui quello dell’irrogazione di sanzioni amministrative in violazione dell’art. 21-ter D.Lgs. n. 74/2000, introdotto dal D.Lgs. n. 87/2024, per il quale se per lo stesso fatto è stata applicata una sanzione penale o amministrativa o una sanzione amministrativa dipendente da reato, l’Autorità amministrativa, nel determinare le sanzioni e la relativa misura, deve tener conto di quelle già irrogate con provvedimento o con sentenza assunti in via definitiva. Coordinando tale norma con l’art. 21-bis, comma 1, per la quale la sentenza irrevocabile di assoluzione perché il fatto non sussiste o l’imputato non l’ha commesso, pronunciata nei confronti del medesimo soggetto e sugli stessi fatti materiali oggetto del processo tributario, ha efficacia di giudicato in quest’ultimo, il Fisco dovrebbe annullare in autotutela la sanzione amministrativa irrogata nei confronti di chi è stato assolto per non aver commesso il fatto, ma ai sensi dell’art. 10-quinquies (nel senso della esclusione dall’art. 10-quater v. Demetri M., Spunti di riflessione sulla nuova disciplina dell’autotutela tributaria, Riv. tel. dir. trib., 2024, 1, 203 ss.).

Vi è chi invece, rilevando che il combinato disposto degli artt. 7-ter e 10-quater individua una “nullità” dell’atto amministrativo violativo o elusivo di un giudicato, rilevabile in sede amministrativa e giudiziale, anche d’ufficio, ritiene operante l’autotutela obbligatoria in presenza di fatti materiali che fondano l’atto impositivo adottato in violazione o elusione del giudicato penale di assoluzione, pur in mancanza di un contenzioso pendente (così sostanzialmente Tinelli G., Il giudicato penale vale per il fisco anche se non è motivo di ricorso, in Norme&Tributi Plus Fisco, Il Sole 24 Ore, 30 ottobre 2024, per il quale l’autotutela ex art. 10-quater si arresterebbe solo nel caso di giudicato sostanziale favorevole all’Amministrazione finanziaria, non superabile dal giudicato intervenuto ex post in sede penale).

Tale prospettiva presume però risolto il tema del rapporto esistente tra le fattispecie di nullità (ora testuali e non più anche virtuali) previste dal citato art. 7-ter e quelle di annullamento d’ufficio (i.e. concernenti atti annullabili) di cui all’art. 10-quater (per una prima analisi della disciplina generale delle cause di invalidità degli atti impositivi e della riscossione in attuazione della legge delega n. 111/2023 cfr. Piantavigna P., Vizi degli atti di accertamento e riscossione. Dalla riforma fiscale una duplice (apprezzabile) innovazione, in Ipsoa Quotidiano, 11 novembre 2023). In altri termini, se l’art. 7-ter attiene ad ipotesi di nullità, mentre l’art. 10-quater obbliga l’Amministrazione finanziaria a procedere in presenza di atti annullabili connotati da una manifesta illegittimità, può quest’ultima norma applicarsi anche ad atti affetti da un diverso tipo di invalidità? In particolare, può la maggiore gravità del vizio che connota gli atti nulli rispetto a quelli annullabili, consentire la loro inclusione tra quelli che obbligano l’Amministrazione finanziaria a rimuovere l’atto viziato ex art. 10-quater? Oppure, stante la maggiore latitudine della tutela offerta dall’art. 7-ter al contribuente, che gli consente di eccepire la nullità in sede amministrativa o giudiziaria e di rilevarla d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio con il solo limite dell’intervenuta prescrizione del credito, il legislatore ha ritenuto di limitare l’obbligo di procedere in autotutela solo agli atti annullabili suscettibili di consolidarsi ove non ricorrano specifiche ipotesi di manifesta illegittimità? Si tratta di questioni aperte che esulano dal tema in esame ma che testimoniano la complessità della materia e le molteplici implicazioni che si legano alla trattazione dell’ambito applicativo dell’art. 10-quater.

3. Un altro aspetto rilevante in tema di autotutela obbligatoria e facoltativa, concerne l’impugnazione del silenzio rigetto o del provvedimento di diniego dell’istanza di annullamento in autotutela, introdotta dal D.Lgs. n. 220/2023, di riforma del processo tributario. L’art. 9 D.Lgs. n. 546/1992 è stato novellato prevedendo, per entrambe le ipotesi di autotutela, l’impugnazione del diniego espresso entro il termine di 60 giorni dalla notifica (o dalla sua effettiva conoscibilità) e di quello tacito dopo che siano decorsi 90 giorni dalla presentazione dell’istanza per la sola autotutela obbligatoria.

Il coordinamento di tale disposizione con quella dell’art. 12, comma 5-bis, D.Lgs. n. 472/1997, pone alcune questioni relative all’autotutela obbligatoria sulle sanzioni in caso di impugnazione del diniego espresso.

Il comma 5-bis pone in capo al giudice l’obbligo di determinare la sanzione irrogabile “in seconda battuta” con le stesse modalità e criteri poste in capo all’ Amministrazione finanziaria nel caso in cui essa evidentemente non vi abbia provveduto.

Il contribuente che prima di ricorrere avanti al giudice dell’ultimo atto, abbia proposto istanza di annullamento in autotutela obbligatoria per la medesima questione, ha interesse alla prosecuzione del procedimento di autotutela nella pendenza del citato giudizio perché – a prescindere da quello che sarà l’esito di quest’ultimo – potrebbe vedersi irrogata dal Fisco (obbligato anch’esso ai sensi del comma 5-bis) la più mite sanzione determinata ai sensi dell’art. 12.

In sostanza, l’esito positivo dell’autotutela obbligatoria realizzerebbe in via anticipata quanto potrebbe verificarsi ex post grazie alla decisione del giudice sempre ai sensi del comma 5-bis.

Qualora nelle more del giudizio sull’ultimo atto intervenisse un diniego espresso sull’autotutela obbligatoria, si porrebbe il tema del rapporto esistente tra un eventuale ricorso proposto avverso tale diniego e quello sull’ultimo atto, visto che essi condividerebbero la cognizione della medesima questione di diritto (la legittima applicazione dell’art. 12 citato) in tutto (si pensi all’atto di irrogazione sanzioni) o in parte (è il caso dell’atto impositivo con contestuale irrogazione delle sanzioni).

In particolare, ci si potrebbe chiedere se si versi in un’ipotesi di litispendenza ex art. 39 c.p.c., applicabile anche al processo tributario in virtù del rinvio di cui all’art. 1, comma 2, D.Lgs. n. 546/1992 (cfr. Cass., 10 aprile 2000, n. 4509; Cass., Sez. Un., 4 giugno 2008, n. 14815).

Se ci si conforma alla tesi per cui l’oggetto del giudizio sul diniego espresso si sostanzia in un sindacato limitato al corretto esercizio dell’attività amministrativa, verificandosi altrimenti un’indebita sostituzione del giudice nell’attività amministrativa (in tal senso tra le tante: Cass., sez. V, 20 febbraio 2015, n. 3442; Cass., sez. V, 28 marzo 2018, n. 7616; Cass., sez. V, 24 agosto 2018, n. 21146; Cass., sez. V, 26 settembre 2019, n. 24032; Cass., sez. V, 4 dicembre 2020, n. 27806; Cass., sez. VI-5, 16 marzo 2021, n. 7378; Cass., sez. VI-5, 4 novembre 2021, n. 31574; Cass., sez. V, 7 marzo 2022, n. 7318; Cass., sez. V, ord. n. 37332/2022; Cass., sez. V, ord. n. 8596/2023), la risposta è negativa, poiché la litispendenza propriamente detta richiede la coincidenza di parti, causa petendi (i.e. le ragioni di diritto per le quali si chiede l’annullamento dell’atto in un giudizio e del diniego nell’altro) e petitum, che invece qui differirebbe nei due contenziosi.

Da una parte avremmo un giudizio sull’impugnazione dell’atto impositivo o di irrogazione sanzioni, in cui il giudice ha il potere di annullamento e (nella ricorrenza dei presupposti) il dovere di rideterminare la sanzione in base al comma 5-bis, dall’altra un giudizio sul diniego di autotutela che si arresterebbe alla delibazione sulla legittimità del diniego (ossia sull’an, anziché sul quomodo), postulando – in caso di accoglimento del ricorso – un riesame della decisione da parte dell’Autorità fiscale (nel senso che questo, in mancanza di precisazioni della legge delega n. 111/2023, resterà l’ambito decisionale del giudice del diniego, si veda Ingrao G., I nuovi sviluppi della normativa sull’autotutela, in Riv. tel. dir. trib., 2023, 2, 623 ss.; per il passato cfr. Tesauro F., Riesame degli atti impositivi e tutela del contribuente, in La Rosa S., a cura, Profili autoritativi e consensuali del diritto tributario, Milano, 2008, 145, per cui si può riconoscere al Fisco discrezionalità nel quomodo, non già sull’an a provvedere, essendo configurabile un interesse legittimo pretensivo affinché esso provveda sull’istanza del contribuente).

Si è peraltro evidenziato che si avrebbe comunque una inopportuna duplicazione delle chances di tutela giurisdizionale e dunque un fenomeno di litispendenza sui generis (cfr. Turchi A., La problematica impugnabilità del diniego di autotutela, in materia tributaria, nuovamente all’esame delle Sezioni unite, in Giur. it., 2007, 1, 2888 ss., nota a Cass. civ., Sez. Un., 27 marzo 2007, n. 7388, ivi).

Da notare poi che, ante modifiche, la giurisprudenza di Cassazione si è più volte espressa nel senso che il ricorso avverso il diniego comporta che si impugni un nuovo atto, risultato di un nuovo procedimento che conferma l’atto originario, non già un atto meramente confermativo, poiché diversamente opinando si avrebbe una duplicazione di tutele in capo al contribuente (cfr. Tesauro F., Riesame degli atti impositivi e tutela del contribuente, cit., 141).

Si è poi ulteriormente precisato che il giudizio sul diniego non verterebbe sull’originaria fattispecie impositiva, ma sull’idoneità di eventi sopravvenuti atti ad incidere, quali elementi impeditivi o estintivi, sulla pretesa dell’Amministrazione finanziaria (in questi termini, sostanzialmente, Muscarà S., La giurisdizione [quasi] esclusiva delle Commissioni tributarie nella ricostruzione sistematica delle SS.UU. della Cassazione, nota a Cass., Sez. Un., 10 agosto 2005, n. 16776, in Riv. dir. trib., 2006, 1, II, 48, che in nota 43 riporta l’esempio dell’intervenuta sanatoria delle violazioni tributarie, che consente all’interessato di impugnare il diniego di annullamento delle sanzioni irrogate affinché sia accertata l’efficacia estintiva della sanatoria).

Va da sé che quando l’ultimo atto di irrogazione sanzioni è divenuto definitivo e l’istanza di annullamento per autotutela viene proposta entro un anno dalla sua intervenuta definitività, se il giudice del diniego espresso deve arrestarsi alla verifica della legittimità o meno del rigetto (i.e. una volta accertato l’errore manifesto, non può accogliere il ricorso effettuando un riesame della fattispecie, emettendo una decisione che integra l’atto, se l’errore è parziale, o lo sostituisce, se l’errore investe l’intero atto), lo scrutinio ex comma 5-bis sulla corretta applicazione dell’art. 12 citato non sarà più esercitabile in sede giurisdizionale, venendo a mancare il giudice dell’ultimo atto.

A diversa conclusione si giunge se l’ultimo atto di irrogazione sanzioni o impositivo è stato impugnato nei termini ma non sia stata richiesta in tale sede la rideterminazione delle sanzioni ai sensi dell’art. 12 citato.

Qui l’impugnazione del diniego espresso di autotutela non comporta la duplicazione della tutela avanti al giudice dell’atto impositivo in ordine alle sanzioni, anche se non è escluso che il giudice dell’ultimo atto rilevi d’ufficio la mancata applicazione del cumulo giuridico, della progressione e/o della continuazione per più periodi d’imposta, assolvendo così all’obbligo giuridico di cui al comma 5-bis.

4. L’art. 10-quater segna una svolta significativa, introducendo in via legislativa l’obbligo per l’ Amministrazione finanziaria di pronunciarsi su fattispecie connotate da una manifesta illegittimità e confermando implicitamente che l’unico interesse che rileva è quello al ripristino della legalità, che nel diritto tributario coincide con l’attuazione della giusta imposta ai sensi dell’art. 53 della Costituzione, dovendosi ritenere definitivamente superato quell’orientamento che ha sin qui richiesto la prova «di un interesse di rilevanza generale dell’Amministrazione alla rimozione dell’atto» (su tale pregressa posizione cfr., tra i tanti, Farcormeni F., Autotutela tributario e interesse generale alla rimozione dell’atto, commento o Cass. civ., sez. trib., 7 marzo 2022, n. 7318, in Riv. tel. dir. trib., 2022, 2, 667 ss.).

L’impostazione della norma risente tuttavia di una visione focalizzata sull’autotutela relativa all’atto di imposizione che, seppur estensibile in via interpretativa al riesame relativo alle sole sanzioni, prevede delle ipotesi tassative di manifesta illegittimità applicabili solo in parte a queste ultime, con esclusioni anche importanti e limitazioni suscettibili di determinare in futuro dubbi e contrasti giurisprudenziali sul suo perimetro applicativo. Forse, si poteva redigere ex novo la norma sull’autotutela obbligatoria, definendo in modo più ampio la nozione di atto da utilizzare ai sensi dell’art. 10-quater e rielaborando la casistica in modo da modellarla anche su profili (sanzionatori, della riscossione, ecc.) indirettamente riconducibili al rapporto d’imposta. Tutta da verificare è poi l’impostazione che sarà seguita in sede processuale con riferimento al rapporto tra giudizio sull’ultimo atto (tenuto a rideterminare le sanzioni ai sensi dell’art. 12 D.Lgs. n. 472/1997, in forza del comma 5-bis del medesimo articolo) e quello sul diniego. Sarà il futuro a dirci come si svilupperà sul punto la posizione dei giudici di legittimità e di merito.

(*) Il saggio è stato sottoposto a double blind peer review con valutazione positiva. Esso confluirà nel fascicolo n. 1/2025 (semestrale) della Rivista telematica di diritto tributario. 

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