Cessioni di partecipazioni sociali e clausole di garanzia: riflessioni in tema di imposizione indiretta e diretta

Di Alessia D’Andrea - Silvio D’Andrea -

Abstract

Con le recenti sentenze della Suprema Corte (Cass., 20 marzo 2024, n. 7470; Cass., 20 marzo 2024, n. 7495; Cass., 21 marzo 2024, n. 7613; Cass., 13 dicembre 2023, n. 34917) pare finalmente risolta a controversa questione dell’ambito applicativo dell’art. 20 D.P.R. n. 131/1986 (imposta di registro) che, pur a seguito dell’intervento del legislatore in occasione delle Leggi di Bilancio 2018 e 2019, aveva trovato resistenza nella giurisprudenza che ha tentato (invano) di far dichiarare il contrasto del “nuovo” art. 20 con la Costituzione e, poi, tentata la via (ma senza successo) della incompatibilità comunitaria.

Resta incerto e discusso se il canone interpretativo, dettato dall’art. 20, che fa diretto riferimento agli effetti giuridici dell’atto sottoposto a registrazione e non tollera un’interpretazione “funzionale”, nel senso economico-sostanziale, sia applicabile, oltre che all’imposta di registro, anche alle imposte sui redditi e, in particolare, alle clausole di garanzia previste nell’ambito della cessione di partecipazioni.

Transfers of shareholdings and guarantee clauses: reflections on indirect and direct taxation – With the recent rulings of the Supreme Court (Cass., 20 March 2024, no. 7470; Cass., 20 March 2024, no. 7495; Cass., 21 March 2024, no. 7613; Cass., 13 December 2023, no. 34917) the controversial issue of the scope of application of art. 20 of Presidential Decree no. 131/1986 (registration tax) seems to have finally been resolved, which, despite the intervention of the legislator on the occasion of the 2018 and 2019 Budget Laws, had encountered resistance in the jurisprudence that attempted (in vain) to have the conflict of the “new” art. 20 with the Constitution declared and, then, attempted the path (but without success) of community incompatibility. It remains uncertain and debated whether the interpretative canon, dictated by art. 20, which makes direct reference to the legal effects of the deed submitted for registration and does not tolerate a “functional” interpretation, in the economic-substantial sense, is applicable, in addition to the registration tax, also to income taxes and, in particular, to the guarantee clauses provided for in the context of the transfer of shares.

 

 

Sommario: 1. Premessa. – 2. Cessioni di partecipazioni sociali. Imposta di registro. – 2.1. Art. 20 TUR ante riforma. – 2.2. Art. 20 TUR post riforma. – 3. Cessione dell’azienda e cessione delle partecipazioni. Effetti giuridici. – 4.  Clausole di garanzia nell’ambito della cessione di partecipazioni sociali. – 5.1. Clausole di garanzia e riqualificazione della cessione di partecipazioni sociali in cessione di azienda. – 5.2. Clausole di garanzia e autonoma tassazione con imposta proporzionale di registro. – 6. Cessione di partecipazioni sociali e clausole di garanzia. Regime fiscale ai fini delle imposte sui redditi. – 7. Principio di prevalenza della sostanza sulla forma. – 7.1. Cessione di partecipazioni e principio di derivazione rafforzata. – 8. Regime fiscale. Imposte sui redditi. – 8.1. Regime fiscale delle clausole di indemnity. – 9. Regime fiscale delle clausole di aggiustamento – prezzo

1. La Suprema Corte, con una serie di recenti pronunce (Cass., 20 marzo 2024, n. 7470; Cass., 20 marzo 2024, n. 7495; Cass., 21 marzo 2024, n. 7613; Cass., 13 dicembre 2023, n. 34917), tutte aventi ad oggetto la cessione totalitaria di quote e la riqualificazione dell’Ufficio fiscale in cessione indiretta di azienda, ha finalmente messo fine alla annosa questione interpretativa che ha caratterizzato l’assoggettamento ad imposta di registro e rigettato la tesi erariale.

Altre e ancora irrisolte questioni, che riguardano sia la tassazione indiretta, sia la diretta, si presentano, qualora, come è di prassi, l’atto di cessione delle partecipazioni sociali contenga “clausole di garanzia”, generalmente definite come “representations and warranties”, nella loro differente veste di clausola di price adjustment e clausola di indemnity.

Sebbene nelle citate sentenze non sia stato affrontato il problema della loro differente natura giuridica e del regime di tassazione (salvo nella sentenza n. 7613/2024 ove si afferma, comunque, la loro inidoneità a modificare il contratto di cessione di partecipazioni in cessione di azienda), la questione, che si pone su tutte, riguarda la natura delle clausole e la possibilità che la loro qualificazione, ai fini dell’imposta di registro, possa valere anche ai fini delle imposte sui redditi.

L’occasione offre interessanti spunti di riflessione su quelli che sono stati gli incerti confini della tassabilità indiretta – imposta di registro e, ora, della tassazione diretta delle clausole di garanzia previste nell’ambito di una cessione di partecipazioni sociali.

2. Le citate decisioni si collocano alla fine di un travagliato iter giurisprudenziale in cui la stessa Suprema Corte e l’Amministrazione finanziaria hanno manifestato una qual resistenza ad attenersi al dato normativo del riformato art. 20 D.P.R. n. 131/1986 (Testo Unico imposta di registro) (di seguito TUR) che attribuisce rilevanza agli effetti giuridici dell’atto presentato alla registrazione.

Come è noto, la disposizione è stata interessata da modifiche legislative, susseguitesi tra il 2017 e il 2018, volte a scongiurare il rischio per il contribuente che l’Amministrazione finanziaria potesse assoggettare ad imposta proporzionale di registro gli atti, sulla base della prevalenza della sostanza economica ovvero della “causa concreta”, valorizzando elementi extra testuali e di collegamento fra diversi atti giuridici.

Sebbene con le citate pronunce, certamente condivisibili, la Corte abbia messo un punto fermo, è utile una sintesi del percorso che ha interessato l’art. 20 TUR e della vicenda sulla tassabilità, ai fini dell’imposta di registro, della cessione di partecipazioni sociali, con riguardo ai differenti effetti giuridici della cessione di azienda e della tassazione delle clausole di garanzia inerenti la cessione delle partecipazioni sociali.

2.1. L’art. 20 TUR, nella sua formulazione previgente la modifica normativa del 2018, prevedeva che «le imposte sono applicate secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici degli atti presentati alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente».

La giurisprudenza di legittimità, a partire dai primi anni 2000, ha iniziato, tuttavia, a fare un uso – oggetto di critiche costanti e unanimi della dottrina – dell’art. 20, prima interpretato quale norma “antielusiva”, poi quale norma “speciale”, applicabile al solo settore dell’imposta di registro, che darebbe rilevanza alla c.d. “causa in concreto”.

In tal senso si concludeva che «la qualificazione interpretativa prescritta dal citato art. 20, ha ad oggetto la causa dell’atto, nella sua dimensione reale, concreta e oggettiva; quando gli atti sono plurimi e funzionalmente collegati […] non può rilevare che la causa concreta dell’operazione complessiva […] l’imposta di registro va dunque correlata alla causa concreta dell’operazione, in ossequio al principio costituzionale di eguaglianza e capacità contributiva di cui all’art. 53 Cost., dal momento che sarebbe irragionevole trattare in maniera fiscalmente diversa situazioni del tutto assimilabili dal punto di vista socio-economico […] (cessione di quote e cessione di azienda, ndr) […] visto che entrambe sono dirette a trasferire un bene in cambio di un corrispettivo di denaro […]” (Cass., 26 gennaio 2018, n. 2007).

2.2. L’art. 1 comma 87, lett. a), L. 27dicembre 2017, n. 205 (Legge di Bilancio 2018) ha modificato il testo dell’art. 20 TUR (Interpretazione degli atti) e riportato il potere di tassazione dell’atto nell’alveo del mero contenuto negoziale, quale emergente dalla registrazione, mediante la sostituzione del riferimento agli “atti” con quello al singolo “atto” sottoposto al registro ed escludendo la possibilità di fare riferimento sia ad elementi extra testuali, sia a negozi collegati; infine, ribadendo, nell’art. 53-bis TUR, l’applicabilità dell’art. 10-bis L. n. 212/2000 anche all’imposta di registro.

Non rilevano più gli elementi evincibili da atti eventualmente ad esso collegati, così come quelli riferibili ad indici esterni o fonti extratestuali, come ad esempio i comportamenti assunti dalle parti, nonché le disposizioni contenute in altri negozi giuridici collegati («L’imposta è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici dell’atto presentato alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente, sulla base degli elementi desumibili dall’atto medesimo, prescindendo da quelli extratestuali e dagli atti ad esso collegati, salvo quanto disposto dagli articoli successivi»).

In altri termini, si è proceduto all’eliminazione di ogni appiglio che consentisse di continuare a sostenere l’interpretazione avversata, che riqualificava la cessione delle partecipazioni sociali in cessione indiretta di azienda (vedi paragrafo successivo sugli effetti giuridici del contratto di cessione d’azienda, ben diversi da quelli della cessione di quote sociali).

Il nuovo testo del citato art. 20 TUR è, quindi, volto a scongiurare il rischio che l’Amministrazione finanziaria assoggetti ad imposizione l’atto presentato alla registrazione sulla base della “presunta sostanza economica” attribuita al comportamento negoziale delle parti (per il principio di prevalenza della sostanza economica sulla forma giuridica, vedi infra).

Nondimeno rimane ferma la possibilità di sanzionare i comportamenti potenzialmente abusivi ricorrendo all’art. 10-bis L. n. 212/2000 (Statuto del contribuente), quindi con le garanzie previste da tale disciplina e, nella specie, garantendo un contraddittorio e la possibilità di presentare istanza di interpello preventivo antiabuso ex art. 11, comma 1, lett. c), L. n. 212/2000.

Questo nuovo assetto normativo è stato seguito da un ulteriore intervento che ha chiarito che la novella costituisce una interpretazione autentica dell’art. 20 TUR (e, quindi, con effetto retroattivo) (art. 1 comma 1084, L. 30 dicembre 2018, n. 145, c.d. Legge di Bilancio 2019, «L’articolo 1, comma 87, lettera a), della legge 27 dicembre 2017, n. 205, costituisce interpretazione autentica dell’articolo 20, comma 1, del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131»).

Ma questi interventi legislativi, che hanno dettato un indirizzo radicalmente diverso da quello fatto proprio dall’Amministrazione finanziaria e da una pluriennale e consolidata giurisprudenza di legittimità, non sono stati sufficienti per porre fine al tentativo di “restaurazione” del precedente indirizzo.

Una prima volta la Consulta (sentenza n. 158/2020), chiamata a decidere, a seguito del rinvio della Suprema Corte (ord. 23 settembre 2019, n. 23549), sul «principio di prevalenza della sostanza economica sulla forma giuridica […] imprescindibile e storicamente radicato nell’ordinamento tributario in genere» che consentirebbe di valorizzare elementi extra testuali e di collegamento fra diversi atti giuridici, ha respinto e ritenuto non fondati i dubbi di costituzionalità, eccepiti ai sensi degli artt. 3 e 53 Cost., della scelta del legislatore di escludere ogni rilevanza agli elementi extra-testuali e ai negozi collegati (cfr. Melis G., L’articolo 20, d.p.r. n. 131/1986 e l’interpretazione degli atti sottoposti al registro: The End”, in www.giustiziainsieme.it, 11 settembre 2020) e con un secondo intervento (sentenza n. 39/2021) ha respinto gli ulteriori dubbi di legittimità costituzionale sulla retroattività per interpretazione autentica della nuova disciplina.

Ma anche questo non è bastato a porre fine alla controversa vicenda, tant’è che la Suprema Corte, con ordinanza 31 marzo 2022, n. 10283, ne ha disposto il rinvio pregiudiziale, per incompatibilità, dell’art. 20 TUR con gli artt. 5, n. 8, Direttiva 77/388/CEE e 19 Direttiva 2006/112/CE, alla Corte di Giustizia europea, ai sensi dell’art. 267 TFUE (Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea), la quale, con ordinanza n. 250/2022, ne ha dichiarato la manifesta irricevibilità.

Venuta meno anche la strada dell’incompatibilità comunitaria deve ritenersi finalmente cessata la prassi riqualificatoria del Fisco in chiave antielusiva, svincolata sia dalla garanzia del contraddittorio preventivo, sia dall’accertamento dei relativi requisiti (in tal senso Risposta all’interpello n. 196/2019, n. 371/2020, n. 260/2023) e, quindi, anche dal «tentativo […] di riaffermare il cosiddetto principio di prevalenza della sostanza economica sulla forma giuridica per dare concretezza al principio della capacità contributiva. In tal modo rafforzando il cosiddetto sostanzialismo metagiuridico che, a parere di scrive, non solo non giova alla certezza del diritto, ma altera l’equilibrio tra i poteri dell’ordinamento” (cfr. Mastroiacovo V., Acta est fabula: la CGUE giudica manifestamente irricevibile la questione pregiudiziale dell’art. 20 TUR dell’imposta di registro, così come prospettata, in Riv. tel. dir. trib., 2023, 1, 418 ss.).

Possiamo, quindi, concludere che ogni questione è risolta? – Acta est fabula: plaudite!

A me pare di no.

Resta incerto e discusso se il canone interpretativo, dettato dall’art. 20 TUR, che fa diretto riferimento agli effetti giuridici dell’atto sottoposto a registrazione e non tollera un’interpretazione “funzionale”, nel senso economico-sostanziale, sia applicabile, oltre che all’imposta di registro, anche alle imposte sui redditi e, in particolare, alle clausole di garanzia previste nell’ambito della cessione di partecipazioni; ma prima qualche cenno comparativo sugli effetti giuridici della cessione di azienda e della cessione di partecipazioni.

3. Come già detto, l’evoluzione, che in tema di “interpretazione degli atti” ha segnato la sfera di operatività dell’art. 20 TUR, trova oggi una più circoscritta definizione normativa che, riaffermando il principio di prevalenza della sostanza giuridica, ha ristretto l’oggetto dell’interpretazione al solo atto presentato alla registrazione e agli elementi solo da quest’ultimo desumibili.

Tanto premesso, onde cogliere l’importanza dei pronunciamenti della giurisprudenza di legittimità, occorre chiarire la portata e gli effetti giuridici delle due distinte fattispecie del contratto di cessione d’azienda e del contratto di cessione delle partecipazioni sociali.

Il contratto di cessione d’azienda comporta degli effetti civilistici ben precisi che le parti, nell’esercizio della loro autonomia contrattuale, ex art. 1322 c.c., possono avere in animo di realizzare, ad esempio il divieto di concorrenza.

La cessione della totalità delle quote di partecipazione al capitale sociale non solo non è produttiva degli effetti giuridici propri della cessione di azienda, discostandosene quanto ad estraneità di istituti tipici (cfr. artt. 2556 ss. e 2112 c.c.), ma neppure può essere ritenuta espressiva del trasferimento di un compendio produttivo organizzato idoneo, ex art. 2555 c.c., a fungere da azienda o ramo di essa.

Vero è che la cessione totalitaria delle quote di una società assolve la stessa funzione economica della cessione dell’azienda, pur tuttavia va considerato che affatto differente è la disciplina.

La cessione di azienda prevede, ad esempio, l’obbligo del cedente di astenersi dall’intraprendere una nuova attività imprenditoriale in concorrenza con l’azienda ceduta (art. 2557 c.c.), la cessione all’acquirente dei crediti, debiti e rapporti contrattuali dell’azienda ceduta (artt. 2558, 2559, 2560 e 2112 c.c.) (oltre la responsabilità solidale del cessionario dell’azienda per i debiti tributari concernenti le annualità pregresse, cfr. art. 14 D.Lgs. n. 472/1997); con la cessione delle quote il cessionario continua l’attività della società in cui è subentrato come socio e i debiti della società gravano su di essa con totale liberazione del cedente, anche senza il consenso dei creditori.

In buona sostanza la cessione di partecipazioni sociali non è in alcun modo assimilabile al trasferimento dell’azienda in quanto non attribuisce al socio subentrato la proprietà di una porzione dei beni della società, ma solo una quota del relativo patrimonio, comprensivo delle passività, dei crediti, dei rischi dell’esposizione per le obbligazioni già contratte, nonché dei poteri di indirizzo e gestione dei programmi societari con le relative aspettative.

In caso di cessione della partecipazione ciò che si realizza è, appunto, solo una cessione della quota societaria da parte del socio e, quindi, una modificazione della compagine sociale, ma non il trasferimento dell’azienda. Infatti alle società (di persone e di capitali) è riconosciuta la titolarità di situazioni giuridiche distinte da quelle facenti capo ai soci con la conseguenza che la cessione delle partecipazioni sociali non realizza la cessione dell’azienda societaria, che rimane, invece, nella disponibilità della società; se la cessione di azienda è assistita da un diritto di prelazione, la cessione di quote sociali, di regola, esclude la sussistenza del diritto di prelazione, salvo verificare l’intento simulatorio del contratto se l’intero patrimonio sociale, attraverso la cessione della totalità delle quote, sia concentrato nelle mani di un unico socio (cfr. Cass., 14 luglio 2004, n. 13075) (mi sia consentito il rinvio a D’Andrea S., Contratti d’impresa. Aspetti fiscali e civilistici, Milano, 2014).

Tanto deve valere anche ai fini tributari, ancorché il contratto di cessione delle partecipazioni societarie sia accompagnato dalla stipula, contestualmente o successivamente, di clausole di garanzia sulla consistenza patrimoniale della società (vedi infra).

4. Siamo giunti ad affrontare uno dei punti decisivi, cioè la differenza tra le clausole di riduzione prezzo e quelle di indennizzo (con il conseguente differente regime fiscale).

Il contratto di cessione di partecipazioni sociali (di capitali e di persone) può prevedere specifiche clausole di garanzia la cui natura giuridica è stata (ed è) oggetto di un ampio dibattito in dottrina e giurisprudenza che, anche con riguardo alla tassazione diretta, ha visto differenti soluzioni della Cassazione, tra queste, sent. 13 agosto 2020, n. 17011, 17 luglio 2023, n. 20358, e dell’Agenzia delle Entrate, tra cui, Interpello n. 110/E/2022 e n. 132/2022.

La questione risalente e ampiamente dibattuta riguarda la distinzione tra clausola di aggiustamento del prezzo (price adjustment) e clausola di indennizzo (indemnity), frutto dell’autonomia negoziale delle parti, che trovano progressiva diffusione nell’ambito dei contratti di cessione di quote sociali (share purchase agreements).

Da un punto di vista operativo non vi è dubbio che entrambe le pattuizioni assolvano una funzione di “garanzia”, con l’intento di riequilibrare prestazioni contrattuali in complesse operazioni di cessione delle partecipazioni societarie. Entrambe le clausole sono fondate sul presupposto che, al momento della determinazione del prezzo di vendita, i contraenti si trovano in uno stato di deficit informativo, ignari di possibili fatti – magari già avvenuti – in grado di incidere sul valore della società, ma che saranno accertati solo in futuro (Tina A., Il contratto di acquisizione di partecipazioni societarie, Milano, 2007, 507 ss.), ma è indubbia la differenza tra gli indennizzi e le rettifiche di prezzo che intervengono su piani diversi (cfr. Cass., 26 novembre 2021, n. 36831).

Le clausole di “price adjustment” stabiliscono anticipatamente l’adeguamento del prezzo in base a cambiamenti del “valore rilevante” ovvero della situazione patrimoniale e/o finanziaria della società “target” tra la data di “riferimento” e la data del closing e può essere, indifferentemente, a favore dell’acquirente o del cedente (Gambaro A., Arbitraggio e perizia contrattuale nelle clausole Price Adjustment ed Earn Out, in Riv. dir. priv., 2014, 1, 93).

Le clausole di “indemnity”, invece, si ricollegano ad una prestazione accessoria e autonoma (di natura assicurativa) consistente in un obbligo di manleva a carico del cedente (che si aggiunge a quella del prezzo), da eseguire in favore dell’acquirente al fine di salvaguardare lo stato di fatto in caso di difformità tra il valore della società “target” garantito dal cedente e quello effettivo sulla base del quale l’acquirente ha fatto affidamento in sede di perfezionamento del contratto, in forza di varie dichiarazioni e garanzie convenzionali – di varia natura, ad esempio, contabile, fiscale, ambientale – prestate dal venditore (Cass., 27 luglio 2014, n. 16963; Cass., 13 agosto 2020, n. 17011 con nota di Fransoni G., Clausole di garanzia nella cessione di partecipazioni, indennizzi e principio di derivazione rafforzata, in Rass. trib., 2000, 4, 1072 ss.).

Queste ultime, infatti, non sono coessenziali al contratto di cessione poiché riguardano la condizione economica e patrimoniale della società target e non sono riferibili alle garanzie ordinarie, ex art. 1497 c.c., per i vizi delle cose vendute (cioè non attengono alle partecipazioni che costituiscono l’oggetto immediato della cessione, ma al patrimonio sociale quale oggetto mediato dell’obbligazione) (cfr. Cass., 17 luglio 2023, n. 20538) (condivide la qualifica di obbligazioni autonome assunte dal venditore, Trimarchi P., Le garanzie contrattuali nell’acquisto di partecipazioni sociali, in Gitti G. e altri, a cura di, Studi in onore di G. De Nova: prospettive e limiti dell’autonomia privata, Milano, 2015, 3033 ss. Nello stesso senso, ex multis, Bonelli F., Giurisprudenza e dottrina su acquisizioni di società e di pacchetti azionari di riferimento, in Bonelli F. – De André M., a cura di, Acquisizioni di società e pacchetti azionari di riferimento, Milano, 1990, 29 ss.)[1].

Tali distinte qualificazioni assumono rilievo decisivo nell’ottica delle ricadute sul piano fiscale degli obblighi assunti dalle parti ai fini dell’imposta di registro (ma, come dirò, anche per le imposte sui redditi).

5. Per individuare il regime fiscale applicabile all’imposta di registro, secondo il disposto dell’art. 20 TUR, è necessario partire dalla qualificazione “civilistica” delle clausole di garanzia e dei conseguenti pagamenti, ovvero dalla specifica clausola negoziale che non consente un’interpretazione eccessivamente formalistica, ma impone di ricercare, in forza dell’art. 1362 c.c., la comune intenzione delle parti desumibile dall’atto portato alla registrazione, destinata a prevalere al di là del nomen juris e/o del testo letterale utilizzato in sede negoziale.

A seconda della loro natura, clausole di “aggiustamento del prezzo” o di “indemnity, si pongono due questioni: 1) se siano idonee e possano consentire di riqualificare la cessione delle partecipazioni sociali in cessione indiretta di azienda; 2) se, qualificate come clausole di “indemnity”, debbano essere autonomamente assoggettate ad imposta proporzionale di registro del 3%, ai sensi dell’art. 21 TUR.

5.1. Nell’ambito dell’imposta di registro la prima questione pare oggi meno controversa in forza del novellato art. 20 TUR che impone un legame più immediato con la qualificazione civilistica della fattispecie e della recente consolidata giurisprudenza della Suprema Corte che, da ultimo, con la sentenza 21 marzo 2024, n. 7613, pur prendendo atto della diversa natura giuridica tra le due categorie di clausole, le ritiene ininfluenti e tali da non consentire di mutare la causa contrattuale della cessione di partecipazioni sociali in cessione indiretta di azienda, con l’effetto che «l’imposta di registro deve essere sempre liquidata in misura fissa, essendo precluso al Fisco […] la riqualificazione della fattispecie nei termini di cessione indiretta di azienda, in forza dell’art. 20 del TUR, dal momento che la suddetta pattuizione (delle clausole di garanzia, ndr) non è idonea ad alterare la causa, né a mutare l’oggetto del contratto, al quale rimane estraneo, in coerenza con la sua intrinseca natura e i suoi effetti giuridici il trasferimento dell’azienda».

Ma nel pensiero della Corte resta la differenza, ancorché «[…] la discriminazione tra le clausole di indemnity e di price adjustment in senso stretto rischierebbe di non trovare fedele riscontro nella pratica degli affari, che tende ad adottare – in ragione della sottoposizione ad autonoma tassazione delle clausole di indemnity – tecniche contrattuali tali da ricondurre queste ultime nell’alveo delle clausole di price adjustment (depotenziandone, quindi, l’autonomia strutturale e funzionale), al fine di usufruire del regime fiscale più favorevole».

Insomma sebbene le due categorie di clausole, ai fini della respinta (ri)qualificazione della cessione di partecipazioni sociali in cessione indiretta di azienda, vadano  ricomprese nello stesso ambito di «clausola di revisione del prezzo, a fronte dell’effettiva consistenza patrimoniale del bene oggetto di compravendita», resta pur sempre il compito dell’interprete di ricercarne la natura giuridica, ovvero la comune intenzione delle parti, come desumibile dal solo atto portato alla registrazione, esclusi “elementi extra-testuali e atti ad esso collegati”.

5.2. Quanto alla seconda questione, richiamando la “discriminazione tra le clausole di indemnity e di price adjustment”, come ricordato dalla stessa Corte, occorre ricercare la comune intenzione delle parti risultante dall’atto portato alla registrazione.

La clausola di indemnity presuppone un inadempimento del cedente, a fronte della violazione (o inesattezza) delle garanzie convenzionali in merito al valore “effettivo” delle quote sociali cedute che comporta una prestazione “risarcitoria” autonoma, che si aggiunge a quella del prezzo, in capo al cedente, finalizzata a tenere indenne il nuovo socio da sopravvenienze passive latenti della società, emerse solo successivamente al trasferimento della titolarità delle quote sociali, nonché da passività future.

Orbene, in virtù del legame più immediato dell’art. 20 con la disciplina civilistica, è ora più agevole verificare se le clausole di garanzia siano clausole necessariamente connesse alla cessione delle partecipazioni (soggette a tassazione unica ad imposta fissa di registro, ex art. 21, comma 2, TUR) ovvero clausole autonome, anche se collegate per volontà delle parti al trasferimento, con l’effetto che i conseguenti pagamenti sarebbero tassati autonomamente con aliquota del 3% (art. 21, comma 1, TUR).

Il discrimen va individuato secondo l’intrinseca natura e gli effetti giuridici dell’atto, indipendentemente dal nomen iuris, vale a dire nella sussistenza o meno, del requisito che le disposizioni “derivano necessariamente, per la loro intrinseca natura, le une dalle altre”.

Sul punto la giurisprudenza di legittimità ha interpretato tale criterio nel senso che le disposizioni soggette a tassazione unica sono solo quelle fra le quali intercorre, in virtù della legge o per esigenza obiettiva del negozio giuridico e non per volontà delle parti, un vincolo di connessione o compenetrazione immediata e necessaria.

Occorre, cioè, che «sussista tra le convenzioni, ai fini della tassazione unica, un collegamento che non dipenda dalla volontà delle parti, ma sia, con carattere di oggettiva causalità, connaturato, come necessario giuridicamente e concettualmente, alle convenzioni stesse» (Cass., 19 ottobre 2012, n. 17948 e riconoscono la natura autonoma e accessoria Cass., 4 maggio 2009, n. 10180; Cass., 7 giugno 2004, n. 10789; Cass., 27 luglio 2014, n. 16963)[2].

Ne consegue che la natura eventuale e autonoma delle clausole di indemnity, stipulate contestualmente o successivamente al contratto di cessione delle partecipazioni sociali (anche totalitarie), può costituire il presupposto per la tassazione distinta (rispetto al contratto di cessione di partecipazioni sociali soggetto ad imposta fissa) di tali clausole che vanno, pertanto, tassate con imposta proporzionale di registro del 3%, invece dell’ordinaria tassazione del contratto di cessione di partecipazioni sociali (imposta fissa di registro) (cfr. art. 21, comma 1, TUR).

In senso opposto è stato sostenuto che, in ogni caso, le clausole di garanzia vanno ricomprese nell’ambito della riduzione del prezzo in quanto «il negozio è unico, il prezzo unico, la disposizione è unica e unica, pertanto, deve essere la tassazione. Gli indennizzi successivamente corrisposti non assumono rilevanza […] perché incidono sul valore delle azioni cedute e, quindi, sul prezzo di cessione» (Salanitro G., Cessioni di azioni, cessione di azienda e clausole sulla consistenza economica della società, tra interpretazione dell’atto e tassazione di disposizioni plurime, in GT – Riv. giur. trib., 2013, 1, 17 ss.); sul punto, a me pare, si dia per definito quel che va accertato, ovvero se la clausola di garanzia, pur non mutando la natura del contratto di cessione di partecipazioni, rappresenti una clausola di riduzione – prezzo o di indennizzo, con conseguente prestazione aggiuntiva e autonoma.

 

6. Per determinare il regime fiscale delle clausole di garanzia, e dei conseguenti pagamenti, previste nell’ambito di un negozio di cessione di partecipazioni sociali, occorre stabilire se, oltre che per l’imposta di registro, anche per le imposte sui redditi, debba preferirsi la qualificazione civilistica in luogo di quella economico/sostanziale.

Vero è che “l’equazione fra la natura civilistica e la sua qualificazione fiscale non risulta autorizzata da un principio generale dell’ordinamento”, ma è possibile che un istituto disciplinato in ambito civilistico possa avere una diversa qualificazione fiscale; pur tuttavia, per evitare che la stessa clausola sia diversamente qualificata ai fini dell’imposta di registro e delle imposte sui redditi, in mancanza di deroga della legge fiscale, occorre basarsi sulla qualificazione giuridica dell’operazione, che impedisce di superare la realtà giuridica a favore di quella economica, quale principio valido, oltre che per l’imposta di registro, anche per le imposte sui redditi (nel senso che la qualificazione giuridica adottata per l’imposta di registro debba valere anche per le imposte sui redditi, cfr. Silvestri A., La fiscalità delle garanzie del venditore nelle cessioni di partecipazioni, in Riv. dir. trib., 2017, 2, I, 204) (un esame dell’art. 20 TUR, quale canone interpretativo generale, merita una più approfondita trattazione non possibile in questa sede; per la natura critica del rapporto tra l’art. 20 TUR e l’IVA, vedi Manzitti A., Un’altra inutile pagina sulla vicenda dell’art. 20 dell’imposta di registro, commento a Cass., ord. 31 marzo 2022, n. 10823, in Riv. tel. dir. trib., 2022, 1, 408 ss.; Fedele A., L’art. 20 D.P.R. n. 131/1986 non interferisce con l’applicazione dell’IVA, in Riv. tel. dir. trib., 2022, 1, 496 ss.; Mastroiacovo V., op. cit.).

La questione, davvero centrale è, quindi, quella del profilo ricostruttivo delle clausole pattizie di garanzia.

Come detto tanto i pagamenti di garanzia, quanto le rettifiche di prezzo possono assolvere la stessa finalità di riequilibro del rapporto economico tra cessionario e cedente a fronte del verificarsi di eventi inaspettati successivi alla cessione, pur tuttavia è necessario, da un punto di vista civilistico, riconoscere la differenza tra le clausole di indemnity e di price adjustment (cfr. Bonelli F., op. cit.), come ammette la stessa Cassazione, nella citata sentenza n. 7163/2024 «[…] la discriminazione tra le clausole di indemnity e di price adjustment» sebbene con il rischio «di non trovare fedele riscontro nella pratica degli affari […]».

E proprio questa pronunzia (e le altre coeve citate) insegna che il regime fiscale deve essere individuato, in ragione della natura civilistica, come cessione delle partecipazioni, sebbene in un’ottica “economico-sostanziale” venga ceduta l’azienda.

Lo stesso art. 20, che per individuare il presupposto impositivo fa espresso riferimento agli “effetti giuridici dell’atto”, spinge, infatti, verso un generale superamento della forma apparente o nomen iuris a vantaggio degli effetti (sostanza giuridica) prodotti dall’atto giuridico (cfr. Del Federico L., Forma e sostanza nella tassazione del reddito d’impresa: spunti per qualche chiarimento concettuale, in Riv. dir. trib., 2017, 2, 171).

Anche dall’art. 20 può, quindi, dedursi che “l’interpretazione […] non può basarsi sull’individuazione di contenuti diversi da quelli ricavabili dalle clausole negoziali […] e neppure può confondere gli effetti giuridici con quelli economici dell’operazione negoziale […]” (Cass., 24 agosto 2021, n. 23401).

In senso contrario, una dottrina non isolata, pur riconoscendo la differenza fra indennizzi e le rettifiche di prezzo, afferma che da un punto di vista “funzionale” entrambe le clausole assolvono la «medesima finalità economico-sostanziale di riequilibrare i rapporti economici tra acquirente e venditore […] ne consegue che i pagamenti di garanzia, pur essendo distinguibili dal punto di vista della loro qualificazione civilistico/formale dalle rettifiche di prezzo, appaiono – quanto meno quando così espressamente pattuito – a queste ultime accumulabili dal punto di vista economico/sostanziale […] con l’effetto che, a prescindere dal nomen iuris che le parti abbiano attribuito ad una clausola contrattuale, il regime fiscale sottostante dovrebbe essere espressione del contenuto sostanziale di tale clausola e della volontà che ha condotto le parti a sottoscriverla» (così Bazzoni L. – Piantavigna P., Regime tributario delle dichiarazioni di garanzia pattuite nell’ambito di contratti di compravendita di partecipazioni, in GT – Riv. giur. trib., 2021, 3, 247-249).

Questa conclusione, tuttavia, non giustifica e non tiene conto che, in assenza di deroga legislativa, privilegiare la sostanza economica sul titolo giuridico (che, come si dirà, non rappresenta un principio generale dell’ordinamento), genera una “disarmonia interpretativa” in violazione del principio di coerenza (intrinseco nell’ordinamento e derivabile dai principi di certezza del diritto e di conoscibilità delle situazioni giuridiche), con l’effetto che la medesima clausola, assoggettata a differenti canoni interpretativi, può essere qualificata, per l’imposta di registro, di natura assicurativa-risarcitoria e, per le imposte sui redditi, di riduzione prezzo, di natura patrimoniale e non reddituale, con conseguente regime fiscale del tutto diverso.

L’attenzione deve, quindi, essere portata sulla dibattuta questione della prevalenza della sostanza economica sulla forma giuridica.

7. Nell’ambito della qualificazione delle clausole di indemnity e di price adjustment non è possibile trascurare, anche se per brevi cenni, il dibattito su forma e sostanza nel diritto tributario (e sul principio di “derivazione rafforzata”), la cui trattazione va ben oltre il presente lavoro.

L’esistenza di un principio generale di prevalenza della sostanza sulla forma ha origini antiche e va oltre l’ambito dell’imposta di registro, ma riguarda tutto l’ordinamento tributario e il più ampio dibattito dei rapporti tra la disciplina tributaria e il codice civile.

Per sgombrare il campo da possibili equivoci, giova subito precisare che nell’approcciare il principio di prevalenza della sostanza sulla forma non mi riferisco agli obblighi di natura formale, contabile e documentale imposti dalla legge tributaria, ma al titolo giuridico ovvero alla configurazione giuridica del fatto economico.

Sostenere la prevalenza della sostanza sulla forma induce a trascurare ogni rilievo giuridico e riqualificare i fatti di gestione esclusivamente valutandoli in termini sostanziali, con conseguenze nel diritto tributario. Orbene, salvo specifiche deroghe dell’ordinamento, quale il principio di derivazione rafforzata di cui all’art. 83 TUIR (che nella fattispecie in esame non dovrebbe applicarsi, vedi infra), la prevalenza della sostanza economica sulla forma giuridica in materia tributaria non sembra trovare riscontro in un principio generale.

La nozione di “sostanza economica”, che dovrebbe prevalere sulla forma giuridica è stata ancora proposta dalla Cassazione, ordinanza di rinvio 23 settembre 2019, n. 23549, alla Consulta chiamata a decidere sulla legittimità costituzionale, per contrasto con gli artt. 3 e 53 della Cost., dell’art. 20 TUR nel testo vigente in quanto non consente più di valorizzare il collegamento negoziale e, in particolare «....[de]gli elementi extra-testuali e degli atti collegati sarebbe in contrasto con il principio di prevalenza della sostanza economica sulla forma giuridica».

La Consulta, sent. n. 158/2020, nel rigettare la questione di legittimità costituzionale, non ha dato credito ad una nozione di sostanza economica prevalente sulla forma giuridica e, partendo «dal problema “specifico” del perimetro applicativo dell’art. 20», ha affermato che «tutti i comuni criteri ermeneutici (in particolare, quello sistematico) convergono univocamente nel far ritenere la disposizione oggetto delle questioni come intesa a imporre che, nell’interpretare l’atto presentato a registrazione, si debba prescindere dagli elementi extra-testuali e dagli atti ad esso collegati» e dettato «taluni principi che paiono, finalmente, chiarire che non esiste alcuna sostanza economica “ulteriore” rispetto a quella giuridica. Il costante richiamo alla sostanza economica, infatti, altro non è che il tentativo di ricercare, inopinatamente, degli effetti giuridici ulteriori – ma inesistenti – rispetto a quelli che nascono dalla fattispecie legale: ciò in ragione di interessi (ritenuti) superiori e che il legislatore, secondo la giurisprudenza “creativa”, non sarebbe in grado di tutelare» (così Montanari F., La prevalenza della sostanza sulla forma nel diritto tributario secondo la Corte costituzionale, in Riv. trim. dir. trib., 2021, 1, 45 ss.)[3].

Non si tratta, quindi, di prevalenza della sostanza economica, ma semplicemente «avere riguardo alla sostanza economica delle operazioni non significa affatto […] prescindere totalmente dalla realtà giuridica, significa solo tener presente la medesima realtà da un diverso punto di vista» (cfr. Fransoni G., Clausole di garanzia nella cessione di partecipazioni, indennizzi e principio di derivazione rafforzata, cit.). Vale a dire che «se si vuole restare solidamente ancorati al diritto positivo (come sarebbe necessario fare nella nostra materia), il principio della cd. prevalenza della sostanza sulla forma, può essere applicato anche nell’ordinamento tributario solo in quanto espressamente sancito nel Framework (2018) [il Framework è un documento di riferimento nella elaborazione e interpretazione dei principi contabili e il Framework 2018 è la riedizione aggiornata e revisionata dell’informazione contabile e finanziaria, ndr] e in ragione della sua vigenza attraverso la strada, alquanto tortuosa ma facilmente riconoscibile, di una serie di rinvii: quello contenuto nell’art. 83, comma 1, t.u.i.r. che richiama i principi IAS/IFRS […]» (Fransoni G., Il principio della prevalenza della sostanza sulla forma nel nuovo Conceptual Framework for Financial Reporting, in Riv. tel. dir. trib., 2018, 1, 182 ss.).

Non vi può essere, pertanto, alcuna contrapposizione della sostanza economica verso una forma giuridica, “non vi è, quindi, alcuna prevalenza del fatto economico, ma, semplicemente una diversa configurazione giuridica di operazioni, assetti e rapporti pur sempre giuridici” (cfr. Del Federico L., Forma e sostanza nella tassazione del reddito d’impresa: spunti per qualche chiarimento concettuale, cit., 143).

In tal senso, a mio avviso, vanno lette e intese le differenti, citate, conclusioni della Cassazione (sentenze n. 17011/2020 e n. 20358/2023) e delle istanze di interpello 110/E/2022 e n. 132/2022 e, pertanto, non di prevalenza della sostanza economica sulla forma giuridica, ma, nelle diverse fattispecie decise ed esaminate, di una lettura conforme al diritto (il citato interpello n. 110/2022, nel qualificare la clausola, come adeguamento del prezzo della cessione, ha proprio fatto espresso riferimento alla sua natura giuridica, non rientrando l’operazione nell’ambito della derivazione rafforzata, esclusa ai sensi dell’art. 3, comma 3, lett. a), D.M. 1° aprile 2009, n. 48).

Non mi pare, quindi, consentito, salvo espressa deroga della legge fiscale, abbandonare la qualificazione giuridica, per adottare una differente qualificazione fiscale per una presunta prevalenza della “causa concreta” sul titolo giuridico, cioè dell’inquadramento dei pagamenti come rettifica – prezzo in ossequio ad aspetti economico-sostanziali (cfr. Silvestri A., op. cit., 203; contra Stevanato D., Acquisizioni di società e obblighi del venditore per le passività sopravvenute: la qualifica fiscale dell’indennizzo come differenza-prezzo, in Dialoghi tributari, n. 2011, 4, 387 ss.).

 

7.1. Come detto l’ordinamento tributario può prevedere specifiche deroghe al canone interpretativo fondato sul generale principio di legalità e della “forma giuridica”: è il caso del principio di “derivazione rafforzata”, di cui all’art. 83 TUIR, secondo cui, privilegiando la sostanza economica sulla forma giuridica, la rappresentazione dei fatti aziendali secondo i principi contabili vale anche ai fini fiscali.

Il problema della sua applicabilità alla fattispecie in esame va, tuttavia, risolto in base all’art. 3, comma 3, D.M. 1° aprile 2009, n. 48 che prevede una espressa deroga al principio di “derivazione rafforzata” per le operazioni di trasferimento di partecipazioni societarie, il cui “regime fiscale è individuato in base alla natura giuridica” –  indipendentemente dalla rappresentazione di bilancio – soprattutto se il pagamento è qualificato come rettifica del costo delle partecipazioni (cfr. circ. 28 marzo 2011, n. 7/E) (in tal senso è anche il citato interpello n. 110/2022 dell’Agenzia delle Entrate ove la cessione delle partecipazioni è qualificata in base alla “natura giuridica”).

In conclusione, nel caso di cessione di partecipazioni societarie, il regime fiscale dei pagamenti derivanti dalle clausole di garanzia va individuato assumendo a riferimento la loro natura giuridica, con impossibilità di superare la realtà giuridica a favore di quella economica.

8. In mancanza di una diversa ed espressa indicazione normativa, non mi sembra, quindi, possibile prescindere dall’adozione del medesimo criterio interpretativo, sia per l’imposta di registro, sia per le imposte dirette, che non può che basarsi sulla qualificazione civilista dei pagamenti, derivanti dalle clausole di garanzia.

E sul punto non può esserci incertezza.

Privilegiando l’interpretazione civilistica non possono sorgere conflitti o contraddizioni circa il regime fiscale da applicare, sia ai fini dell’imposta di registro, sia delle imposte sui redditi; diversamente potremmo avere, come già ricordato, che la medesima clausola di garanzia, ai fini dell’imposta di registro, sia considerata di natura assicurativa-risarcitoria (e tassata con imposta proporzionale di registro del 3%), mentre, per le imposte sui redditi, secondo un’interpretazione economica-sostanziale, assumere la diversa qualificazione fiscale di riduzione – prezzo, con del tutto differente regime fiscale applicabile.

Con tali premesse è ora possibile concludere e riassumere il regime fiscale applicabile alle diverse clausole di garanzia, a seconda che, in ragione della loro diversa natura giuridica, siano qualificate come clausole di indemnity (di natura reddituale) o di price adjustment (di natura patrimoniale), anche distinguendo il cessionario dal cedente.

 

8.1. Se il cedente assume un autonomo e specifico obbligo di indennizzo (affatto differente alla garanzia legale cui è tenuto, ex art. 1490 ss. c.c., il venditore verso l’acquirente) e, quindi, di natura reddituale, l’importo incassato dal cessionario costituisce, ai fini fiscali, una componente positiva di reddito quale sopravvenienza attiva impropria (per il concetto vedi Falsitta G., Manuale di diritto tributario. Parte speciale, Padova, 2018, 449), ex art. 88, comma 1, lett. a) TUIR, secondo cui sono tali «le indennità conseguite a titolo di risarcimento, anche in forma assicurativa, di danni diversi da quelli considerati all’art. 85, comma 1, lett. f) e all’art. 86, comma 1, lett. b)».

Simmetricamente in capo al cedente si verifica una sopravvenienza passiva, di cui all’art. 101, comma 4, TUIR, pari all’importo dell’indennizzo pagato (sebbene impropria ma ritenuta egualmente deducibile, cfr. Del Federico L., Minusvalenze, sopravvenienze passive e perdite, in L’imposta sul reddito delle persone fisiche, in Tesauro G., diretta da, Giurisprudenza sistematica di diritto tributario, Torino, 1994, 756).

Quanto alla deducibilità della sopravvenienza passiva, occorre distinguere:

  • se la partecipazione è stata trasferita senza beneficiare della partecipation exemption (pex) e, quindi, la plusvalenza è stata interamente tassata, l’indennizzo pagato dal cedente è deducibile;
  • se, invece, la partecipazione è stata ceduta usufruendo del regime pex la deducibilità dell’indennizzo dovrebbe egualmente essere ammessa, nel rispetto del principio di inerenza ex 109, comma 5, TUIR «Le spese e gli altri componenti negativi, diversi dagli interessi passivi, […] sono deducibili se e nella misura in cui si riferiscono ad attività o beni da cui derivano ricavi o altri proventi che concorrono a formare il reddito», in quanto costo non ritenuto specificamente inerente alla cessione delle partecipazioni esenti (i «costi specificamente inerenti alla cessione, […] sono da individuare: in primo luogo negli oneri accessori sostenuti in occasione della cessione della partecipazione (ad esempio, spese notarili, spese per perizie tecniche ed estimative, provvigioni dovute agli intermediari, ecc.; in altri eventuali oneri che siano specificamente e non solo indistintamente collegati alla realizzazione della plusvalenza esente», circ. 4 agosto 2004, n. 36/E) (cfr. Silvestri A., op. cit., 220-221).

9. Il pagamento qualificato come riduzione del prezzo della cessione delle partecipazioni va assoggettato allo stesso regime fiscale delle componenti di reddito che vanno ad integrare.

Per il cessionario comporta un effetto, meramente patrimoniale e non reddituale, di riduzione del valore fiscalmente riconosciuto della partecipazione ceduta, per come determinato ai sensi dell’art. 110 TUIR, rilevante ai fini della plusvalenza (o minusvalenza) che sarà realizzata in sede di successiva cessione della partecipazione stessa, in particolare:

  • un incremento del prezzo rispetto a quello originario determina un aumento del costo della partecipazione;
  • una riduzione del prezzo rispetto a quello originario comporta un decremento del costo della partecipazione.

Per il cedente la somma percepita per la cessione delle partecipazioni sociali va qualificata come plusvalenza che seguirà il regime della partecipation exemption ex art. 87 TUIR, se ricorrono i requisiti previsti (cfr. ris. 13 luglio 2009, n. 184/E), in particolare le rettifiche di prezzo devono essere trattate in modo omogeneo rispetto alla plusvalenza originaria:

  • se la partecipazione ceduta ha dato origine a componenti di reddito interamente tassati, ad esempio per mancanza dei requisiti pex, l’importo percepito dal cedente è interamente imponibile;
  • l’eventuale minusvalenza non è deducibile, ex 101 TUIR, ove sia relativa a partecipazioni pex, mentre sarà interamente deducibile, ex art. 101, comma 4, TUIR, se la partecipazione ceduta non aveva i requisiti pex.

(*) Anche se il saggio è il frutto delle riflessioni congiunte degli Autori, i paragrafi da 1 a 4 sono imputabili ad Alessia D’Andrea e i restanti a Silvio d’Andrea.

(**)  Il saggio è stato sottoposto a double blind peer review con valutazione positiva. Esso confluirà nel fascicolo n. 2/2024 (semestrale) della Rivista telematica di diritto tributario.

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

Bazzoni L. – Piantavigna P., Regime tributario delle dichiarazioni di garanzia pattuite nell’ambito di contratti di compravendita di partecipazioni, in GT – Riv. giur. trib., 2021, 3, 241 ss.

Bonelli F., Giurisprudenza e dottrina su acquisizioni di società e di pacchetti azionari di riferimento, in Bonelli F. – De André M. (a cura di), Acquisizioni di società e pacchetti azionari di riferimento, Milano, 1990

D’Andrea S., Contratti d’impresa. Aspetti fiscali e civilistici, Milano, 2014

Del Federico L., Forma e sostanza nella tassazione del reddito d’impresa: spunti per qualche chiarimento concettuale, in Riv. dir. trib., 2017, 2, I, 139 ss.

Del Federico L., Minusvalenze, sopravvenienze passive e perdite, in L’imposta sul reddito delle persone fisiche, in Tesauro G. (diretta da), Giurisprudenza sistematica di diritto tributario, Torino, 1994, 756 ss.

Falsitta G., Manuale di diritto tributario. Parte speciale, Padova, 2018

Fedele A., L’art. 20 D.P.R. n. 131/1986 non interferisce con l’applicazione dell’IVA, in Riv. tel. dir. trib., 2022, 1, 496 ss.

Fransoni G., Clausole di garanzia nella cessione di partecipazioni, indennizzi e principio di derivazione rafforzata, in Rass. trib., 2000, 4, 1072 ss.

Fransoni G., Il principio della prevalenza della sostanza sulla forma nel nuovo Conceptual Framework for Financial Reporting, in Riv. tel. dir. trib., 2018, 1, 182 ss.

Gambaro A., Arbitraggio e perizia contrattuale nelle clausole Price Adjustment ed Earn Out, in Riv. dir. priv., 2014, 1, 93 ss.

Mastroiacovo V., Acta est fabula: la CGUE giudica manifestamente irricevibile la questione pregiudiziale dell’art. 20 TUR dell’imposta di registro, così come prospettata, in Riv. tel. dir. trib., 2023, 1, 418 ss.

Manzitti A., Un’altra inutile pagina sulla vicenda dell’art. 20 dell’imposta di registro (commento a Cass. ord. 31 marzo 2022, n. 10823), in Riv. tel. dir. trib., 2022, 1, 408 ss.

Melis G., L’articolo 20, d.p.r. n. 131/1986 e l’interpretazione degli atti sottoposti al registro: The End”, in www.giustiziainsieme.it, 11 settembre 2020

Montanari F., La prevalenza della sostanza sulla forma nel diritto tributario secondo la Corte costituzionale, in Riv. trim. dir. trib., 2021, 1, 45 ss.

Montanari F., La prevalenza della sostanza sulla forma come criterio di effettività e di rilevanza nei rapporti tributari, in Riv. dir. trib., 2019, 5, I, 517 ss.

Salanitro G., Cessioni di azioni, cessione di azienda e clausole sulla consistenza economica della società, tra interpretazione dell’atto e tassazione di disposizioni plurime, in GTRiv. giur. trib., 2013, 1, 17 ss.

Silvestri A., La fiscalità delle garanzie del venditore nelle cessioni di partecipazioni, in Riv. dir. trib., 2017, 2, I, 191 ss.

Stevanato D., Acquisizioni di società e obblighi del venditore per le passività sopravvenute: la qualifica fiscale dell’indennizzo come differenza-prezzo, in Dialoghi tributari, 2011, 4, 387 ss.

Tina A., Il contratto di acquisizione di partecipazioni societarie, Milano, 2007

Trimarchi P., Le garanzie contrattuali nell’acquisto di partecipazioni sociali, in Gitti G. – Delfini F. – Maffeis D. – Dalmartello A. – Ferrari C. (a cura di), Studi in onore di G. De Nova: prospettive e limiti dell’autonomia privata, Milano, 2015

[1] Vi è differenza tra vendita dell’azione – cui consegue l’acquisto dello status di socio ed anche la misura della partecipazione del nuovo socio nella società – e vendita dell’intero patrimonio o di singoli beni della società: solo in quest’ultimo caso oggetto della vendita sono i beni della società (e, quindi, non possono non trovare applicazione le garanzie dovuta dal venditore, con riferimento al patrimonio sociale). Nella vendita di azioni, la disciplina giuridica, invece, si ferma all’oggetto immediato e, cioè all’azione oggetto del contratto, mentre non si estende alla consistenza od al valore dei beni costituenti il patrimonio, a meno che l’acquirente, per conseguire tale risultato, non abbia fatto ricorso ad un’espressa clausola di garanzia, frutto dell’autonomia contrattuale, che consente alle parti di rafforzare, diminuire, od escludere convenzionalmente la garanzia, in modo da ricollegare esplicitamente il valore dell’azione al valore dichiarato del patrimonio sociale (Cass., 22 settembre 2022, n. 27709; Cass., 19 ottobre 2012, n. 17948; Cass. n. 26690/2006 e n. 16032/2007).

[2] Le eventuali clausole contenute nel contratto di cessione di azioni attinenti a garanzie per eventuali sopravvenienze tributarie connesse al periodo di gestione precedente, all’obbligazione di copertura di tutti i costi eventualmente derivanti da non conformità dei beni strumentali e all’obbligazione di corrispondere la (eventuale) differenza tra costi fissi e ricavi annuali, sono da ritenere disposizioni estranee all’oggetto e alla causa del negozio di cessione di azioni e vanno sottoposte ad autonoma tassazione ai fini dell’imposta di registro (Cass., 19 ottobre 2012, n. 17948).

[3] Il quale osserva ulteriormente che (Montanari F., La prevalenza della sostanza sulla forma come criterio di effettività e di rilevanza nei rapporti tributari, in Riv. dir. trib., 2019, 5, I, 517 ss.) lo stesso art. 10-bis dello Statuto dei diritti del contribuente, che ha trovato “linfa vitale” nella consolidata giurisprudenza della Suprema Corte, non contiene alcun rinvio alla c.d. substance over form affidandosi, anch’esso, a convenzioni e predeterminazioni normative, in netta controtendenza proprio rispetto ad un approccio di stampo sostanzialistico

Scarica il commento in formato pdf

Tag:, , , , ,