La circolazione delle perdite nel consolidato e nelle operazioni straordinarie nell’ottica della riforma fiscale: luci e ombre

Di Santa De Marco -

Abstract (*)

Con il presente contributo si esaminano le innovazioni apportate dallo schema di decreto legislativo presentato dal Consiglio dei Ministri il 30 aprile 2024, in attuazione dei principi contenuti nell’art. 6, comma1, lett. e), della legge di delega fiscale, in materia di riordino della disciplina di circolazione delle perdite delle società partecipanti a operazioni straordinarie o al consolidato fiscale. Ci si chiede, pertanto, se il legislatore, con il provvedimento in esame, abbia contribuito a rendere il sistema coerente e organico, oppure se, in relazione ai principi contenuti nella legge delega, permangono ancora alcuni aspetti critici.

The circulation of losses in consolidated accounts and extraordinary operations in light of the tax reform: highlights and doubts. This paper examines the innovations made by the draft legislative decree presented by the Council of Ministers on 30 April 2024, implementing the principles contained in Article 6, c. 1, letter e), of the tax delegation law, concerning the reorganisation of the regulations governing the circulation of losses of companies participating in extraordinary transactions or in tax consolidation. One wonders, therefore, whether the legislator, with the measure under review, has contributed to making the system coherent and organic, or whether, in relation to the principles contained in the enabling act, certain critical aspects still remain.

Sommario: 1. Premessa. – 2. La trasferibilità delle perdite nel consolidato nella prospettiva della legge delega. – 3. Omogeneizzazione dei limiti e delle condizioni di compensazione delle perdite. – 4. Le tre direttrici del principio n. 3 dell’art. 6 L. n. 111/2023 nello schema di decreto legislativo. – 5. Considerazioni conclusive.

1. I continui interventi legislativi in materia di perdite hanno reso molto articolato il quadro normativo e il legislatore, nell’ambito della riforma fiscale contenuta nella L. n. 111/2023, tra le modifiche del sistema di imposizione sui redditi delle società e degli enti, ha contemplato, all’art. 6, comma 1, lett. e), il riordino della disciplina «del regime di compensazione delle perdite fiscali e di circolazione di quelle delle società partecipanti a operazioni straordinarie o al consolidato fiscale».

I principi contenuti nella legge delega lasciano intuire che il legislatore, con finalità antielusiva, abbia voluto contrastare il c.d. commercio delle “bare fiscali”, individuabili nei limiti al riporto delle perdite relative alle operazioni straordinarie di cui agli artt. 172, comma 7, e 173, comma 10 Tuir, nelle cessioni di partecipazioni determinate da conferimenti d’azienda di cui all’art. 84, comma 3, Tuir, e l’utilizzo delle perdite nel consolidato nazionale di cui all’articolo 118, comma 2, Tuir.

Occorre chiedersi se, in concreto, il legislatore, con l’art. 15 contenuto nello schema di decreto legislativo presentato al Consiglio dei Ministri il 30 aprile 2024 in attuazione della legge delega, sia pervenuto a una soluzione di omogeneizzazione così come auspicato.

L’obiettivo di tale intervento legislativo è, infatti, quello di uniformare le disomogeneità che caratterizzano le disposizioni in vigore, in materia di riporto delle perdite inerenti al trasferimento del controllo della società, fusioni e scissioni.

In effetti, il tenore letterale della norma in esame, intervenendo sia nella prospettiva monosoggettiva delle perdite di periodo, sia plurisoggettiva (si vedano, tra gli altri, Zizzo G., Considerazioni sistematiche in tema di utilizzo delle perdite fiscali, in Rass. trib., 2008, 4, 929; Marini G., La circolazione delle perdite nella prospettiva della riforma fiscale, in Rass. trib., 2023, 4, 786, nota 2), sembra che sia proiettato ad agire ad ampio raggio; in particolare, il legislatore, con i quattro principi contenuti nella delega fiscale, opera una specifica individuazione del regime di compensazione delle perdite fiscali e di circolazione delle perdite subite da società partecipanti al consolidato fiscale e a operazioni straordinarie.

In siffatto contesto, appare opportuno chiedersi se il provvedimento in oggetto abbia contribuito a rendere il sistema organico e coerente o se, in relazione all’esame combinato dei principi contenuti nella delega e nello schema di decreto legislativo, permangano ancora alcuni aspetti critici.

L’obiettivo del presente contributo è, dunque, quello di esaminare gli aspetti sistematici del riporto delle perdite, nonché il coordinamento con gli artt. 3 e 53 Cost.

Per motivi di economia del lavoro, l’analisi verterà unicamente sulla disamina di tre dei quattro principi direttivi contenuti nella delega, e segnatamente: 1) la revisione del regime delle perdite nel consolidato, al fine di evitare le complessità derivanti dall’attribuzione di quelle non utilizzate dalla consolidante all’atto dell’interruzione o della revoca della tassazione di gruppo; 2) la tendenziale omogeneizzazione dei limiti e delle condizioni di compensazione delle perdite fiscali; 3) la modifica della disciplina del riporto delle perdite nell’ambito delle operazioni di riorganizzazione aziendale, non penalizzando quelle conseguite a partire dall’ingresso dell’impresa nel gruppo societario e la revisione del limite quantitativo, rappresentato dal valore del patrimonio netto e della nozione di modifica dell’attività principale esercitata.

La coerenza tra gli obiettivi prefissati nell’intervento di riforma e il raggio d’azione, nonché gli orientamenti dell’Agenzia delle Entrate, ci forniscono lo spunto per elaborare alcune riflessioni.

2. Con particolare riferimento alla circolazione delle perdite nel consolidato nazionale, la legge delega, con il principio n. 1, ha inteso rivedere la trasferibilità delle stesse, maturate in costanza di opzione, dalle consolidate alla consolidante (fiscal unit), semplificando, inoltre, la gestione delle eccedenze di perdite nel caso di interruzione o revoca della tassazione di gruppo.

In via del tutto preliminare, per un inquadramento sistematico delle innovazioni previste dalla delega, appare opportuno operare un breve raffronto tra le perdite pregresse al regime d’opzione e quelle maturate durante l’opzione. A tal riguardo, si rammenti che il comma 2 dell’art. 118 Tuir dispone che le perdite fiscali pregresse all’esercizio dell’opzione per il consolidato «possono essere utilizzate solo dalle società cui si riferiscono». Sostanzialmente, la deduzione delle perdite ante-consolidamento è consentita soltanto per la società che le ha prodotte, senza poterle trasferire al gruppo.

Per quanto riguarda le perdite maturate dalle società consolidate all’interno del gruppo, durante il periodo di opzione, esse vengono trasferite integralmente in capo alla fiscal unit per la determinazione del reddito complessivo. Permane, pertanto, la compensazione intersoggettiva, in considerazione del fatto che il gruppo viene considerato come un soggetto unitario definendolo “gruppo accentrato” (così Russo P., I soggetti passivi dell’Ires e la determinazione dell’imponibile, in Riv. dir. trib., 2004, 3, 313).

Il problema si pone, invece, per le perdite che, pur maturate durante il periodo d’opzione, residuano in capo alla fiscal unit dopo aver effettuato la somma algebrica dei redditi e delle perdite ad essa traslate. È intuitivo comprendere come queste perdite vengano riportate nei periodi d’imposta successivi; quindi, le stesse saranno sottoposte alla disciplina di cui all’art. 84 Tuir (in tale ipotesi si applica il riporto delle perdite senza limiti di tempo, fino a concorrenza dell’80% del reddito dei periodi d’imposta successivi); ciò è particolarmente avvalorato dal comma 2 dell’art. 9 D.M. 9 giugno 2004, il quale afferma che le perdite risultanti dalla dichiarazione dei redditi del consolidato possono essere computate in diminuzione dal reddito complessivo globale del gruppo secondo le modalità previste dai primi due commi dell’art. 84 Tuir.

Consapevoli delle problematiche questioni delle perdite eccedenti e riportate dalla fiscal unit, in caso di interruzione o revoca della tassazione di gruppo, il legislatore, nella legge delega, ha previsto che le società consolidate debbano trasferire alla consolidante, per ciascun periodo d’imposta, le perdite non eccedenti la somma dei redditi dati dalla compenetrazione degli imponibili in capo alla fiscal unit (si tratta di un meccanismo assimilabile a quello applicato al riporto delle eccedenze ACE nel consolidato, come, peraltro, chiarito dalla circ. 23 maggio 2014, n. 12/E). Ciò con la precisa finalità di evitare la gestione delle perdite residue in capo alla fiscal unit ed eliminando così, in origine, in caso di interruzione o revoca della tassazione consolidata, le problematiche attinenti alla riassegnazione alle società che le hanno maturate.

Stante la nuova previsione normativa, i criteri di assegnazione da seguire per la circolazione delle perdite, pro-quota o su base individuale, da parte della società consolidata alla fiscal unit, potranno essere determinati negli accordi stipulati per la gestione del regime opzionale di consolidamento.

In concreto, lo schema di decreto legislativo presentato dall’esecutivo non apporta alcuna modifica rispetto a quanto indicato nel principio in esame.

Come si vedrà nel prosieguo, la modifica contenuta nella delega al previsto criterio di trasferimento delle perdite in capo alla fiscal unit si armonizza con il principio enunciato dall’art. 6, lett. e), principio n. 3), inerente alla revisione della disciplina del riporto delle perdite nel caso di operazioni di fusione o scissione tra società che optano per la tassazione consolidata, non penalizzando le perdite conseguite a partire dall’ingresso dell’impresa nel gruppo societario.

3. In via del tutto introduttiva, non appare superfluo evidenziare come il riporto in avanti delle perdite sia stato introdotto dal legislatore, non con finalità agevolativa (cfr. Della Valle E., Perdite fiscali e recessione, in Corr. trib., 2009, 13, 987), «ma come correttivo intrinseco alla logica del tributo» (sul punto Lupi R., Riporto delle perdite e fusioni di società, in Rass. trib., 1988, 1, 282).

In particolare, secondo il prevalente orientamento della Corte di Cassazione (si veda, tra tutte, la sentenza 23 giugno 2023, n. 18043), l’esercizio della facoltà di opzione di utilizzo delle perdite pregresse deve manifestarsi nella dichiarazione fiscale; quest’ultima, in linea di principio, si identifica come una dichiarazione di scienza, ma l’esercizio dell’opzione di utilizzo delle perdite rappresenta una manifestazione di volontà negoziale, pertanto non rettificabile automaticamente. Logicamente, come è stato osservato da autorevole dottrina, «le perdite fiscali non si riportano in avanti in nome di qualche interesse extra-tributario, tipico delle disposizioni di favor, bensì per ragioni di armonia rispetto ai principi costituzionali di capacità contributiva e di uguaglianza» (in questi termini si esprime Beghin M., L’accertamento di un maggiore reddito d’impresa in presenza di perdite fiscali pregresse inutilizzate, l’irrogazione delle sanzioni tributarie e l’imposta “double-face”, in Riv. dir. trib., 2012, 11, II, 642).

La deroga al principio di cui all’art. 76 Tuir comporta che il riporto in avanti delle perdite crei un collegamento tra le obbligazioni tributarie riguardanti più periodi d’imposta. In tal modo, viene superata la “frammentazione temporale” (cfr. Laroma-Jezzi P., Il riporto delle perdite pregresse tra norme antielusive “speciali” e “generali”, in Rass. trib., 2002, 1, 200; Pistone P., Il trattamento delle perdite e l’evoluzione del diritto tributario primario in materia di imposte dirette, in Riv. dir. trib., 2001, 5, III, 71), in periodi d’imposta; pertanto, l’attività d’impresa assume, sotto questo aspetto, il requisito della continuità. In altri termini, la suddivisione in periodi d’imposta consente all’Amministrazione finanziaria di avere un prelievo periodico, per cui il riporto delle perdite permette al contribuente «di combinare i risultati di più periodi, correggendo, mediante il livellamento degli imponibili, le distorsioni prodotte da detta frammentazione» (così Zizzo G., op. cit., 935).

Ebbene, l’Amministrazione finanziaria ha necessità di percepire gettito per ciascun periodo d’imposta. Pertanto, la compensazione verticale, intimamente legata alla funzione tributaria, rappresenta un elemento irrinunciabile per un tributo che sia coerente con il principio di capacità contributiva quando il riporto è illimitato; infatti, permette di conciliare le contrapposte esigenze da parte del Fisco e del contribuente.

La disciplina delle perdite, rivisitata dall’art. 23, comma 9, D.L. n. 98/2011, ha modificato, in particolare, il riporto in avanti delle perdite pregresse di cui all’art. 84 Tuir, con la finalità di sostenere le imprese dalla crisi economico-finanziaria, stabilendo che la perdita subita sia portata in diminuzione in misura non superiore all’80%, ma senza limiti temporali.

Tuttavia, talvolta, il riporto in avanti delle perdite, nonostante sia coerente con il dato letterale della disposizione, in concreto si pone in contrasto con la ratio legis poiché finalizzato a realizzare un indebito vantaggio fiscale; in tale contesto si pongono le limitazioni poste in essere al riporto delle perdite pregresse di cui al comma 3, art. 84 Tuir, art. 172, comma 7, e art. 173, comma10. In buona sostanza, è chiaro che il legislatore ha disposto alcune limitazioni al riporto delle perdite per finalità antielusive.

Venendo alle innovazioni apportate dalla legge delega e in fase di attuazione dallo schema di decreto legislativo, occorre osservare come, tra i vari obiettivi che essa si prefigge, particolare interesse è rivolto al «riordino del regime di compensazione delle perdite fiscali e di circolazione di quelle società partecipanti a operazioni straordinarie», quali fusioni, scissioni e trasferimento del controllo delle società che hanno realizzato le perdite fiscali.

Bisogna, a tal proposito, soffermarsi sulla natura controversa della disposizione di cui all’art. 84, comma 3, Tuir, che esclude il riporto delle perdite pregresse nell’ipotesi in cui sia trasferito il controllo della società che detiene perdite fiscali e che, nel contempo, sia modificata l’attività esercitata durante i periodi d’imposta in cui si sono generate le perdite (cfr., tra gli altri, Andriola M., Limiti al “commercio delle perdite” nel passaggio dall’Irpeg all’Ires: stabilità e mutamento delle strategie di pianificazione fiscale, in Rass. trib., 2005, 3, 801 ss.; Michelutti R., Riflessioni a margine della nuova disciplina in tema di riporto delle perdite, in Riv. dir. trib., 1998, 6, I, 641); occorre, altresì, richiamare gli artt. 172, comma7, e 173, comma 10, che limitano la riportabilità delle perdite in relazione a operazioni di fusione o di scissione, ancorandole a limitazioni connesse al funzionamento della società e, quindi, al test di vitalità e al limite del patrimonio netto.

Quanto all’art. 84, comma 3, Tuir, come precedentemente anticipato, la limitazione al riporto delle perdite fa riferimento a “due condizioni” ma il legislatore, nell’ambito della riforma in esame, considera solo la seconda, vale a dire la modifica dell’attività principale, “tralasciando” la prima condizione, ovverosia il «caso in cui la maggioranza delle partecipazioni aventi diritto di voto nell’assemblea ordinaria del soggetto che riporta le perdite venga trasferita o comunque acquisita da terzi anche a titolo temporaneo»; tuttavia, su questo aspetto, nel corso del tempo, sono stati sollevati1 profili di criticità: uno tra tutti, ad esempio, il cambio del controllo indiretto – attraverso cui la circolazione delle perdite potrebbe realizzarsi anche indirettamente – mediante la cessione della società che controlla quelle società riportanti le perdite di periodo (sul punto si veda Marini G., op. cit., 794).

La questione, com’è evidente, è molto controversa e, seppur brevemente, è doveroso ricordare che il legislatore2, con le limitazioni introdotte dall’art. 8, comma 1, lett. b), D.Lgs. n. 358/1997, nel porre i limiti al riporto delle perdite con finalità antielusive, ha valorizzato entrambe le condizioni poiché la prima è “indicativa della circolazione del veicolo societario, mentre la seconda può essere considerata sintomatica per un travaso di perdite funzionale all’abbattimento della redditività di un’attività profittevole» (così Cardella P.L., Il rifinanziamento del core business ed il riporto delle perdite di periodo, in Riv. tel. dir. trib., 2020, 1, 343 ss.).

Considerato che la clausola antielusiva specifica di cui all’art. 84, comma 3, Tuir, per sua intrinseca natura, tratteggia un’applicazione tassativa, ma ragioni di ordine sistematico, come evidenziato dalla circ. n. 39/E/2022, inducono a sostenere che la prima condizione sia applicabile anche nell’ipotesi di controllo indiretto, per cui bisogna ritenere che il legislatore con la riforma in oggetto ha operato un intervento parziale su una disposizione che, invece, avrebbe necessitato la revisione di entrambe le condizioni.

Nonostante sussista una disomogeneità tra le disposizioni di cui agli artt. 84, comma 3, 172, comma 7 e 173, comma 10, Tuir di cui si dirà meglio oltre, volendo tracciare un fil rouge che le accomuni, è possibile evidenziare che, in concreto, perseguono la stessa finalità volta a impedire il “commercio di bare fiscali”, ovverosia quel fenomeno in virtù del quale la riportabilità delle perdite fiscali di una società con una redditività fortemente negativa (bara fiscale), è volta a compensare i redditi imponibili di una differente società.

Pur trattandosi di fattispecie contigue, non sempre soggette a sovrapposizione, in concreto si tratta di disposizioni con contenuto disomogeneo; pertanto, lo schema di decreto legislativo è volto ad attuare le disposizioni previste all’art. 6, lett. e), principi nn. 2) e 3), L. n. 111/2023 con la finalità di eliminare le disomogeneità che condizionano l’utilizzabilità delle perdite secondo condizioni e limiti differenti.

Segnatamente, l’art. 84, comma 3, nell’escludere la riportabilità delle perdite effettua una valutazione qualitativa che, oltre al trasferimento del controllo, tiene conto del fatto che la società ha anche un cambio di attività principale di fatto espletata durante il periodo in cui sono maturate le perdite. Ciò affinché le perdite prodotte da un’attività non siano trasferite a un’altra attività; limitazione non applicabile se l’impresa supera il test di vitalità.

Nelle fusioni o nelle scissioni, il mutamento di attività non costituisce un elemento determinante; pertanto, in via prioritaria, soddisfatto il test di vitalità simile a quello individuato dall’art. 84 Tuir (ma non uguale, giacché non fa riferimento alla presenza di un numero minimo di dipendenti), si pongono limiti quantitativi al riporto delle perdite.

In particolare, stante la normativa attualmente vigente, l’ammontare delle perdite da riportare nella società risultante dalla fusione, non può superare il patrimonio netto della società che riporta la perdita come si evince dall’ultimo bilancio3.

Al fine di omogeneizzare il sistema di riporto delle perdite intersoggettive, il legislatore delegato – in prospettiva semplificativa e anche agevolativa – ha rivisto i test di vitalità, poiché come giustamente evidenziato in dottrina (cfr. Zizzo G., Le vicende straordinarie nel reddito d’impresa, in Falsitta G., Manuale di Diritto Tributario, Parte speciale, Milano, 2021, 362-363), apparivano alquanto imprecisi, «attesi i cambiamenti che da tempo interessano il mondo della produzione: si mantiene fermo, infatti e tanto per fare un esempio, da quasi quarant’anni il riferimento alle spese per prestazioni di lavoro subordinato quando i processi di outsourcing, sempre più spinti, azzerano il livello quantitativo di tali spese» (così Marini G., La circolazione delle perdite nella prospettiva della riforma fiscale, cit., 794).

Ricordiamo che il legislatore, con la disciplina vigente, all’art. 84, comma 3, Tuir, ha previsto che la disapplicazione automatica avviene se ricorrono le seguenti condizioni: i) la presenza di un numero minimo di dipendenti (non inferiore a 10 unità) nei 2 anni precedenti a quello in cui è trasferita la partecipazione; ii) nel periodo d’imposta che precede il trasferimento delle partecipazioni dal bilancio deve risultare un valore di ricavi superiore al 40% rispetto alla media dei due esercizi precedenti e prodotti dall’attività caratteristica.

Il legislatore nello schema di decreto legislativo, in deroga alle limitazioni poste dall’art. 84, comma 3, ha giustamente eliminato, tra le condizioni di vitalità, il requisito relativo alla presenza minima di un numero di dipendenti (condizione non presente negli artt. 172 e 173 Tuir), giacché in concreto non rappresenta lo “stato di salute” dell’impresa. Basti pensare, ad esempio, alle imprese che in fase di start up presentano simultaneamente perdite fiscali e un numero limitato di dipendenti, ma non per questo individuabili come bare fiscali “prive di interesse economico” (Ianigro E., Spunti in tema di riforma della fiscalità delle operazioni straordinarie alla luce della legge delega, in Riv. tel. dir. trib., 2023, 2, 931 ss.). Il test di vitalità proposto nella bozza di decreto legislativo, art. 15, comma 1, lett. b), prevedendo l’introduzione del comma 3-bis, all’art. 84 Tuir, ha contemplato che – dal conto economico del soggetto che riporta le perdite «relativo all’esercizio precedente a quello nel corso del quale è avvenuto il trasferimento» – scaturisca ai sensi dell’art. 2425 c.c., un ammontare di ricavi e di proventi dell’attività caratteristica e delle spese per prestazioni di lavoro subordinato con i rispettivi contributi, in misura superiore al 40% rispetto alla media degli ultimi due esercizi precedenti. Nell’ipotesi in cui si verifica l’ipotesi predetta, occorre tener conto di quanto disposto dal comma 3-ter dell’art. 84 Tuir, ovverosia che le perdite sono riportabili per un importo non eccedente il valore economico del patrimonio netto contabile.

Si potrebbe, inoltre, introdurre per le società dotate di perdite fiscali che partecipano alla fusione o scissione, così come previsto dal comma 3 dell’art. 84 Tuir, la modifica dell’attività, ossia la condizione della riportabilità delle perdite; quest’ultima presuppone che la società svolga, come attività principale, un’attività differente rispetto alle società partecipanti all’operazione: ciò, logicamente, in sinergia con il criterio direttivo n. 3) dell’art. 6 della legge delega di revisione della nozione di “modifica dell’attività principale”.

4. Con specifico riferimento al citato principio n. 3 della legge delega, è evidente come esso proceda in tre direzioni: la modifica della disciplina del riporto delle perdite nell’ambito delle operazioni di riorganizzazione aziendale, non penalizzando quelle conseguite a partire dall’ingresso dell’ impresa nel gruppo societario; la revisione del limite quantitativo rappresentato dal valore del patrimonio netto; la nozione di modifica dell’attività principale esercitata, con specifico riferimento al comma 3 dell’art. 84 Tuir.

Procedendo a esaminarle in ordine “decrescente”, la questione interpretativa sulla nozione di modifica di attività principale è abbastanza ampia e dibattuta, per cui si è reso necessario un intervento da parte del legislatore che abbia posto una chiara delimitazione ai numerosi dubbi interpretativi sulla definizione di modifica dell’attività principale, in relazione alla quale occorre precisare quali siano le condizioni affinché possa ritenersi che due società svolgono la medesima attività (che ad esempio, operino nello stesso settore e comparto merceologico).

Nel corso del tempo, le contrastanti interpretazioni dell’Agenzia delle Entrate non hanno contributo a chiarire i dubbi sulla corretta individuazione della “modifica dell’ attività”: se debba intendersi modificata l’attività principale, nonostante non siano modificati il settore economico e il comparto merceologico di attività; nell’ipotesi in cui la rivitalizzazione mediante, ad esempio, l’immissione di risorse finanziarie aggiuntive o di singoli beni strumentali determina la riattivazione dell’attività principale esercitata precedentemente e da cui sono scaturite le perdite fiscali; oppure, se ricorre la modifica nel caso in cui la società conferitaria acquisisce la maggioranza delle partecipazioni della società conferente che ha prodotto le perdite, rivitalizzando la società mediante il conferimento di un ramo aziendale nello stesso settore e comparto merceologico (per maggiori approfondimenti si veda Leo M., Le imposte sui redditi nel testo unico, Tomo II, Milano, 2022).

A tal riguardo, si contendono il campo due diversi orientamenti. Il primo, particolarmente restrittivo, considera l’operazione di rivitalizzazione come una modifica dell’attività principale determinato proprio dall’apporto di nuove risorse anche se operanti nello stesso settore merceologico; ciò perché, in concreto, le attività conferite non sarebbero mai uguali a quelle espletate precedentemente, poiché presentano profili di novità (ad esempio, differenti canali di sbocco rispetto alla società conferitaria). Il secondo, più estensivo, presuppone il cambiamento dell’attività principale quando ricorre il cambiamento del settore economico e merceologico.

L’Agenzia delle Entrate, con la Risposta all’interpello n. 367/2019, accoglie il primo orientamento: infatti, ha negato il riporto delle perdite delineando la modifica del cambio di attività in relazione a una “rivitalizzazione” di un’impresa con un’attività sostanzialmente azzerata, pur continuando a svolgere l’attività nello stesso settore merceologico di operatività. Pertanto, il mutamento dell’attività sarebbe emerso dal cambiamento determinato dalla modifica della composizione quali/quantitativa degli elementi patrimoniali, nonché di quelli reddituali indicati in bilancio (Cardella P.L., op. cit., 3) rispetto agli esercizi precedenti. Da un’attenta lettura emerge, peraltro, come l’Amministrazione finanziaria ponga l’accento, oltre che sul mutamento della composizione qualitativa e quantitativa degli elementi reddituali e patrimoniali, in relazione agli esercizi precedenti, anche e soprattutto sulla circostanza che la società prima della cessione sarebbe stata trasformata in una “scatola vuota”, ovvero con un “sostanziale azzeramento dell’attività d’impresa svolta”.

Quest’ultima, con un successivo documento di prassi, segnatamente con la Risposta all’interpello n. 39/2022, chiarisce che non sussiste la rivitalizzazione e quindi la modifica dell’attività, se la società non è ricapitalizzata, ma si assiste solo ad una diversa composizione qualitativa e quantitativa dei componenti reddituali, infatti, nell’esaminare il caso di una società immobiliare che aveva interrotto l’utilizzo diretto degli immobili a favore di una locazione degli stessi a terzi, ha accolto la disapplicazione dei limiti posti dal comma 3 dell’art. 84 Tuir, consentendo il riporto in relazione al quale la modifica della composizione qualitativa e quantitativa dei componenti reddituali non denotano una variazione dell’attività svolta.

Successivamente, con la Risposta all’interpello n. 214/2022, nell’esaminare il caso proposto, si sofferma a chiarire quando la modifica dell’attività principale svolta possa considerarsi “sintomo” di elusività, sebbene vada riscontrato caso per caso; nello specifico, ricorre generalmente quando vi sia il passaggio dell’attività principale da un comparto merceologico a un altro e nell’ipotesi in cui il cambiamento avviene nell’ambito dello stesso comparto merceologico, ma rivitalizzato con il finanziamento di risorse ulteriori rispetto a quelle disponibili dalla società che ha realizzato le perdite.

Orbene, si tratta di un’interpretazione molto discutibile e il significato estremamente ampio individuato dall’Agenzia delle Entrate, alla modifica della nozione dell’attività principale svolta, ha comportato che il legislatore, in attuazione della delega, intervenisse al fine di dipanare i notevoli dubbi interpretativi; ed infatti, nello schema di decreto legislativo l’art. 15, comma 1, lett. a), modificando il comma 3 dell’art. 84 Tuir, ha previsto con più precisione quando si individua la modifica dell’attività principale esercitata, pertanto essa si intende modificata soltanto se si presenta un cambiamento del settore economico o del comparto merceologico di operatività; tra l’altro, la modifica si realizza anche nell’ipotesi in cui il soggetto che detiene le perdite ha acquisito un’azienda o un ramo di essa e «assume rilevanza se interviene nel periodo d’imposta in corso al momento del trasferimento od acquisizione ovvero nei due successivi od anteriori».

Con tale innovazione il legislatore, a differenza di quanto affermato da alcuni documenti di prassi dell’Agenzia delle Entrate, ha inteso escludere che il cambiamento dell’attività principale si realizzi in caso di immissione di nuove risorse finanziarie o di singoli beni strumentali.

Anche se non va sottaciuto che il cambiamento dell’attività svolta non va inteso come semplice mutamento del settore merceologico in cui si opera, ma occorre valutare anche la differente capacità produttiva manifestata, giacché, a settore merceologico immutato le «concrete condizioni di esercizio dell’attività potrebbero essere tali da determinare una sostanziale modifica dell’attività svolta» (così Cardella P.L., op. cit., 4; per maggiori approfondimenti si rinvia a Andriola M., op. cit., 805).

Tuttavia cambiando prospettiva, al fine di dirimere tutti questi dubbi interpretativi e applicativi, la omogeneità tra le disposizioni di cui agli artt. 84, comma 3 e 172, comma 7, avrebbe potuto essere raggiunta eliminando la rilevanza del cambio di attività contenuta nel comma 3 dell’art. 84, con la consapevolezza che il c.d. commercio delle “bare fiscali” può verificarsi anche senza cambiamento del settore merceologico; pertanto, il mutamento effettivo può essere determinato da diverse motivazioni, ad esempio lo svolgimento dell’attività nello stesso settore merceologico ma che in concreto attinge a nuovi mercati di sbocco (Miele L., Prospettiva di revisione delle condizioni e delle limitazioni al riporto delle perdite nell’ambito dei trasferimenti infragruppo, in Riv. tel. dir. trib., 2023, 2, 920).

Quanto alla revisione del limite quantitativo del riporto delle perdite – previsto nella seconda direttrice del principio n. 3 – nel caso di operazioni di fusioni o scissioni, individuato nel valore del patrimonio netto della società dotata di perdite fiscali risulta ormai superato e inidoneo al raggiungimento degli obiettivi antielusivi prefissati dalla norma; perciò, concordiamo con chi (Marini G., op. cit., 793), ha ritenuto che si tratta di un parametro estremamente grossolano e non identificativo della capacità dell’impresa di realizzare redditi. Il limite del patrimonio netto, tra l’altro, è stato disatteso anche dall’Agenzia delle Entrate che, con diverse Risposte d’interpello disapplicativo (cfr. Risposte all’interpello n. 124/2022, n. 253/2022, n. 76/2022 e, a tal riguardo, la circ. 1° agosto 2022, n. 31/E (per un esame analitico della circolare in esame, si rinvia alla circolare Assonime n. 22/2023), ha fatto riferimento a criteri alternativi volti ad individuare la capacità di un’attività di produrre reddito, quali ad esempio l’evoluzione degli indici di bilancio, le dotazioni patrimoniali, il valore del capitale economico della società, ecc.

Ed, infatti, il legislatore è intervenuto a rivedere il limite quantitativo del patrimonio netto contabile, introducendo il criterio del valore economico del patrimonio netto, con l’art. 15, comma 1, lett. b) dello schema di decreto legislativo che, seppur parzialmente, modifica il comma 7 dell’art. 172 Tuir, prevedendo che «le perdite delle società che partecipano alla fusione, compresa la società incorporante, possono essere portate in diminuzione dal reddito della società risultante dalla fusione o incorporante per la parte del loro ammontare che non eccede il valore economico del patrimonio netto della società che riporta le perdite»; tale valore sarà determinato da una relazione giurata di stima redatta da un soggetto indicato dalla società «tra quelli di cui all’art. 2409-bis, comma 1 del codice civile e al quale si applicano le disposizioni di cui all’art. 64 del codice di procedura civile».

In mancanza della predetta relazione, il riporto delle perdite è consentito nei limiti del patrimonio netto contabile come risulta dall’ultimo bilancio, o se inferiore, dalla situazione patrimoniale di cui all’art. 2501-quater c.c., senza prendere in considerazione i conferimenti e i versamenti effettuati negli ultimi 24 mesi anteriori. In definitiva, il criterio del valore economico del patrimonio netto è alternativo al valore del patrimonio netto contabile, purché sussista la relazione di stima.

Si tratta di un limite quantitativo volto a “captare” l’idoneità prospettica di una società in perdita a produrre redditi con lo svolgimento dell’attività economica (in relazione alla funzione attribuita al limite patrimoniale, si vedano, tra le altre, la Risposta all’interpello n. 76/2022 e la ris. n. 54/E/2011). Ma, in concreto, con la nuova disposizione non è precisato nulla in merito al concetto di valore economico del patrimonio netto e la relazione illustrativa si è limitata semplicemente a evidenziare che il predetto valore «rappresenta un parametro maggiormente significativo della recuperabilità delle pregresse posizioni soggettive fiscali».

Questo limite potrebbe essere interpretato nella prospettiva di individuare il limite quantitativo nel valore economico riferibile ai complessi societari in sede di definizione del rapporto di cambio, «posto che il valore risulterebbe irrobustito dalla negoziazione e recepirebbe le reali aspettative delle parti sui risultati della società incorporata o scissa, perdite incluse» (così Ianigro E., Spunti in tema di riforma della fiscalità delle operazioni straordinarie alla luce della legge delega, cit., 5. In proposito, si vedano anche Contrino A., Le novità della legge delega per le operazioni straordinarie, in Tomassini A., a cura di, Riforma fiscale, Milano 2023,116; Marchese S. – Miele L., Circolazione e compensazione delle perdite nel consolidato e nelle operazioni straordinarie, in Corr. trib., 2023, 5, 428).

Orbene, il legislatore, nell’aver previsto l’alternatività dei limiti quantitativi precedentemente indicati, in concreto, non ha attentamente valutato che «non si tratta di due varianti della stessa grandezza, ma di due grandezze diverse» (così Della Valle E., Perdite, senza bussola il valore economico del patrimonio netto, in Norme e Tributi, 6 giugno 2024), perché il limite del patrimonio netto contabile è determinato in chiave retrospettiva, cioè fa riferimento allo schema dello stato patrimoniale di cui all’art. 2424 c.c., invece, il valore economico del patrimonio netto è una grandezza correlata all’idoneità futura “di produrre reddito o flussi di cassa”, quindi è determinata da un punto di vista prospettico. Come attentamente osservato, «rimane l’interrogativo posto in dottrina circa la razionalità della previsione nello stesso contesto, di due limiti quantitativi che non hanno una logica unitaria e che restituiscono risultati diversi» (così Della Valle E., op. ult. cit.).

Il limite del riporto delle perdite, in relazione ai redditi imponibili prospettici evidenzia, ancora una volta, l’occasione mancata da parte del legislatore di introdurre il riporto delle perdite all’indietro, così come previsto nei Paesi più evoluti, dove è consentito sia il loss carry forward delle perdite senza limiti temporali, sia il loss carry back, come peraltro sollecitato anche dalla Commissione europea con la raccomandazione (UE) 2021/801, che ha individuato il riporto all’indietro delle perdite come lo strumento idoneo a sostenere le imprese in crisi (Covid-19).

Occorre precisare che, allo stato attuale, il carry back sarà introdotto dal legislatore (si veda schema di decreto legislativo recante la riforma TUIR, in attuazione dell’art. 9, comma 1, lett. f), della Legge delega), solo in caso di riporto delle perdite nella liquidazione ordinaria (Miele L., La riforma fiscale “ribalta” il criterio di tassazione della liquidazione ordinaria, in Riv. tel. dir. trib., 18 luglio, 2024, 2, pubblicato online il 18 luglio 2024, www.rivistadirittotributario.it).

Ma se la perdita fiscale rappresenta una “posizione soggettiva” (tale locuzione è utilizzata da Beghin M., Diritto tributario, Padova, 2013, 489, nota 68), intimamente legata alla capacità contributiva del soggetto passivo e orientata a essere neutralizzata con i redditi realizzati in futuro, ci si può chiedere perché il legislatore consenta solo la riportabilità in avanti delle perdite e non il riporto all’indietro delle stesse.

In tal modo, le imprese che si ritrovano a chiudere il bilancio in perdita potrebbero recuperare le imposte pagate negli anni precedenti, annullando fiscalmente l’effetto della perdita maturata ed evitando così di riportarla nei periodi d’imposta successivi, giacché il riporto delle perdite in avanti presuppone che debbano esserci degli utili futuri; ma è d’uopo richiamare alla mente, ad esempio come nell’ipotesi di cessazione dell’attività economica, i predetti periodi d’imposta potrebbero anche interrompersi e quindi non esserci più. È chiaro che la resistenza da parte del legislatore di introdurre anche il riporto all’indietro sia motivata da ragioni di gettito, poiché il riporto all’indietro comporterebbe il rimborso di imposte già percepite dall’Erario.

Come evidenziato precedentemente, particolarmente coerente con la disciplina del consolidato fiscale è la prima direttrice del principio n. 3 di riforma; segnatamente, la modifica della disciplina del riporto delle perdite nell’ambito delle operazioni di riorganizzazione aziendale non deve penalizzare quelle realizzate durante la partecipazione al gruppo societario, poiché, come indicato nella relazione illustrativa nel caso in esame non si verifica il fenomeno del c.d. commercio delle “bari fiscali” che la norma intende contrastare.

Ci sembra, pertanto, ragionevole e coerente applicare le regole ordinarie alle perdite maturate anteriormente, riservando condizioni e limiti meno restrittivi alle perdite per le operazioni straordinarie realizzate nell’ambito dello stesso gruppo o soggetto economico.

Acclarato che non esiste il “gruppo” ai fini della soggettività tributaria, emerge chiaramente come lo stesso non sia compreso tra i soggetti giuridici e neanche tra i soggetti passivi d’imposta in relazione all’art. 53 Cost. Come affermato in dottrina (cfr. Giovannini A., Gruppo di società e capacità contributiva, in Perrone L. – Berliri C., a cura di, Diritto tributario e Corte costituzionale, Napoli, 2006, 218), il gruppo identifica una formula del linguaggio e infatti, con preciso riferimento alla disciplina opzionale del consolidato, «la capacità per così dire del gruppo è la stessa capacità contributiva dei singoli sebbene, in ragione del consolidamento, la sua quantificazione subisca o possa subire modificazioni» (così Marino G., Contributo allo studio dei rapporti di gruppo attraverso le relazioni di controllo, in Riv. dir. trib., 2004, 4, I, 556).

Consapevole di ciò, il legislatore, nello schema di decreto legislativo, con l’art. 15, comma 1, lett. b), ha introdotto il nuovo comma 7-ter, all’art. 172 Tuir, richiamato anche nell’art. 173 – in relazione alle operazioni di fusione o scissione tra società controllate, controllanti o assoggettate al controllo – prevedendo un modello di imputazione del reddito in capo al gruppo societario quale unico soggetto economico da cui scaturisce una “compenetrazione” degli imponibili e, quindi, di riporto delle perdite. Conseguentemente, la libera compensabilità delle perdite è ammessa purché le perdite si siano generate quando le società facevano parte dello stesso perimetro di gruppo (in ogni caso a far data dal 2024).

In realtà, si è reso necessario consentire la libertà di circolazione delle perdite realizzate all’interno dello stesso gruppo, equiparandole alle perdite maturate durante l’opzione per il consolidato; dunque, per motivazioni di coerenza sistematica, il legislatore nello schema di decreto legislativo, con l’art. 15, comma 1, lett. a), introduce il comma 3-bis, all’art. 84, rivedendo l’attuale limite sul riporto delle perdite di cui all’art. 84, comma 34, reintroducendo la disposizione abrogata dall’art. 36, comma 12, D.L. n. 223/20065, volta a precisare che le limitazioni al riporto delle perdite non si applicano nell’ipotesi in cui il trasferimento delle partecipazioni avviene tra società dello stesso gruppo, coerentemente con la disciplina del riporto delle perdite nel consolidato di cui agli artt. 117 e 120 Tuir.

A tal riguardo, è significativa l’ordinanza n. 3591/2023 della Suprema Corte di Cassazione – in tema di scissione di una società consolidante che non ha interrotto il regime opzionale del consolidato – che ha accolto la posizione del contribuente, secondo cui la società beneficiaria di una scissione parziale può subentrare pro quota nelle perdite fiscali maturate durante il consolidato dalla società scissa6, tranne che non si delinei un intento elusivo “neanche ipotizzato nel caso in esame”. Si tratta, peraltro, di un orientamento coerente con la circ. n. 9/E/2010 che, al par. 3, chiarisce che il riporto delle perdite, in presenza di operazioni di fusioni tra società che non hanno interrotto il consolidato, non determina profili di elusività perché la compensazione intersoggettiva «per effetto dell’operazione medesima, non può fruire di alcun vantaggio addizionale in termini di compensazione degli imponibili in quanto le perdite prodotte dalle società aderenti al consolidato nascono già compensabili con gli utili di altre società incluse nella tassazione di gruppo».

5. Orbene, tirando le fila, si evidenzia che il provvedimento in oggetto, nel tentativo di rendere il sistema organico e coerente, in concreto non si caratterizza né per chiarezza, né per completezza poiché, oltre a interventi di restyling di disposizioni antielusive specifiche, avrebbe potuto prevedere un riordino ad ampio raggio su alcuni aspetti critici ricorrenti nel tempo.

Il limite del riporto delle perdite in compensazione (verticale) con i redditi imponibili prospettici, ad esempio, costituisce una occasione mancata, da parte del legislatore, di adeguare l’Italia ai Paesi più evoluti, dove non solo è consentito il carry forward (il riporto in avanti) delle perdite senza limiti temporali, ma anche il carry back, con limitazioni temporali di riporto all’indietro.

Sul fronte dei risvolti positivi, occorre osservare come le modifiche apportate dall’art. 15 dello schema di decreto legislativo abbiano, in parte, realizzato l’intento della riforma finalizzata ad omogeneizzare i limiti e le condizioni di riporto delle perdite; in particolare, il legislatore, intervenendo sugli artt. 84, 172 e 173 Tuir, ha previsto il superamento dello stesso test “qualitativo” di vitalità, non tralasciando di uniformare il limite “quantitativo” al riporto delle perdite dato dal valore economico del patrimonio netto, qualora sia supportato da una relazione di stima giurata, altrimenti in alternativa si ricorre al criterio del patrimonio netto contabile.

Se la norma persegue la finalità di omogeneizzare le disposizioni relative a perdite definite “sistematiche”, da cui potrebbero scaturire delle pratiche elusive o evasive (cfr. Stevanato D., Riporto delle perdite ed elusione, in Riv. dir. trib., 2000, 12, I, 1133), ci si chiede perché il legislatore abbia operato delle modifiche a taglio parziale, valorizzando ad esempio solo la modifica alla nozione di attività principale e non, come evidenziato precedentemente, anche il ricorrere dell’altra condizione prevista dal comma 3, dell’art. 84 Tuir, ovvero sia, quando «la maggioranza delle partecipazioni aventi diritto di voto nelle assemblee ordinarie del soggetto che riporta le perdite venga trasferita o comunque acquisita da terzi». Precisamente, non si può escludere che il trasferimento del controllo indiretto – mediante la cessione della società che controlla le società che riportano le perdite di periodo – possa determinare il c.d. commercio di “bare fiscali”, pertanto, auspichiamo che la logica sottesa alla finalità antielusiva della disposizione di cui alla norma in oggetto, induca il legislatore delegato in fase di approvazione definitiva del testo a rivedere entrambe le condizioni per ragioni di coerenza sistematica.

Ci si auspica che il legislatore delegato possa rivedere le criticità precedentemente sollevate in ordine al coordinamento tra le disposizioni contenute nell’art. 84, comma 3, e negli artt. 172, comma 7, e 173, comma 10, trovando il giusto bilanciamento tra autonomia privata ed eguaglianza tributaria e, come affermato in diverse pronunce (tra tutte si vedano Corte di Cassazione, sent. 21 gennaio 2011, n. 1372; ord. 8 marzo 2022, n. 7575; ord. 9 maggio 2022 n. 14593; Corte di Giustizia, 17 luglio 1997, causa C-28/95, A. Leur Bloem), tracciando altresì la linea di confine tra pianificazione fiscale aggressiva e libertà di scelta delle forme giuridiche da adottare, in considerazione dei principi di libertà d’impresa, di iniziativa economica e di proporzionalità.

(*) l saggio è stato sottoposto a double blind peer review con valutazione positiva. Esso confluirà nel fascicolo n. 2/2024 (semestrale) della Rivista telematica di diritto tributario.

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1 A tal proposito, la circolare Assonime n. 21/2016, chiarisce come «non è plausibile che il commercio di bare fiscali possa ritenersi disapprovato dal sistema quando oggetto del trasferimento sia direttamente la società titolare delle perdite e che possa invece essere considerato legittimo quandi sia posto in essere con la cessione di società intermedie che a loro volta possiedono la bara». Sullo stesso orientamento la circ. n. 39/E/2022.

2 Il legislatore con le limitazioni introdotte dall’art. 8, comma 1, lett. b), D.Lgs. n. 358/1997, ha voluto cercare di porre rimedio al c.d. commercio delle bare fiscali, mediante l’acquisizione di partecipazioni in società decotte con il solo fine di compensare le perdite con gli utili realizzati da società diverse da quelle che le hanno prodotte.

3 L’ Agenzia delle Entrate con l’interpello n. 77 del 4 febbraio 2022, ha chiarito che il termine “ultimo bilancio” va individuato come bilancio inerente l’ultimo esercizio prima della data della fusione. Di particolare interesse, tra tutte, è la sentenza della Corte di Cassazione 16 gennaio 2023, n. 1035.

4 In particolare, l’art. 83, comma 3, Tuir, attualmente prevede che «le disposizioni del comma 1 non si applicano nel caso in cui la maggioranza delle partecipazioni aventi diritto di voto nelle assemblee ordinarie del soggetto che riporta le perdite venga trasferita o comunque acquisita da terzi, anche a titolo temporaneo».

5 La lett. a) del comma 3 dell’art. 84 Tuir, sanciva che le limitazioni al riporto delle perdite non erano applicate se «le partecipazioni siano acquisite da società controllate dallo stesso soggetto che controlla il soggetto che riporta le perdite ovvero dal soggetto che controlla il controllante di questi».

6 L’ordinanza in esame precisa, inoltre, «ne deriva che, fintanto che permane la tassazione di gruppo, nessuna variazione al regime di circolazione delle perdite prodotte in costanza di consolidato può derivare da un’operazione straordinaria non interruttiva del regime di tassazione di gruppo (in tal senso, Agenzia delle Entrate – Circ. 09/03/2010, n. 9/E), a meno che non si ravvisi un intento elusivo, neanche ipotizzato nel caso in esame».

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