La cooperazione tra Amministrazioni finanziarie quale strumento fondamentale di attuazione transnazionale del rapporto tributario: centralità, natura dello scambio e nuovi diritti
Di Mauro Trivellin
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Abstract (*)
Il contributo propone una ricostruzione sistematica degli istituti della cooperazione amministrativa in materia fiscale, analizzandone i riflessi sul piano della configurazione delle garanzie dei contribuenti e sulla struttura degli atti di accertamento basati sullo scambio internazionale.
Cooperation between Tax Administrations as a fundamental tool for transnational implementation of the tax relationship: centrality, nature of the exchange and new rights – The contribution proposes a systematic reconstruction of the institutions of administrative cooperation in tax matters, analysing its consequences in terms of the configuration of taxpayer guarantees and on the structure of tax assessment based on international exchange.
Sommario: 1. La centralità della collaborazione tra Amministrazioni nell’attuazione del rapporto tributario. – 2. Intorno alle differenze. – 3. Sulla natura dello scambio, tra sub-procedimento istruttorio e cooperazione inter-amministrativa. – 4. I nuovi diritti sboccianti dalla cooperazione amministrativa.
1. Apro la mia relazione con un ringraziamento alla Guardia di Finanza e all’Università di Trento per l’invito a questa bellissima giornata di studi. Ne sono veramente onorato e spero di esserne all’altezza, il che non sarà un compito facile dato il valore dei primi interventi e il contesto generale di autorevolezza di questo consesso.
L’argomento che mi è stato assegnato è quello della cooperazione amministrativa ed è, a ben vedere, di enorme complessità e rilevanza.
Credo che un buon punto di avvio per comprenderne la centralità ai fini del contrasto all’evasione ed all’elusione nonché ai fini del potenziamento della riscossione internazionale dei crediti tributari, sia quello di partire dalle parole della Corte Europea dei Diritti dell’uomo, (Grande Sezione), 6 ottobre 2020, nelle Cause riunite C-245/19 e C-246/19, sentenza Luxembourg vs B, nella quale si affrontano, in una prospettiva per certi versi nuova, alcuni dei temi più spinosi della cooperazione.
Dunque, il passaggio della sentenza che volevo ricordare e leggere insieme è il seguente:
«Nell’era della globalizzazione la necessità per gli Stati membri di prestarsi assistenza reciproca nel settore della fiscalità si fa sempre più pressante. La mobilità dei contribuenti, il numero di operazioni transfrontaliere e l’internazionalizzazione degli strumenti finanziari conoscono un’evoluzione considerevole, che rende difficile per gli Stati membri accertare correttamente l’entità delle imposte dovute. Questa difficoltà crescente si ripercuote negativamente sul funzionamento dei sistemi fiscali e dà luogo alla doppia tassazione, la quale di per sé induce alla frode e all’evasione fiscale […].
Per questo motivo uno Stato membro non può gestire il proprio sistema fiscale interno, soprattutto per quanto riguarda la fiscalità diretta, senza ricevere informazioni da altri Stati membri. Per ovviare agli effetti negativi di questo fenomeno è indispensabile mettere a punto una nuova cooperazione amministrativa fra le amministrazioni fiscali dei diversi Stati membri. È necessario disporre di strumenti atti a instaurare la fiducia fra gli Stati membri mediante l’istituzione delle stesse norme e degli stessi obblighi e diritti per tutti gli Stati membri».
I Giudici procedono poi accennando alla fondamentale importanza della fiducia tra Stati – di cui ci parlava il Procuratore generale nella prima relazione – ed è interessante osservare che, nella visione della Corte, le inadeguatezze della cooperazione sono esse stesse concausa di conseguenze pregiudizievoli sui traffici, perché le vischiosità nella comunicazione tra Amministrazioni induce gli Stati a chiudersi nella protezione degli interessi erariali, favorendo, in tal modo, fenomeni di doppia imposizione, cui gli operatori reagiscono non sempre in modo lecito.
Al netto dei riferimenti alla globalizzazione, che, per certi versi, già appaiono in parte obsoleti, perché bisogna prendere atto che stiamo assistendo ad una sorta di “deglobalizzazione” o forse ad una “globalizzazione polarizzata” che proietta rilevante incertezza sul futuro, emerge dalle parole che ho riportato la coscienza che la cooperazione è veramente al cuore dell’evoluzione dei modelli di controllo fiscale, non solamente con riguardo alle fattispecie ontologicamente transnazionali ma anche a quelle nazionali e così si delinea la consapevolezza che non siamo di fronte ad un “diritto eccezionale della fase dei controlli”. Invece cominciamo a dover prendere atto che quello della cooperazione delinea un assetto strutturale dell’attuazione del rapporto tributario, cosicché sicuramente ci si avvia al superamento di quel modello di indifferenza reciproca degli Stati rispetto all’esercizio delle funzioni pubbliche fondamentali ed ai relativi effetti, coinvolgente la fondamentale funzione impositiva.
Direi allora che, in questo quadro di sviluppo, è sicuramente condivisibile la suggestione offerta da autorevole dottrina internazionalistica tributaria (Sacchetto C., Cooperazione fiscale internazionale [dir. trib.], Treccani, Diritto on line, 2016), la quale nota come la cooperazione qui in esame travalichi i confini di uno strumento orientato ad operare ove emergano problemi connessi alla doppia imposizione e divenga, anche grazie all’impiego di tecnologie sempre più avanzate, un mezzo evoluto di contrasto all’evasione e all’elusione fiscale internazionale, incluse le forme più aggressive, come quelle di cui si è occupato l’imponente progetto multilaterale dei BEPS. Di pari passo – lo nota ancora l’evocata dottrina – si va delineando una maggior attenzione ai presupposti dello scambio, nonchè «all’attendibilità ed all’utilità delle informazioni scambiate con standard internazionali di trasparenza».
Ed è proprio per queste ragioni che la cooperazione amministrativa in materia fiscale, pur delineandosi come vera e propria costellazione di discipline e di istituti, da qualche tempo, sul crinale della descritta evoluzione, ci sfida ad una ricostruzione sistematica, senza obliare l’intreccio di fonti plurilivello che impongono di ricercare il ridetto sistema movendosi tra il bilateralismo delle convenzioni e il multilateralismo di altri strumenti (per esempio il MAAT), tra Direttive e regolamenti, da un lato, e norme di fonte interna o propriamente internazionale, dall’altro, tra hard law e soft law, in un coacervo di non agevole coordinamento.
Ribadirei il riferimento al coacervo di fonti (prima parlavo di costellazione), che ancora con difficoltà possono definirsi sistema e che comunque solo in minima parte possono essere ricondotte ad una prospettiva unitaria. Basta pensare che una cosa è la cooperazione che si inserisce nel tessuto delle regole europee e che si deve confrontare con la trama dei principi e, direi, dei valori costituenti intelaiatura del diritto dell’Unione, tutt’altra è la cooperazione propriamente internazionale, che non beneficia delle ricadute del quadro ordinamentale eurounitario. Da diversa angolatura, differenze emergono in ragione dei diversi fini perseguiti dalla cooperazione, perché una cosa è la collaborazione orientata all’indagine fiscale (su cui maggiormente mi concentrerò in questi minuti) e tutt’altra è la collaborazione sul versante della riscossione, peraltro altrettanto essenziale all’attuazione degli interessi erariali
Nel descritto articolato insieme di previsioni, una ricognizione degli istituti della cooperazione non può essere che sintetica e parziale. Tuttavia, qualche selezionata menzione può aiutare ad inquadrare la complessità del panorama.
Farò accenni davvero rapidissimi, perché preferirei cercare di soffermarmi su alcuni profili che mi paiono di portata sistematica (in linea con le priorità che avverto rispetto allo studio del tema che mi è stato affidato) piuttosto che limitarmi ad una elencazione dei diversi comparti regolatori: se ne può trarre un compendio dall’efficace sintesi di autorevole dottrina (Schiavolin R., La circolazione delle informazioni fiscali e il loro utilizzo giudiziario (le c.d. liste), Relazione tenutasi all’Università di Verona, 24 febbraio 2017, leggibile all’indirizzo www.giustizia-tributaria.it).
1.1. In area europea merita menzione la Direttiva DAC (Directive on Administrative Cooperation), il cui nucleo del 2011 è stato variamente implementato, nell’ultimo tempo con interventi particolarmente incisivi e ripetuti e che è divenuta il punto nevralgico della cooperazione europea, arricchito dall’imponente potenziamento dello scambio automatico non meno che dallo sviluppo degli strumenti evoluti di cooperazione integrata. Altrettanto rilevanti sono, in particolare, il Regolamento UE n. 904/2010 in materia di contrasto alle frodi IVA ed il Regolamento UE n. 389/2012 sulle accise. In attuazione di queste discipline possiamo considerare, inter alia, il D.Lgs. n. 29/2014, riformato nel 2023, gli artt. 31.bis ss.D.P.R. n. 600/1973, l’art. 65 Decreto IVA.
In ambito più propriamente internazionale, la norma cardine può essere ricondotta all’art. 26 dell’OECD Model Convention sullo scambio di informazioni, di solito presente nelle Convenzioni bilaterali contro le doppie imposizioni, ma certamente va menzionato il MAAT, Trattato di mutua assistenza amministrativa in materia fiscale, promosso dall’OECD e dal Consiglio d’Europa. Vanno poi ricordati i cosiddetti Tax Information Exchange Agreement (TIEA), per i quali sussiste un modello OECD dal 2002. Non da dimenticare sono gli accordi intergovernativi volti ad attuare scambi automatici, in particolare in materia bancaria e finanziaria come i FATCA, che hanno aperto la via al modello CRS del Common Reporting Standard, da implementarsi con le Convenzioni bilaterali o nel quadro del MAAT (cfr. L. n. 95/2015 e il D.M. 28 dicembre 2015).
Insomma, come si può constatare, è un elenco che, letto così in successione, vale come una gragnuola di schiaffi per chi pensasse di poter disporre di un quadro ordinato di previsioni normative, anche se può dirsi che, pur nella straordinaria diversità degli istituti e delle regole, pare possibile identificare alcune modalità specifiche dello scambio, modalità che, non sorprende, trovano nella disciplina europea l’attuazione più delineata e dunque quella da cui è opportuno muovere.
1.2. Per primo, possiamo riferirci al modello dello “scambio su richiesta” che definirei “tradizionale” in quanto caratterizzante la cooperazione amministrativa; c’è poi lo “scambio spontaneo” che, a dispetto del nomen, che farebbe pensare a unilaterali ed isolate iniziative, ha invece una portata più incisiva; si aggiunge lo “scambio automatico” che, come dicevo, ha avuto un imponente sviluppo con l’integrazione degli artt. 8 e 8-bis della Direttiva DAC del 2011 e che si spinge oggi, con la DAC 6, ad includere nel circuito della comunicazione di questo tipo anche le informazioni relative a complesse operazioni transnazionali che abbiano determinati indicatori di criticità, tali da ingenerare il sospetto che possano essere evasive od elusive. Senza qui riferirsi oltre un cenno agli ulteriori ambiti della cooperazione automatica (ruling preventivi transfrontalieri e accordi sui prezzi di trasferimento; rendicontazione Paese per Paese; informazioni comunicate dai Gestori di Piattaforme e dai Prestatori di Servizi per le Cripto-attività), mi limito a ricordare invece le forme di cooperazione avanzata, che trovano la loro concretizzazione nella possibilità di avviare “verifiche simultanee” o “verifiche congiunte”.
Ci troviamo, insomma, di fronte ad una serie di strumenti che, se sono effettivamente simili perché sono riconducibili appunto agli schemi tipici che ho provato a identificare (scambio su richiesta, spontaneo, automatico, avanzato), non sono però del tutto coincidenti e sono regolati da diverse fonti, non sempre omogenee sul piano effettuale, ragione per cui a me sembra che si possa constatare una situazione comparabile a quella che interessa, per esempio, l’evoluzione dei meccanismi di soluzione delle controversie internazionali nel Framework del progetto BEPS e della Direttiva n. 1852/2017, un tempo, cioè, nel quale, dopo un’imponente serie di interventi profondamente innovativi su un disegno in parte ancora abbozzato ed incompleto, sembra arrivato il momento di cominciare a porsi degli interrogativi che possono rivelarsi utili a consolidare gradualmente quel sistema della cooperazione internazionale in materia fiscale cui accennavo in esergo.
Vi proporrei, dunque, una serie di domande che mi sembra possano essere poste alla discussione, leggendo le varie disposizioni e riflettendo sugli importanti, ricchissimi e numerosissimi contributi dottrinali in materia.
In particolare, le suddividerei nell’ambito di tre brevi capitoli.
2. Intitolerei il primo capitolo: “Intorno alle differenze”.
Come ho appena finito di dire, i diversi istituti, seppure omogenei, evidenziano, se non capisco male, talune diversità non trascurabili e non ancora ridotte ad unità.
Provo a fare alcuni esempi.
2.1. Prendo le mosse dalla forma di cooperazione più tipica e tradizionale, lo scambio su richiesta, in particolare per come disciplinato dall’art. 26 dell’OECD Model.
Nell’art. 26 la struttura dello scambio parrebbe essere, con evidenza, ancora modellata sugli schemi della Cooperazione tra Autorità amministrative nell’ottica dell’applicazione delle disposizioni della Convenzione bilaterale o della legislazione interna degli Stati contraenti. Il contribuente, pur se interessato direttamente agli esiti dello scambio (direttamente nel senso che l’informazione potrebbe confluire nel fascicolo del suo accertamento) non sembra essere tenuto in considerazione dalla disposizione, di certo non come protagonista, ma neppure come comparsa.
Si direbbe che lo scambio è, rispetto al contribuente, res inter alios acta, cioè si muove nel perimetro della collaborazione tra Autorità, cosicchè, dal suo punto di vista (del contribuente), la prova raccolta parrebbe emerge come “fatto” che confluisce nella ricostruzione accertativa dello Stato richiedente, e non come risultato di un procedimento di acquisizione.
Una conferma di tale affermazione è la “disponibilità” del regime dello scambio da parte delle Autorità che vi fanno ricorso.
Prendiamo, ad esempio, l’art. 27 della Convezione Italia-Germania, che riprende l’OECD Model elaborato ratione temporis. In esso si legge quanto segue:
«2. Le disposizioni del paragrafo 1 [sulla cooperazione amministrativa, n.d.r.] non possono in nessun caso essere interpretate nel senso di imporre ad uno Stato contraente l’obbligo:
a) di adottare misure amministrative in deroga alla propria legislazione ed alla propria prassi amministrativa o a quella dell’altro Stato contraente
b) di fornire informazioni che non potrebbero essere ottenute in base alla propria legislazione o nel quadro della propria normale prassi amministrativa o di quelle dell’altro Stato contraente».
Come si vede, non è imposto allo Stato alcun obbligo di derogare alla legge o alla prassi interna, sicchè in questi casi lo scambio può essere rifiutato, ma le Autorità competenti, a quanto mi pare emergere dall’interpretazione più in armonia con la littera, non sono tenute a non scambiare l’informazione in questi casi. Esse, mi sembra, conservano però la facoltà di farlo.
La questione sembra chiarita nell’OECD Commentary, ove si legge:
“a Contracting State is not bound to go beyond its own internal laws and administrative practice” (Commentary on par. 3, 499, vers. 2017)
“the requested State does not need to go so far as to carry out administrative measures that are not permitted under the laws or practice of the requesting state” (Commentary on par. 3, 500, punto 15, vers. 2017)
Si trova dunque conferma che il regime della cooperazione si dipana in un assetto “diplomatico”, che evoca gli schemi della reciprocità delle relazioni internazionali, rispetto alle quali il contribuente resta sostanzialmente estraneo e si trova di fronte all’esercizio di facoltà e prerogative largamente discrezionali.
Invece, nella Direttiva UE sullo scambio di informazioni, attuato dall’art. 4 D.Lgs. n. 29/2014, sembra sussistere un vincolo al rispetto delle regole interne. Infatti, all’art. 6, si legge quanto segue:
«3. Per procurarsi le informazioni richieste o condurre l’indagine amministrativa richiesta, l’autorità interpellata procede come se agisse per conto proprio o su richiesta di un’altra autorità del proprio Stato membro.
4. Se esplicitamente richiesti dall’autorità richiedente, l’autorità interpellata trasmette i documenti originali purché ciò non sia vietato da disposizioni vigenti nello Stato membro dell’autorità interpellata».
Per quanto a me è dato capire, laddove si precisa che, nella raccolta delle informazioni l’Autorità procede come agisse di sua iniziativa o su sollecitazione di organi del proprio Stato, si sottende il necessario rispetto elle regole interne, ciò che, del resto, diviene esplicito nel comma successivo che condiziona la trasmissione di documenti originali all’insussistenza di specifici divieti. Da questo punto di vista, l’art. 17, par. 2, della Direttiva, laddove esclude che le previsioni della stessa generino obblighi di effettuare indagini o trasmettere informazioni in contrasto con la legislazione dello Stato membro, parrebbe costituire una conferma di questa conclusione.
Se poi si passa a leggere l’accordo MAAT, qui parrebbe addirittura che l’osservanza della normativa interna costituisca presidio di tutela del contribuente.
Si legge, infatti, all’art. 21:
«Article 21 – Protection of persons and limits to the obligation to provide assistance (3) 1 Nothing in this Convention shall affect the rights and safeguards secured to persons by the laws or administrative practice of the requested State».
Per il momento, su queste diversità, mi fermo, per raccogliere alla fine alcune conclusioni.
2.2. Altra differenza si reperisce nel caso di scambio spontaneo. Lo scambio spontaneo appare facoltativo nel regime internazionale, come può evincersi dall’Incipit del par. 9 del Commentario: «The rule laid down in paragraph 1 allows information to be exchanged in three different ways».
Nella prospettiva comunitaria, invece, le cose sembrano stare diversamente e lo scambio, almeno in qualche caso, parrebbe configurarsi come obbligatorio.
La circostanza è evidente dalla lettura dell’art. 9 della Direttiva, che, pur essendo piuttosto esteso, riporto di seguito per maggior comodità di lettura:
«1. L’autorità competente di ogni Stato membro comunica le informazioni di cui all’articolo 1, paragrafo 1, all’autorità competente di ogni altro Stato membro interessato ove ricorra una delle seguenti situazioni:
a) l’autorità competente di uno Stato membro ha fondati motivi di presumere che esista una perdita di gettito fiscale nell’altro Stato membro;
b) un contribuente ottiene, in uno Stato membro, una riduzione od un esonero d’imposta che dovrebbe comportare per esso un aumento d’imposta od un assoggettamento ad imposta nell’altro Stato membro;
c) le relazioni d’affari fra un contribuente di uno Stato membro ed un contribuente dell’altro Stato membro sono svolte attraverso uno o più paesi in modo tale da comportare una diminuzione di imposta nel’uno o nell’altro Stato membro o in entrambi;
d) l’autorità competente di uno Stato membro ha fondati motivi di presumere che esista una riduzione d’imposta risultante da trasferimenti fittizi di utili all’interno di gruppi d’imprese;
e) […]
2. Le autorità competenti di ciascun Stato membro possono comunicare alle autorità competenti degli altri Stati membri, attraverso lo scambio spontaneo, le informazioni di cui sono a conoscenza e che possono essere loro utili».
Nei casi previsti al primo comma della citata disposizione, l’utilizzo dell’indicativo “comunica”, in contrapposizione al “possono comunicare” di cui al comma 2, parrebbe sottendere la doverosità.
E quando c’è l’obbligo, lo stesso non ha affatto una portata trascurabile, come emerge nel caso in cui l’Autorità competente abbia fondati motivi di presumere che si verifichino perdite di gettito nell’altro Stato. Pare difficile immaginare un dovere di cooperare più pervasivo di questo.
2.3. Una terza differenza non poco significativa, consiste nella disciplina della facoltà di declinare la richiesta di collaborazione qualora non siano stati esauriti gli strumenti istruttori previsti dal diritto interno.
Questa regola è presente nella DAC, ma non emerge, o almeno non emerge con la forza di una disposizione normativa, nel diritto internazionale puro (art. 26).
Si consideri l’art. 17 della Direttiva, rubricato “Limiti”:
«1. L’autorità interpellata in uno Stato membro fornisce all’autorità richiedente in un altro Stato membro le informazioni di cui all’articolo 5 purché l’autorità richiedente abbia esaurito le fonti di informazione consuete che avrebbe potuto utilizzare, a seconda delle circostanze, per ottenere le informazioni richieste senza rischiare di compromettere il raggiungimento dei suoi obiettivi».
2.4. Ho proposto solo qualche esempio, però non mi pare si tratti di poca cosa, perché stiamo parlando di aspetti che toccano l’ampiezza del principio di legalità nello scambio su richiesta, l’obbligatorietà ovvero la facoltatività dello scambio spontaneo ed il relativo perimetro, il potere di subordinare l’assolvimento del dovere di fornire informazioni alla dimostrazione del compiuto esercizio delle prerogative intese all’esecuzione dei controlli interni.
È dunque inevitabile interrogarsi sui profili sistematici di queste differenze e chiedersi quali siano gli effetti di queste difformità, e come si coordinano i possibili conflitti?
In astratto, parrebbero emergere taluni criteri per coordinare le diverse regole, ma posso anticipare che gli stessi non mi paiono in grado di appianare ogni questione.
Si consideri, in particolare, l’art. 3, par. 1,della Direttiva sulla cooperazione amministrativa, ove si legge:
«La presente direttiva fa salva l’applicazione negli Stati membri delle norme di assistenza giudiziaria in materia penale. Essa non pregiudica inoltre gli obblighi degli Stati membri con riguardo ad una cooperazione amministrativa più ampia risultanti da altri strumenti giuridici, tra cui gli accordi bilaterali o multilaterali».
Si consideri, altresì, l’art. 27, par. 2, del MAAT, che, per gli Stati membri dell’Unione Europea, parrebbe esprimere il favore per la più ampia collaborazione. In esso è scritto:
«Notwithstanding paragraph 1, those Parties which are member States of the European Union can apply, in their mutual relations, the possibilities of assistance provided for by the Convention in so far as they allow a wider co-operation than the possibilities offered by the applicable European Union rules».
Simili previsioni hanno indotto la Dottrina (cfr. ancora Schiavolin R., op. cit., che rinvia a Dorigo) a registrare il principio di preferenza per la normativa più favorevole alla cooperazione
Tuttavia, questo possibile criterio di coordinamento, se è certamente assai utile ad appianare le questioni se il perimetro applicativo delle diverse regole è concentrico (perché quando concorrono diverse discipline può essere data prevalenza a quella che conduce ad una cooperazione più efficace, peraltro presupponendo – il che sarebbe pure thema demonstrandum – che sia l’interesse fiscale a prevalere in ogni caso), ove la ridetta concentricità, per ipotesi, manchi i dubbi restano.
Pensiamo, ad esempio, alle differenze relative allo scambio su richiesta.
Mi chiedo: è costituzionalmente legittimo che vi sia un regime dello scambio su richiesta differenziato a seconda che la fattispecie oggetto di indagine si ponga in area europea o extraeuropea? O, invece, si possono porre problemi di disparità di trattamento se la differenza di regimi è fondata solo sulla circostanza estrinseca del luogo cui risulta collegata la fattispecie oggetto di verifica fiscale?
E ancora, di fronte ad una norma europea che impone all’Amministrazione di agire nel rispetto delle regole del proprio ordinamento interno, è corretto invocare il principio della Wider Cooperation per facoltizzare lo Stato a prescindere dalla propria normativa o dalla prassi nazionale?
Simile discorso vale per le differenze relative al previo doveroso esaurimento degli strumenti di conoscenza interni, questa sorta di declinazione della proporzionalità nella disciplina della cooperazione.
Qui il regime europeo parrebbe poter condurre addirittura a restrizioni allo scambio che possono giungere sino ad un sostanziale blocking method, capace di pregiudicare l’efficacia della misura. Se non si vuole ritenere anche questa norma superabile alla luce del principio della cooperazione più ampia, garantita dall’eventuale Trattato contro le doppie imposizioni, i contribuenti europei, sotto il profilo dell’efficacia dei poteri di indagine derivanti dallo scambio, potrebbero apparire, rispetto ai contribuenti le cui operazioni si collochino in una prospettiva internazionale non UE, avvantaggiati da un regime che potrebbe rendere più ardua la dimostrazione dell’esistenza dei presupposti per attivare lo scambio e comunque potrebbe ostacolarne la fluidità. Esisterebbe, insomma, una restrizione alla collaborazione in area europea non ravvisabile in ambito internazionale.
Vi è da chiedersi, allora, se un tanto sia coerente con i principi del diritto dell’Unione.
E ancora, in opposto senso, la doverosità della collaborazione spontanea parrebbe esporre le imprese europee a un più penetrante e pervasivo controllo delle operazioni transnazionali rispetto ai contribuenti che si muovano in ambito extraeuropeo, per i quali lo scambio spontaneo non sembra ugualmente obbligatorio e che, pertanto, sarebbero meno esposti ad un flusso informativo non generato da un impulso istruttorio dell’altro Stato.
Occorre quindi, quindi, confrontarsi di nuovo con i temi della parità di trattamento e qui forse persino con quello della libertà di stabilimento e di circolazione dei capitali e, più ampiamente, con le libertà fondamentali del Mercato unico.
Peraltro, da angolatura diametralmente rovesciata, lo scambio doveroso, in certe situazioni, potrebbe giungere a fondare situazioni pretensive.
Pensiamo al transfer pricing ed agli aggiustamenti correlativi.
Una formulazione ampia come questa «a) l’autorità competente di uno Stato membro ha fondati motivi di presumere che esista una perdita di gettito fiscale nell’altro Stato membro» parrebbe assai ragionevolmente potersi applicare alla fattispecie in cui uno Stato ravvisi una favorevole allocazione di redditi nel proprio territorio, per effetto di prezzi tra imprese associate non allineati alla libera concorrenza. Ma se in questi casi lo Stato deve segnalare il problema all’altro, sul sotteso presupposto della sottrazione di imponibile, dovrebbe poi, per coerenza, considerarsi tenuto, in forza delle ragioni stesse della sua segnalazione, ad apportare spontaneamente gli aggiustamenti correlativi. E se non lo facesse, per tutelare il particolarismo dei suoi interessi erariali, come se si fosse schiacciati tra incudine e martello, bisognerebbe ammettere che sono state violate le norme sulla cooperazione amministrativa.
Le differenze descritte evidenziano dunque delicate questioni sistematiche incidenti su profili di rilevanza costituzionale non meno che di portata eurounitaria e sembrano esigere approfondite riflessioni
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3. Vengo al secondo capitolo, che intitolerei: “Sulla natura dello scambio, tra sub-procedimento istruttorio e cooperazione inter-amministrativa”
Lo sviluppo imponente della cooperazione richiede di porsi una domanda ineludibile: all’esito delle importanti riforme che hanno interessato l’ordinamento tributario nell’ultimo tempo, in prospettiva nazionale ed internazionale, con quale approccio dobbiamo guardare alla cooperazione amministrativa?
Siamo dogmaticamente certi che lo scambio di informazioni risponda alle logiche peculiari della collaborazione tra apparati amministrativi di diversi Paesi o dobbiamo prepararci all’idea che lo scambio di informazioni costituisca un “sub-procedimento istruttorio”, profondamente innestato nelle procedure di verifica nazionali e dunque sottoposto al medesimo regime in termini di garanzie?
Vi è da chiedersi, cioè, se l’articolato complesso di istituti considerati prefiguri una “amministrazione fiscale internazionale”, sia pure decentrata e con legittimazione nazionale (Sacchetto C., cit.) e sottenda la nascita in ogni ordinamento statale di un sistema binario di discipline per contrastare l’evasione/elusione con regole e soggetti propri per quella domestica e regole ad hoc per quella internazionale.
3.1. Non voglio invadere il campo di altre relazioni – e in particolare di quella del professor Giovanardi che tratterà il tema da par suo – ma, limitandomi ad alcuni cenni rapidissimi, evidenzio che mi pare decisiva l’introduzione del principio di inutilizzabilità delle prove raccolte contra legem nello Statuto dei diritti del contribuente (art. 7-quinqiues).
A prescindere dalla pur necessaria analisi critica di questa nuova previsione, pare chiaro che assistiamo ad un rafforzamento del principio di legalità dell’azione amministrativa. Ed allora dobbiamo di nuovo metterci nella posizione di chi formula dubbi e dobbiamo domandarci:
nella prospettiva dell’art. 7-quinquies, è “legge” quella europea che disciplina, spesso in modo assai dettagliato, le modalità e i presupposti di acquisizione delle prove?
nella prospettiva dell’art. 7-quinquies, è “legge” quella straniera, che disciplina la modalità concreta di acquisizione nell’ordinamento destinatario della richiesta istruttoria oppure, in questo caso, ci troviamo di fronte ad una acquisizione della prova che rileva come semplice fatto e che non è soggetta al principio di legalità sbandierato dallo Statuto?
A me pare che, se non si applicasse il principio di legalità/inutilizzabilità, emergerebbero evidenti incrinature.
La prima riguarda di nuovo la parità di trattamento. Il rispetto delle regole sarebbe garantito in ambito nazionale (forse pure in misura eccessiva, alla luce dello stesso principio di proporzionalità, ma questo è un off topic), ma non lo sarebbe nei medesimi termini quando la prova è assunta all’estero, ove essa potrebbe essere acquisita non solo sulla base di normative diverse da quella interna e non conformate alle stesse garanzie, ma anche in violazione di quelle stesse regole straniere, ove lo Stato estero ritenesse di derogarvi, reputandosi, come abbiamo visto, facoltizzato a farlo. Si rischierebbe di legittimare l’assunzione di prove all’estero con garanzie dimidiate rispetto a quelle nazionali, il che potrebbe forse persino prefigurare discutibili conseguenze, in ambito europeo, sulla libertà di fondamentali.
Per superare queste criticità, bisognerebbe immaginare che l’Amministrazione nazionale si debba ergere a garante della regolarità dell’acquisizione della prova e cooperante nel mettere a disposizione del contribuente le informazioni necessarie ad assicurare la tutela che il principio di inutilizzabilità, nella mens del Legislatore integrante attuazione della Costituzione, impone.
Infine, più in generale: è possibile far penetrare nel nostro ordinamento prove assunte sulla base di regole non conformi all’insieme delle garanzie derivanti dalla nostra Costituzione e, direi, dallo Statuto dei diritti del contribuente?
La risposta è complessa e passa per una riflessione sulle ragioni per cui esistono le specifiche discipline di garanzia, sugli interessi che le stesse intendono tutelare e sugli obiettivi che il Legislatore della recente riforma tributaria ha voluto porsi rimodulando l’impianto dello Statuto.
I ridetti interessi e obiettivi, fondati su norme costituzionali o su principi generali che le attuano, potrebbero emergere come “contro-limiti amministrativi”, che il nostro ordinamento ha mostrato di voler integralmente salvaguardare, inter alia introducendo il principio di inutilizzabilità (estremizzando provocatoriamente, se così non fosse sarebbe come ammettere la legittimità di una prova assunta con tortura, che poi, se è tortura la privazione del sonno, magari basterebbe che un ordinamento straniero legittimasse gli accessi all’alba, visto che è principio dello Statuto che questi debbano essere effettuati durante l’orario ordinario di esercizio delle attività).
3.2. Ovviamente gli interrogativi prospettati trascinano con sé doverose riflessioni sulla struttura degli atti di accertamento basati sullo scambio internazionale, perché essi pure dovrebbero aprirsi alla trasparenza nell’esplicitare il rapporto tra motivazione e prova, includendo le dinamiche della cooperazione per tutti gli aspetti che potrebbero essere oggetto di contestazione da parte del contribuente.
Comunque, che si debba cominciare a pensare alla “logica procedimentale” della collaborazione tra Stati, emerge altresì da alcuni spunti presenti nella DAC.
Vi si ritrovano, infatti, degli elementi che parrebbero delineare in filigrana un’apertura delle fonti internazionali ad una procedimentalizzazione istruttoria che è per me il segno di un cambiamento di prospettiva.
L’ultima versione della Direttiva è molto analitica su aspetti che, se fossero indifferenti alla prospettiva di tutela del soggetto passivo, avrebbe anche poco senso disciplinare. Ad esempio, il rigore con cui è regolato lo scambio su richiesta lascia intendere un sotteso interesse al controllo dei requisiti e altrettanto significativa è, sempre a titolo esemplificativo, la minuta regolamentazione delle dinamiche dell’esercizio dei poteri quando le verifiche sono congiunte (Direttiva DAC, art. 12-bis).
È poi interessante notare che proprio nella Direttiva compare un riferimento, per quanto isolato, all’ammissibilità dell’acquisizione istruttoria, segno di quella evoluzione verso una tendenziale procedimentalizzazione di cui vado dicendo.
Si consideri, in particolare, l’art. 12-bis, comma 3 della Direttiva DAC, ove si legge che occorre: «b) garantire che gli elementi di prova raccolti durante le attività di verifica congiunta possano essere valutati, anche in ordine alla loro ammissibilità, alle stesse condizioni giuridiche applicabili nel caso di una verifica svolta in tale Stato membro al quale partecipano solo i funzionari di tale Stato membro, compreso nel corso di eventuali procedure di reclamo, riesame o ricorso».
4. Intitolerei il terzo ed ultimo breve capitolo: “I nuovi diritti sboccianti dalla cooperazione amministrativa”.
La domanda che mi porrei all’inizio è la seguente: possiamo fondare sulla cooperazione nuovi diritti?
Ho già detto che la cooperazione amministrativa potrebbe condurre a generare posizioni pretensive.
Ad una ho già fatto accenno: l’obbligo degli aggiustamenti correlativi a seguito di scambio spontaneo sul transfer pricing.
Ma si potrebbe pensare ad altre fattispecie.
A) L’obbligo di promuovere una verifica congiunta su sollecitazione del contribuente.
Anche qui faccio riferimento al transfer pricing, perché è un terreno di coltura fecondo. Il contribuente potrebbe avere interesse ad un controllo di questo tipo e potrebbe sollecitarne l’avvio, in attuazione del principio di proporzionalità e del “minimo mezzo”, che suggerisce di evitare che egli debba trovarsi costretto a contestare la verifica nazionale, chiedere gli aggiustamenti correlativi o attivare le MAP europea e internazionale, quando il controllo potrebbe essere gestito ab origine in modo unitario, tra l’altro con le forme di partecipazione e contraddittorio che il procedimento di verifica assicura e che sono, invece, ancora embrionali nei meccanismi di soluzione delle controversie internazionali. Vi è da chiedersi se si possa provare a fondare un simile diritto sul dovere di leale collaborazione dell’Agenzia, magari poggiante sulla buona fede di cui all’art. 10 L. n. 212/2000.
B) Il diritto ad ottenere il grado più elevato di tutele tra quello riconosciuto nei diversi ordinamenti interni in caso di verifiche congiunte, in virtù di principi dei rispettivi ordinamenti nazionali.
Qui pure si potrebbe fare riferimento, almeno per quanto riguarda l’Italia, al principio di buona fede, che induce a ritenere plausibile il dovere delle Amministrazioni procedenti di allinearsi ai più elevati standard di tutela quando lavorano insieme (si direbbe: 1 + 1 = 3), il che parrebbe emergere, più in generale, come un portato del principio della leale collaborazione anche per alcune suggestioni ritraibili dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia UE, come altrove avevo provato a dire.
Ma accanto a nuovi Diritti, potrebbero prefigurarsi nuovi strumenti di tutela per le prove assunte in sede internazionale.
Pensiamo alla Direttiva 1852/2017, sul potenziamento dei meccanismi di soluzione delle controversie internazionali (v., quanto alle monografie, Trivellin M., Studi degli strumenti di soluzione delle controversie fiscal internazionali, Torino, 2018 e Consolo G., Tax Disputes Resolution in the European Union. Principles and Implementation of the EU Directive n. 2017/1852, Edward Elgar Publishing, UK, 2024), attuato dal D.Lgs. n. 49/2020 (cfr. Del Federico L. – Pistone P. – Trivellin M., a cura di, La risoluzione delle controversie fiscali internazionali nell’Unione Europea, Pisa, 2021).
Si è da subito evidenziato l’esteso perimetro applicativo delle nuove regole.
Sulla scorta di considerazioni sviluppate anche dagli studi dell’Ufficio del Massimario della Cassazione (Rel. n. 73, 28 settembre 2020), che rinvia sul punto a riflessioni dottrinali (cfr. nota 48 ove riferimento a Morra F. – Severi M., Il recepimento della nuova direttiva per la risoluzione delle controversie fiscali da parte del d.lgs. n. 49/2020, in Riv. tel. dir. trib., 2020, 1, 530 ss.), è forse immaginabile che la formulazione dell’art. 1 D.Lgs. n. 49/2020 consenta di incanalare nel perimetro delle questioni per le quali è permesso far ricorso al citato decreto anche quelle non concernenti la doppia imposizione e, invece, riguardanti, inter alia, profili procedurali quali i limiti e le modalità dello scambio di informazioni. Un tanto potrebbe apparire utile anche in ragione del fatto che lo strumento europeo si pone in rapporto di alternatività rispetto alla tutela interna e quindi potrebbe arricchire gli strumenti rimediali, affiancandosi alle tutele garantite dai processi nazionali.
Gli interrogativi che ho proposto e che vi prego di recepire solamente come spunti da sottoporre a ferreo vaglio critico, mi paiono comunque stimolanti, perché inducono a riflettere sulla cooperazione amministrativa non più come coacervo di regole cui facevo riferimento in esergo, ma come sistema organico, non privo di ricadute sul piano della configurazione delle garanzie dei contribuenti, il che ci permette di inscrivere queste conclusioni entro il bellissimo titolo di questo convegno, che prefigura nuove opportunità correlate alla cooperazione tra Stati.
(*) Relazione dal titolo: “La cooperazione amministrativa in materia fiscale”, presentata alConvegno: “Cooperazione amministrativa e giudiziaria internazionale tra opportunità e limiti. Il ruolo della Guardia di Finanza in un territorio di confine”, Università degli Studi di Trento, 20 giugno 2024.
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