La recidiva nella recente riforma delle sanzioni tributarie: presupposti di applicazione, cause di esclusione e principio di proporzionalità

Di Daria Coppa -

Abstract (*)

Il recente intervento riformatore suscita perplessità per i presupposti di applicazione e per l’eccessiva limitazione delle cause che escludono l’automatico incremento sanzionatorio. Inoltre, l’aumento della misura dell’incremento sanzionatorio e il mantenimento dell’obbligatorietà non sembrano coerenti con l’obiettivo di una piena attuazione del principio di proporzionalità nella disciplina della determinazione della sanzione.

Recidivism in the recent reform of tax penalties: prerequisites for application, grounds for exclusion, and principle of proportionality – The recent reform intervention gives rise to perplexity because of the conditions of application and the excessive limitation of the causes that exclude the automatic penalty increase. Moreover, the increase in the extent of the sanction increase and the retention of the mandatory nature of the sanction do not seem consistent with the objective of fully implementing the principle of proportionality in the regulation of the determination of the sanction. 

Sommario: 1. Premessa. – 2. Presupposti di applicazione della recidiva. – 3. Cause di esclusione dell’incremento sanzionatorio. – 4. Misura ed obbligatorietà dell’incremento sanzionatorio.

1. Nella disciplina della determinazione della sanzione amministrativa tributaria un ruolo rilevante è attribuito all’istituto della recidiva. Nella legge delega (art. 20, comma 1, lett. c), n. 3, L. n. 111/2023) il criterio direttivo prescrive «l’inapplicabilità delle sanzioni in misura maggiorata per recidiva prima della definizione del giudizio di accertamento sulle precedenti violazioni, meglio definendo le ipotesi stesse di recidiva».

Con il decreto emanato in attuazione del predetto criterio direttivo le modifiche apportate alla disciplina attengono esclusivamente al presupposto cui è subordinata l’operatività dell’istituto (l’avvenuto accertamento definitivo del precedente illecito) nonché la misura dell’inasprimento sanzionatorio (fino al doppio della misura edittale)[1].

Non deve tuttavia sottovalutarsi la circostanza che nel nuovo sistema delineato dalla riforma, caratterizzato dalla sostituzione di una sanzione fissa (seppur proporzionale al tributo) a quella precedentemente comminata in misura variabile[2], la recidiva è destinata ad operare come circostanza aggravante avente il ruolo di sopperire all’impossibilità di modulare la conseguenza punitiva tra un minimo e un massimo: non può che condividersi quanto recentemente rilevato sul discutibile uso delle circostanze in sostituzione del previgente “compasso edittale”, trattandosi di elementi accidentali che dovrebbero aggiungersi e non sostituirsi agli elementi costitutivi della fattispecie sanzionatoria (Mercuri G., Il principio di proporzionalità nel diritto tributario, Milano, 2024, 432, nt. 53).

La previsione normativa, anche a seguito delle modifiche, continua pertanto a suscitare perplessità sotto vari profili.

2. Con riguardo ai presupposti in presenza dei quali la recidiva è destinata ad operare deve rilevarsi che, a seguito delle modifiche intervenute, l’inasprimento della conseguenza punitiva non è più subordinata al semplice compimento, nel triennio precedente, di un’altra violazione della stessa indole, ma all’avvenuto accertamento definitivo del precedente illecito in virtù di sentenza passata in giudicato ovvero per mancata impugnazione dell’atto con il quale è stata contestata la violazione o irrogata la sanzione.

Si tratta di una previsione in realtà ricognitiva di un orientamento cui era già approdata la giurisprudenza di legittimità, come del resto affermato anche nelle relazioni illustrative sia della legge delega che del decreto delegato: ad avviso della Corte di Cassazione la recidiva di cui all’art. 7, comma 3, D.Lgs. n. 472/1997, può essere applicata solo quando le violazioni antecedenti a quella della cui sanzione si controverte risultino definitivamente accertate dal giudice tributario o siano divenute definitive per mancata impugnazione dell’atto con il quale è stata contestata la violazione o irrogata la sanzione (cfr. Cass., 17 maggio 2019, n. 13330; Cass., 22 maggio 2019, n. 13742; Cass., 9 giugno 2020, n. 10975; Cass., 18 giugno 2020, n. 11831; Cass., 11 settembre 2020, n. 18867; Cass., 25 novembre 2022, n. 34726. Da ultimo, Cass., 27 febbraio 2024, n. 5115).

Con particolare riguardo alle ipotesi di inoppugnabilità dell’atto è stata già rilevata la palese violazione della legge delega, ove non si rinviene alcun riferimento ad una maggiorazione della sanzione in dipendenza di una precedente violazione divenuta definitiva senza il previo accertamento giudiziale (Del Federico L., Gli interventi sul decreto n. 472/1997: tra legge delega, vincoli di sistema e fiscalismo, in Logozzo M., a cura di, L’attuazione della riforma tributaria, Atti del Convegno Annuale dell’Associazione Italiana dei Professori e degli Studiosi di Diritto Tributario, Napoli, 10-11 maggio 2024, Pisa, 2024, 197 ss.).

A ciò si aggiunga che il presupposto per l’applicazione della recidiva continua ad essere costituito dal compimento di un’altra violazione “della stessa indole”.

Nonostante la declinazione normativa[3], rimasta immutata a seguito della riforma, il concetto di violazioni della “stessa indole” permane ampio e, soprattutto, privo di un’adeguata definizione.

Invero, non dovrebbero considerarsi della “stessa indole”, ai fini della recidiva, violazioni che, pur essendo riconducibili ad una medesima tipologia di fattispecie sanzionatoria (dichiarazione infedele, omessa dichiarazione, ecc.), non presentano “profili di sostanziale identità”, diverso essendo il tributo cui si riferiscono e ontologicamente differente essendo il comportamento in concreto posto in essere (Melis G., Le sanzioni amministrative tributarie nella legge delega: questioni aperte e possibili soluzioni, in Rass. trib., 2023, 3, 521).

A tale conclusione si perviene ove si consideri l’interpretazione estensiva fornita dall’Amministrazione finanziaria, ad avviso della quale della “stessa indole” sarebbero, ad esempio, la violazione di infedele dichiarazione ai fini delle imposte dirette, ove la rettifica abbia avuto ad oggetto l’indebita deduzione di una quota di ammortamento, nonchè di infedele dichiarazione ai fini IVA, pur essendo evidente l’assenza di identità tra le due condotte illecite (circ. n. 180/E/1998).

3. Perplessità suscita altresì l’eccessiva limitazione delle ipotesi in cui la recidiva non può trovare applicazione. La novella prevede infatti che l’incremento sanzionatorio non operi ove la violazione commessa successivamente non sia stata definita con ravvedimento ex art. 13 D.Lgs. n. 472/1997, ovvero con adesione ai verbali di constatazione ex art. 5-quater D.Lgs. n. 218/1997: a differenza della previgente normativa, non hanno più rilievo la definizione agevolata ex artt. 16 e 17 D.Lgs. n. 472/1997, nonché l’estinzione della violazione in virtù di accertamento con adesione e di conciliazione.

A questo riguardo non si comprendono i motivi per i quali la definizione della violazione, l’accertamento con adesione e la conciliazione[4] non debbano assumere rilievo al fine di escludere l’incremento sanzionatorio nei confronti del trasgressore che si sia  avvalso di istituti aventi le medesime finalità e i medesimi effetti premiali del ravvedimento operoso e dell’adesione al verbale di constatazione: appare evidente la disparità di trattamento che la modifica normativa è destinata a determinare nei confronti del trasgressore, a seconda della modalità con la quale aderisca, seppur parzialmente, alla pretesa impositiva e/o sanzionatoria (Giovanardi A., Prime osservazioni sullo schema di decreto legislativo recante revisione del sistema sanzionatorio tributario, in Riv. tel. dir. trib, 2024, 1, 354 ss. Contra Melis G., Le sanzioni amministrative tributarie nella legge delega: questioni aperte e possibili soluzioni, cit., 521, ad avviso del quale «altre vicende estintive, di qualsivoglia natura (acquiescenza compresa), devono invece considerarsi irrilevanti, perché il contribuente ha ritenuto di “accettare” – totalmente o parzialmente – la contestazione dell’amministrazione finanziaria e con essa, implicitamente, anche quelle relative agli anni successivi»)..

La formulazione letterale della nuova disposizione, tuttavia, non sembra avere una ratio comprensibile nella parte in cui esclude l’operatività della recidiva ove la successiva violazione sia stata definita con il ravvedimento operoso.

A questo proposito non si condivide l’approdo ermeneutico cui è approdata la stampa specializzata ove si è affermato che la recidiva può essere evitata allorché la “precedente” violazione sia stata definita con il ravvedimento (Deotto D. – Lovecchio L., Recidiva in tre anni dal giudicato, aumento sanzioni fino al doppio, in Norme&Tributi Plus, Il Sole 24 Ore, 28 febbraio 2024, ID., Recidiva, maggiorazione e riduzione per sproporzione, in Riforma fiscale 9 – Violazioni e sanzioni tributarie, Il Sole 24 Ore, luglio 2024, 489): la formulazione letterale della norma[5], per quanto criticabile, non consente di accogliere una siffatta interpretazione.

Infatti, posto che una violazione sia stata accertata con sentenza passata in giudicato o sia divenuta definitiva per mancata impugnazione dell’atto di contestazione o del provvedimento di irrogazione, e nei tre anni successivi sia stata commessa un’ulteriore violazione della stessa indole, per questa successiva violazione, ove definita con il ravvedimento operoso, nessuna pretesa sanzionatoria può essere esercitata.

Ne consegue che in tale ipotesi la recidiva non potrebbe mai e in ogni caso trovare applicazione: l’avvenuta estinzione della violazione con il ravvedimento operoso non consente al competente Ufficio di emanare un provvedimento sanzionatorio con il quale possa essere accertata la reiterazione dell’illecito e applicato l’aumento della sanzione.

A diverse conclusioni deve pervenirsi con riguardo alle violazioni definite ai sensi degli artt. 16 e 17 D.Lgs. n. 472/1997, ovvero in sede di accertamento con adesione o con adesione al processo verbale di constatazione o, ancora, in sede processuale con la conciliazione giudiziale. In tali ipotesi la pretesa sanzionatoria è stata esercitata, poiché la violazione è stata acclarata con il processo verbale di constatazione (art. 5-quater D.Lgs. n. 218/1997) ovvero con l’atto di contestazione o, infine, con il provvedimento di irrogazione contenuto in seno all’avviso di accertamento (artt. 16 e 17 D.Lgs. n. 472/1997), a seguito dei quali il trasgressore potrebbe fruire delle rispettive forme di definizione.

Lo stesso può dirsi con riguardo alle ipotesi di definizione della violazione in sede di conciliazione giudiziale.

In definitiva, in tutti i casi nei quali la violazione è stata accertata e la sanzione è stata applicata il trasgressore, a seguito delle modifiche intervenute con la riforma, non è più in grado di evitare l’applicazione della recidiva ove decidesse di avvalersi di uno dei suddetti istituti deflattivi, fatta salva solo la definizione con adesione ai verbali di constatazione ex art. 5-quater D.Lgs. n. 218/1997.

Con la nuova previsione normativa sono state pertanto eliminate tutte le ipotesi (accertamento con adesione, definizione ex artt. 16 e 17, conciliazione giudiziale)[6] nelle quali l’adesione del trasgressore alla pretesa sanzionatoria, esercitata con riguardo ad una successiva violazione della stessa indole, avrebbe potuto escludere l’operatività della recidiva; l’effetto premiale è stato invece mantenuto in relazione alla successiva violazione della stessa indole definita con ravvedimento operoso, per la quale la regolarizzazione dell’inadempimento esclude ab origine l’irrogazione della sanzione e il relativo incremento dovuto alla reiterazione dell’illecito.

Si consideri, altresì, che la nuova formulazione della norma in esame, estendendo l’operatività della recidiva anche alle ipotesi nelle quali la precedente violazione sia divenuta definitiva per mancata impugnazione dell’atto impositivo, produce l’effetto di disincentivare il ricorso all’istituto dell’acquiescenza di cui all’art. 15 D.Lgs. n. 218/1997, avvalendosi del quale il trasgressore non potrà comunque evitare l’incremento sanzionatorio connesso alla reiterazione dell’illecito.

4. Deve infine essere richiamata l’attenzione sull’eccessivo rigore mostrato dal legislatore delegato che, pur in assenza di criteri direttivi, ha modificato la misura dell’incremento sanzionatorio applicabile in caso di recidiva (aumento fino al doppio)[7], mantenendo la natura obbligatoria dell’istituto, frutto delle modifiche intervenute con la precedente riforma del 2015[8].

L’obbligo di applicare la recidiva comporta infatti un automatico inasprimento del trattamento sanzionatorio che non consente, in sede di irrogazione della sanzione, di «accertare in concreto se, in rapporto ai precedenti, il nuovo episodio illecito sia indicativo di una più accentuata riprovevolezza» (Miscali M., La recidiva automatica del terzo comma dell’art. 7 del d.lgs. 18 dicembre 1997 n. 472: dubbi di legittimità costituzionale, in Glendi C. – Corasaniti G. – Corrado Oliva C. – De Capitani di Vimercate P., a cura di, Per un nuovo ordinamento tributario, Milano, 2019, II, 1540).

Il predetto automatismo è da ritenersi in contrasto con il principio della gradualità sanzionatoria e con il principio di proporzionalità, enfaticamente introdotto in seno all’art. 3 D.Lgs. n. 472/1997[9] in attuazione dei criteri direttivi della già citata legge delega n. 111/2023, non risultando così consentito «quel giudizio tecnico e di valore posto in essere dal Giudice – e, prima ancora, dall’ente che irroga la sanzione – anche solamente per stabilire il quantum della pena» (Montanari F., La dimensione multilivello delle sanzioni tributarie e le diverse declinazioni del principio di offensività-proporzione, in Riv. dir. trib., 2017, 4, I, 501).

L’automatismo applicativo introdotto nella disciplina delle sanzioni tributarie sembra inoltre contrastare con l’orientamento della Corte costituzionale (Corte cost., sent. 23 luglio 2015 [8 luglio 2015], n. 185, in Giur. cost., 2015, 4, 1400 ss., con commento di Pelissero M., L’incostituzionalità della recidiva obbligatoria. Una riflessione sui vincoli legislativi alla discrezionalità giudiziaria, ivi, 1412 ss.; Bartoli R., Recidiva obbligatoria ex art. 99.5 c.p.: la Corte costituzionale demolisce l’ultimo automatismo, in Giur. it., 2015, 11, 2484 ss.; Di Chiara G., Sistema della recidiva e accertamento dei presupposti: incostituzionali i “rigidi automatismi”, in Diritto penale e processo, 2015, 10, 1209 ss.) la quale si è più volte pronunciata sulla illegittimità delle norme penali che stabilivano l’obbligatorietà dell’aumento di pena per recidiva.

Da ultimo, nel 2015, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del comma 5 dell’art. 99 c.p. proprio nella parte in cui disponeva l’obbligatorietà dell’aumento di pena per recidiva con riguardo a taluni reati ritenuti dal legislatore di particolare gravità e allarme sociale. La sentenza esprime la «tendenziale refrattarietà della Corte a legittimare automatismi sanzionatori che impediscono — o quantomeno limitano — una verifica dell’adeguatezza e proporzionalità della risposta sanzionatoria rispetto al fatto concreto» (Pelissero M., L’incostituzionalità della recidiva obbligatoria. Una riflessione sui vincoli legislativi alla discrezionalità giudiziaria, cit., 1416): nel solco del medesimo percorso argomentativo appare non del tutto ragionevole la scelta del legislatore tributario di fondare la presunzione assoluta di una più accentuata colpevolezza sul compimento di un’altra violazione della stessa indole.

Il predetto automatismo solo in parte può considerarsi controbilanciato dalla riconosciuta possibilità di ridurre le sanzioni fino al ad un quarto della misura edittale qualora «concorrono circostanze che rendono manifesta la sproporzione tra violazione commessa e sanzione applicabile»[10]: la previsione normativa, in quanto vaga dal punto di vista definitorio e pertanto suscettibile di arbitrarie interpretazioni, non appare idonea a mitigare il rigore della misura punitiva scaturente dall’applicazione obbligatoria della recidiva.

Non si comprende infatti quale sia l’elemento da prendere in considerazione ai fini della comparazione tra “violazione commessa” e “sanzione applicabile” onde pervenire, conseguentemente, ad un giudizio di “manifesta sproporzione”: sarebbe stato preferibile fare riferimento, per esempio, al disvalore della condotta del trasgressore  piuttosto che a non meglio definite “circostanze” la cui valutazione discrezionale, pur nel rispetto del principio di proporzionalità, resta comunque affidata  al soggetto titolare del potere sanzionatorio.

A ciò si aggiunga che il mantenimento di un limite alla riduzione sanzionatoria (oggi prevista ad un quarto della misura edittale) mal si concilia con «la portata generale e cogente del principio di proporzionalità», specie quando nella fattispecie concreta la risposta punitiva «rende intollerabile la sproporzione fra il disvalore del fatto e il livello di compressione della sfera individuale» (Mercuri G., Il principio di proporzionalità nel diritto tributario, cit., 447).

Si può concludere nel senso che il recente intervento riformatore, seppur apprezzabile per avere finalmente codificato l’inapplicabilità della recidiva anteriormente all’avvenuto accertamento definitivo del precedente illecito, suscita tuttavia perplessità con riguardo alla eccessiva limitazione delle cause che ne escludono l’automatica operatività. Allo stesso modo, l’aumento della misura dell’incremento sanzionatorio e il mantenimento dell’ampia nozione di violazione della stessa indole consentono di ritenere solo parzialmente conseguito, con riguardo all’istituto della recidiva, l’obiettivo di una piena attuazione del principio di proporzionalità nella disciplina della determinazione della sanzione a presidio del diritto del trasgressore alla giusta conseguenza punitiva.

(*) Il testo, rivisto e integrato, riproduce il contenuto del contributo pubblicato in Logozzo M., a cura di, L’attuazione della riforma tributaria, Atti del Convegno Annuale dell’Associazione Italiana dei Professori e degli Studiosi di Diritto Tributario, Napoli, 10-11 maggio 2024, Pisa, 2024.

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[1] Ai sensi del comma 3 dell’art. 7 D.Lgs. n.472/1997, nel testo risultante dopo le modifiche apportate dall’art. 3, comma 1, lett. d), n. 2), D.Lgs. 14 giugno 2024, n. 87, «la sanzione è aumentata fino al doppio nei confronti di chi, nei tre anni successivi al passaggio in giudicato della sentenza che accerta la violazione o alla inoppugnabilità dell’atto, è incorso in altra violazione della stessa indole non definita ai sensi dell’articolo 13 del presente decreto o dell’articolo 5-quater del decreto legislativo 19 giugno 1997, n. 218».

[2] Si pensi alle violazioni di omessa e di infedele dichiarazione, ora punite con la sanzione amministrativa, rispettivamente, del 120% e del 70% dell’ammontare delle imposte dovute (art. 1, commi 1 e 2, D.Lgs. n. 471/1997, nel testo risultante dopo le modifiche apportate dall’art. 2, comma 1, lett. a), nn. 1) e 3), della citata L. n. 111/2023.

[3] Il citato comma 3 dell’art. 7 prevede che «sono considerate della stessa indole le violazioni delle stesse disposizioni e quelle di disposizioni diverse che, per la natura dei fatti che le costituiscono e dei motivi che le determinano o per le modalità dell’azione, presentano profili di sostanziale identità».

[4] L’esclusione delle violazioni estinte in dipendenza di mediazione costituisce ovvia conseguenza dell’abrogazione dell’istituto.

[5] «La sanzione è aumentata fino al doppio nei confronti di chi, […], è incorso in altra violazione della stessa indole non definita ai sensi dell’articolo 13 del presente decreto».

[6] Fatta salva, si ribadisce, solo la definizione della violazione a seguito di adesione al verbale di constatazione ex art. 5-quater D.Lgs. n. 218/1997.

[7] In precedenza, era previsto un aumento sino alla metà.

[8] Si tratta delle modifiche apportate dall’art. 16, comma 1, lett. c), n. 2), D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158, con le quali l’inciso “può essere” è stato sostituito con “è”.

[9] Cfr. art. 3, comma 3-bis, ai sensi del quale «la disciplina delle violazioni e sanzioni tributarie è improntata ai principi di proporzionalità e di offensività».

[10] Cfr. art. 7, comma 4, D.Lgs. n. 472/1997, nel testo risultante dopo le modifiche apportate dall’art. 3, comma 1, lett. d), n. 3), del citato D.Lgs. n. 87/2024.

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