RECENTISSIME DALLA CASSAZIONE TRIBUTARIA – Cass. civ., sez. II, ord. 28 giugno 2024, n. 17879 – Processo tributario e spese di giustizia. Chi tutela il diritto al compenso del difensore del fallimento a spese dello Stato?
Di Andrea Bodrito
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Le massime della Suprema Corte
L’ammissione al patrocinio a spese dello Stato del fallimento, in specie nel processo tributario in cui sia parte un fallimento, segue la procedura di cui all’art. 144 D.P.R. n. 115/2002 e non quella di cui agli artt. 138 e 139 D.P.R. n. 115/2002, prevalendo le funzioni di vigilanza del giudice delegato rispetto a quelle delle Commissione del patrocinio a spese dello Stato.
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Il decreto con il quale il giudice delegato del fallimento, nell’esercizio della competenza esclusiva al riguardo attribuitagli dalla legge (art. 25, n. 7, L. fall.), liquida i compensi per l’opera prestata dagli incaricati a favore del fallimento, lungi dall’assumere carattere meramente ricognitivo, concreta un provvedimento di natura giurisdizionale destinato a statuire sul diritto dell’incaricato in maniera irretrattabile e con gli effetti propri della cosa giudicata, suscettibile di impugnazione unicamente con il rimedio endofallimentare del reclamo a norma dell’art. 26 L. fall.
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La rimessione in termini per causa non imputabile ex art. 153 c.p.c. non è invocabile in caso di errori di diritto nell’interpretazione della legge processuale, pur se determinati da difficoltà interpretative di norme nuove o di complessa decifrazione, in quanto imputabili a scelte difensive rivelatesi sbagliate.
Un curatore fallimentare, attestata la mancanza di fondi, autorizzato dal giudice delegato incarica un dottore commercialista di difendere il Fallimento in due cause pendenti davanti alla Commissione tributaria provinciale.
Terminate le prestazioni, il commercialista chiese al giudice delegato del Fallimento la liquidazione dei compensi, quantificandoli in 225.000 euro circa. Il Giudice delegato liquidò la minor somma di 2.500 euro. Contro questo provvedimento il commercialista propose ricorso in opposizione ai sensi dell’art. 170 D.P.R. n. 115/2002 (TUSG), e quindi, in ragione del rinvio ex art. 15 D.L. n. 150/2011, al Tribunale civile ai sensi degli artt. 702-bis ss. c.p.c.
Il Tribunale dichiarò inammissibile l’opposizione perché avrebbe dovuto essere proposta in sede endofallimentare, e quindi al Tribunale fallimentare, come reclamo ai sensi dell’art. 26 L. fall. (R.D. n. 267/1942). Contro questa decisione, il professionista propose ricorso per cassazione contro il Ministero della Giustizia e l’Agenzia delle Entrate.
Il Tribunale, inoltre, affermò che il procedimento radicato non poteva essere convertito nel reclamo endofallimentare perché non era stato osservato il termine di 10 giorni sancito dall’art. 26 L. Fall.
Il (tentativo di) dialogo
La materia è quella del patrocinio a spese dello Stato a favore di un fallimento, in specie nel processo tributario. Ricordiamo che l’art. 144 D.P.R. n. 115/2002 (Testo Unico delle Spese di Giustizia, TUSG) sancisce che se il giudice delegato del fallimento, con proprio decreto, attesta l’indisponibilità del denaro necessario per le spese di difesa, il fallimento si considera ammesso ex-lege al patrocinio a spese dello Stato. Lo stesso giudice delegato, ai sensi dell’art. 25 L. fall. (ora art. 123 D.Lgs. n. 14/2019, Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza, c.d. CCII), su proposta del curatore liquida i compensi ai difensori del fallimento. Questa norma non distingue tra difensori a carico del fallimento e difensori a carico dello Stato. Il tema che ci occupa è quello dell’individuazione del giudice a cui il patrocinatore a spese dello Stato possa rivolgersi per ottenere tutela nel caso in cui ritenga che i compensi a lui spettanti non siano stati correttamente liquidati nel decreto relativo. Di regola, anche nel processo tributario come in quello civile, detta tutela è disciplinata dall’art. 170 TUSG, applicabile per rinvio diretto dall’art. 84 TUSG, e quindi, siccome l’art. 170 a sua volta rinvia all’art. 15 D.L. n. 150/2011, al Tribunale civile ai sensi degli allora vigenti (ante riforma Cartabia) artt. 702-bis ss. c.p.c.
Tuttavia con la sentenza qui segnalata la Corte di Cassazione precisa che, nel caso del patrocinio a spese dello Stato a favore di un fallimento, il decreto di liquidazione compensi del giudice delegato va opposto nelle forme endofallimentari stabilite dall’art. 26 L. fall. (ora art. 124 CCII) e quindi non nelle forme stabilite dall’art. 170 TUSG.
Questo perché, si legge nella motivazione, se il giudice delegato, ex art. 25 L. fall., liquida i compensi per l’opera prestata dagli incaricati del fallimento, e liquida anche i compensi riguardanti il patrocinio gratuito, allora pure l’opposizione del professionista all’uopo incaricato è attratta nella disciplina del reclamo contro i decreti del giudice delegato ex art. 26 L. fall. (ora art. 124 CCII), e quindi sottratta alla disciplina generale ex art. 170 TUSG.
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L’insegnamento della Suprema Corte va sottolineato per più ragioni.
In via pratica, innanzitutto. Il rito camerale endofallimentare, già art. 26 L. fall., ora art. 124 CCII (il cui rito è oggi regolato dall’art. 737 c.p.c.), prevede la proposizione del reclamo in opposizione entro 10 giorni dalla comunicazione o notificazione del decreto del giudice delegato, mentre il termine per l’opposizione ex art. 170 TUSG è di 30 giorni. La Corte di Cassazione, nella sentenza in esame, ha precisato che l’errore sul rito non ammette la rimessione in termini ex art. 153 c.p.c. perché non è mai qualificabile come “non imputabile”. Pertanto, il mutamento di rito ex art. 170 TUSG in rito ex art. 26 L. fall. è precluso in tutti i casi in cui il processo non sia stato introdotto nello strettissimo termine di 10 giorni.
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In via teorica sembrerebbe che la Cassazione sia ancorata al principio secondo cui «il provvedimento, ex art. 25 LF, di liquidazione del compenso al difensore che abbia assistito in una causa la curatela fallimentare risponde a esigenze specifiche della procedura» (Cass. n. 27586/2023 che richiama Cass. n. 4269/2016; nello stesso senso Cass. n. 32558/2023), da ciò discendendo la necessità che anche il compenso del patrocinatore a spese dello Stato si veda determinato il compenso dal giudice delegato con controllo del Tribunale in sede endofallimentare, salva la successiva proponibilità, avverso la decisione del Tribunale, del ricorso di legittimità ex art. 111 Cost.
Ci domandiamo allora se «le esigenze specifiche della procedura» richiedano anche la determinazione dei compensi dei patrocinatori a spese dello Stato da parte del giudice delegato, così come la determinazione dei compensi dei difensori a carico della procedura fallimentare, a cui seguirebbe per entrambi, secondo la sentenza in rassegna, l’opposizione in sede endoprocedimentale.
Sul piano dei principi, la certezza del diritto richiede che sia preferibile mantenere l’unità del rito rispetto a uno stesso oggetto, piuttosto che la sua suddivisione in rito ordinario e speciale.
Vediamo i dati normativi che regolano le spese di giustizia, in cui rientra il patrocinio a spese dello Stato. L’art. 144 TUSG, norma speciale (Cass. n. 7842/2015) recante la specifica disciplina del patrocinio a favore del fallimento, sancisce l’applicazione a detto patrocinio delle norme del TUSG «eccetto quelle incompatibili con l’ammissione di ufficio».
Si premette che i compensi del patrocinatore sono a carico dello Stato, nei cui confronti il difensore è titolare di un diritto soggettivo patrimoniale (in ultimo si veda Cass. n. 8291/2023, sia pure relativa alla sede penale, la precisa altresì che «l’ammissione al gratuito patrocinio, escludendo la configurazione di un incarico professionale tra i due, determina l’insorgenza di un rapporto che si instaura direttamente tra il difensore e lo Stato»; Cass. n. 1599/2020; Cass. n. 10705/2014; Cass. n. 17247/2011). I compensi del patrocinatore a spese dello Stato non sono dunque a carico della procedura fallimentare.
Non sembra che le norme del TUSG sulla determinazione dei compensi siano incompatibili con l’ammissione d’ufficio disposta dal giudice delegato del fallimento.
Infatti, il TUSG stabilisce, ex artt. 82 e 83, che l’onorario e le spese spettanti al difensore sono liquidati dall’autorità giudiziaria, e precisamente dal giudice che chiude la fase cui si riferisce il relativo giudizio (art. 83, comma 3-bis TUSG, rammentiamo che gli artt. 82 e 83 fanno parte del Titolo I della Parte III del TUSG che, ai sensi dell’art. 137, sono espressamente applicabili nel patrocinio relativo al processo tributario).
Inoltre, i criteri di liquidazione di detti compensi sono stabiliti dallo specifico art. 82: «osservando la tariffa professionale […] tenuto conto della natura dell’impegno professionale, in relazione all’incidenza degli atti assunti rispetto alla posizione processuale della persona difesa», salva la specifica riduzione alla metà previsa per il processo tributario dall’art. 130 TUSG (ribadito anche dal successivo art. 141).
Risulta dunque che la specifica disciplina del TUSG sulla competenza a determinare i compensi del difensore a carico dello Stato, sulla quantificazione dei detti compensi e sul regime dell’opposizione a tutela del diritto del difensore stesso al compenso non sono incompatibili con l’ammissione d’ufficio del fallimento al patrocinio, ammissione conseguente alla valutazione del giudice delegato sulle risorse della massa fallimentare. Infatti da questa valutazione deriva il passaggio dell’onere economico per la difesa dal fallimento al bilancio dello Stato.
Non sembra, dunque, che ci siano ragioni per escludere la tutela del patrocinatore a spese dello Stato dalle forme ordinarie previste dal TUSG.
Diversa questione, e quindi non rilevante, è la difficoltà interpretativa delle norme del TUSG, a partire proprio dall’art. 170, che disciplina espressamente l’opposizione al decreto di pagamento emesso a favore dell’ausiliario del magistrato, del custode e delle imprese private cui è affidato l’incarico di demolizione e riduzione in pristino, e che è applicato per rinvio dell’art. 84 TUSG all’opposizione al decreto riguardante i compensi al difensore e per analogia, da parte della giurisprudenza, anche al decreto di revoca di ammissione al beneficio, ma con tanti dubbi, tanto che la stessa Corte di Cassazione, con ord. int. n. 9344/2024, ha portato la norma all’esame delle Sezioni Unite.
In tanta complicazione, più che altro servirebbe un intervento del legislatore, che pure ha «il dovere costituzionale di farsi capire» (cfr. il volume avente proprio questo titolo a cura di Maria Emanuela Piemontese, Roma, 2023). Magari il doveroso aggiornamento dei Testi Unici, almeno ogni sette anni (così, espressamente l’art. 13-bis L. n. 400/1988), potrebbe fornire la necessaria spinta.
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