IMU ed occupazione abusiva d’immobile: il dado è tratto?
Di Andrea Purpura
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Abstract (*)
La Corte costituzionale ha recentemente dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 9, comma 1, D.Lgs. 14 marzo 2011, n. 23 nella parte in cui non prevede che non sia dovuta l’IMU per gli immobili occupati abusivamente relativamente ai quali sia stata presentata una tempestiva denuncia in sede penale. La sentenza ridimensiona, se non neutralizza del tutto, quell’orientamento giurisprudenziale di merito e di legittimità (fino ad oggi prevalente) secondo il quale l’occupazione abusiva di un immobile al quale abbia fatto seguito la temporanea perdita del possesso da parte del proprietario non inciderebbe sul presupposto dell’IMU. Per giungere a queste conclusioni, i Giudici costituzionali si affidano esclusivamente agli artt. 3 e 53 Cost. ed aprono ad un’applicazione retroattiva dell’esenzione IMU prevista dall’art. 1, comma 759, lett. g-bis), L. 27 dicembre 2019, n. 160. In tal senso, saranno analizzati i possibili scenari aperti dalla sentenza sia in relazione ai rapporti in essere tra contribuenti ed Enti impositori sia a quelli “esauritisi”. Detta analisi verrà condotta secondo una duplice prospettiva: dapprima si terrà conto della recente introduzione, nello Statuto dei diritti del contribuente, dell’autotutela obbligatoria e facoltativa e degli effetti che quest’ultime potrebbero produrre nel caso che ci occupa; in secondo luogo, considerando la centralità riconosciuta dalla Corte alla denunzia penale dell’occupazione sine titulo, quale condizione per beneficiare, anche retroattivamente, dell’esenzione IMU.
The Constitutional Court clarifies that IMU is not due in the case of squatting, as long as the taxpayer has filed a criminal complaint or initiated legal proceedings – The Constitutional Court recently declared the constitutional illegitimacy of Article 9, paragraph 1, of Legislative Decree No. 23 of 14 March 2011, in the part in which it does not provide that IMU is not due for unlawfully occupied properties for which a timely criminal complaint has been filed. The judgment downsizes, if not completely neutralises, that jurisprudential orientation of merit and legitimacy (prevalent to date) according to which the unauthorised occupation of a property followed by the owner’s temporary loss of possession would not affect the IMU requirement. In order to reach these conclusions, the Constitutional Judges relyexclusively on artt. 3 and 53 of the Italian Constitution and open to a retroactive application of the IMU exemption provided by Article 1, paragraph 759, letter g-bis) of the Law of 27 December 2019. In this sense, the possible scenarios opened by the judgment will be analysed both in relation to the existing relationships between taxpayers and tax authorities and to those ‘exhausted’. This analysis will be carried out according to a twofold perspective: first, the recent introduction, in the Statute of Taxpayers’ Rights, of compulsory and optional self-defence will be taken into account and the effects that the latter could produce in the case at hand; secondly, considering the centrality recognised by the Court to the criminal denunciation of occupation sine titulo, as a condition to benefit, even retroactively, from the IMU exemption.
Sommario:1. Introduzione: l’inquadramento della questione (sino ad oggi) controversa. – 1.1. Il rinvio alla Corte costituzionale e le conclusioni della Consulta. – 2. Il superamento del binomio “possesso-res occupata”. – 3. Alcune considerazioni sugli effetti della sentenza in ordine ai rapporti giuridici in essere ed a quelli “esauriti”, anche alla luce della possibilità di agire in autotutela “obbligatoria” o “facoltativa”. – 4. La denunzia penale e/o l’esercizio d’una azione giudiziaria quale condizione (formale e sostanziale) per fruire dell’esenzione IMU da occupazione sine titulo. –5. Considerazioni conclusive.
1. Il dibattito giurisprudenziale sorto in relazione alla debenza o meno dell’Imposta Municipale Propria (IMU) nel caso di occupazione abusiva d’immobile è recentemente giunto ad un punto di svolta.
La Corte costituzionale, con sentenza 18 aprile 2024 n. 60, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 9, comma 1, D.Lgs. 14 marzo 2011, n. 23 (“Disposizioni in materia di federalismo fiscale municipale”) nella parte in cui non prevede che non sia dovuta l’IMU per gli immobili occupati abusivamente relativamente ai quali sia stata presentata una tempestiva denuncia in sede penale.
Così concludendo i Giudici delle leggi si pongono in netta controtendenza con la prevalente giurisprudenza di legittimità e di merito, orientatasi nel senso di ritenere che l’occupazione abusiva di un immobile al quale abbia fatto seguito la temporanea perdita del possesso da parte del proprietario non inciderebbe sul presupposto dell’IMU. Ciò in virtù del fatto che l’abusiva occupazione dell’immobile non integrerebbe una «causa atipica di esenzione dal pagamento del tributo» (CTR Lazio, 8 giugno 2021 n. 2858); sicché rimarrebbe impregiudicata la debenza del tributo in capo al formale proprietario dell’immobile (ex multiis, Cass. civ., sez. VI, 25 ottobre 2021, n. 29868).
Quelle ora richiamate non rappresentano conclusioni formulate, ex abrupto, dalla giurisprudenza di legittimità; al contrario, si tratta dell’esito di un percorso interpretativo via via formatosi e consolidatosi, soprattutto in seno alla Suprema Corte, in relazione al permanere del presupposto dell’IMU anche in casi non dissimili da quello di occupazione sine titulo. Si pensi, a titolo esemplificativo: all’occupazione di urgenza, finche´ non sia intervenuto il decreto di esproprio (per tutte, Cass. civ., sez. VI, 27 settembre 2016, n. 19041); all’ipotesi di requisizione da parte della Pubblica Amministrazione (Cass. civ., sez. V, 19 ottobre 2016, n. 21157); all’assoggettamento di un’area a vincolo urbanistico preordinato all’espropriazione (Cass. civ., sez. V, 17 maggio 2017, n. 12271) o, ancora, al caso di risoluzione del contratto di locazione finanziaria non accompagnata dalla contestuale restituzione dell’immobile da parte dell’utilizzatore (ex multiis, Cass. civ., sez. V, ord. 27 aprile 2022, Cass. civ., 4 marzo 2022 n. 7165, nonché Cass. civ., sez. V, 22 maggio 2019, n. 13793, con commento di Ragucci G., La Corte di Cassazione si pronuncia sulla vexata quaestio dell’IMU dovuta dopo la risoluzione anticipata del contratto di leasing, in Riv. tel. dir. trib., 2019, 2, 559 ss.).
A questa impostazione interpretativa, fondata sulla valorizzazione della titolarità formale dei beni (Marini G., Contributo allo studio dell’imposta comunale sugli immobili, Milano, 2000, 82 ss.) quale presupposto oggettivo del tributo, se n’è affiancata (seppur timidamente) un’altra, ad avviso della quale il potere sulla cosa che si manifesta in un’attività corrispondente all’esercizio della proprietà o di altro diritto reale – ovvero il presupposto soggettivo dell’imposta – dovrebbe considerarsi perduto nel momento stesso in cui sia venuta meno l’effettiva disponibilità della res occupata (Cass., sez. V, 20 marzo 2015, n. 5626, nonché Cass., sez. II, 29 gennaio 2016, n. 1723 e Cass., sez. V, 31 ottobre 2017, n. 25938).
Il Giudice delle leggi, dichiarando l’illegittimità costituzionale dell’art. 9, comma 1, D.Lgs. n. 23/2011, va oltre i due orientamenti ora richiamati.
Per farlo, supera la centralità fino ad oggi riconosciuta al binomio “possesso-res occupata”, e si affida agli artt. 3 e 53 della Costituzione, in applicazione dei quali esclude che possa considerarsi sussistente la capacità contributiva del proprietario nell’eventualità in cui questi abbia subito l’occupazione abusiva di un immobile ed abbia prontamente denunziato penalmente l’accaduto.
Ma v’è di più.
Le conclusioni raggiunte dalla Corte costituzionale conducono ad un’applicazione retroattiva dell’art. 1, comma 759, L. 27 dicembre 2019, n. 160 ove alla lett. g-bis) si dispone che a partire dal 1° gennaio 2023, dovranno considerarsi esenti dall’IMU, per il periodo dell’anno durante il quale sussistono le condizioni prescritte, gli immobili non utilizzabili né disponibili, per i quali sia stata presentata denuncia all’Autorità giudiziaria in relazione ai reati di cui agli artt. 614, comma 2, o 633, c.p. o per la cui occupazione abusiva sia stata presentata denuncia o iniziata azione giudiziaria penale.
Si tratta di un profilo non di poco momento.
Se non altro perché l’esenzione IMU per abusiva occupazione prevista dalla L. 29 dicembre 2022, n. 197 non era stata introdotta da una norma d’interpretazione autentica. Pertanto non parevano porsi particolari perplessità circa la sua irretroattività e, per la conseguenza, in ordine alla sua idoneità a produrre effetti soltanto pro futuro, lasciando così impregiudicate le valutazioni circa la verifica della sussistenza del presupposto d’imposta nelle ipotesi di occupazione abusiva verificatesi in un momento antecedente al richiamato intervento normativo (sul punto, sia consentito rimandare a Purpura A., Prime osservazioni sull’esenzione IMU per gli immobili oggetto di occupazione abusiva introdotta dalla Legge di Bilancio 2023, in Riv. tel. dir. trib., 2023, 1, 485 ss.).
Anche in tal senso, la Corte costituzionale compie un significativo passo in avanti. Stanti queste considerazioni, se è vero, come avrà modo di meglio evidenziarsi nel prosieguo, che la dichiarazione d’illegittimità costituzionale dell’art. 9, comma 1, D.Lgs. n. 23/2011 neutralizzi l’approccio formalistico adottato dalla giurisprudenza di merito e di legittimità in ordine alla sussistenza della debenza IMU anche nel caso di abusiva occupazione d’immobile, è pur vero che gli effetti prodotti dalla sentenza sembrerebbero essere ancor più profondi. Ciò anche alla luce della centralità riconosciuta dalla Corte alla denunzia penale dell’occupazione sine titulo, quale condizione per beneficiare, anche retroattivamente, dell’esenzione IMU.
1.1 Ciò premesso, prima di entrare nel merito dei profili argomentativi addotti dalla Corte costituzionale a sostegno delle proprie conclusioni e degli effetti che la sentenza n. 60 del 18 aprile scorso sembrerebbe idonea a produrre, è utile ripercorrere sinteticamente il percorso, di fatto e giurisprudenziale, che ha condotto alla declaratoria d’illegittimità costituzionale dell’art. 9, comma 1, D.Lgs. n. 23/2011.
La controversia nasce a seguito di due ricorsi della casa di cura “Valle Fiorita srl” avverso il silenzio rifiuto opposto da Roma Capitale sull’istanza di rimborso del versamento IMU, rispettivamente per le annualità 2013 e 2014, relativo a un immobile di proprietà della suddetta società, occupato abusivamente da terzi a partire dal dicembre 2012.
Stando alla ricostruzione fattuale riportata in apertura di sentenza della Corte costituzionale, la contribuente avrebbe dimostrato che erano state attivate tutte le necessarie iniziative per prevenire l’occupazione dell’immobile e avrebbe, altresì, provveduto a denunciare immediatamente all’Autorità preposta l’avvenuta sua occupazione abusiva. Ciononostante, benché fosse stato disposto un sequestro preventivo dell’immobile da parte del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Roma nell’agosto 2013, lo stesso non aveva avuto esecuzione per motivi di ordine pubblico.
Il dato normativo in ragione del quale l’Ente impositore aveva negato il rimborso dell’IMU alla ricorrente era costituito, in sintesi, da due norme: l’art. 13, comma 2, D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, secondo cui «l’imposta municipale propria ha per presupposto il possesso di immobili […]» e l’art. 9, comma 1, D.Lgs. n. 23/2011, stante il quale i «soggetti passivi dell’imposta municipale propria sono il proprietario di immobili […] ovvero il titolare di diritto reale di usufrutto, uso, abitazione, enfiteusi, superficie sugli stessi […]”.
Stante la base giuridica di riferimento ed il suo tenore letterale, è evidente che la negazione del rimborso IMU traesse forza e trovasse giustificazione proprio in quel modo d’intendere il rapporto tra il proprietario e/o il titolare di altro diritto reale di godimento ed il bene occupato quale relazione in cui il possesso del bene non soltanto non subirebbe un ridimensionamento a margine dell’occupazione sine titulo, ma sopravviverebbe all’inutilizzabilità ed alla infruttuosità del bene immobile. In questa prospettiva, sarebbe proprio il permanere del possesso “formale” sul bene il canone attraverso cui valutare, in coerenza con i parametri normativi sopra richiamati, la sussistenza o meno della soggettività passiva ai fini IMU (Paparella F., Le incertezze della Corte di Cassazione in merito all’individuazione del soggetto passivo dell’IMU nel caso di risoluzione anticipata del contratto di leasing, in Riv. dir. trib., 2020, 2, 90 ss.).
Se ciò è vero, l’impostazione adottata dall’Ente impositore non ha trovato accoglimento.
Al contrario, la Corte di Cassazione ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 1, D.Lgs. n. 23/2011, nella parte in cui non prevede ratione temporis l’esenzione dal pagamento dell’imposta municipale unica (IMU) nell’ipotesi di occupazione abusiva dell’immobile che non possa essere liberato pur in presenza di denuncia agli organi istituzionali preposti, per violazione degli artt. 3, comma 1, 53, comma 1, e 42, comma 2, della Costituzione e dell’art. 1 del Protocollo addizionale alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
La Corte costituzionale ha accolto la questione di legittimità. Lo ha fatto, come anticipato, affidandosi, in primo luogo, agli artt. 3 e 53 della Costituzione, in applicazione dei quali i Giudici delle leggi sono andati oltre le diverse declinazioni del concetto di “possesso” la cui diffusione aveva senz’altro concorso all’affermazione dell’orientamento giurisprudenziale, al quale si cennava nel primo paragrafo, sfavorevole a quei contribuenti che, seppur vittime di un’abusiva occupazione, siano stati chiamati al versamento dell’imposta municipale propria.
2. Sul punto appena richiamato, è emblematico quel passaggio della sentenza ove i Giudici costituzionali affermano a chiare lettere che «indipendentemente dalla nozione di possesso cui debba farsi riferimento a proposito dell’IMU, è irragionevole affermare che sussista la capacità contributiva del proprietario che abbia subito l’occupazione abusiva di un immobile che lo renda inutilizzabile e indisponibile e si sia prontamente attivato per denunciarne penalmente l’accaduto […]».
È subito evidente l’intento della Corte di spostare l’attenzione verso una differente chiave di lettura non più ancorata alla diversa valorizzazione della relazione giuridica intercorrente tra il proprietario o titolare di altro diritto reale di godimento che abbia subito l’occupazione abusiva ed il bene occupato; a contrario, la Corte sposa una soluzione interpretativa differente che si traduce nella opportunità, e necessità, di valutare l’idoneità del bene occupato ad assurgere ad indice concretamente rivelatore di ricchezza ai sensi dell’art. 53 Cost. E, vien da dire, non potrebbe essere altrimenti.
A tal proposito s’è già avuto modo di rilevare tempo addietro come nel caso di occupazione sine titulo d’un bene immobile, il venir meno del potere materiale di fatto esercitato, o in ogni caso esercitabile, sulla res produrrebbe un ridimensionamento significativo, se non totale, dell’idoneità del bene considerato ad assurgere ad indice di capacità contributiva (sia consentito rinviare a Purpura A., Debenza IMU e occupazione abusiva dell’immobile: alcune riflessioni a margine di una recente sentenza di merito, in Riv. tel. dir. trib., 2021, 2, 998 ss.).
In termini più precisi, evidenti profili di collisione sorgono – e la sentenza in commento conforta le conclusioni che si raggiungevano già tempo addietro – in ordine alla effettività ed attualità del fatto indice di ricchezza, canoni d’ordine generale in ragione dei quali quest’ultimo: dovrà essere certo (Moschetti F., Il principio della capacità contributiva, Padova, 1973, 261 ss.), non fittizio o presunto (Amatucci F., Principi e nozioni di diritto tributario, Torino, 2016, 34; Tosi L., Il requisito di effettività, in Amatucci A., diretto da, Tratt. dir. trib., Padova, 1994, 321 ss.) e consentire una ricostruzione puntuale dell’indice di potenzialità economica assunto a presupposto d’imposta (Fantozzi A., Diritto tributario, 2012, Milano, 91), oltre a colpire ricchezze che, pur se venute ad esistenza nel passato, manifestino ugualmente un’attitudine alla contribuzione (Giovannini A., Capacità contributiva, in Enc. Giur. Treccani – Diritto online, 2013); da ciò discendendo che, in ottemperanza al precetto costituzionale, al sussistere di detti presupposti, ciascuno debba concorrere secondo le proprie capacità (Moschetti F., Capacità Contributiva, in Enc. Giur. Treccani, 1988, 53).
È evidente che la valutazione compiuta dalla Corte costituzionale si muova lungo queste coordinate ed apra ad un radicale ripensamento – e, per certi versi, anche ad una semplificazione – dei due, diversi, approcci interpretativi fatti propri dalla giurisprudenza di merito e di legittimità.
La Corte “semplifica” il ragionamento, si diceva, perché invita ad andare oltre la maggiore o minore elasticità dei concetti di “possesso” e “spossessamento”, ed aldilà degli effetti da quest’ultimo prodotti, quale risultato dell’occupazione abusiva, sul presupposto dell’imposta municipale propria.
Al contrario, la Corte riconduce il percorso argomentativo ad un nucleo essenziale, autonomo dalla relazione soggettiva ora richiamata, per il quale dovrebbe valorizzarsi l’effetto (diretto) prodotto dall’occupazione senza titolo sul bene occupato e (per transitività) sul soggetto che, avendo subito l’occupazione sine titulo, non sarebbe più considerabile quale titolare d’un indice di capacità contributiva. Ciò, lo si ripete ancora una volta, a prescindere dal rapporto giuridico formalmente in essere tra il titolare del fatto indice ed il bene occupato.
In questi termini, l’abusiva occupazione d’immobile produrrebbe un effetto almeno duplice.
Da un lato, assurgerebbe a circostanza di fatto in grado di pregiudicare, in concreto, l’effettività e l’attualità della capacità contributiva ascrivibile al contribuente che abbia subito l’occupazione senza titolo.
Dall’altro, conseguentemente, integrerebbe la condicio sine qua non al verificarsi della quale sarebbe possibile immaginare un ridimensionamento o, come nel caso di specie, una integrale sottrazione ad imposizione giustificato da una minore o assente capacità contributiva (in questi termini si esprime Corte cost. 23 giugno 2020, n. 120) derivante dalla privazione, seppur temporanea, del bene.
Ma v’è di più.
Ad avviso dei Giudici costituzionali, considerare sussistente un indice di capacità contributiva laddove un immobile sia stato abusivamente occupato ed il proprietario, o in ogni caso il titolare di altro diritto reale di godimento, abbia prontamente presentato denunzia, confliggerebbe anche con il principio di eguaglianza recato dall’art. 3 Cost.
In tal senso, l’orientamento giurisprudenziale fino ad oggi prevalente avrebbe errato nel non ricondurre il rapporto tra IMU ed abusiva occupazione ad equità.
Il principio in parola, infatti, come noto, impone di trattare (anche dal punto di vista tributario) in modo uguale situazioni uguali, ed in modo disuguale situazioni che, per propria natura sia giuridica che fattuale, meritano di essere trattate diversamente (Melis G., Lezioni di diritto tributario, Torino, 2017, 59).
Pertanto, dall’applicazione di questo canone discende che non possano essere considerati in modo eguale chi abbia subito il danno dell’occupazione abusiva e chi, al contrario, non l’abbia subito.
Ciò in attuazione del principio dell’equo riparto del carico della spesa pubblica tra i consociati, canone d’ordine generale al quale anche l’imposta municipale propria – pur atteggiandosi quale tributo locale – dovrebbe essere informata (Del Federico L., I rapporti tra lo Statuto e la legge generale sull’azione amministrativa, in Bodrito A. – Contrino A. – Marcheselli A., a cura di, Consenso, equità e imparzialità nello statuto del contribuente, Torino, 2012, 242).
In questa prospettiva, le conclusioni raggiunte dalla Corte costituzionale vanno evidentemente oltre l’errata – perché illegittima – sovrapposizione di situazioni giuridiche strutturalmente diverse consolidatasi, rispetto al tema che ci occupa, in seno alla giurisprudenza di legittimità.
Da una parte, quella ascrivibile al contribuente che, non avendo subito un’abusiva occupazione dell’immobile, potrà essere (legittimamente) considerato quale titolare di un indice di capacità contributiva rilevante ai fini dell’imposta municipale propria; dall’altro, quella di chi, patita l’occupazione sine titulo del proprio immobile, abbia perduto ogni dominio sulla cosa quale conseguenza del pregiudizio sofferto per via della condotta lesiva altrui.
Così argomentando, emerge ancor più nitidamente la profonda erroneità degli orientamenti giurisprudenziali di merito e legittimità che hanno considerato per lungo tempo pienamente sovrapponibili le predette situazioni giuridiche senza valorizzare in alcun modo le sostanziali differenze tra quest’ultime intercorrenti. Diversità che la sentenza in commento coglie e valorizza a pieno.
3. Oltre ai profili argomentativi appena richiamati, è opportuno interrogarsi su quali possano essere gli effetti scaturenti dall’emanazione della sentenza in commento, con particolare riguardo alle conseguenze che quest’ultima potrebbe produrre non soltanto per i rapporti giuridici in essere ma anche, seppur limitatamente, in chiave retroattiva.
Sul punto è doverosa una premessa.
La giurisprudenza di legittimità ha avuto modo di chiarire, già (parecchio) tempo addietro, che la dichiarazione di incostituzionalità dia luogo ad una caducazione dei soli effetti non definitivi e, nei rapporti ancora in corso di svolgimento, anche degli effetti successivi alla pubblicazione della sentenza della Corte costituzionale, restando quindi fermi quegli effetti anteriori che, pur essendo riconducibili allo stesso rapporto non ancora esaurito, abbiano definitivamente conseguito, in tutto o in parte, la loro funzione costitutiva, estintiva, modificativa o traslativa di situazioni giuridicamente rilevanti (Cass. civ., sez. III, 11 aprile 1975, n. 1384).
In termini più precisi, se è vero che le pronunce di accoglimento della Corte costituzionale hanno effetto retroattivo, inficiando fin dall’origine la validità e l’efficacia della norma dichiarata contraria alla Costituzione, queste trovano un argine nelle situazioni giuridiche “consolidate” per effetto di eventi che l’ordinamento giuridico riconosce idonei a produrre tale effetto, quali le sentenze passate in giudicato, l’atto amministrativo non più impugnabile, la prescrizione e la decadenza (Cass. civ., sez. III, 28 luglio 1997, n. 7057).
Dall’applicazione di queste coordinate d’ordine generale al caso in esame sembrerebbero delinearsi due scenari.
Il primo imporrebbe l’analisi degli effetti della sentenza sul rapporto – in essere o antecedente al provvedimento che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di una norma – tra contribuente ed Ente impositore che non abbia ancora trovato consolidamento.
Il secondo, richiederebbe la medesima analisi di cui al primo scenario, ma da effettuarsi in relazione ad un rapporto tra Ente impositore e contribuente già consolidatosi.
Procediamo con ordine.
Con riferimento al primo scenario, non sembrerebbero porsi dubbi circa l’idoneità della sentenza d’illegittimità costituzionale a produrre effetti sui rapporti, passati e attuali, che non abbiano ancora trovato piena definizione. In relazione a questi rapporti, la dichiarazione d’illegittimità costituzionale dell’art. 9, comma 1, D.Lgs. n. 23/2011 produrrebbe un effetto inibitorio della pretesa tributaria di cui sarebbe astrattamente titolare l’Ente impositore; ciò purché il contribuente che abbia subito l’occupazione abusiva abbia presentato denuncia all’Autorità giudiziaria in relazione ai reati di cui agli artt. 614, comma 2, o 633 c.p.. o per la cui occupazione abusiva sia stata presentata denuncia o iniziata azione giudiziaria penale.
Pertanto, limitatamente al primo scenario, la sentenza in commento condurrebbe ad una disapplicazione “limitata” della norma dichiarata incostituzionale; tale perché riservata a quei rapporti giuridici che non abbiano ancora esaurito, o definitivamente conseguito, in tutto o in parte, la loro funzione costitutiva, estintiva, modificativa o traslativa di situazioni giuridicamente rilevanti, e, in concreto, a quei contribuenti che abbiano subito una abusiva occupazione ed abbiano presentato denuncia all’Autorità giudiziaria o avviato un’azione giudiziaria penale.
Sicché, nel caso in cui il contribuente, che avendo subito un’occupazione sine titulo: abbia presentato formale denunzia alle Autorità giudiziaria, non abbia versato l’imposta richiesta dall’Ente impositore, e, una volta ricevuto l’avviso di accertamento (o gli avvisi di accertamento, laddove l’occupazione abusiva si sia protratta per più annualità d’imposta) da parte del Comune, l’abbia impugnato in sede giurisdizionale, potrebbe trarre beneficio dall’interesse dell’ente impositore a conciliare la lite annullando la pretesa, chiedendo al contribuente di consentire alla compensazione delle spese.
A medesime conclusioni potrebbe giungersi anche nel caso in cui il Comune annulli l’atto d’accertamento in sede di autotutela, chiedendo l’estinzione del giudizio per cessata materia del contendere (Farri F., Illegittimità costituzionale dell’IMU in relazione a coniugi e abitazione principale: quali effetti sui contribuenti che hanno pagato e i Comuni che hanno incassato?, in Riv. tel. dir. trib., 2023, 1, 495).
Tuttavia, proprio in ordine alla prospettata applicazione al caso in esame del potere di agire in autotutela è d’obbligo una puntualizzazione dettata dalla recente introduzione, all’interno dello Statuto dei diritti del contribuente, di due forme distinte (e funzionalmente autonome) di autotutela.
La prima, “obbligatoria”, la cui introduzione parve auspicata dalla Corte costituzionale, già nel 2017 (con la sentenza 13 luglio 2017, n. 181. Sul punto, si vd. Fransoni G., Il diniego tacito o espresso di autotutela non può essere impugnato, in Riv. tel. dir. trib., 2017, 1, 49 ss.). La seconda, “facoltativa”, che ad una prima valutazione si porrebbe in linea di continuità con la precedente formulazione contenuta nel D.L. n. 564/1994 (Didoni S., La tutela giurisdizionale avverso il diniego di esercizio dell’autotutela tributaria avente ad oggetto annullamento parziale di un atto impositivo, in Riv. tel. dir. trib., 2024, 1 e pubblicato online il 5 marzo 2024, www.rivistadirittotributario.it).
Ebbene, andando oltre l’analisi delle implicazioni e delle (possibili) criticità scaturenti dall’introduzione delle nuove forme di autotutela oggi disciplinate dagli artt. 10-quater e 10-quinquies dello Statuto (per una prima introduzione al tema, si vd. Demetri M., Spunti di riflessione sulla nuova disciplina dell’autotutela tributaria, in Riv. tel. dir. trib., 2024, 1 e pubblicato online il 23 maggio 2024, www.rivistadirittotributario.it; Basilavecchia M., Autotutela tributaria sugli atti impositivi tra luci, ombre e nubi dalla giurisprudenza, in IPSOA Quotidiano, 3 febbraio 2024; Ingrao G., I nuovi sviluppi della normativa sull’autotutela, in Riv. tel. dir. trib., 2023, 2, 623 ss.), profili che per esigenze tematiche non possono formare oggetto del presente commento; ai fini che in questa sede rilevano maggiormente basti evidenziare che dette, nuove, forme di autotutela sembrerebbero porre il contribuente interessato a far valere i principi di diritto espressi dalla Corte costituzionale con la sentenza in commento, innanzi a due limiti d’ordine “procedurale”.
Si tratterebbe, tuttavia, di barriere soltanto apparenti.
Più precisamente, ai sensi dell’art. 10-quater, comma 2, dello Statuto, l’Ente impositore non procederà ad annullamento in autotutela obbligatoria (ovvero di sua iniziativa) dell’atto illegittimo in due casi: laddove sia intervenuta una sentenza passata in giudicato favorevole all’Amministrazione finanziaria o nell’eventualità in cui sia decorso un anno dalla definitività dell’atto viziato per mancata impugnazione.
Da ciò discende che, ad una prima valutazione, nell’ipotesi in cui il rapporto tra Ente impositore e contribuente – il quale, tornando al caso che ci occupa, abbia subito un’abusiva occupazione dell’immobile di cui era proprietario o sul quale vantava altro diritto reale di godimento – sia stato definito da una sentenza (non più impugnabile) favorevole all’Amministrazione finanziaria; ovvero laddove sia decorso un anno dal momento in cui l’atto viziato sia divenuto definitivo per mancata impugnazione, l’Ente impositore non sarà tenuto ad agire in autotutela obbligatoria.
In tal senso depone il tenore letterale della norma richiamata la quale introduce, dunque, limiti significativi ai fini dell’esercizio dell’autotutela obbligatoria; tuttavia si tratta di ostacoli non insuperabili perché (profondamente) smussati dal nuovo art. 10-quinquies dello Statuto, ove trova disciplina, come anticipato, il potere di agirei in autotutela c.d. “facoltativa”.
Ebbene, quest’ultima è chiara nel prevedere che aldilà dei casi previsti dall’art. 10-quater, l’Ente impositore potrà procedere, in ogni caso, all’annullamento, in tutto o in parte, di atti di imposizione o alla rinuncia all’imposizione, senza necessità di istanza di parte, anche in pendenza di giudizio o in caso di atti definitivi, in presenza di una illegittimità o dell’infondatezza dell’atto o dell’imposizione.
Stante il dato letterale della norma, i due limiti “procedurali” sopra individuati potrebbero dirsi superabili tramite l’autotutela facoltativa. Se non altro perché la norma prevede esplicitamente l’esercitabilità di quest’ultima anche nel caso di atti divenuti definitivi e dunque, per la conseguenza, anche nell’ipotesi in cui sia decorso un anno dalla definitività dell’atto viziato per mancata impugnazione. Anche in tal caso si verserebbe, infatti, in un’ipotesi di atto definitivo; pertanto sarebbe rispettato ed integrato il perimetro (testualmente) definito dall’art. 10-quinquies dello Statuto.
Ma v’è di più.
Dett’ultima norma prevede, infatti, l’esercizio del potere di agire in autotutela facoltativa nell’ipotesi, generale, di “illegittimita’” o di “infondatezza dell’atto o dell’imposizione”.
Si tratta di una categoria ampia e – anche qui, ad una prima valutazione – idonea a superare l’ipotesi di giudicato favorevole all’Ente impositore (circostanza che, in ossequio all’art. 10-quater, rappresenta una barriera all’esercizio dell’autotutela obbligatoria).
Ed infatti, l’ipotesi in cui un atto impositivo abbia illegittimamente preteso il versamento dell’imposta municipale malgrado l’abusiva occupazione dell’immobile e, soprattutto, nonostante gli effetti da quest’ultima prodotti in termini d’inibizione della capacità contributiva ascrivibile al soggetto erroneamente chiamato all’adempimento del tributo, sembrerebbe integrare proprio quell’ipotesi di “illegittimità” o di “infondatezza dell’atto o dell’imposizione” in grado di giustificare proprio l’esercizio del potere in autotutela facoltativa, anche nel caso di questione risolta in senso favorevole all’Ente impositore.
Da ciò consegue che all’emanazione di una sentenza che abbia definitivamente statuito su una determinata questione, non farebbe automaticamente seguito una imperturbabile legittimità e fondatezza dell’imposizione.
Nel quadro definito dall’art. 10-quinquies dello Statuto, infatti, queste potrebbero formare oggetto di un riesame nuovo, successivo ma, è bene precisarlo, giustificato soltanto sulla base di circostanze eccezionali; congiuntura che deve considerarsi senz’altro integrata nel caso in cui – come nella specie – l’atto originariamente impugnato o l’imposizione esercitata traesse il proprio fondamento giuridico in una norma poi dichiarata incostituzionale.
Se ciò è vero, alle medesime conclusioni appena prospettate si giungerebbe anche con riferimento ai rapporti c.d. “esauriti”, categoria utilizzata, anche di recente, dalla Corte costituzionale per regolare l’efficacia nel tempo delle sue sentenze (Corte cost., 13 gennaio 2014, n. 1). In termini sintetici, si tratta di rapporti in relazione ai quali sia intervenuta una preclusione che li abbia resi irretrattabili e quindi insensibili anche ad eventuali pronunce di illegittimità costituzionale (Cass. civ., sez. V, 20 gennaio 2016, n. 969).
Rapporti giuridici che, in linea generale, non sarebbero travolti, dunque, dalla sentenza di incostituzionalità; non perché la retroattività della sentenza sia limitata, ma perché opererebbero altre norme, in base a cui sopravvivrebbero, ovvero quelle che prevedono la decadenza, la prescrizione, la definitività degli atti amministrativi e del giudicato (in questi termini, Tesauro F., Equilibrio di bilancio ed effetti nel tempo della dichiarazione di incostituzionalità di norme tributarie, in Rivista della Regolazione dei Mercati, 2015, 1, 239 ss.).
Ragionando in questi termini, assunta questa definizione di rapporto giuridico “esaurito”, le ripercussioni derivanti dalla presa d’atto della inapplicabilità (retroattiva) delle pronunce d’illegittimità costituzionale ai rapporti già consolidatisi assumerebbero valore anche da un punto di vista strettamente “pratico”.
Se non altro perché rispetto a questi casi potrebbe concludersi, a primo acchito, per l’esclusione de plano del diritto al rimborso del tributo versato in virtù dell’applicazione della norma dichiarata incostituzionale; sicché, in assenza di rimborso, verrebbe meno quel riequilibramento degli effetti di una riscossione risultata, per ragioni sopravvenute, indebita (Basilavecchia M., Rimborso d’imposta, in Enc. Giur. Treccani – Diritto online, 2014).
Si tratta, tuttavia, di una ricostruzione che, soprattutto alla luce della recente introduzione delle due forme di autotutela poc’anzi richiamate – si fa riferimento, in particolare, a quella “facoltativa” – non appare del tutto convincente.
Ed infatti, pur tenendo conto dei limiti che sovraintendono all’estensione degli effetti d’illegittimità costituzionale d’una norma a rapporti giuridici “esauriti”, potrebbe egualmente immaginarsi, anche in tal caso, il ricorso all’istituto dell’autotutela facoltativa, quale potere evidentemente volto alla rimozione del vizio tradottosi (almeno, nel caso che ci occupa) nella sopraggiunta incostituzionalità della norma sulla quale si fondava l’atto amministrativo recante la pretesa erariale.
Anche perché, stante il tenore letterale della novella legislativa, l’esercizio del potere di autotutela facoltativa non sembrerebbe sottostare a limiti stringenti.
Tutt’altro.
Non vi sarebbero ostacoli d’ordine oggettivo, in quanto non sarebbe offerta alcuna elencazione dei casi in cui possa ritenersi ricorrere un’illegittimità o un’infondatezza non soltanto dell’atto, ma anche della pretesa; né d’ordine temporale, atteso che si tratterebbe di un rimedio operante anche dopo che sia trascorso un anno dalla definitività dell’atto per mancata impugnazione. E neppure d’ordine “sistematico”, perché si tratterebbe di un rimedio in grado di superare, come sopra evidenziato, anche la sentenza passata in giudicato favorevole all’Ente impositore (in questi termini, si vd. Rasi F., Linee evolutive in tema di atti impugnabili, in Osservatorio Tributario, 2024, 1, 37-38 nonché, del medesimo Autore, Le modifiche in tema di impugnabilità degli atti di autotutela e loro riflessi processuali, in Tax News-Supplemento online alla Riv. trim. dir. trib., 11 aprile 2024).
D’altra parte, anche laddove ci discostassimo dagli effetti riconducibili alle due, nuove, forme di autotutela recate dagli artt. 10-quater e 10-quinquies dello Statuto, l’attivabilità di detto potere in relazione al caso che ci occupa sembrerebbe trovare egualmente giustificazione in ragioni di “civiltà giuridica”; circostanze che si traducono in evidenti esigenze d’interesse pubblico necessarie ai fini dell’attivazione dell’istituto, cioè la distribuzione dei carichi pubblici fra i consociati sulla base di un parametro dato e giuridicamente rilevante ed apprezzabile in termini di giusta imposizione (Cociani S.F., Autotutela, in Enc. Giur.Treccani –Diritto online, 2013).
Ragioni di esercizio del potere di agire in autotutela che nel caso di specie sarebbero, peraltro, in re ipsa e coinciderebbero con la tutela del valore di rango costituzionale che l’atto amministrativo ha leso applicando una legge poi dichiarata incostituzionale (Farri F., op. cit., 496).
4. Un’ultima precisazione.
Nella parte conclusiva della sentenza, la Corte costituzionale dichiara l’illegittimità dell’art. 9, comma 1, D.Lgs. n. 23/2011 nella parte in cui non prevede che non sono soggetti all’imposta municipale propria, gli immobili (non utilizzabili né disponibili) per i quali sia stata presentata denuncia o iniziata azione giudiziaria penale.
Non si tratta, a dire il vero, di una conclusione del tutto innovativa. Come sopra anticipato, la “denuncia” e, in alternativa, “l’azione giudiziaria penale” integrano condizioni d’ordine formale già individuate dall’esenzione IMU recentemente aggiunta dalla lett. g-bis) all’art. 1, comma 759, L. n. 160/2019.
Nel contesto della novella legislativa, l’avvenuta presentazione della denunzia penale o l’avvio di un’azione giudiziaria assumevano valore condizionante soltanto in una prospettiva “futura”, dovendosi escludere la loro rilevanza anche per il passato e dunque per situazioni antecedenti rispetto all’emanazione della nuova esenzione IMU. A queste conclusioni si giungeva considerando la non riconducibilità della novella legislativa tra le norme d’interpretazione autentica e la, conseguente, irretroattività della norma.
Se ciò è vero, le medesime considerazioni non possono valere per le conclusioni raggiunte dalla Corte, la quale ha inteso imprimere alle condizioni già individuate dalla lett. g-bis) un valore evidentemente retroattivo.
Non si tratta di una scelta interpretativa priva di conseguenze.
Così facendo, l’esenzione IMU prescritta dalla lett. g-bis) potrà ricadere sì su rapporti giuridici ancora in essere o soltanto parzialmente consolidatisi (e dunque non ancora esauritisi); tuttavia, l’ambito di applicazione dell’esenzione sarà subordinato proprio al rispetto delle condizioni formali prescritte dal legislatore e ribadite dalla Consulta.
Sicché, ad una prima valutazione, dovrebbe escludersi che i rapporti ancora in essere per i quali non sia stata, tuttavia, presentata formale denuncia o avviata un’azione giudiziaria penale, possano beneficiare dell’esenzione prescritta dalla lett. g-bis) dell’art. 1, comma 759, L. n. 160/2019.
In questa prospettiva, potrebbe dirsi che la Corte stia aprendo a disparità di trattamento; se non altro perché ben potrebbe verificarsi il caso in cui taluno, pur essendo stato vittima d’una occupazione sine titulo, abbia omesso di darne comunicazione alle Autorità competenti (magari perché riteneva di poter ripristinare autonomamente, ed in tempi brevi, la condizione dei luoghi precedente all’abusiva occupazione).
Ciononostante, se a primo acchito potrebbe giungersi a queste conclusioni, con maggiore ponderazione pare potersi cogliere la ragione principale sottesa al “discrimine formale” posto dalla Corte.
La ratio della delimitazione, infatti, potrebbe essere rivenuta nella necessità di valorizzare la condotta del contribuente che, diligentemente, abbia prontamente garantito la tempestiva attivazione delle pubbliche Autorità o, in ogni caso, del procedimento penale; il quale si pone, dunque, in funzione strumentale rispetto al soddisfacimento dell’interesse finale del corretto e puntuale funzionamento dell’amministrazione della giustizia (Quarta P.M., I delitti di omessa denuncia, in Catenacci M., Reati contro l’amministrazione della giustizia, Torino, 2022, 5) e del ripristino dello status quo ante all’abusiva occupazione.
Ragionando in questi termini, il discrimine “formale” posto dalla Corte sembrerebbe rispondere alla necessità di tutelare – in modo esclusivo e sulla base di parametri oggettivi che presuppongono il coinvolgimento diretto delle Autorità pubbliche – soltanto coloro i quali si siano adoperati, nei modi consentiti dall’ordinamento, per raggiungere un risultato duplice ovvero: prevenire il protrarsi nel tempo dell’occupazione dell’immobile e ripristinare il contatto materiale con il bene.
In tal senso, la scelta della Corte si mostra ragionevole e, dunque, coerente perché rispondente alla logica della norma – ovvero l’art. 1, comma 759, lett. g-bis), L. n. 160/2019 – rispetto al fine perseguito dalla legge ovvero alla sua ratio (Fierro M., La ragionevolezza nella giurisprudenza costituzionale italiana, in I principi di proporzionalità e ragionevolezza nella giurisprudenza costituzionale, anche in rapporto alla giurisprudenza delle Corti europee, Corte costituzionale-Servizio Studi, 25-26 ottobre 2013).
5. In conclusione, può dirsi che la sentenza della Corte costituzionale appena commentata si apprezzi perché supera il dibattito interpretativo sorto in ordine al corretto significato da attribuire – in assenza di una definizione normativa ad hoc – alla nozione di “possesso” (Giovanardi A., [voce] Tributi comunali, in Dig. disc. priv., sez. comm., Torino, 1999, 16, 165) rilevante ai fini della determinazione del presupposto relativo al tributo immobiliare comunale (Spinello F., La soggettività passiva ai fini IMU nel caso di occupazione abusiva dell’immobile, in Riv. trim. dir. trib., 2022, 4, 877).
Ciò premesso, vien da chiedersi se la sentenza esaminata non possa riverberarsi anche su questioni giurisprudenziali non dissimili da quelle considerate in questa sede.
Per tutte, basti pensare alla determinazione del presupposto dell’imposta municipale propria nell’ipotesi di risoluzione anticipata del contratto di leasing alla quale non abbia fatto seguito la riconsegna “materiale” del bene immobile. In questa ipotesi, la giurisprudenza di merito (per tutte, Comm. trib. reg. Lombardia, 3 marzo 2020, n. 696; Comm. trib. reg. Lombardia, 3 marzo 2020, n. 739) e di legittimità (a titolo esemplificativo, Cass. civ., sez. V, 4 marzo 2022, n. 7165) sembrerebbero aver trovato radicamento nel sostenere che in tema di leasing e, specificamente, nell’ipotesi di risoluzione del contratto, il soggetto passivo IMU sarebbe da individuarsi nel locatore. Ciò anche nell’eventualità in cui questi non abbia ancora acquisito la materiale disponibilità del bene per mancata riconsegna da parte dell’utilizzatore, atteso che ad assumere rilevanza ai fini impositivi non sarebbe la detenzione materiale del bene da parte del locatore, bensì l’esistenza di un vincolo contrattuale che ne legittima la detenzione qualificata. In questa eventualità, infatti, la circostanza per la quale in caso di mancata riconsegna del bene da parte dell’utilizzatore verrebbe meno la possibilità di disporre materialmente dell’immobile oggetto del contratto di leasing risolto, non inciderebbe sul presupposto dell’IMU il quale sarebbe sussistente in capo al possessore “originario” (in questi termini, sia consentito rinviare ad Purpura A., Considerazioni a margine della sentenza SS.UU. n. 33645 del 2022 [e delle novità introdotte dalla Legge di bilancio 2023] in tema di versamento dell’imposta municipale propria nel caso di occupazione abusiva dell’immobile, in Dir. prat. trib., 2023, 6, 2433-34).
Anche nell’ipotesi appena rappresentata, le conclusioni raggiunte dalla giurisprudenza (prevalente) si fonderebbero evidentemente su di un modo d’intendere il concetto di “possesso” del tutto identico a quello fatto proprio dai Giudici, di merito e di legittimità, in relazione all’integrazione del presupposto dell’imposta municipale propria nel caso di occupazione abusiva d’immobile.
Stante questa comunanza interpretativa, è legittimo attendersi che la sentenza commentata possa godere di un effetto espansivo, riverberando i propri effetti anche su questo filone giurisprudenziale.
Un’ultima considerazione.
L’imposta municipale propria è definita, sin dalla sua prima introduzione, quale imposta diretta reale avente natura patrimoniale che, in linea generale, il soggetto passivo è tenuto a pagare per il solo fatto di essere titolare di situazioni soggettive di carattere reale su fabbricati, aree fabbricabili e terreni agricoli e, quindi, a prescindere dalla reddittività o meno di tali beni (Girelli G., Dubbi in materia di base imponibile IMU, in Dir. prat. trib., 2017, 3, 1010).
Sull’inquadramento del tributo come imposta patrimoniale o, in ogni caso, come imposta ricadente su di un singolo elemento di patrimonio (Salanitro G., Valori e corrispettivi nel diritto tributario, Milano, 2020, 107), ovvero l’immobile, la letteratura è unanime (per tutti, senza pretesa di esaustività, Perrone L., L’imposta comunale sugli immobili: primi spunti critici, in Riv. dir. trib., 1994, I, 745 ss.; Marini G., op. cit, 124 ss.). D’altra parte, neppure è in discussione che il patrimonio rientri a pieno titolo tra gli indici di ricchezza denotativi una specifica capacità contributiva (Marello E., Contributo allo studio delle imposte sul patrimonio, Milano, 2006, 192).
Muovendo da queste considerazioni, nella parte in cui la sentenza esaminata fa discendere dalla inutilizzabilità, dalla indisponibilità e – in definitiva – dalla incapacità di produrre reddito del bene immobile occupato, un totale ridimensionamento della capacità contributiva, sembrerebbe relativizzare la natura squisitamente patrimoniale del tributo in discussione.
Se non altro perché, seguendo l’impostazione interpretativa condivisa dai Giudici costituzionale, il presupposto dell’imposta municipale propria dovrebbe considerarsi integrato non tanto quando sia rinvenibile un collegamento “formale” tra il proprietario, o il titolare di altro diritto reale di godimento, ed il bene; ma soltanto nel caso in cui questa relazione sia apprezzabile, anche soltanto figurativamente, tenendo conto dei frutti (e dunque anche del reddito) retraibili dall’utilizzo, in concreto, del bene immobile.
(*) Il saggio è stato sottoposto a double blind peer review con valutazione positiva. Esso confluirà nel fascicolo n. 2/2024 (semestrale) della Rivista telematica di diritto tributario
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I dati personali oggetto di trattamento saranno custoditi in modo da ridurre al minimo, mediante l’adozione di idonee e preventive misure di sicurezza, i rischi di distruzione o perdita, anche accidentale, dei dati stessi, di accesso non autorizzato o di trattamento non consentito o non conforme alle finalità della raccolta.
Diritti degli interessati
Ai soggetti cui si riferiscono i dati spettano i diritti previsti dall’art. 7 del D.Lgs. 196/2003 che riportiamo di seguito:
1. L’interessato ha diritto di ottenere la conferma dell’esistenza o meno di dati personali che lo riguardano, anche se non ancora registrati, e la loro comunicazione in forma intelligibile.
2. L’interessato ha diritto di ottenere informazioni:
a) sull’origine dei dati personali;
b) sulle finalità e modalità del trattamento;
c) sulla logica applicata in caso di trattamento effettuato con l’ausilio di strumenti elettronici;
d) sugli estremi identificativi del titolare, dei responsabili e del rappresentante designato ai sensi dell’articolo 5, comma 2;
e) sui soggetti o delle categorie di soggetti ai quali i dati personali possono essere comunicati o che possono venirne a conoscenza in qualità di rappresentante designato nel territorio dello Stato, di responsabili o incaricati.
3. L’interessato ha diritto di ottenere:
a) l’aggiornamento, la rettificazione ovvero, quando vi ha interesse, l’integrazione dei dati;
b) la cancellazione, la trasformazione in forma anonima o il blocco dei dati trattati in violazione di legge, compresi quelli di cui non è necessaria la conservazione in relazione agli scopi per i quali i dati sono stati raccolti o successivamente trattati;
c) l’attestazione che le operazioni di cui alle lettere a) e b) sono state portate a conoscenza, anche per quanto riguarda il loro contenuto, di coloro ai quali i dati sono stati comunicati o diffusi, eccettuato il caso in cui tale adempimento si rivela impossibile o comporta un impiego di mezzi manifestamente sproporzionato rispetto al diritto tutelato.
4. L’interessato ha diritto di opporsi, in tutto o in parte:
a) per motivi legittimi al trattamento dei dati personali che lo riguardano, ancorché pertinenti allo scopo della raccolta;
b) al trattamento di dati personali che lo riguardano a fini di invio di materiale pubblicitario o di vendita diretta o per il compimento di ricerche di mercato o di comunicazione commerciale.
Dati degli abbonati
I dati relativi agli abbonati sono trattati nel rispetto delle disposizioni contenute nel D.Lgs. del 30 giugno 2003 n. 196 e adeguamenti al Regolamento UE GDPR 2016 (General Data Protection Regulation) a mezzo di elaboratori elettronici ad opera di soggetti appositamente incaricati. I dati sono utilizzati dall’editore per la spedizione della presente pubblicazione. Ai sensi dell’articolo 7 del D.Lgs. 196/2003, in qualsiasi momento è possibile consultare, modificare o cancellare i dati o opporsi al loro utilizzo scrivendo al Titolare del Trattamento: Pacini Editore Srl – Via A. Gherardesca 1 – 56121 Pisa. Per ulteriori approfondimenti fare riferimento al sito web http://www.pacinieditore.it/privacy/
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