OSSERVATORIO GIURISPRUDENZIALE Corte EDU – Decisione 26 settembre 2024, Fin Fer Spa v. Italia (57718/15) – Il diritto alla prova testimoniale

Di Alberto Calzolari -

Quid decisum

Con la decisione in esame la Corte EDU ha dichiarato inammissibile il ricorso del contribuente italiano; tuttavia, essa è utile a rammentarci che sono molteplici i punti di frizione con la CEDU nell’ordinamento tributario italiano, anche relativamente al diritto a un equo processo. Tra le garanzie processuali negate al contribuente italiano figura il diritto alla prova testimoniale. I giudici di Strasburgo continuano a inviare “segnali” importanti ai difensori tributari, sia riguardo alle modalità con cui accedere alla Corte Europea sia riguardo al contenuto del diritto all’esame dei testimoni. Tale mezzo di prova non può dirsi pienamente acquisito con l’introduzione, nel rito tributario, della prova testimoniale scritta. Nel sonno del legislatore della riforma fiscale, i difensori sono chiamati, da un lato, a utilizzare tutti gli strumenti giuridici a garanzia dei loro assistiti e, dall’altro lato, ad assolvere a una funzione di sprone, per conseguire le auspicate modifiche normative.

Sintesi e commento

1. Preambolo. Il diritto alla prova testimoniale è parte integrante delle garanzie prescritte dall’art. 6 CEDU, ossia del diritto all’equo processo. È noto che tale articolo trova applicazione nei processi in materia civile e penale, e lungo e tormentato è stato il percorso per il riconoscimento dell’applicazione delle garanzie convenzionali (della Convenzione CEDU) anche al processo tributario. La giurisprudenza della Corte EDU sembra ormai assestata, di fatto, nel ritenere pienamente applicabili le garanzie del giusto processo alle cause tributarie, sia pure in via indiretta, pur ferma la giurisprudenza (Corte EDU, 12 luglio 2021, Causa Ferrazzini v. Italia) che ne nega l’applicazione in via generale. Si arriva a tale risultato vuoi perché talvolta le cause tributarie sono ritenute avere una natura sostanzialmente civile (per esempio in tema di liti da rimborso o di contestazioni scaturenti dall’asserita violazione dell’art. 8 CEDU, che protegge la vita privata e familiare), vuoi perché, quasi sempre, vertono anche (o solo) sulla legittimità dell’irrogazione delle sanzioni tributarie. Queste possiedono una natura formalmente amministrativa, ma sono attratte, da un punto di vista sostanziale, nel novero delle sanzioni penali, grazie all’applicazione degli Engel criteria. Dunque, per il tramite dell’applicazione del significato autonomo degli istituti giuridici, tratto peculiare del diritto CEDU, la giurisprudenza della Corte Europea ha fornito le definizioni della materia civile e della materia penale in una portata tale che ci consente ormai di affermare che solo le cause tributarie che vertono esclusivamente sull’an e sul quantum dell’obbligazione tributaria rimangono all’esterno del cono protettivo dell’art. 6 CEDU.

Più in particolare, la Corte EDU ha affermato che il par. 1 dell’art. 6 costituisce lo statuto delle garanzie del processo civile, mentre l’insieme dei tre paragrafi dell’art. 6 rappresenta lo statuto delle garanzie del processo penale. Il diritto alla prova testimoniale è insito nel concetto di fair hearing di cui all’art. 6.1, ed è esplicitamente affermato nell’art. 6.3, alla lett. d), ove si afferma che ogni accusato ha diritto di «esaminare o far esaminare i testimoni a carico e ottenere la convocazione e l’esame dei testimoni a discarico nelle stesse condizioni dei testimoni a carico». In tal modo, il diritto alla prova testimoniale si applica tanto ai processi in materia civile, sulla base del principio dell’“udienza equa”, quanto (e con un maggior grado di rigore) ai processi in materia penale, che sono protetti sia dall’art. 6.1 sia dall’art. 6.3 CEDU.

Abbiamo virgolettato il contenuto del diritto alla prova testimoniale e occorre affermare che la giurisprudenza della Corte EDU ha più volte ribadito che il tratto irrinunciabile di tale diritto consiste nel riconoscere alle parti del processo la possibilità di ascoltare e interrogare i testi a carico e a discarico, secondo i principi ineludibili dell’oralità, del contraddittorio e dell’immediatezza al cospetto del giudice che deve decidere la causa; perché la prova testimoniale si forma in aula, consentendo al giudice e alle parti di verificare l’attendibilità dei testimoni e la veridicità delle affermazioni, sulla base del loro contenuto estrinseco e del linguaggio non verbale col quale sono rese (sui contenuti del diritto alla prova testimoniale, convenzionalmente intesa, e sulla sua applicazione in ambito tributario si rinvia a Calzolari A., Il diritto alla prova testimoniale nella giurisprudenza della Corte Europea e l’occasione mancata con la riforma del processo tributario, in federalismi.it, 2023, 20).

2. I fatti all’origine della pronuncia della Corte EDU. In ossequio alla struttura bipartita delle pronunce della Corte EDU indichiamo con “fatti” la somma degli eventi e degli atti, sia procedimentali sia processuali, che hanno caratterizzato la vicenda del soggetto che si rivolge ai giudici di Strasburgo. Mentre la seconda parte delle pronunce stesse è dedicata al “diritto”, che per la Corte Europea è rappresentato dal diritto CEDU, ossia l’unico che rileva per deliberare in ordine al ricorso alla medesima indirizzato. Dunque, sulla base delle informazioni disponibili è possibile sommariamente ricostruire i fatti che hanno dato origine al ricorso di Fin Fer Spa e alla conseguente decisione dei giudici di Strasburgo, pubblicata lo scorso 26 settembre.

La vicenda che ci occupa ha avuto inizio nel 2010 con un’indagine bancaria nei confronti dell’amministratore e degli altri azionisti della società, dalla quale emersero incongruenze significative tra le somme movimentate nei conti personali e i redditi dichiarati dai soggetti investigati. Alla luce del carattere familiare di Fin Fer Spa e del ristretto novero dei soci, ne conseguì un avviso di accertamento nei confronti della società, cui vennero imputati maggiori ricavi per circa 6,5 mln di euro (dedotti dalle movimentazioni bancarie) e sanzioni tributarie per oltre 3 mln di euro. L’atto di accertamento integrava le indagini bancarie con le dichiarazioni riportate nel PVC della Guardia di Finanza (GdF), rilasciate dai dirigenti di due società clienti, che affermavano di aver corrisposto all’amministratore di Fin Fer le somme di denaro relative agli acquisti commerciali.

Fin Fer impugnò l’avviso d’accertamento contestandone il difetto di motivazione e la mancata indicazione delle transazioni commerciali che avrebbero generato i maggiori ricavi. La Commissione tributaria provinciale (CTP di Avellino) respinse integralmente il ricorso, evidenziando che la società avrebbe dovuto dimostrare l’estraneità all’attività commerciale delle plurime movimentazioni bancarie contestate, due delle quali erano state confermate dalle dichiarazioni di terzi. Fin Fer impugnò la sentenza di primo grado sulla base del difetto di motivazione. In questo procedimento, tre mesi dopo la costituzione in giudizio presso la Commissione tributaria regionale (CTR della Campania) la società ricorrente presentò una memoria aggiuntiva, con la quale contestava le “dichiarazioni testimoniali” degli esponenti delle due società clienti, affermando che i due soggetti erano stati fraintesi e che le dichiarazioni erano state perfino manipolate dai militari della GdF all’atto della stesura del PVC. Dagli elementi in possesso di chi scrive, in particolare dall’assenza di qualsiasi riferimento a tale memoria sia nella sentenza della CTR sia della Cassazione, si deve evincere che detta memoria costituiva una nuova eccezione ai sensi dell’art. 57 D.Lgs. n. 546/1992, e che trattandosi di un’eccezione in senso proprio e non rilevabile d’ufficio, sia stata considerata inammissibile nel processo tributario. La CTR tuttavia accolse parzialmente l’appello, poiché ritenne dimostrata (anche grazie all’esame di altre dichiarazioni di terzi) l’estraneità di alcune movimentazioni bancarie rispetto alla gestione societaria.

Fin Fer propose infine il ricorso avanti la Corte di Cassazione, fondato su tre motivi: l’illegittimità del raddoppio dei termini decadenziali dell’accertamento (scaturente dalla denuncia penale da parte della GdF); l’illegittimità delle presunzioni bancarie e in particolare dell’attribuzione alla Spa ricorrente delle movimentazioni registrate sui conti dell’amministratore e degli altri soci; la mancata allegazione, all’avviso di accertamento notificato alla società, della denuncia della GdF alla Procura della Repubblica e dell’avviso di accertamento emesso nei confronti dell’amministratore di Fin Fer. Con la sentenza del 15 maggio 2015 (Cass. n. 9974/2015), la Corte ha rigettato integralmente il ricorso, in particolare rilevando come gravasse sulla ricorrente l’onere di dimostrare l’estraneità alle movimentazioni bancarie, in considerazione della prassi e della giurisprudenza consolidate sulla riferibilità dei conti di amministratori e soci alla società a ristretta base familiare.

All’esito del processo tributario nazionale, Fin Fer Spa ha presentato tempestivo ricorso alla Corte EDU, motivato essenzialmente in ordine alla mancata possibilità di convocare in aula i soggetti che avevano rilasciato le dichiarazioni riportate nel PVC della GdF, conseguenza del divieto di esperire la prova testimoniale, come enunciato in modo lapidario dall’art. 7, comma 4, D.Lgs. n. 546/1992 (nella versione allora vigente). Nel ricorso la società ha sostenuto inoltre che l’accertamento tributario era fondato su prove presuntive integrate da dichiarazioni testimoniali; pertanto, Fin Fer ha contestato la violazione degli artt. 6.1 e 6.3 CEDU (cfr. p.to 1 del presente scritto) a causa del mancato esercizio del diritto di esaminare in contraddittorio, davanti al giudice tributario, i testimoni a carico.

3. La decisione della Corte EDU. I giudici di Strasburgo hanno anzitutto rammentato due fondamentali sentenze rese con riferimento all’applicazione dell’art. 6 CEDU al processo tributario, ossia Corte EDU, 3 novembre 2022, Causa Vegotex International S. A. v. Belgio, e Corte EDU 4 maggio 2017, Causa Chap Ltd. v. Armenia, che confermano l’applicabilità astratta al processo tributario del diritto alla prova testimoniale. In quest’ultima la Corte Europea condannò l’Armenia per aver violato gli artt. 6.1 e 6.3 CEDU, in particolare per non aver consentito al ricorrente di interrogare i testimoni a carico, in quel caso costituiti dall’estensore di una perizia (un rapporto sul mercato televisivo armeno) e i soggetti che nel corso dell’indagine fiscale avevano rilasciato le dichiarazioni fondanti l’asserita evasione tributaria di Chap Ltd. In tale Causa, dunque, per la prima volta la Corte EDU riconobbe la duplice violazione dell’art. 6 nel processo tributario, rappresentata dalla violazione del diritto a una fair hearing (art. 6.1) e del diritto all’escussione dei testimoni (art. 6.3). La natura sostanzialmente penale delle sanzioni tributarie irrogate a Fin Fer rende teoricamente applicabile anche al suo ricorso l’intero statuto delle garanzie del processo penale (cfr. p.to 1 del presente contributo) e quindi avrebbe potuto determinare, astrattamente, il riscontro delle medesime violazioni di cui alla Causa Chap.

Tuttavia, la Corte EDU ha dapprima rammentato le limitazioni generalmente applicabili (ai processi sia civili sia penali) al diritto alla prova testimoniale (tutte le garanzie che informano l’art. 6 sono comprimibili, a date condizioni), nonché le ulteriori limitazioni cha tale diritto può conoscere nel processo tributario, dal momento che quest’ultimo non rientra nell’hard core (il “nocciolo duro”) della materia penale. In particolare, i giudici di Strasburgo hanno evocato i parametri da riscontrare con gli specifici test predisposti nei leading case sul diritto alla prova testimoniale, al fine di standardizzare il più possibile i giudizi sulla sua legittima compressione (cfr. Corte EDU, 15 dicembre 2011, Causa Al-Khawaja et Tahery v. Regno Unito; Corte EDU 15 dicembre 2015, Causa Schatschaschwili v. Germania; Corte EDU 18 dicembre 2018, Causa Murtazaliyeva v. Russia; Corte EDU 19 gennaio 2021, Causa Keskin v. Olanda). Ebbene, la Corte EDU ha evidenziato che per il ricorso presentato da Fin Fer Spa non è necessario esperire i test sulla legittima compressione della garanzia testimoniale, poiché il ricorso medesimo deve essere dichiarato inammissibile.

La Corte Europea ha infatti verificato che, a dispetto di quanto contestato nel ricorso, le dichiarazioni rese contro Fin Fer non avevano avuto un ruolo determinante nel processo tributario. Esse erano state utilizzate dall’Ufficio meramente per confermare le presunzioni scaturenti dalle indagini bancarie, essendo state già indicate nel PVC come elementi indiretti, atti a corroborare le presunzioni di natura finanziaria. Si tratta dunque di dichiarazioni che rivestono un ruolo ancillare rispetto a una modalità di accertamento costantemente applicata nell’ordinamento tributario italiano, ove sia la prassi amministrativa sia la giurisprudenza di merito e di legittimità hanno costantemente riconosciuto il valore probatorio delle cosiddette presunzioni bancarie. Considerando poi che nelle sentenze della Corte tributaria regionale e della Cassazione non si fa alcuna menzione né delle dichiarazioni degli esponenti delle società clienti né di contestazioni circa il diritto alla prova testimoniale, i giudici di Strasburgo concludono che i terzi in questione non possono nemmeno essere considerati testimoni, secondo il significato autonomo di tale termine giuridico, così come sviluppato nella giurisprudenza della Corte EDU.

Anche se i giudici di Strasburgo non utilizzano il sintagma “dichiarazioni di terzo”, i medesimi evidenziano altresì le dichiarazioni, trascritte su documenti, a favore della società ricorrente, che erano state valorizzate dalla CTR e che unitamente ad altri indizi avevano consentito ai giudici d’appello di annullare parzialmente l’atto d’accertamento. Quasi a dire che, conformemente a quanto ormai cristallizzato nelle regole processualtributarie italiane, nel procedimento nazionale sono state utilizzate sia le dichiarazioni di terzo a favore dell’Ufficio sia le dichiarazioni di terzo a favore del contribuente; in entrambi i casi, tuttavia, trattandosi di documenti scritti e con mero valore indiziario, non possono essere considerati prove testimoniali.

Infine, la Corte EDU si è soffermata sulla generica contestazione di Fin Fer Spa riguardo al fatto che era risultata soccombente nel processo nazionale sulla base di prove per presunzioni. I giudici di Strasburgo hanno rammentato che la giurisprudenza della Corte EDU legittima l’utilizzo della prova presuntiva, non reputando violato l’art. 6 nemmeno quando la presunzione determina l’inversione dell’onere probatorio in un processo penale. Gli Stati sottoscrittori della CEDU possono dunque legittimare le prove per presunzioni sia legali sia semplici, purché il loro utilizzo avvenga entro limiti ragionevoli, non potendo tradursi nella negazione del diritto di difesa e nemmeno potendo rendere oltremodo difficile il suo esercizio da parte dell’accusato. Ebbene, la Corte EDU rimarca che, né nei ricorsi nazionali né nel ricorso a Strasburgo, la società ricorrente ha contestato che le presunzioni bancarie fossero eccessivamente difficili da contrastare o che, comunque, il loro utilizzo abbia in qualche misura leso il diritto di difesa. Alla luce di tutte queste considerazioni, la Corte Europea non ha potuto far altro che rilevare la manifesta infondatezza del ricorso, dichiarandolo pertanto inammissibile ai sensi dell’art. 35 CEDU, non avendo il ricorrente dimostrato di aver patito alcuna compressione riguardo alle garanzie dell’equo processo fissate nell’art. 6.

4. L’ordinamento tributario italiano. La decisione della Corte EDU appare ineccepibile. È evidente che se le dichiarazioni dei dirigenti delle società clienti avessero avuto il valore di prova, allora, e solo in tale ipotesi, Fin Fer Spa avrebbe potuto contestare la violazione degli artt. 6.1 e 6.3 CEDU. Tuttavia, anche in tal caso il ricorso alla Corte EDU sarebbe stato respinto come inammissibile, in ossequio alla regola di cui all’art. 35, par. 1 della Convenzione, ossia del previo esaurimento delle vie di ricorso interno. Infatti, Fin Fer non ha, in ogni grado del processo nazionale (e rispettando le regole procedurali di ogni impugnazione), contestato la violazione del diritto a escutere i testimoni a sfavore, e ciò equivale a non aver esperito le vie di rimedio giurisdizionale offerte dall’ordinamento nazionale (della possibilità di esperire il ricorso per saltum a Strasburgo, con le conseguenti modifiche al computo dei quattro mesi che definiscono il termine di decadenza per presentare ricorso, parleremo in altra occasione). Come sempre, l’approccio della Corte EDU è sostanziale, e la regola del previo esaurimento delle vie di ricorso nazionali non può certamente considerarsi soddisfatta se nel processo nazionale non è stata sollevata la questione del rispetto della CEDU.

La percentuale di ricorsi dichiarati irricevibili dalla Corte Europea è ancora elevatissima, sia grazie agli scarti in via amministrativa (a opera della Segreteria della Corte, che vaglia la regolarità formale dei ricorsi, secondo il modello del “formulario” e dei documenti che devono essere allegati), sia grazie alle decisioni delle varie composizioni collegiali della Corte, che esaminano il rispetto dei requisiti sostanziali di ricevibilità del ricorso. Occorre stigmatizzare ancora una volta i due errori “sostanziali” più comuni: non si può adire la Corte Europea adducendo che i giudici di Cassazione hanno applicato in maniera scorretta il diritto nazionale (la Corte EDU non è un giudice di “quarta istanza”), né ci si può “ricordare” della CEDU solo all’esito insoddisfacente del processo nazionale, dal momento che le contestazioni di rilievo convenzionale devono essere sollevate fin dal ricorso introduttivo e poi essere coltivate nei successivi gradi del processo italiano.

Occorre ora verificare se l’ordinamento tributario italiano, alla luce della (ennesima) stagione riformatrice, abbia saputo porre rimedio alla violazione del diritto alla prova testimoniale, reso palese dall’art. 7, comma 4, D.Lgs. n. 546/1992 nella versione vigente all’epoca del ricorso di Fin Fer Spa. Sappiamo che il divieto è stato superato con la L. 31 agosto 2022, n. 130, che ha traslato nel rito tributario la possibilità di esperire la prova testimoniale scritta (d’ora in poi p.t.s.), introducibile con le forme dell’art. 257-bis c.p.c., avendo tale legge novellato il testo del citato quarto comma dell’art. 7 (in tema, su questa Rivista si veda, ad esempio, Demoro S., La nuova testimonianza nel nuovo processo tributario: un passo verso il giusto processo?, 2023, 1, 167 ss.). In realtà la modifica normativa ha assunto un mero carattere formale, rimanendo la p.t.s. ontologicamente e teleologicamente profondamente diversa dalla prova testimoniale. Chi scrive ha illustrato le ragioni di tale diversità (cfr. Calzolari A., Il diritto alla prova testimoniale nella giurisprudenza della Corte Europea e l’occasione mancata con la riforma del processo tributario, cit.) e in questa sede c’è appena lo spazio per ribadire la definizione che la Corte EDU ha attribuito alla prova testimoniale, come mezzo di prova che si forma in aula, oralmente e grazie all’apprezzamento che il giudice compie nell’immediatezza dell’audizione e del contradditorio con le parti, che hanno il diritto di interrogare i testi, sia a sfavore sia a favore. Nel caso specifico della testimonianza a carico dell’accusato, è sufficiente ricordare che dai test più sopra citati (cfr. par. 3) emerge, tra l’altro, il divieto di prendere in considerazione, nel processo, la trascrizione delle dichiarazioni se alla difesa non è consentito l’interrogatorio in aula degli autori delle dichiarazioni stesse; senza dimenticare la regola convenzionale (CEDU) secondo cui la parte non deve nemmeno motivare la richiesta di escutere i testi a carico, essendo in re ipsa la sua necessarietà. Appare viceversa “giuridicamente bizzarro” che il novellato art. 7, comma 4 contempli l’ammissione della prova (in forma scritta) solo ove la Corte «lo ritenga necessario ai fini della decisione», dunque secondo un giudizio prognostico dell’impatto della dichiarazione del terzo sull’esito del processo. Il lettore può ben intuire la distanza siderale dalla prova testimoniale di matrice CEDU, che è tale solo se si forma in aula.

Contestare la violazione dell’art. 6.3 (e 6.1 CEDU) rimane dunque una possibilità attualissima per il difensore tributario italiano, anzi un dovere in tutte le ipotesi in cui nel processo tributario fosse stato necessario, ai fini della difesa del contribuente, escutere i testimoni a carico ovvero introdurre testi a suo favore (secondo il significato autonomo che la figura del testimone possiede nel diritto CEDU, comprensivo dei soggetti della GdF e dell’Agenzia delle Entrate che hanno avuto un ruolo nella stesura del PVC e dell’atto di accertamento, e gli autori di eventuali perizie). Come già evidenziato, a ciò occorre aggiungere l’onere di sollevare la questione della violazione della CEDU fin dal primo grado del processo nazionale.

Non si tratta solo di un obbligo di rispetto formale dell’art. 35 CEDU, ossia in ossequio a uno dei requisititi di ricevibilità del ricorso a Strasburgo. È infatti necessario acquisire uno dei principi cardine del diritto della Convenzione Europea, ossia il principio di sussidiarietà, in virtù del quale deve essere fornita ai giudici nazionali la possibilità di rimediare alle violazioni della CEDU perpetrate dal potere legislativo e dal potere esecutivo (o dai giudici di merito). Secondo il principio di sussidiarietà, infatti, il giudice della CEDU è il giudice nazionale. La Corte EDU è investita solo di un potere di controllo, supplementare e ipotetico, sul rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali scolpiti nella CEDU, ovvero di un potere di intervento solo se la giurisdizione nazionale non è stata in grado di porre un rimedio alle violazioni patite dai cittadini rispetto alla Convenzione. Per far sì che il principio di sussidiarietà trovi compimento è indispensabile la sollecitazione dei difensori rispetto alle Corti nazionali, anche nella prospettiva di coinvolgere la Corte costituzionale. Si rammenta che ai sensi delle cosiddette sentenze gemelle della Consulta (Corte cost., 24 ottobre 2007, n. 348 e n. 349) la CEDU possiede un valore super legem e subcostituzionale, dunque le sue norme, come risultano dall’interpretazione fornita dalla Corte Europea, hanno il rango di norme interposte, superiore alla legge ordinaria ma tuttavia inferiore al dettato costituzionale. Secondo la Consulta le norme di cui non è possibile un’interpretazione convenzionalmente orientata devono essere sottoposte al giudizio di legittimità costituzionale, non essendo lecita la loro disapplicazione diretta da parte del giudice. Dunque, il difensore tributario deve chiedere al giudice italiano di interpretare la normativa nazionale in maniera conforme alla CEDU, ma laddove tale interpretazione non fosse possibile, il difensore deve invitare il giudice a proporre la questione di legittimità costituzionale della norma italiana, per violazione dell’art. 117 Cost. a causa del mancato rispetto del parametro convenzionale interposto (sovraordinato alla legge ma da sottoporre al vaglio di conformità alla Costituzione). In questo modo si offre al giudice delle leggi l’opportunità di eliminare con efficacia erga omnes le cause di incompatibilità dell’ordinamento giuridico con la Convenzione, espungendo definitivamente dal sistema tributario le norme con essa confliggenti. In disparte rimane quindi l’ulteriore necessità di adire il giudice di Strasburgo, nell’eventualità in cui il giudice nazionale (le Commissioni di Giustizia tributaria e la Corte di Cassazione) sia rimasto inerte, oppure il giudice delle leggi abbia rigettato la questione di legittimità costituzionale.

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