La proporzionalità delle sanzioni tributarie nelle linee evolutive tracciate dalla giurisprudenza europea e il “decreto Sanzioni” (D.Lgs. n. 87/2024): l’inciampo sulla deroga al principio del favor rei

Di Cesare Borgia -

Abstract

L’intervento dapprima si focalizza sulle principali linee evolutive tracciate in tema di proporzionalità delle sanzioni dalla giurisprudenza europea, per poi dar conto degli apprezzabili passi in avanti compiuti dal decreto Sanzioni (D.Lgs. n. 87/2024) nell’adeguare la normativa nazionale agli esiti finora raggiunti dalla Corte di Giustizia UE e dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo.

Nella parte finale, si metterà brevemente in evidenza qualche contraddizione, in punto di diritti fondamentali e garanzie del contribuente, scaturente dalla deroga al principio del favor rei pure contenuta nel medesimo decreto.

Proportionality of tax penalties in the evolving lines drawn by European case law and the Sanctions Decree No. 87/2024: the stumbling block on the exception to the favor rei principle – The paper will first focus on the main evolutionary lines drawn on the subject of proportionality of sanctions by European jurisprudence, and will then give an account of the appreciable steps forward taken by the Sanctions Decree No. 87/2024 in bringing national legislation into line with the results so far achieved by the EU Court of Justice and the European Court of Human Rights.

In the final section, some contradictions, in terms of fundamental rights and taxpayer guarantees, arising from the derogation to the favor rei principle also contained in the same decree will be briefly highlighted.

Sommario: 1. Linee evolutive tracciate dalla giurisprudenza europea in tema di principio di proporzionalità delle sanzioni. – 2. L’adeguamento del “decreto Sanzioni” (D.Lgs. n. 87/2024) agli esiti raggiunti dalle Corti europee. – 3. La deroga al principio del favor rei. – 4. Riflessioni conclusive sui diritti “dimezzati” dei contribuenti.

«[…] questo è il bene dell’essere dimezzato: il capire d’ogni persona e cosa al mondo la pena che ognuno e ognuna ha per la propria incompletezza. Io ero intero e non capivo, e mi muovevo sordo e incomunicabile tra i dolori e le ferite seminati dovunque, là dove meno da intero uno osa credere.»

(Calvino I., Il visconte dimezzato, in Id., Romanzi e racconti, vol. 1, a cura di Barenghi M. – Falcetto B., Milano, 1991, 421 ss.).

1. Negli ultimi anni la Corte di Giustizia UE ha compiuto dei passi importanti a favore del rispetto del principio di proporzionalità delle sanzioni tributarie, anzitutto contribuendo ad orientare l’interpretazione dei profili più critici della materia delle sanzioni IVA.

Emblematica di questa tendenza è la sentenza C-935/19 Grupa Warzywna del 15 aprile 2021, nella quale i giudici hanno ribadito con maggiore incisività rispetto al passato che le sanzioni tributarie non possono essere applicate automaticamente, senza assicurarsi che non eccedono quanto necessario per conseguire gli obiettivi consistenti nell’assicurare l’esatta riscossione dell’IVA e nel fronteggiare l’evasione.

A tal proposito, vale la pena ricordare che, secondo l’art. 273 della Direttiva IVA, gli Stati membri hanno la facoltà di adottare misure al fine di assicurare l’esatta riscossione del tributo e di evitare le evasioni. In particolare, in assenza di specifiche disposizioni del diritto dell’Unione sul punto, gli Stati membri sono competenti a scegliere le sanzioni che sembrino loro appropriate in caso di inosservanza delle condizioni previste dalla normativa dell’Unione per l’esercizio del diritto a detrazione dell’IVA.

Quel che allora è importante evidenziare della menzionata sentenza è che, confermando quanto già dalla stessa precisato nelle cause C-272/13 Equoland Soc. coop. Arl e C-835/18 SC Terracult SRL, al punto 26 la Corte di Giustizia UE ribadisce che, nell’esercitare le loro facoltà, gli Stati devono rispettare il principio di proporzionalità, secondo il quale le sanzioni non devono eccedere quanto necessario per garantire l’esatta riscossione dell’IVA.

Non si tratta, tuttavia, di una mera affermazione di principio, tenuto conto che, fino a non molto tempo prima, i giudici europei non hanno mai voluto interferire con i legislatori nazionali, liberi di fissare l’ammontare delle sanzioni.

Dunque, occorre notare come la Corte di Giustizia UE abbia progressivamente maturato la convinzione che sia necessario intervenire anche su questo fronte e che, quindi, non sia opportuno lasciare agli Stati membri un potere illimitato di definire il quadro sanzionatorio, col rischio che possano verificarsi eclatanti violazioni dei princípi fondamentali dell’Unione (tra cui appunto la proporzionalità).

In tema di princìpi fondamentali, vale la pena ricordare anche ulteriori decisioni che, avendo preceduto quelle già menzionate, rendono bene l’idea delle linee evolutive tracciate progressivamente dai giudici europei, e nelle quali la Corte ha esaminato un’altra problematica: se la compressione del principio fondamentale della neutralità dell’imposta, secondo il quale i soggetti passivi non devono mai rimanere incisi dall’IVA, fosse possibile nell’ipotesi di violazioni degli obblighi previsti dagli Stati membri in applicazione della direttiva IVA (sul tema, senza alcuna pretesa di esaustività, si vedano Logozzo M., Il diritto alla detrazione dell’IVA tra principi comunitari e disposizioni interne, in Rass. trib., 2011, 4, 1069 ss.; Salvini L., Rivalsa, detrazione e capacità contributiva nell’imposta sul valore aggiunto, in Riv. dir. trib., 1993, I, 1290 ss.).

Ebbene, i giudici europei sono partiti dall’assunto che la compressione della neutralità equivale a una sanzione, seppure “impropria”. Detto altrimenti, secondo la Corte di Giustizia UE negare il diritto di detrazione dell’IVA, in conseguenza di errori, omissioni o anche in casi di abuso del diritto o addirittura di evasione, significa in sostanza applicare una sanzione pari all’imposta.

Questo principio, seppure non in termini di sanzione, fu posto alla base della sentenza resa nella causa C-110/98 Gabalfrisa, ove i giudici – richiamando l’attuale articolo 273 della direttiva n. 2006/112 – hanno statuito che gli Stati membri, al fine di assicurare l’esatta riscossione dell’imposta ed evitare le frodi, non devono eccedere quanto è necessario a tal fine. A giudizio della Corte non è possibile rimettere sistematicamente in questione il diritto alla detrazione dell’IVA, “il quale è un principio fondamentale del sistema comune dell’IVA istituito dalla normativa comunitaria in materia”.

In successive pronunce, i giudici europei si sono espressi in maniera ancora più chiara definendo il diniego di detrazione quale sanzione (cfr. il punto 70 della sentenza resa nella causa C-284/11 EMS-Bulgaria Transport) e invocando, già allora, il principio di proporzionalità per la determinazione della pena.

Tuttavia, basti qui osservare che, sebbene il principio di neutralità dell’imposta risulti fondamentale per il consolidamento di un mercato interno in cui l’IVA non incida sulle scelte organizzative degli operatori economici, gli stessi giudici europei si sono resi conto che le evasioni IVA sono senz’altro in grado di incidere sul mercato, garantendo a determinati soggetti di poter godere delle condizioni vantaggiose generate dall’evasione; ne deriva che la lotta contro l’evasione costituisce anch’essa un obiettivo riconosciuto e incoraggiato dalla Direttiva IVA (come giustamente evidenziato da Fidelangeli A., La rilevanza della prassi amministrativa in materia di prova della partecipazione a una frode IVA, in Riv. tel. dir. trib., 2024, 2, pubblicato online il 24 settembre 2024, www.rivistadirittotributario.it).

A fronte di questi interessi fra loro confliggenti, entrambi legati a preservare condizioni concorrenziali all’interno dell’Unione, nel corso degli anni i giudici europei hanno allora sviluppato una serie di princìpi fondamentali per capire se al soggetto coinvolto in una frode IVA spetti il diritto alla detrazione (per una indagine ad ampio spettro, si veda Moschetti G., “Diniego di detrazione per consapevolezza” nel contrasto alle frodi Iva. Alla luce dei principi di certezza del diritto e proporzionalità, Padova, 2013, passim).

Tornando alla sentenza resa nella causa Grupa Warzywna del 15 aprile 2021, a parere della Corte di Giustizia UE è dunque alla luce di questi princìpi che i giudici nazionali dovranno valutare se le sanzioni comminate rispettino il principio di proporzionalità, in base al quale occorre determinarne l’ammontare tenendo conto delle circostanze in cui è avvenuta la violazione e finanche del comportamento tenuto dal contribuente nel caso concreto.

Un passo in avanti ulteriore viene compiuto dalla Corte di Giustizia UE con la ormai celebre sentenza resa nella causa C-205/20 NE l’8 marzo 2022 (sulla quale si vedano le accorte riflessioni di Salvati A., Lineamenti definitori del principio di proporzionalità delle sanzioni, in Riv. tel. dir. trib., 2023, 1, VI, 285 ss.).

In via preliminare, per comprendere appieno la svolta impressa con la sentenza agli impatti applicativi del principio di proporzionalità delle sanzioni, si tenga a mente che, come evidenziato da autorevole dottrina, un aiuto ad individuare più puntualmente le basi normative del principio proviene dall’ordinamento sovranazionale prestando attenzione anche al piano delle fonti (Cordeiro Guerra R., Adeguamento delle sanzioni punitive al principio di proporzionalità e coperture finanziarie: un evidente corto circuito giuridico, in Riv. tel. dir. trib., 2023, 2, VII, 777).

Dal punto di vista normativo, il principio di proporzionalità nel diritto dell’Unione Europea trova anzitutto una espressa disciplina nell’art. 5 TUE, parr. 3 e 4 (per approfondire, si vedano Harbo T.I., The Function of the Proportionality Principle in EU Law, in European Law Journal, 2010, 158 ss.; Sauter W., Proportionality in EU Law: A Balancing Act?, in TILEC Discussion Paper No. 2013-003).

Inoltre, preziosi riferimenti sono contenuti nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (anche nota come Carta di Nizza), a partire dalle Disposizioni Generali (Capo VII), laddove l’art. 52, intitolato “Portata dei diritti garantiti”, al par. 1 stabilisce che «Eventuali limitazioni all’esercizio dei diritti e delle libertà riconosciuti dalla presente Carta devono essere previste dalla legge e rispettare il contenuto essenziale di detti diritti e libertà. Nel rispetto del principio di proporzionalità, possono essere apportate limitazioni solo laddove siano necessarie e rispondano effettivamente a finalità di interesse generale riconosciute dall’Unione o all’esigenza di proteggere i diritti e le libertà altrui» (risulta evidente il riferimento alle tre classiche dimensioni del principio: idoneità, necessarietà e ragionevolezza, per come declinate da Cordeiro Guerra R., op. cit., 776 ss.).

Certo è che la Carta di Nizza ha rappresentato una tappa cruciale per la difesa delle libertà della persona, la quale «espressamente indica nella proporzionalità il baluardo per evitare ingiustificate lesioni delle prerogative individuali» (così Belvini L., Principio di proporzionalità e attività investigativa, Napoli, 2022, 47).

Con specifico riferimento, poi, alle sanzioni, occorre prestare la giusta attenzione anche a quanto stabilito dall’art. 49, intitolato “Principi della legalità e della proporzionalità dei reati e delle pene” e inserito nel Capo VI dedicato alla “Giustizia”, in particolare al par. 3: “Le pene inflitte non devono essere sproporzionate rispetto al reato”. Questo perché riflette la portata valoriale ormai acquisita dal principio di proporzionalità anche all’interno della Carta di Nizza (per approfondire, si veda Pino G., Diritti fondamentali e principio di proporzionalità, in Ragion pratica, 2014, 2, 541 ss.).

Come è stato osservato, l’inserimento nella Carta rende il principio pervasivo, tenuto conto che «tutte le disposizioni che danno attuazione a Direttive comunitarie, e dunque in special modo quelle che le completano con la previsione di sanzioni, costituiscono norme di attuazione del diritto dell’Unione (art. 51, par. 1, TUE) e devono dunque rispettarlo» (Cordeiro Guerra R., op. cit., 777).

Dunque, per l’architettura di un sistema sanzionatorio tributario più rispettoso dei diritti fondamentali dei singoli, risulta fondamentale il riferimento contenuto nell’art. 49 par. 3 della Carta di Nizza. Inoltre, anche per la rilevanza ai fini del presente intervento, sembra opportuno porre l’accento su quanto dispone sempre l’articolo 49, questa volta però alla fine del par. 1: «Se, successivamente alla commissione del reato, la legge prevede l’applicazione di una pena più lieve, occorre applicare quest’ultima». Ma su questo riferimento si tornerà nelle riflessioni conclusive.

Come si anticipava, con specifico riferimento al profilo sanzionatorio, un chiaro esempio di quanto finora affermato è stato di recente offerto dalla Corte di Giustizia UE con la sentenza NE, avendo i giudici di Lussemburgo riconosciuto efficacia diretta al principio di proporzionalità delle sanzioni.

La decisione, pur riguardando il regime dei lavoratori distaccati, presenta un evidente parallelo con la situazione normativa in tema di IVA.

Rinviando per una completa disamina ai contributi che se ne sono occupati più da vicino, qui preme evidenziare gli snodi principali.

Nell’impianto motivazionale, i giudici osservano che il requisito di proporzionalità delle sanzioni di cui all’art. 20 della Direttiva 2014/67 ha carattere incondizionato e la circostanza che gli Stati membri dispongano di un margine di discrezionalità non esclude che possa esercitarsi un controllo giurisdizionale al fine di verificare se lo Stato membro interessato abbia ecceduto i limiti fissati al margine di discrezionalità allorché ha trasposto tale disposizione (in part. punto 22 e punto 28).

Ancora più incisivamente, la Corte afferma che il rispetto del principio di proporzionalità, che costituisce principio generale del diritto dell’Unione, si impone agli Stati membri anche in assenza di armonizzazione della normativa dell’Unione nel settore delle sanzioni applicabili (in part. punto 31).

Qualora poi – specificano i giudici – nell’ambito di una siffatta attuazione, essi adottino sanzioni aventi carattere più specificamente penale, sono tenuti ad osservare l’art. 49, par. 3 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione secondo la quale le pene inflitte non devono essere sproporzionate rispetto al reato.

La pronuncia è meritevole di attenzione per aver ribaltato e superato un proprio precedente di segno contrario (Link Logistic, causa C-384/17 del 4 ottobre 2018), ove si negava espressamente che il requisito di proporzionalità delle sanzioni avesse effetto diretto (per approfondire, si veda Cociani S.F., Sul divieto di pene sproporzionate e sul riconoscimento dell’attenuante per i reati tributari di competenza della procura europea (EPPO), in Riv. trim. dir. trib., 2022, 4, 747 ss.).

Nella sentenza NE si afferma chiaramente che il detto requisito è dotato di effetto diretto e può essere invocato dai singoli dinanzi ai giudici nazionali nei confronti di uno Stato membro che l’abbia recepito in modo non corretto.

In sintesi, come è stato sottolineato in dottrina, l’Unione esige dagli Stati membri l’adozione di sanzioni effettive, proporzionate e dissuasive, «dovendo in particolare rimarcare come tale guarentigia si estenda ad ogni intervento che abbia carattere lato sensu afflittivo» (così De Paolis E., La proporzionalità ha fatto carriera [anche tra le misure ablative], in Archivio Penale, 3-2024, Web, 8).

Difatti, nonostante il riferimento testuale alle sanzioni penali collegate ad un reato, non residua più alcun dubbio che le garanzie contenute nell’art. 49 della Carta di Nizza debbano essere estese ed applicate a tutte le sanzioni che abbiano – a prescindere dal nomen iuris – un carattere “punitivo ed afflittivo”, poiché, diversamente, se agli Stati membri fosse concesso di classificare a loro discrezione una sanzione come amministrativa piuttosto che penale, in tal modo eludendo anche l’applicabilità di disposizioni fondamentali, ciò si porrebbe in aperto contrasto con gli obiettivi di tutela della stessa Unione Europea.

Il principio, vale la pena ricordarlo, è richiamato già da storiche pronunce della Corte Europea dei diritti dell’uomo: si pensi alla sentenza Engel, nota anche per l’indicazione dei requisiti tipici della sanzione “punitiva”; alla sentenza Jussila c. Finlandia ove i giudici hanno evidenziato la distinzione tra le sanzioni che mirano solo alla riparazione pecuniaria e le sanzioni che perseguono uno scopo sia preventivo che punitivo; alla sentenza Grande Stevens nella quale si è attribuito particolare valore al grado di afflittività raggiunto dalla sanzione, sempre indipendentemente dalle qualificazioni proprie del diritto interno (tra i vari commenti alla pronuncia, si veda Viganò F., Doppio binario sanzionatorio e ne bis in idem: verso una diretta applicazione dell’art. 50 della Carta? [a margine della sentenza Grande Stevens della Corte EDU], in Dir. pen. cont., 2014, 3-4, 219 ss.).

A questo punto, può essere interessante osservare gli apprezzabili sforzi compiuti dal recente decreto legislativo di attuazione della riforma fiscale per la parte relativa alla revisione del sistema sanzionatorio tributario n. 87/2024 (da qui in poi “decreto Sanzioni”) nell’adeguare la normativa nazionale agli esiti raggiunti nella giurisprudenza sovranazionale.

2. Sostanzialmente vi sono alcuni passaggi del “decreto Sanzioni”, anche meglio esplicati nella relazione illustrativa, ove si dichiara/evince la conformità della riforma agli orientamenti giurisprudenziali della Corte di Giustizia UE e della Corte EDU.

Il “primo passaggio” in cui viene affermato che l’intervento riformatore si pone in linea con la giurisprudenza della Corte EDU riguarda l’introduzione da parte dell’art. 1, comma 1, lett. m), D.Lgs. n. 87/2024 dell’art. 21-ter D.Lgs. n. 74/2000 rubricato “Applicazione ed esecuzione delle sanzioni penali e amministrative”. La norma recita: «Quando, per lo stesso fatto è stata applicata, a carico del soggetto, una sanzione penale ovvero una sanzione amministrativa o una sanzione amministrativa dipendente da reato, il giudice o l’autorità amministrativa, al momento della determinazione delle sanzioni di propria competenza e al fine di ridurne la relativa misura, tiene conto di quelle già irrogate con provvedimento o con sentenza assunti in via definitiva».

D’altronde, basti qui ricordare che l’art. 20, comma 1, lett. a), n. 1, della legge delega per la riforma tributaria (L. 9 agosto 2023, n. 111) conteneva un’indicazione molto chiara, quella che i decreti delegati avrebbero dovuto razionalizzare il sistema adeguandolo completamente al principio del ne bis in idem.

Al riguardo, la relazione evidenzia che la norma introduce un meccanismo di compensazione che integra i sistemi sanzionatori imponendo al giudice e all’Autorità amministrativa di tener conto, all’atto dell’irrogazione della sanzione, di quella già eventualmente irrogata (anche quale sanzione per l’illecito dipendente da reato ai sensi del D.Lgs. n. 231/2001), che verrà dunque considerata ai fini della corrispondente riduzione.

Sul punto, si precisa che «la nuova norma introduce nel sistema punitivo tributario il divieto del bis in idem sostanziale inteso in senso proprio ed è formulata in stretta aderenza alle sentenze della Corte EDU – in particolare a quelle del 15 novembre 2016 (AeB c. Norvegia) e del 18 maggio 2017 (J. c. Islanda) e in quelle successive – nonché alla sentenza n. 149 del 2022 della Corte costituzionale».

Inoltre, si afferma che, nella stessa prospettiva, sono stati modificati:

  1. l’art. 129 disp. att. c.p.p., mediante l’inserimento di un comma 3-quater che prevede la comunicazione circa l’esercizio dell’azione penale da parte del Pubblico ministero all’Agenzia delle Entrate;

  2. l’art. 32 D.P.R. n. 600/1973, al quale è stato aggiunto un comma 2 secondo cui l’Agenzia delle Entrate, che riceve comunicazione da parte del Pubblico ministero dell’esercizio dell’azione penale, risponde senza ritardo tramettendo anche al competente Comando della Guardia di Finanza l’attestazione relativa allo stato di definizione della violazione tributaria;

  3. l’art. 51 D.P.R. n. 633/1972, al quale è stato aggiunto un comma 2 secondo cui l’Agenzia delle Entrate, che riceve comunicazione da parte del Pubblico ministero dell’esercizio dell’azione penale ai sensi dell’art. 129, comma 3-quater, D.Lgs. n. 271/1989, risponde senza ritardo trasmettendo anche al competente Comando della Guardia di Finanza l’attestazione relativa allo stato di definizione della violazione tributaria.

Il documento conclude infine rappresentando che «gli interventi indicati rafforzano l’integrazione dei due modelli sanzionatori, valorizzando i principi espressi dalle Alte Corti sul tema del ne bis in idem in materia tributaria anche in attuazione degli ulteriori criteri di delega (art. 20, co. 1, lett. a), n. 3)».

Ora, anche se l’oggetto di questo intervento è il principio di proporzionalità delle sanzioni, nell’accezione che ora si dirà, per comprendere appieno questo “primo passaggio” occorre evidenziare che al prescelto tema si aggancia quello altrettanto importante dell’identità del fatto materiale.

Come è stato osservato da autorevole dottrina, il principio di proporzionalità e l’identità del fatto materiale “come criterio applicativo della proporzionalità stessa” sono legati da un filo che attraversa orizzontalmente importanti istituti: il divieto del bis in idem sostanziale, la specialità, le novellate relazioni fra processo penale e processo tributario, le nuove cause di esclusione della punibilità e le attenuanti (si rinvia per l’approfondita analisi di questi temi a Giovannini A., I nuovi princìpi del sistema punitivo tributario: proporzionalità e identità del fatto materiale, in Riv. dir. trib., 2024, 4, 391 ss. Dello stesso Autore, su questi temi, si vedano anche Diritto punitivo tributario: residualità applicativa del ne bis in idem e rapporti tra processi, in Riv. tel. dir. trib., 2024, 2 e pubblicato online il 4 settembre 2024 www.rivistadirittotributario.it; Sui rapporti fra principio di proporzionalità, ne bis in idem e specialità nel riformato sistema punitivo tributario, in Riv. tel. dir. trib., 2024, 2 e pubblicato online il 20 luglio 2024 www.rivistadirittotributario.it; Il ne bis in idem per la Corte EDU e il sistema sanzionatorio tributario domestico, in Rass. trib., 2014, 5, 1164-1183; Principio di specialità, illecito tributario e responsabilità dell’ente, in Riv. dir. trib., 2000, 9, I, 858 ss.).

Più specificamente sul ne bis in idem, l’Autore dapprima spiega che, a prescindere dalla riforma, «esso ha una doppia struttura, di regola e di principio, ossia di norma regolatrice del cumulo e del suo divieto, e di norma portatrice valoriale della proporzionalità». Per poi porre l’accento sulle “due dimensioni” della proporzionalità «da intendere non solo come criterio di valutazione della giustezza “intrinseca” della pena o del cumulo di pene, ma anche come elemento “estrinseco”, ordinatore del sistema, dei rapporti fra procedimenti, fra procedimenti e processi, fra processi, e fra pene di diversa specie e origine» (Giovannini A., I nuovi princìpi del sistema punitivo tributario, cit., 397 ss.).

Nel primo caso (proporzionalità “intrinseca” alla pena) «la proporzionalità si palesa come principio disposto a tutela immediata di interessi individuali» (sulla quale si vedano anche i riferimenti bibliografici riportati dall’Autore alla nota 15) ed è la dimensione della proporzionalità al centro di questo intervento.

Nel secondo caso (proporzionalità “estrinseca” alla pena) «l’impronta sistematica prevale sull’immediatezza dell’interesse individuale da tutelare, va oltre il rapporto quantitativo fra entità della singola pena e gravità della violazione del bene giuridico tutelato, e si eleva a criterio regolare del sistema» (Giovannini A., ult. op. cit., 398).

Questo per dire molto efficacemente che «se la proporzionalità è anche principio ordinatorio del rapporto fra procedimenti e fra misure punitive, quando riveste questo ruolo finisce, in termini valoriali, per assorbire il ne bis in idem».

Come osservato dall’Autore, è probabile infatti che il decreto legislativo abbia inteso dare corpo a questo ordine di idee, giacché, «per un verso, utilizza il ne bis in idem per assegnare all’identità del fatto materiale il compito di legare l’intera normazione, così da portare, per suo tramite, la proporzionalità in seno ai procedimenti e ai processi e anche, perfino, all’interno della fattispecie di alcuni reati; per un altro, attua il divieto in una disposizione specifica, introducendo l’art. 21- ter nel d.lgs. n. 74 del 2000, configurandola come regola».

Se le cose stanno così, «questa disposizione non diverge da quelle contenute in altre disposizioni che regolamentano la proporzionalità con istituti diversi dal ne bis in idem: specialità, efficacia della sentenza penale e di assoluzione nel processo tributario, resipiscenza del trasgressore e via dicendo. Tutti sono espressione, come regole, appunto, del più ampio e assiologicamente sovraordinato principio di proporzionalità» (Giovannini A., ult. op. cit., 399).

Venendo quindi all’art. 21-ter del novellato D.Lgs. n. 74/2000, in effetti trattasi di una disposizione già al centro di una discussione che qui si potrà solo accennare.

In merito all’applicazione concreta della norma, altra autorevole dottrina ha notato che essa difetta sia dell’indicazione dei presupposti che il giudice deve valutare per escludere la stretta connessione, sia dei criteri che questi deve applicare qualora si determini a riquantificare il carico complessivo (Giovanardi A., Prime osservazioni sullo schema di decreto legislativo recante revisione del sistema sanzionatorio tributario, in Riv. tel. dir. trib., 2024, 1, 354 ss.).

Tuttavia, sul punto, riprendendo l’ordine di idee esposto, l’Autore poc’anzi citato ha obiettato che, sebbene l’osservazione sia corretta, dal momento che la disposizione effettivamente non offre tali indicazioni, «non sembra cogliere, per un verso, il dato concreto della residualità applicativa della disposizione stessa per l’operare della specialità e degli altri istituti già volti ad assicurare la connessione sostanziale e temporale fra procedimenti e processi; per un altro, la complessità che caratterizza la valutazione giudiziale o dell’autorità amministrativa» (Giovannini A., ult. op. cit., 404).

Sul primo versante, quel che l’Autore mette in risalto è che, in ragione del complesso reticolato normativo che la legge di riforma ha creato per assicurare la stretta commissione materiale e temporale fra procedimenti, processi, fattispecie di reato e fra pene, «la previsione in esame avrà uno spazio applicativo senz’altro marginale. L’idea seguita dal legislatore delegato, infatti, è stata quella di prevenire la necessità di fare ricorso al divieto come regola in sé valevole» (Giovannini A., ult. op. cit., 402).

Sul secondo versante, l’Autore sostiene che la grande varietà degli elementi e delle circostanze che il giudice o l’Autorità è chiamata a valutare nell’applicazione del divieto «non si attaglia alla rigidità degli schemi definitori, che per forza di cose non potrebbero contemplare la varietà delle circostanze” e che, piuttosto, “in un sistema a sindacato diffuso, qual è il nostro, l’assenza di rigidi criteri responsabilizza il decisore e, con il trascorre del tempo, porta alla normazione di precedenti che formano il “diritto vivente”» (Giovannini A., ult., op., cit., 404).

Sempre sulla disposizione in questione, di recente in dottrina è stato sostenuto che la scelta di fondo ricavabile dallo schema di decreto legislativo «appare, ancora, quella di preservare la reciproca autonomia tra il giudizio tributario e il processo penale, là dove il nuovo art. 21-ter del d.lgs. n. 74/2000 (“Applicazione ed esecuzione delle sanzioni penali e amministrative”) sancisce la legittimità strutturale del “bis in idem” sulla scorta della giurisprudenza convenzionale e unionale per stabilire che, qualora i due procedimenti abbiano fatto entrambi il loro corso nel rispetto della close connection, il secondo giudice “tiene conto di quelle (i.e. le sanzioni penali o amministrative, ndr) già irrogate con provvedimento o con sentenza assunti in via definitiva”, ciò al fine di pervenire ad una mitigazione della complessiva risposta punitiva in ragione del principio di proporzionalità e ragionevolezza» (Scanu G., Giudicato penale e processo tributario tra standard probatori e riforma del sistema punitivo tributario, in Riv. trim. dir. trib., 2024, 2, 429).

Basti qui ricordare che la Corte EDU nella già menzionata sentenza A. e B. c. Norvegia non esclude la possibilità di duplicare i procedimenti, a condizione che questi abbiano un nesso sostanziale e temporale sufficientemente stretto (per l’appunto, testualmente una “sufficiently close connection in substance and in time”). Si tratta di una pronuncia ancora molto dibattuta, tenuto conto che, se con la sentenza Grande Stevens c. Italia la Corte aveva inizialmente impresso al principio del ne bis in idem una connotazione eminentemente processuale, progressivamente – proprio a partire dalla sentenza A. e B. c. Norvegia – i giudici hanno finito per introdurre profili sostanziali nell’alveo della garanzia.

Con la sentenza A. e B. la Corte EDU ha voluto individuare un preciso indice della proporzionalità sanzionatoria complessiva, tanto trova conferma nel fatto che “garantire una proporzionalità complessiva della pena” è l’ultimo dei criteri (c.d. material factors), quello “di chiusura”, individuati dai giudici per verificare una sufficiently close connection.

Il “secondo passaggio” in cui si richiama questa volta la giurisprudenza della Corte di Giustizia UE concerne l’art. 2, comma 1, lett. c), D.Lgs. n. 87/2024 nella parte in cui ha modificato il comma 4-bis dell’art. 5 D.Lgs. n. 471/1997, il quale prevede, in materia di dichiarazione IVA infedele, una sanzione dalla metà al doppio (e non più solo della metà) quando la violazione è realizzata mediante l’utilizzo di documentazione falsa o per operazioni soggettivamente inesistenti, solo se è provata la compartecipazione alla frode. Nella relazione si specifica che la compartecipazione alla frode dev’essere provata secondo i canoni ermeneutici declinati dalla Corte di Giustizia UE, per la quale è sufficiente che il cessionario o committente sapesse o avrebbe dovuto sapere, applicando le regole di ordinaria diligenza, di partecipare a una frode.

Il “terzo passaggio” in cui la relazione illustrativa richiama la giurisprudenza della Corte di Giustizia UE riguarda la modifica al comma 6 dell’art. 6 D.Lgs. n. 471/1997, dunque sul trattamento sanzionatorio di chi computa illegittimamente in detrazione l’IVA assolta, dovuta o addebitatagli in via di rivalsa, il quale è stato sostituito dalla seguente formulazione: «Chi computa illegittimamente in detrazione l’imposta assolta, dovuta o addebitatagli in via di rivalsa, è punito con la sanzione amministrativa pari al settanta per cento dell’ammontare della detrazione compiuta. Nel caso di applicazione dell’imposta con aliquota superiore a quella prevista per l’operazione, o di applicazione dell’imposta per operazioni esenti, non imponibili o non soggette, erroneamente assolta dal cedente o dal prestatore, il cessionario o committente è punito con la sanzione amministrativa compresa fra 250 euro e 10.000 euro. Nelle ipotesi di cui al secondo periodo, e salvi i casi di frode e di abuso del diritto, resta fermo il diritto del cessionario o committente alla detrazione ai sensi degli articoli 19 e seguenti del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, della sola imposta effettivamente dovuta in ragione della natura e delle caratteristiche dell’operazione posta in essere. Le sanzioni di cui al primo, secondo e terzo periodo non si applicano se la violazione ha determinato una dichiarazione infedele punita con la sanzione di cui all’articolo 5, comma 4».

Sul punto, la relazione precisa che la modifica intende recepire, oltre alla previsione contemplata nell’art. 20, comma 1, lett. c), n. 1 della legge delega, anche l’indirizzo della Corte di Cassazione – sentenza 16 marzo 2022, n. 8589 (richiamata dalla sentenza 8 novembre 2022, n. 32900) – che, in conformità alle indicazioni della Corte di Giustizia UE, ammette il diritto alla detrazione dell’IVA effettivamente dovuta in ragione della natura e delle caratteristiche dell’operazione realizzata, e non anche di quella semplicemente indicata in fattura.

Infine, la relazione richiama la giurisprudenza della Corte di Giustizia UE per giustificare il fatto di non aver previsto un’applicazione retroattiva dei trattamenti sanzionatori più miti introdotti con la riforma.

In particolare, valorizzando il tema della tutela dell’interesse costituzionale all’equilibrio di bilancio, ricorda che in seno al diritto europeo è stato chiarito che «anche per i tributi armonizzati rientra tra le prerogative del legislatore compiere il necessario bilanciamento tra principi derivanti dalla Carta di Nizza e interessi di finanza pubblica, come si evince dai ripetuti richiami effettuati alla necessità di intervento del legislatore nazionale da parte di Corte di Giustizia , sent. 5 dicembre 2017, causa C-42/17, M.A.S. e M.B».

Sull’efficacia nel tempo della revisione del sistema sanzionatorio tributario, che poi è il tema centrale del presente Convegno di studi, occorrerà brevemente soffermarsi.

3. L’art. 5 D.Lgs. n. 87/2024 prevede che la disciplina sulla riforma delle sanzioni amministrative tributarie si applichi alle violazioni commesse a partire dal 1° settembre 2024 (mentre le modifiche al D.Lgs. n. 74/2000 si applicano a decorrere dall’entrata in vigore del decreto).

Il fatto che l’entrata in vigore delle nuove norme sia stata prevista in via unitaria e, soprattutto, che anche le sanzioni amministrative tributarie più miti rispetto a quelle attualmente vigenti non abbiano applicazione retroattiva è stata giustificata sulla base di due argomentazioni.

In primo luogo, viene invocato il principio di ragionevolezza, il quale avrebbe richiesto, nel contesto della rinnovata impostazione del rapporto tra amministrazione finanziaria e contribuenti improntato ad un nuovo patto di fiducia, che il parametro temporale di applicazione delle norme di riforma del sistema sanzionatorio tributario fosse determinato in via unitaria e fosse correlato con quello di applicazione della generalità degli istituti sostanziali e procedimentali oggetto della riforma fiscale e cui la stessa riforma delle sanzioni si accompagna.

Nella relazione illustrativa si evidenzia che «un disallineamento di tale parametro temporale, ovvero la diversificazione di esso a seconda del contenuto delle norme oggetto della riforma, avrebbe apportato elementi di irrazionalità al sistema, nella misura in cui avrebbe comportato che alcune delle norme di riforma sanzionatoria avrebbero trovato applicazione in un contesto cui erano estranei i presupposti (ossia la complessiva revisione del sistema fiscale e del rapporto tra Fisco e contribuenti) per cui le norme stesse sono state concepite». Al riguardo viene richiamata la giurisprudenza costituzionale espressasi con la sentenza n. 288/2019.

Inoltre, per quanto riguarda le norme sanzionatorie più miti, la relazione afferma che il principio della retroattività della lex mitior non è stato applicato nel caso di specie perché «equivarrebbe a consentire una indiscriminata mitigazione sanzionatoria non compensata dal potenziamento degli istituti di compliance e dal rafforzamento dell’intrinseca coerenza del sistema sanzionatorio, nel rispetto del nuovo punto di equilibrio su cui riposa l’intero ordinamento di settore. Per converso, un equilibrato bilanciamento dei valori in gioco richiede che anche le norme sanzionatorie più favorevoli operino soltanto in un contesto che trova i propri presupposti negli interessi e valori che caratterizzano per il futuro il sistema tributario per effetto della complessiva e restante parte della riforma generale dell’ordinamento tributario».

Viene fatto inoltre presente che il principio in questione «ha copertura costituzionale soltanto per le sanzioni di natura penale o sostanzialmente penale e, in tale ambito, trova fondamento costituzionale nelle norme di cui agli artt. 3 e 117 della Costituzione, tramite cui trovano ingresso anche le varie fonti sovranazionali che lo contemplano (art. 7 CEDU, art. 15, comma 1, del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, art. 49, paragrafo 1, della Carta dei Diritti Fondamentali dell’UE)».

Viene quindi richiamata la sentenza della Corte cost. n. 193/2016 secondo cui in materia di sanzioni amministrative non è dato rilevare un vincolo costituzionale all’applicazione in ogni caso della legge successiva più favorevole e viene altresì evidenziato che la peculiarità della sanzione amministrativa in materia tributaria è data dall’art. 3 D.Lgs. n. 472/1997 che prevede l’applicazione, in via generale, del principio della lex mitior, tuttavia, «ciò non esclude che il legislatore successivo possa modulare l’applicazione del principio che ha affermato, in presenza delle ragioni sopra esposte, attinenti alla necessità di considerare in modo sistematico le norme che prevedono l’applicazione di una sanzione inferiore all’interno di un complessivo disegno di riforma sia del sistema sanzionatorio tributario sia, e più in generale, del rapporto tra fisco e contribuenti, così rendendosi irragionevole applicare anche al sistema previgente norme concepite esclusivamente in vista di un nuovo corso».

Si sottolinea poi che lo stesso art. 3 fa salva la possibilità di diversa previsione di legge e che non è mai stato posto alcun dubbio sulla legittimità costituzionale di siffatta norma.

Si richiama inoltre la sentenza della Corte cost. n. 63/2019 nella quale è stato precisato che la regola della retroattività in mitius della legge penale medesima «è suscettibile di limitazioni e deroghe legittime sul piano costituzionale, ove sorrette da giustificazioni oggettivamente ragionevoli», nonché la sentenza della Corte cost. n. 32/2011 che sottolinea come «il principio della retroattività della lex mitior presuppone un’omogeneità tra i contesti fattuali o normativi in cui operano le disposizioni che si succedono nel tempo».

In seconda battuta, viene addotta la prevalenza dell’interesse all’equilibrio del bilancio pubblico, costituzionalizzato all’art. 81 Cost., sull’interesse del singolo a vedersi applicata retroattivamente una sanzione inferiore.

Più nello specifico, viene sottolineato che «le sanzioni irrogate o da irrogare a fronte delle violazioni tributarie commesse prima dell’entrata in vigore del presente decreto legislativo vengono contabilizzate fra le entrate previste per il bilancio dello Stato, come risultati della lotta all’evasione. In questo contesto, l’applicazione retroattiva delle sanzioni amministrative ridotte previste da alcune delle norme del presente decreto generebbe la perdita di entrate già contabilizzate e, correlativamente, un significativo disequilibrio nei bilanci dello Stato. Al fine di ovviare a una sopravvenienza passiva di tale genere, sarebbe necessario drenare risorse dalla fiscalità generale, addebitando così alla generalità dei contribuenti il costo di violazioni consumate all’interno di un sistema ordinamentale in cui quella reazione punitiva era giustificata e che però oggi viene rivista in quanto ponderata nell’ambito di un nuovo sistema, senza peraltro che, a fronte della retroattività della mitigazione sanzionatoria, vi sia alcuna forma di compensazione, né in termini di tutela dell’interesse della comunità alla percezione dei tributi come, invece, avviene nell’assetto complessivo della riforma fiscale, entro la quale la mitigazione di alcune fattispecie sanzionatorie si inserisce come bilanciamento rispetto alla maggior pervasività degli interventi anticipati dell’amministrazione finanziaria in una prospettiva di compliance preventiva, né in termini di immediata percezione delle entrate o deflazione del contenzioso, come può avvenire nell’ambito di procedure di definizione agevolata».

La relazione richiama quindi la sentenza della Corte cost. n. 10/2015 sulla possibilità che l’interesse all’equilibrio di bilancio prevalga su altri valori costituzionalmente protetti nonché la giurisprudenza europea (come si osservava in chiusura del precedente paragrafo) concludendo che: «Risulta, quindi, ragionevole considerare recessivo, nel bilanciamento di contrapposti valori costituzionali, l’interesse del singolo a beneficiare retroattivamente e unilateralmente di trattamenti sanzionatori più miti previsti nell’ambito di una complessiva riforma del sistema tributario, che ha introdotto la mitigazione di alcune fattispecie sanzionatorie tributarie a fronte del potenziamento degli interventi anticipati dell’amministrazione finanziaria in una prospettiva di compliance preventiva, inapplicabili nel caso delle violazioni già consumate». Ciò per evitare la determinazione di uno squilibrio di bilancio e considerato anche che l’applicazione retroattiva di norme sanzionatorie più miti «finirebbe per richiedere, in un periodo di perdurante crisi economica e finanziaria che pesa sulle fasce più deboli, una irragionevole redistribuzione della ricchezza a vantaggio degli evasori, senza alcuna ragionevole contropartita per lo stato e per la comunità, e ciò darebbe vita a “un irrimediabile pregiudizio delle esigenze di solidarietà sociale con grave violazione degli artt. 2 e 3 Cost.”».

4. Ognuna delle argomentazioni “a difesa” della deroga al principio del favor rei, dunque alla base della “scelta” di non applicare retroattivamente le sanzioni amministrative tributarie più miti rispetto a quelle attualmente vigenti, presta il fianco a numerose critiche già, però, opportunamente messe nero su bianco da attenta dottrina (si veda ampiamente Corasaniti G., Riflessioni critiche sulla deroga al principio di retroattività della lex mitior nel decreto legislativo recante la revisione del sistema sanzionatorio tributario, in Dir. prat. trib., 2024, 4, 1270-1284).

In queste brevi battute conclusive dell’intervento, durante il quale si è tentato di dar conto dell’adeguamento del “decreto Sanzioni” agli esiti raggiunti dalle Corti europee sul tema della “giusta sanzione”, si vuole piuttosto porre brevemente l’accento su alcune contraddizioni che scaturiscono da questa “scelta” e finiscono per impattare inevitabilmente sui diritti fondamentali e le garanzie dei contribuenti.

Il punto di partenza dal quale si partiva è che il principio di proporzionalità è immanente all’ordinamento «giacché garantito dall’art. 2 della Costituzione e dall’art. 49 della Carta dell’Unione per l’effetto diretto che questa produce nell’ordinamento degli stati membri, come ha affermato la Grande Sezione della Corte di giustizia, NE, in causa C-205/20, nella sentenza dell’8 marzo 2022, e come ha chiarito con argomentazioni inappuntabili la nostra Corte costituzionale nella sentenza n. 46 del 2023» (Giovannini A., ult., op., cit., 400).

Come ha spiegato la dottrina ora citata, anche se il novellato D.Lgs. n. 74/2000 non contiene una previsione espressa dedicata al suddetto principio, l’acquisita consapevolezza dell’immanenza dello stesso fa assurgere al principio il ruolo di “direttore d’orchestra” della riforma del diritto punitivo in materia tributaria.

Ne deriva, quindi, che il principio può essere senz’altro invocato quando un medesimo fatto materiale, pur in conformità alla suddetta connessione sostanziale e temporale dei procedimenti, è sanzionato contestualmente con più misure e quando, per l’effetto, dal cumulo scaturisce un carico punitivo eccessivo rispetto alla gravità della violazione e alla lesione del bene giuridico tutelato. Un carico che «si palesa sproporzionato in quanto comprime in misura (e in maniera) inadeguata la libertà personale o quella patrimoniale e torce la giustizia sostanziale» (Giovannini A., ult., op., cit., 401).

Ancora, l’art. 20 della legge delega per la riforma tributaria (L. n. 111/2023) si poneva come obiettivo quello di adeguare completamente il nostro sistema al principio del ne bis in idem, quale imprescindibile garanzia che proprio dalla proporzionalità deriva.

Inoltre, sollecitazioni di rilievo – sulle quali vale la pena soffermarsi – erano contenute anche nella già menzionata sentenza della Corte costituzionale n. 46/2023 (sulla quale Cordeiro Guerra R., Sanzioni tributarie draconiane e principio di proporzionalità, in Corr. trib., 2023, 8-9, 749 ss. e, se si vuole, Borgia C., La vis espansiva del principio di proporzionalità della risposta sanzionatoria in materia tributaria: note a margine della sentenza della Corte costituzionale, n. 46/2023, in Riv. tel. dir. trib., 2023, 2, VII, 769 ss.).

La Consulta giunge infatti ad affermare che le sanzioni strutturate per garantire un forte effetto deterrente al fine di evitare evasioni anche totali delle imposte tendono, tuttavia, a divenire “draconiane” nel momento in cui colpiscono contribuenti che invece tale intento chiaramente non rivelano.

Il percorso motivazionale seguito dalla Corte risulta molto interessante, rinvenendosi un’accurata ricognizione dell’evoluzione delle sanzioni tributarie fino alla riforma del 1997, nella quale viene preferito il modello del diritto punitivo.

Come è stato di recente confermato anche da Cass., 27 aprile 2022, n. 13145, l’impianto sanzionatorio non penale in materia tributaria corrisponde(va) a tutti gli effetti ad un modello penalistico.

La Consulta nell’impianto motivazionale afferma che questo inquadramento delle sanzioni tributarie costituisce dunque una base sicura per riferire ad esse specifici precedenti della medesima Corte in ordine all’applicazione del principio di proporzionalità «alla generalità delle sanzioni amministrative» (cfr. Corte cost. n. 112/2019), come anche alla «esigenza che non venga manifestamente meno un rapporto di congruità tra la sanzione e la gravità dell’illecito sanzionato» (cfr. Corte cost. n. 185/2021).

D’altronde, come già in precedenza ribadito, il principio di proporzionalità postula l’adeguatezza della sanzione al caso concreto e «tale adeguatezza non può essere raggiunta se non attraverso la concreta valutazione degli specifici comportamenti messi in atto nella commissione dell’illecito» (cfr. Corte cost. n. 161/2018).

Per l’importanza sempre maggiore assunta negli ultimi anni dal principio di proporzionalità delle sanzioni tributarie relative a tributi armonizzati, in particolare nella giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, la Corte meritoriamente richiama anche la sentenza NE causa C-205/20 dell’8 marzo 2022.

Il nuovo orientamento della Corte di Giustizia dell’UE ci dà infatti la giusta misura della rilevanza assunta oggi dal principio di proporzionalità, perfettamente in linea con tutte le garanzie che devono essere accordate in uno Stato di diritto.

La sentenza della Corte costituzionale si segnala soprattutto per aver messo in primo piano, puntualizzandone la portata, il criterio di proporzionalità in materia di sanzioni amministrative tributarie.

Non solo. Ripercorrendo l’iter motivazionale seguito nella sentenza dalla Consulta si ricava la seguente allarmante considerazione: quanto ad afflittività, l’impianto sanzionatorio amministrativo in materia tributaria corrisponde(va) ormai a tutti gli effetti ad un modello penalistico.

L’eco scaturente da tutte queste sollecitazioni avrebbe allora forse dovuto indurre a riflettere prima di sostenere – come ha fatto il Legislatore delegato – che la materia delle sanzioni amministrative, in generale, non viene sorretta dal principio di retroattività della lex mitior, salvo che alle sanzioni debba riconoscersi natura “sostanzialmente penale”.

Si ha sempre l’impressione che in una materia, come quella tributaria, espressione emblematica della sovranità statale, più che in altri rami dell’ordinamento giuridico, si registrino difficoltà in merito all’accettazione dei principi di promozione delle libertà civili negli ordinamenti interni che promanano dalle Corti europee.

Difatti, pur a fronte degli innegabili sforzi compiuti dal “decreto Sanzioni” per migliorare il sistema sanzionatorio tributario, la deroga al principio del favor rei rappresenta a tutti gli effetti “un passo falso”.

Si è ormai affermata una giurisprudenza europea che, in virtù dell’interpretazione dei princìpi della CEDU (basti pensare all’art. 7), con riguardo alla totalità delle nostre sanzioni tributarie è giunta a ravvisare la natura penale delle sanzioni amministrative aventi carattere afflittivo.

Come già osservato, questa riqualificazione ha trovato pieno recepimento anche nella giurisprudenza della Corte costituzionale, derivandone che il principio del favor rei trova diretta copertura costituzionale tanto nelle sanzioni penali quanto in quelle amministrative.

Infine, questo assetto collide(va) con lo stesso principio di proporzionalità in materia sanzionatoria di derivazione unionale, dato che il più volte menzionato art. 49 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE si applica a tutte le sanzioni aventi “intrinseca” natura penale.

Questo inciampo ha creato – ancora una volta in materia tributaria – una evidente disparità di trattamento, oltretutto in un contesto che, a detta dello stesso legislatore delegante, abbisognava di una riforma volta a ridisegnare “completamente” un sistema sanzionatorio tributario più giusto, coerente e ragionevole (per approfondire, si veda Giovanardi A., op. cit.). Di qui, i diritti “dimezzati” dei contribuenti.

(*) Il testo, corredato da riferimenti bibliografici, riproduce l’intervento programmato tenuto dall’Autore al Convegno di studi “L’efficacia nel tempo della revisione del sistema sanzionatorio tributario”. 13 settembre 2024 presso la Sala Lauree del Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Perugia.

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