Il contributo di accesso veneziano e l’insostenibile overtourism: natura giuridica e prospettive di implementazione

Di Silvia Giorgi -

Abstract (*) (**)

Il contributo di accesso alla città antica di Venezia, volto a promuovere forme di turismo più sostenibili, ha la natura di tassa con una funzione moderatrice (non prevalente) che, tuttavia, dovrebbe essere valorizzata passando ad un modello incentrato sulla responsabilizzazione del visitatore quale fruitore di servizi e finanziatore consapevole e partecipe.

The Venice entrance ticket and unsustainable tourism: legal nature and enforcement prospects – The access fee to the ancient city of Venice, aimed at promoting a more sustainable tourism, has the legal nature of a charge with a moderating (not predominant) function. However, such a rationale should be enhanced by shifting to a model focused on empowering the visitor as a user of services and a conscious and active funder.

 

Sommario: 1. Premessa. – 2. Turismo sostenibile e overtourism.3. Il modello Venezia. – 4. La natura giuridica: tassa o corrispettivo di diritto pubblico? – 5. Vincolo di destinazione e potenzialità della digitalizzazione. 6. Considerazioni conclusive.

1. Il sovraffollamento turistico – ormai noto come “overtourism” – sembra offuscare l’attrattività di molte destinazioni turistiche, domestiche e non, culturali e naturali, imponendo un argine ad una pressione eccessiva e “concentrata” di visitatori.

Il ruolo dell’armamentario fiscale potrebbe prima facie apparire defilato ma le iniziative sinora intraprese dimostrano come l’esigenza di moderazione dei flussi ben si sposi con quelle finanziarie; da qui l’interesse per la misura sinora più “evoluta” concepita per incidere sul turismo “mordi e fuggi” dei c.d. visitatori escursionisti: il contributo di accesso alla città antica di Venezia (e alle altre isole minori della Laguna).

Dopo aver reiteratamente rimaneggiato e procrastinato l’entrata in vigore del Regolamento che istituisce e disciplina detto contributo, il 25 aprile scorso è stato ufficialmente attivato l’ingresso a pagamento, secondo una sperimentazione che, a quanto consta, costituisce un unicum nel panorama mondiale.

Esistono, infatti, numerosi tentativi di introdurre strumenti di moderazione dei flussi turistici in località “pressate” dal fenomeno dell’overtourism: dal ticket di accesso alle mura della città di Dubrovnik alla tariffazione aggiuntiva sull’utilizzo di acqua per pagare i costi infrastrutturali associati all’elevato numero di visitatori a Byron Bay, in Australia, fino al recente incremento dell’imposizione per i passeggeri delle navi da crociera che visitano la città di Barcellona per meno di 12 ore.

Sono note anche le sperimentazioni domestiche tra cui può essere proficuo ricordare la “card” introdotta per l’accesso alle Cinque Terre, il cui importo varia a seconda del periodo di visita, e i contributi per l’accesso “contingentato” alle spiagge La Pelosa, Punta Molentis, Cala Mariolu, Cala Goloritze, Cala Briola in Sardegna.

Tuttavia, il caso veneziano è di particolare originalità per diverse ragioni.

In primo luogo, perché si tratta del primo che coinvolge il centro storico di un’intera città. In secondo luogo, perché le sollecitazioni a regolare la pressione turistica provengono direttamente dall’Unesco e l’estemporanea introduzione del contributo fu animata dall’esigenza di tamponare la procedura di revoca dello status di sito Unesco alla città di Venezia. Inoltre rivestono un certo interesse anche la natura giuridica e la destinazione della misura prevista dalla L. n. 145/2018 (“Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2019”) che ha espressamente circoscritto il contributo alla Città antica di Venezia (art. 1, comma 1129).

L’esperimento, dunque, nelle intenzioni legislative nasce, per il momento, unico in quanto soltanto il comune di Venezia è stato autorizzato ad applicare, per l’accesso, con qualsiasi vettore, alla Città antica e alle altre isole minori della Laguna, la tassa di sbarco (ex art. 4, comma 3-bis, D.Lgs. n. 23/2011), alternativamente all’imposta di soggiorno. Nulla, tuttavia vieta di valutare, in chiave prognostica, l’efficacia della misura: se, infatti, si trattasse di una misura ben congeniata se ne potrebbe ipotizzare, de iure condendo, l’estensione ad altre città o località anche naturalistiche ad alta pressione turistica.

Da ultimo, l’attenzione per la misura deriva anche da un’eccentrica sentenza del Consiglio di Stato che – chiamato a pronunciarsi sulla legittimità della Delibera n. 75 del 23 dicembre 2022 del Consiglio comunale di Venezia relativa all’istituzione di un’addizionale comunale sui diritti aeroportuali di imbarco – ha affermato l’obbligo per l’Ente di motivare anche atti generali esternando le ragioni per le quali opta per l’adozione di una specifica misura, anziché di eventuali alternative previste dalla legge per il conseguimento del medesimo risultato (far fronte allo squilibrio strutturale dell’Ente). E, nel caso di specifico, tra le opzioni, figurava proprio il contributo d’accesso la cui entrata in vigore è stata ripetutamente sospesa e differita dal Comune.

In sostanza, il Giudice amministrativo, per quanto qui d’interesse, in preda forse ad un eccesso di garantismo, annulla l’atto per difetto di istruttoria e motivazione, non essendo stata data evidenza delle alternative legislativamente previste (tra cui incremento dell’addizionale IRPEF, contributo di accesso per i turisti escursionisti …), tanto più che i diritti di imbarco aeroportuale inciderebbero in minima parte sui cittadini veneziani e sui turisti in visita a Venezia, gravando, invece, su soggetti che, come i cittadini veneti che periodicamente si imbarcano all’aeroporto di Venezia, nessun beneficio potrebbero ricevere dai servizi resi dal Comune (Consiglio di Stato, 30 maggio 2024, n. 4858).

Il non detto espressamente è, dunque, di estremo interesse: maggiormente razionale e proporzionale sarebbe, a contrario, una forma di prelievo che colpisca chi dei servizi comunali fruisce ancorché attraverso una presenza mordi e fuggi sul territorio, fermo restando che, dato il neonato obbligo di motivazione anche per gli atti generali introdotto dal Giudice amministrativo, anche la relativa istituzione dovrebbe essere adeguatamente motivata evidenziandone il procedimento istruttorio.

2. Richiamando il contesto in cui il contributo di accesso deve essere calato, occorre rammentare che la promozione di forme di turismo sostenibili anima analisi, indicazioni ed iniziative internazionali ancor prima della crisi pandemica (tra i report più significativi, si segnala quello promosso dal Comitato Trasporti e Turismo [TRAN] del Parlamento Europeo, Peeters P. – Gössling S. e altri, Research for TRAN Committee – Overtourism: impact and possible policy responses, European Parliament, Policy Department for Structural and Cohesion Policies, Brussels, 2018, consultabile on line https://www.europarl.europa.eu/thinktank/en/document/IPOL_STU(2018)629184) e della conseguente maggior diffusione e consapevolezza circa le opportunità offerte dalla dimensione anche qualitativa della fruizione delle città d’arte e, in generale, delle destinazioni turistiche.

L’incremento incontrollato dei flussi turistici incide negativamente sullo sviluppo turistico in sé, determinando il rischio che la destinazione perda la propria attrattività ed autenticità, e mina, più in generale, il patrimonio artistico e naturale, con un incisivo impatto economico e sociale sull’area, a danno della popolazione residente. L’overtourism è, infatti, per definizione il turismo non – sostenibile, dal punto di vista ambientale, economico e sociale (Ficari V. – Scanu G., Tourism taxation. Sostenibilità ambientale e turismo fra fiscalità locale e competitività, Torino, 2013; Sciancalepore C., Attività turistiche e e tutela dell’ambiente nella prospettiva del Fisco, in UricchioA.F. – Selicato G., a cura di, La fiscalità del turismo, Bari, 2020, 68). Ormai diffusa è l’intolleranza verso il turismo predatorio con forme di protesta variegate da parte della popolazione residente nelle località turistiche “spogliate” della loro autenticità e vivibilità proprio per il fenomeno di sovraffollamento.

Da tempo si è avviato un dibattito politico-istituzionale sull’opportunità di subordinare l’accesso alle città d’arte, da parte dei non residenti, ed in primo luogo dei turisti giornalieri, al pagamento di un biglietto d’ingresso. È condivisa, infatti, l’idea per cui nelle città d’arte siano individuabili «maggiori costi che la pubblica amministrazione deve sostenere per la prestazione dei servizi pubblici (in particolare, a quelli legati all’igiene ambientale ed all’ordine pubblico), nonché per il restauro e la gestione dei siti culturali e la realizzazione di infrastrutture destinate ai turisti» (Tosi L. – Bagarotto E.M., La tassazione delle città d’arte e il contributo di accesso alla città di Venezia, in Riv. trim. dir. trib. 2021, 1, 98).

Inoltre, si devono considerare le esternalità negative, anche non strettamente economiche, che la popolazione residente soffre per effetto del sovraffollamento turistico (intasamento delle pubbliche vie, dei mezzi pubblici, ecc.); del consumo fisico delle città e dei suoi monumenti; dei fenomeni di “erosione culturale” e di espropriazione della identità sociale della città; del processo di espulsione delle unità produttive tradizionali e di quelle commerciali, c.d. di quartiere; dell’inquinamento, anche acustico; del processo di sostituzione della residenzialità locale; del tendenziale incremento dei prezzi degli immobili e, più in generale, dei beni e dei servizi.

La ratio delle tasse di accesso alle città d’arte, dal punto di vista economico finanziario, è, dunque, quella di finanziamento dei servizi pubblici aggiuntivi creati dall’afflusso turistico giornaliero. Ratio che concorre con quella di moderare i flussi turistici, responsabilizzando il turista o limitandolo nella fruizione di pubblici servizi o nel godimento di beni pubblici, altrimenti gratuiti e che trova copertura costituzionale nella salvaguardia del patrimonio culturale e dell’ambiente ex art. 9 e la tutela della salute ex art. 32.

Per quanto sia nota la resistenza a rendere oneroso l’accesso ai luoghi della cultura (Tarasco A.L., Diritto e gestione del patrimonio culturale, Roma-Bari, 2019, 22) riottosità amplificata nel caso delle città d’arte quali musei a cielo aperto, vi è sempre maggior consapevolezza, sia da parte dei visitatori, sia da parte dei policymaker, della necessità di sviluppare forme di turismo sostenibile, dal punto di vista ambientale, economico e sociale. Peraltro, a livello europeo, sin dal 2007, il Tourism Sustainability Group ha elaborato una serie di principi per garantire uno sviluppo turistico sostenibile, tra i quali figura dell’internalizzazione dei costi derivanti dalla pressione turistica e l’imposizione è individuata come uno degli strumenti per conseguire tale obiettivo.

In questa cornice deve, dunque, valutarsi in chiave prospettica il prelievo introdotto dal Regolamento per l’istituzione e la disciplina del Contributo di accesso, con o senza vettore, alla Città antica del Comune di Venezia e alle altre Isole minori della Laguna, approvato dal Consiglio Comunale il 12 settembre 2023 e modificato con deliberazione del 21 dicembre 2023.

3. Il ticket di accesso alle città d’arte è “costruito” come misura complementare all’imposta di soggiorno di cui al D.Lgs. 14 marzo 2011, n. 23 e strutturato come imposta di sbarco, con la peculiarità per cui si applica anche accedendo via terra.

Il Regolamento prevede l’applicabilità della misura a decorrere dal 2024, ma circoscrive, per il momento, l’applicazione del ticket pari a 5 euro, a 30 giorni l’anno previsti ad altissima densità turistica. I giorni per i quali è previsto il pagamento del contributo sono definiti dalla Giunta e coincidenti, nella prima fase sperimentale, con alcuni “ponti” primaverili e fine settimana estivi.

Il contributo di accesso deve essere corrisposto da ogni persona fisica che acceda alla Città antica del Comune di Venezia o alle altre isole minori della Laguna, fatte salve le numerose esclusioni (ad esempio, residenti, lavoratori anche pendolari e studenti) o le esenzioni contemplate dal regolamento stesso.

Sono contemplate oltre 20 ipotesi di esenzione, tra le più svariate, tra cui anche quella discussa dei «soggetti che si rechino in visita a persone residenti nella Città antica o nelle isole minori»(sulla prima versione del regolamento, si veda, in chiave critica, Tosi L., Le possibili alternative: l’esperimento della tassa di sbarco a Venezia e la prospettiva delle city tax, in Cordeiro Guerra R., a cura di, Città d’arte e Fisco, Pisa, 2021). È stato osservato che le fattispecie di esenzione costituiscono deroghe decisamente ampie che spiccano per una certa genericità e numerosi profili di irrazionalità. Si tratta, in effetti, di deroghe di gran lunga maggiori di quelle previste, più in generale, per la tassa di sbarco, alla cui disciplina, come detto, il contributo veneziano rinvia: l’art. 4, comma 3-bis, D.Lgs. n. 23/2011 si limita, infatti, a prevedere «Il contributo di sbarco non è dovuto dai soggetti residenti nel comune, dai lavoratori, dagli studenti pendolari, nonché dai componenti dei nuclei familiari dei soggetti che risultino aver pagato l’imposta municipale propria nel medesimo comune e che sono parificati ai residenti». Tuttavia, anche nel D.Lgs. n. 23/2011 è contemplata la possibilità, per i Comuni di prevedere nel regolamento modalità applicative del contributo, nonché eventuali esenzioni e riduzioni per particolari fattispecie o per determinati periodi di tempo.

Invero, e più in generale, è innegabile che la correlazione fra le entrate che derivano dalla gestione diretta dei beni culturali e le spese di conservazione e valorizzazione degli stessi (ossia la destinazione delle entrate alle predette spese) dovrebbe indurre le Amministrazioni a circoscrivere al massimo le ipotesi di gratuità dell’accesso, nonché a ponderare i trattamenti di privilegio (Cortese W., Commento all’art. 110, in Cammelli M., a cura di, Codice dei beni culturali e del paesaggio, Bologna, 2007, 429).

Le critiche alla sperimentazione veneziana si sono appuntate, poi, su ulteriori profili: la limitazione del diritto di movimento e di circolazione (verso la città e nella città); la discriminazione dei viaggiatori in base alle disponibilità economiche; l’ingerenza nella vita privata degli individui (mediante telecamere, rilevatori di presenze, autocertificazioni, ecc.).

Conseguentemente, il meccanismo sperimentale sta provocando anche taluni ostacoli ed inefficienze nella vita quotidiana non solo dei soggetti colpiti dal tributo, ma anche dei residenti che dovrebbero, invece, essere indirettamente “protetti” dal suo effetto moderatore.

4. Descritta brevemente la struttura del contributo, si può ora indagarne la natura giuridica, costruita dal legislatore come complementare all’imposta di soggiorno.

Guardando al nomen iuris, si parla genericamente di “contributo di accesso”. È noto, tuttavia, che la “nomenclatura” legislativa non è vincolante e, comunque, in questo caso è di scarso ausilio, non qualificando espressamente la misura né come corrispettivo privatistico, né come tributo (tassa o imposta).

Prima facie, si potrebbe infatti propendere per la qualificazione in termini di tributo, proprio in ragione della complementarietà del ticket all’imposta di scopo ed il rinvio alla disciplina della tassa di sbarco.

Per altro verso, sembrerebbe fecondo il parallelismo con i corrispettivi per l’accesso ai luoghi della cultura ex art. 103 del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio (il quale prevede che l’accesso agli istituti ed ai luoghi pubblici della cultura possa essere gratuito o a pagamento, rimettendo l’eventuale disciplina dell’accesso al pagamento a Ministero, Regioni e altri Enti pubblici) o con i pedaggi autostradali, entrambi solitamente qualificati come corrispettivi di diritto privato speciale.

La distinzione è rilevante per le conseguenze che implica: dall’individuazione della giurisdizione per le controversie derivanti dalla sua applicazione, al regime dei privilegi, ai vincoli, alla disciplina in tema di accertamento, sanzioni.

Il primo dato è che non mancano connotazioni pubblicistiche, autoritative ed unilaterali.

La fonte dell’obbligazione: la fattispecie è, infatti, introdotta ex lege dal comma 1129, art. 1 L. n. 145/2018.

In secondo luogo, la regolamentazione di dettaglio, la determinazione degli elementi strutturali del prelievo, delle modalità di applicazione, della quantificazione, delle eventuali forme di esonero ed agevolazione sono rimesse al Comune di Venezia, così sembrando confermare i tratti pubblicistici e autoritativi.

Potrebbe, dunque, propendersi per la qualifica in termini di tributo in quanto prestazione patrimoniale imposta ex art. 23 Cost. anche se non privo di elementi di originalità. Tant’è che la dottrina sinora pronunciatasi su tema (Tosi L. – Bagarotto E.M., La tassazione delle città d’arte e il contributo di accesso alla città di Venezia, cit., 97 danno per scontata la natura tributaria del ticket) sembra incline alla qualificazione tributaria. In tal caso, potrebbe configurarsi come una tassa a fronte del godimento di un bene pubblico, quale, appunto la località turistica. Si tratterebbe, poi, di un prelievo marcatamente ambientale, ancor più dell’alternativa imposta di soggiorno. Ciò in quanto, essendo stabilito in misura fissa, non è rapportato, neppure indirettamente, alla spesa sostenuta (e, dunque, alla forza economica manifestata) dal soggetto passivo.

Nonostante la determinazione autoritativa del presupposto del prelievo e di una parte qualificante del rapporto, occorre, però, guardare più globalmente al regime giuridico della fattispecie. È, noto, infatti, che per individuare il tributo (imposta, tassa o contributo), distinguendolo dalle altre entrate pubbliche (corrispettivi di diritto privato speciale, puri e semplici corrispettivi di diritto privato relativi a rapporti contrattuali paritetici, sanzioni pecuniarie, ecc.) vanno rinvenuti nella funzione del concorso alle pubbliche spese, nell’assenza di sinallagmaticità (corrispettività/commutatività) e nel regime tributario della fattispecie (Del Federico L., Tasse, tributi paracommutativi e prezzi pubblici, Torino, 2000, 212).

Il ticket di accesso potrebbe, dunque, essere assimilato ad un vero e proprio biglietto di ingresso, analogamente a quanto accade per l’accesso ai musei: in fin dei conti si tratterebbe, di fatto, dell’ingresso ad un museo a cielo aperto. Il contributo posto a carico dei visitatori si giustificherebbe con il fatto che i luoghi della cultura in rapporto al pubblico si configurano quali luoghi di erogazione di servizi ed il pagamento del biglietto sarebbe inteso non come la condizione per l’ammissione all’uso del bene pubblico (a mo’ di tassa), bensì come un contributo da versare per la copertura dei costi del servizio pubblico (Del Federico L., I ticket d’accesso alle città d’arte: strumenti utilizzabili, quadro normativo ed autonomia impositiva dei comuni, in Cordeiro Guerra R., a cura di, Città d’arte e Fisco, cit.).

Si tratterebbe di una forma di valorizzazione economica di un bene pubblico, incidendo il biglietto sul valore d’uso diretto del bene culturale consistente nella capacità di soddisfare bisogni di natura culturale connessi alla fruizione diretta del bene, scaturenti da una domanda individuale disposta al pagamento di un prezzo.

Analogamente a quanto avviene per fattispecie quali il road pricing e per i parcheggi a pagamento anche il “corrispettivo” per l’accesso alla città d’arte avrebbe natura di prelievo autoritativo, ancorato alla fruizione di beni e servizi pubblici, configurabile come corrispettivi di diritto privato speciale; è vero che la determinazione autoritativa dei presupposti del prelievo e di una parte qualificante del rapporto danno corpo ad una prestazione patrimoniale imposta ex art. 23 Cost., ma questi corrispettivi avrebbero natura patrimoniale e non tributaria. Sarebbero, quindi, riconducibili al sistema del Codice civile, salve deroghe pubblicistiche.

Di fronte alle due opzioni astrattamente praticabili e brevemente descritte nel loro substrato teorico, sembra potersi concludere che, allo stato, il “contributo di accesso” abbia propriamente natura tributaria. Ciò non solo per il nomen iuris, la fonte legale dell’obbligazione e i già rilevati profili pubblicistici, unilaterali ed autoritativi. Depone il tal senso anche il regime giuridico della fattispecie.

In primo luogo si è già detto del rapporto di complementarietà con l’imposta di soggiorno e del rinvio alla disciplina della tassa di sbarco. Tali elementi, per quanto non dirimenti, denotano, comunque, una voluntas legis recisamente volta verso il riconoscimento della natura tributaria.

Quanto alla titolarità del gettito ed al suo impiego, il regolamento del Comune di Venezia rinvia alla disciplina della tassa di sbarco e, dunque, il gettito è destinato «a finanziare interventi di raccolta e di smaltimento dei rifiuti, gli interventi di recupero e salvaguardia ambientale nonché interventi in materia di turismo, cultura, polizia locale e mobilità». Il vincolo di destinazione è, dunque, abbastanza ampio e non espressamente mirato a finanziare interventi in materia di turismo e salvaguardia/valorizzazione del patrimonio culturale (infra).

Da ultimo, sospingono verso il riconoscimento della natura tributaria le previsioni in materia sanzionatoria – con il chiaro rinvio alla disciplina delle sanzioni tributarie – nonché quelle in materia di accertamento, riscossione e rimborsi. Anche tale ultima circostanza può considerarsi alquanto significativa, giacché l’eventuale inadempimento dell’Ente (e, dunque, il mancato o inadeguato accesso) rileva esclusivamente al fine del verificarsi della fattispecie imponibile, ovvero dell’applicabilità del rimborso o di eventuali riduzioni, mentre nei rapporti di diritto privato tali fenomeni assumono rilievo come vero e proprio inadempimento e, quindi, come fonte di responsabilità per il risarcimento dei danni.

Per quanto, poi, il Legislatore parli di “contributo”, sembra più corretto qualificare il prelievo come tassa. In primo luogo, perché è in dottrina abbastanza discussa l’autonomia dell’eterogenea categoria dei contributi essendo, di fatto, riconducibili anch’essi alla categoria della tassa. In secondo luogo, perché, a tutti gli effetti, il prelievo sembra concepito per il godimento della città, determinando il conseguimento di un vantaggio individuale per il turista contribuente, inteso come fruizione, ancorché meramente potenziale del bene pubblico (da ultimo, sulla tassonomia dei tributi Del Federico L., La tipologia dei tributi nell’ordinamento italiano. I percorsi dell’elaborazione teorica in mancanza di codificazione, in Riv. dir. trib., 2024, 1, I, in particolare sulla tassa 13 ss.). La prestazione imposta e il concorso alle pubbliche spese hanno, dunque, come presupposto un fatto tipicamente riconducibile allo schema della tassa.

5. Come anticipato, accanto alla ratio economica, il tributo avrebbe dovuto assumere una prevalente funzione moderatrice. Nella prima fase di sperimentazione, da poco conclusasi, il prelievo sembrerebbe aver conseguito in via prioritaria i classici obiettivi di gettito (con la precisazione per cui, al momento, gli incassi sono inferiori delle spese di gestione dello strumento per strutture, campagne informative, piattaforma …), senza, tuttavia aver inciso in modo consistente sulla mole dei flussi, tanto che i dati ancora in fase di elaborazione rivelano un numero di paganti ben oltre le aspettative.

È certamente prematuro concludere per l’inefficacia della misura, ma è già stata adombrata l’idea di innalzare l’importo del contributo proprio al fine di incidere sulla razionalizzazione dei flussi. Tuttavia, se è vero che l’elasticità della domanda turistica potrebbe essere influenzata dall’ammontare del contributo, per destinazioni “uniche” – quali certamente Venezia – la domanda finisce per essere totalmente anelastica. In definitiva, salvo che l’importo del ticket non sia davvero consistente (ma ciò chiaramente solleverebbe ben altre problematiche) è ben difficile che l’obiettivo di moderazione dei flussi possa essere centrato.

Ciò, tuttavia, non deve condurre a escludere aprioristicamente una qualsivoglia funzione regolatrice a questa forma di prelievo. Piuttosto, occorre forse un generale ripensamento dell’obiettivo della razionalizzazione dei flussi, che non può prescindere dalla responsabilizzazione del visitatore e da un mutamento di prospettiva nel suo ruolo a concorrere alle spese necessarie a compensare le esternalità negative causate dal sovraffollamento turistico.

Il ticket come sinora concepito e presentato, tanto a livello istituzionale quanto promozionale-mediatico, vede nel turista un elemento negativo o, comunque, da contingentare imponendogli un prelievo meramente “subito” (secondo una tipica logica top down) e sottratto a qualsiasi logica di rappresentatività essendo la tassazione turistica fisiologicamente disancorata dal baluardo no taxation without representation.

Tuttavia, ciò non significa che il recupero delle determinazioni del contribuente (e, dunque, di una logica bottom up) non possa passare per altra via, valorizzando moduli impositivi e agevolativi ormai sedimentati nell’esperienza applicativa.

Innanzitutto, dovrebbe essere meglio delineato il vincolo di destinazione del gettito, garantendone anche la piena trasparenza e l’accountability (in generale, sulla centralità di tali profili nei c.d. tributi di scopo, Ricci C., Tributi di scopo, vincoli di destinazione e obblighi di rendicontazione, Pisa, 2024). Secondo la più recente ricostruzione teorica, infatti, l’etichetta dei c.d. “tributi di scopo” – cui anche il contributo veneziano potrebbe essere ricondotto – viene spessa utilizzata con valenza meramente descrittiva, per identificare un coacervo di tributi che, in comune, hanno il fatto di essere destinati ad uno specifico scopo ma che, per il diverso modo in cui sono strutturati e per la diversa rilevanza che i vincoli di destinazione alla spesa assumono nel regime giuridico della fattispecie imponibile, difficilmente possono essere ricondotti in una categoria giuridica autonoma. Nondimeno, si dovrebbe valorizzare il grande potenziale degli stessi in termini di accountability, e quindi concepirli nella logica di tributi caratterizzati da una definizione specifica e trasparente dei risultati e degli obiettivi attesi, mettendone in evidenza il ruolo nelle politiche di spesa e le conseguenze in termini di trasparenza ed efficienza delle scelte allocative.

Ciò posto, non sembra che, sotto questo profilo, il contributo vada nella direzione attesa, giacché il richiamo alla disciplina dell’imposta di sbarco opera, per espressa previsione del Regolamento, anche ai fini del vincolo di destinazione, e, dunque, il gettito può essere destinato ad una congerie di finalità (finanziare interventi di raccolta e di smaltimento dei rifiuti, gli interventi di recupero e salvaguardia ambientale nonché interventi in materia di turismo, cultura, polizia locale e mobilità). Si tratta di formule decisamente generiche, che consentono di estendere l’impiego del gettito non solo a favore del settore turistico, ma anche a beneficio di altri settori di ogni genere e specie, così “appannando” il vincolo di destinazione.

Un vincolo di destinazione più nitido e specifico probabilmente, renderebbe il prelievo maggiormente giustificato nei confronti dei visitatori, ma, sarebbe, probabilmente anche gradito ai soggetti residenti, semplici “spettatori” del rapporto tributario ma, comunque, incisi sia dalle esternalità negative dell’overtourism sia dalle modalità applicative del contributo che inevitabilmente impattano sulla loro vita quotidiana.

Sotto questo profilo, un ruolo rilevante potrebbe essere assunto dall’utilizzo dei dati e delle nuove tecnologie, purché maggiormente bilanciato e attento anche rispetto alle esigenze del contribuente-fruitore del servizio.

Generalmente l’impatto dell’uso dei dati e delle nuove tecnologie è indagato, nel versante tributario, per lo più sotto il profilo dell’intrusione nella sfera privata del contribuente, visto quale soggetto che “subisce” il ricorso, da parte degli enti impositori, a forme di controllo e misurazione della ricchezza sempre più sofisticate e insidiose, in quanto potenzialmente sottratte alle capacità di comprensione e verifica “umane” (Dorigo S., Il ragionamento giuridico nell’era dell’intelligenza artificiale, Pisa, 2020; Del Federico L. – Paparella F., Diritto tributario digitale, Pisa, 2023; Carpentieri L. – Conte D., La digitalizzazione dell’Amministrazione finanziaria tra contrasto all’evasione e tutela dei diritti del contribuente, Vol. I, Milano 2023 e Contrino A. – Marello E., Vol. II).

Tuttavia, proprio nell’ambito della fiscalità turistica, è forse ipotizzabile un maggior bilanciamento delle potenzialità insite nell’impiego di nuove tecnologie. Sul tradizionale versante dell’Ente impositore, i meccanismi di rilevazione delle presenze turistiche possono certamente essere funzionali a garantire una maggiore sartorialità dei prelievi turistici corroborando la funzione moderatrice degli stessi: il contributo di accesso (ma considerazioni non dissimili possono essere estese all’imposta di soggiorno) dovrebbe, infatti, assolvere anche alla funzione di decongestionare i flussi turistici in determinati periodi dell’anno, favorendo una più efficiente e sostenibile distribuzione delle presenze. La rilevazione delle presenze è quindi funzionale a modulare il prelievo nell’an e nel quantum, secondo criteri di ragionevolezza e proporzionalità basati proprio sulla densità turistica.

Al contempo, anche i meccanismi di riscossione del tributo o di autocertificazione delle ipotesi di esenzione o esclusione possono avvenire mediante una specifica app dedicata al turista. Al momento, infatti, gli adempimenti possono essere eseguiti sul sito del comunecda.veneziaunica.it le cui funzionalità si limitano, ad oggi, alla registrazione degli escursionisti, al pagamento e all’inserimento di eventuali fattispecie di esenzione.

Accanto a questa funzione tradizionale di ausilio per l’Ente impositore nell’accertamento e nella riscossione, potrebbero, poi, aprirsi spiragli per un impiego maggiormente equo e bilanciato del software, prevedendo che il medesimo non sia soltanto strumento di controllo “subito” dal contribuente ma anche uno strumento al suo servizio.

La medesima app potrebbe, infatti, essere utilizzata a vantaggio del turista: per costruire percorsi personalizzati e sartoriali sulla base degli interessi e delle esigenze che il turista vorrà trasmettere; per conoscere in tempo reale il numero di visitatori dei siti e monumenti di interesse turistico, così da indirizzare verso momenti a minor intensità di afflusso; per informare su mete, percorsi e siti meno noti e conosciuti, anche nelle vicinanze; per fornire informazioni sulla mobilità urbana; per prevedere sconti o convenzioni.

Al contempo, l’app potrebbe fungere da strumento di accountability, assicurando la trasparenza sul gettito dei prelievi turistici, sulla destinazione e sulla rendicontazione.

Una sezione potrebbe, quindi, essere dedicata ad individuare ex ante eventuali emergenze e priorità della città d’arte o della località turistica, anche al fine di rendere il contribuente a tutti gli effetti consapevole del fabbisogno finanziario dell’Ente e partecipe della destinazione del gettito. Accanto, infatti, alle forme di prelievo (imposta di soggiorno o ticket) obbligatorio, potrebbero abbinarsi, su base squisitamente volontaria, contributi aggiuntivi in cui il turista sceglie anche la destinazione del gettito tra una serie individuata di proposte “pubblicizzate” sull’app stessa, secondo il modello sperimentato con il c.d. Art Bonus.

Per quanto non immune da criticità, la logica sottostante all’Art Bonus (tipicamente bottom up) potrebbe essere replicata anche a livello locale, accrescendo il livello di consapevolezza e partecipazione dei turisti, senza escludere la possibilità di contributi volontari anche per i residenti per le “emergenze” e le “priorità” storico-artistiche rilevanti anche (e soprattutto) per la comunità locale.

6. Nonostante le criticità rilevate dalla dottrina e qui condivise, si tratta di una forma di prelievo che, con gli opportuni correttivi sopra evidenziati, può contribuire non solo a generare uno stabile flusso finanziario per sostenere i costi turistici, ma anche a migliorare la stessa fruizione dell’offerta turistica, evidenziando il vincolo di destinazione, responsabilizzando il visitatore e magari incentivandolo ad un turismo stanziale e qualitativo. La chiave di lettura dovrebbe essere quella di guardare a tale forma di prelievo non come mero strumento di gettito, ma anche di sensibilizzazione rispetto alle esigenze finanziarie degli enti impositori, con particolare riferimento al settore turistico, nonché di costruzioni di più adeguati percorsi di visita anche sulla base delle esigenze dei fruitori.

Il turismo sostenibile passa più attraverso una funzione moderatrice del tributo classicamente intesa – forse difficilmente praticabile per mete uniche quali le città d’arte italiane a fronte di una domanda tendenzialmente anelastica – per un recupero del “consenso” del contribuente nel modulo impositivo: individuazione delle priorità finanziarie; definizione e rendicontazione puntuale degli obiettivi attesi e raggiunti; coinvolgimento attivo del visitatore rispetto al fabbisogno della città d’arte; istituzione di forme di premialità verso il turista responsabile attraverso la messa a disposizione di servizi ulteriori e prettamente turistici rispetto a quelli fruibili in via generale da chi visita il territorio.

(*) Contributo nell’ambito del progetto PRIN PNRR 2022 prog. n. P20229KAX2, finanziato con i fondi del MIUR e nell’ambito del Programma finanziato dall’Unione Europea NextGenerationEU “La tassazione e la finanza pubblica nella transizione verso uno sviluppo economico sostenibile”, Università degli Studi di Roma Tor Vergata, Università degli Studi di Roma Sapienza e Università degli Studi di Firenze.

(**) Il saggio è stato sottoposto a double blind peer review con valutazione positiva. Esso confluirà nel fascicolo n. 2/2024 (semestrale) della Rivista telematica di diritto tributario.

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

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