La capacità contributiva ai tempi straordinari della storia: un appunto
Di Alessandro Giovannini
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(nota a/note to Corte cost., 27 giugno 2024, n. 111)
Abstract (*)
Gli eventi straordinari della storia possono parzialmente influenzare l’interpretazione dei principi costituzionali nei limiti della non arbitrarietà, proporzionalità e congruità delle normazioni sottoposte a scrutinio. Questo il filo conduttore del saggio nella scia della sent. n. 111/2024 della Corte costituzionale sul contributo straordinario di solidarietà gravante sulle imprese energetiche. Muovendo dalla constatazione che un presupposto privo di effettività e certezza della forza economica, com’è quello disciplinato dall’art. 37 della legge istitutiva del contributo, non può di per sé conformarsi ai principi costituzionali, l’indagine mette in evidenza come l’obbligazione ad esso ancorata superi i confini essenziali del dovere contributivo e scalfisca il nucleo anch’esso essenziale dei diritti del contribuente. Sicché un’obbligazione simile è giustificabile solo in virtù della funzione assorbente che può svolgere, pur sempre con alcune limitazioni inderogabili, il vincolo di solidarietà ex art. 2 Cost. in ragione, proprio, della straordinarietà degli eventi storici e della finalità della spesa finanziata con il tributo stesso posta al servizio dell’eguaglianza sostanziale. In ogni caso le esigenze finanziarie del bilancio pubblico non possono costituire un passe-partout per aggirare i fondamenti posti a custodia delle prestazioni contributive.
A note on the ability to pay at the extraordinary times of history – The extraordinary events of history can partially influence the interpretation of constitutional principles within the limits of non-arbitrariness, proportionality and congruity of the norms submitted to scrutiny. This is the common thread of the essay in the wake of sent. n. 111 of 2024 of the Constitutional Court on the extraordinary contribution of solidarity burdened by energy companies. Based on the observation that a prerequisite devoid of effectiveness and certainty of economic strength, such as that governed by art. 37 of the law establishing the contribution, cannot in itself conform to constitutional principles, the research highlights how the obligation anchored to it exceeds the essential limits of the contribution duty and scratches the also essential core of the taxpayer’s rights. So that such an obligation can only be justified by virtue of the absorbent function that can perform, albeit with some mandatory limitations, the constraint of solidarity ex art. 2 Const. in reason, precisely, of the extraordinaryness of historical events and the purpose of the expenditure financed with the tax itself placed at the service of substantial equality. In any case, the financial needs of the public budget cannot constitute a passe-partout to circumvent the fundamentals placed in the custody of the contribution benefits.
Sommario: 1. I tempi straordinari della storia e i princìpi costituzionali: l’interpretazione della Corte costituzionale nella sent. n. 111/2024 sul contributo straordinario di solidarietà sui prodotti energetici. – 2. “Conclusione anticipata”: la supremazia del principio di solidarietà. – 3. Il dovere contributivo come dovere politico. Il confine essenziale del dovere e il nucleo essenziale dei diritti. La vendetta dei princìpi e i limiti invalicabili della pretesa impositiva. – 4.La solidarietà come fraternité républicaine. – 5. La notte della solidarietà e le obiezioni alla sua centralità (cenni). – 6. Il presupposto d’imposta ai tempi ordinari della storia. – 7. Esigenze di finanza pubblica e Fisco passe-partout
1. In questi mesi si è posto all’attenzione del dibattito un tema nuovo: il rapporto fra guerra e tasse, fra tempi straordinari della storia e capacità contributiva.
Ha fatto da apripista, per così dire, la sentenza della Corte costituzionale 27 giugno 2024, n. 111, sul contributo straordinario di solidarietà gravante sulle imprese energetiche, introdotto dall’art. 37 D.L. 21 marzo 2022, n. 21, convertito dalla L. 20 maggio 2022, n. 51.
Questa sentenza è particolarmente rilevante perché sollecita un interrogativo di fondo, la cui risposta si riverbera sul patto democratico fondativo del rapporto consociativo: gli eventi straordinari della storia possono influenzare l’interpretazione dei princìpi costituzionali, fra i quali quelli di solidarietà e d’uguaglianza contemplati negli artt. 2 e 3 e quello di capacità contributiva fissato nell’art. 53, comma 1, della Carta?
Nella sentenza in esame la Corte risponde in modo affermativo, riconoscendo che la disciplina sul contributo straordinario di solidarietà, introdotto per fronteggiare le conseguenze economiche interne derivanti dall’invasione dello Stato ucraino da parte della Federazione russa, è conforme ai princìpi costituzionali, ad eccezione della regola sull’inclusione delle accise nella base imponibile.
In particolare, per i giudici di palazzo della Consulta il contributo è una misura di finanza pubblica congrua, proporzionale e non irragionevole in considerazione sia dell’eccezionalità degli avvenimenti, sia della destinazione del suo gettito. Se la guerra ha determinato un forte aumento dei prezzi finali dei prodotti energetici con conseguente innalzamento del fatturato delle imprese del settore, il gettito dell’imposta si è tradotto in aiuti finanziari urgenti a sostegno di famiglie e aziende danneggiate dall’innalzamento, proprio, di quei prezzi1.
È, dunque, la straordinarietà degli accadimenti che legittima l’uso di parametri di giudizio diversi da quelli che ordinariamente avrebbero guidato la valutazione del presupposto d’imposta, che l’art. 37 individua nell’incremento del saldo tra operazioni attive e passive rilevanti ai fini dell’IVA riferito al periodo dal 1° ottobre 2021 al 30 aprile 2022 rispetto al saldo del medesimo intervallo temporale dell’anno precedente.
Questo tipo di presupposto, si sottolinea in motivazione, «in un tempo ordinario non avrebbe potuto superare il test della connessione razionale e della proporzionalità» neanche «in forza delle più moderne concezioni del principio di capacità contributiva». Ma la straordinarietà del contesto internazionale e la necessità di mitigare urgentemente gli effetti economici della crisi, lo hanno reso, pur nella sua grossolanità, un metro idoneo a misurare la forza economica aggiuntiva conseguente all’incremento delle vendite.
Le esigenze finanziarie del bilancio pubblico, tuttavia, si legge ancora in sentenza, non costituiscono motivo sufficiente per aggirare i fondamenti posti a custodia delle ragioni dei contribuenti.
2. A mio avviso, la tesi della Corte è condivisibile, ma solo se la si radica nell’art. 2 della Costituzione e si conferisce al principio di solidarietà in esso contenuto una funzione ontologicamente assorbente dovuta alla straordinarietà del contesto storico.
Rovescio il tradizionale ordine espositivo e consegno alle conclusioni l’attacco tetico così da giustificare fin d’ora questa affermazione.
Il presupposto dell’imposta coincide con la marginalità dei saldi del fatturato rilevante ai fini dell’imposta sul valore aggiunto. Questa grandezza contabile, se valutata al di fuori delle circostanze determinate dalla guerra, può tutt’al più rappresentare l’idoneità dell’attività all’incremento delle vendite e la sua potenzialità a produrre ricchezza ulteriore a quella da essa ordinariamente ritraibile in ragione, per l’appunto, del tipo di attività svolta e dei fatti storici dati. Null’altro. Un presupposto siffatto, però, è senz’altro privo di effettività e certezza della forza economica che intende rappresentare, dato che il differenziale positivo dei saldi può derivare da fattori che non necessariamente generano una ricchezza aggiuntiva o speculativa, o che la generano in quell’ammontare. Sicché, l’obbligo impositivo ancorato a un presupposto così strutturato non può essere preteso, superando i confini essenziali del dovere contributivo e finendo per incidere sul nucleo essenziale dei diritti del contribuente.
Da ciò la mia opinione che la sua conformità ai princìpi può derivare solo dalla “speciale” posizione valoriale che il principio di solidarietà è in grado di assumere in virtù della straordinarietà degli eventi: essa entra nel diritto assorbita nel procedimento di normazione interpretativa dello stesso principio di solidarietà, consentendo a questo, al suo ethos, di acquisire posizione assiologicamente assorbente, disposta al servizio della spesa sociale finanziata con il tributo stesso e funzionale, come tale, a dar corpo all’uguaglianza sostanziale.
3. Si tratta, ora, di offrire dimostrazione in positivo a queste “conclusioni”. Da tempo – è cosa nota ai più – dottrina maggioritaria e giurisprudenza della Corte hanno ricondotto il dovere contributivo stabilito nell’art. 53, comma 1, Cost., in seno ai doveri inderogabili di solidarietà politica, sociale ed economica di cui all’art. 2, ultima linea, della Carta stessa (v., per tutti, Batistoni Ferrara F., Capacità contributiva, in Enc. dir., Agg., III, Milano, 1999, 345 ss.; Gallo F., Le ragioni del fisco, Bologna, 2017, 59 ss.; Fedele A., Diritto tributario (principi), in Enc. dir., Annali, II, 2, Milano, 2008, 447 ss.; Marello E., Commento all’art. 53 Costituzione, in Bartole S. – Bin R., Commentario breve alla Costituzione, Padova, 2008, 530 ss. Per opinioni divergenti, Gaffuri G., L’attitudine alla contribuzione, Milano, 1969, 94 ss.; Falsitta G., Il principio della capacità contributiva, Milano, 2014, 189 ss.; Moschetti F., Profili generali, in Moschetti F., a cura di, La capacità contributiva, Padova, 1993, 3 ss., che pure, da un diverso punto di vista, è uno strenuo sostenitore della vincolatezza solidaristica del concorso alle spese pubbliche: cfr. Moschetti F., Il principio della capacità contributiva, Padova, 1973, 59 ss. In posizione mediana Boria P., Capacità contributiva, in Cassese S., diretto da, Diz. dir. pubb., II, Milano, 2006, 787. Per la Corte costituzionale, che sulla questione ha ormai una posizione granitica da almeno un ventennio, richiamo solo la sent. n. 72/2022 per essere, questo, un arresto assai avanzato anche dal punto di vista teorico).
Non scopro, dunque, una nuova America richiamando l’esigenza di ancorare l’analisi alla solidarietà.
A mio modo di vedere, tuttavia, questa lettura, per così dire, tradizionale della trama costituzionale non è sufficiente per spiegare fino in fondo la legittimità del contributo straordinario.
Per poterlo giustificare occorre fare un passo ulteriore ed anzi far fare al vincolo solidale un salto di posizione: nel riconoscere al dovere contributivo natura di dovere politico2, occorre dare alla qualificazione (anch’essa) politica della solidarietà una funzione limitativa “rafforzata” dei diritti posti dagli artt. 41 e 42 Cost., e al contenuto dei criteri informatori del presupposto d’imposta desumibili dal primo comma dell’art. 53.
Non mi sfugge che i doveri inderogabili siano già in sé suscettibili di determinare la compressione dei diritti e anche di quelli che si legano alla tassazione (si vedano i fondamentali contributi di Lombardi G., Contributo allo studio dei doveri costituzionali, Milano, 1967, 36 ss. e di Barbera A., Commento art. 2 Cost., in Comm. Cost. Branca, Bologna-Roma, 1975, 50 ss., specie 97 ss. In tempi più recenti cfr. Rossi E., La doverosità dei diritti: analisi di un ossimoro costituzionale?, in Quaderni del Gruppo di Pisa, Napoli, 2019, 9 ss.), circostanza, questa, che sembrerebbe rendere superfluo il tentativo di collocare la solidarietà in una posizione assorbente, quasi di superiorità valoriale.
In realtà questo esercizio non è affatto superfluo.
Ordinariamente, diritti e doveri hanno, rispettivamente, nuclei essenziali e confini essenziali che non è possibile torcere3. Il lembo del confine essenziale del dovere si spinge fin dove inizia il lembo del nucleo essenziale del diritto.
Il confine del dovere politico di contribuire alle pubbliche spese abbraccia il presupposto dell’imposta, che deve essere in grado di manifestare con certezza una forza economica effettiva, e l’ammontare del prelievo, che non può determinare la spoliazione degli “averi” e, comunque, non può consistere in un’entità irragionevole.
In ragione ciò, in assenza di fatti straordinari il dovere di contribuire non può essere preteso se difettano questi due elementi, giacché esso perderebbe il carattere della giuridicità costituzionale, non sarebbe più espressione di una relazione tra singolo contribuente ed ente esponenziale della collettività organizzata improntata ai princìpi di uno stato costituzionale, ma diventerebbe la manifestazione di un brutale comando.
I princìpi sono vendicativi, specie quelli che sorreggono lo stato costituzionale.
La loro vendetta, come scrivo da tempo, consiste nell’impedire al sistema di rimanere in squadra o di impedire ad esso di trovare un equilibrio fra situazioni o posizioni alterate, proprio, da quella iniziale violenza. È questo il loro modo di ripagare l’offesa ricevuta per non essere stati riconosciuti o rispettati nella loro dimensione valoriale, nel loro ethos (cfr., se si vuole, Giovannini A., Il diritto tributario per princìpi, Milano, 2014, XIV, e poi Per princìpi. Dodici saggi di diritto tributario e oltre, Torino, 2022).
Nel nostro caso la vendetta potrebbe consistere in una slabbratura dei cardini ordinamentali a tal punto sanguinolenta da non essere più ricucibile, se non attraverso successive opere di ingegneria interpretativa ma divoratrici dei canoni della coerenza, razionalità e non contraddittorietà. Epperò, se s’intendesse o s’intende trattare i princìpi fondativi dello stato costituzionale come princìpi di uno stato legislativo, la vendetta non potrebbe che consumarsi in tanti successivi lettini di Procuste quante le originarie torsioni o slabbrature ingiustificate.
Ebbene, riannodando i fili del discorso, è il superamento dei confini del dovere che determina la compressione speculare del nucleo essenziale dei diritti. Solo se il vincolo solidaristico acquista una posizione di speciale pregnanza, allora, è possibile che il presupposto possa uscire indenne dal test della connessione razionale e della proporzionalità.
Provo a spiegare con parole diverse ciò che intendo sostenere, nella speranza di riuscire a rendere inequivoco il mio pensiero.
Nella ordinarietà dei tempi, il dovere contributivo ha confini non estensibili giacché “essenziali”. Il presupposto dell’imposta deve quindi rispecchiare una forza economica certa ed effettivamente rivelatrice di ricchezza. Se l’imposta va oltre, è cioè strutturata in modo tale da non colpire una ricchezza certa ed effettiva, il dovere non è pretendibile, sicché anche il vincolo solidaristico si deve fermare davanti a un presupposto privo di questi elementi, pena la sua trasformazione in “valore tiranno”.
L’eccezionalità dei fatti, invece, rende irrilevante la “grossolanità” del presupposto al quale si àncora l’obbligo d’imposta4. Certo, deve essere comunque sintomatico, ancorché flebilmente, di una forza economica, ma la sua “grossolanità” non è motivo sufficiente per negare legittimità costituzionale alla tassazione giacché sovrastata, la “grossolanità”, dal vincolo politico della solidarietà. Vincolo, dunque, che ritrae dalla straordinarietà degli eventi una funzione orientativa non solo dei doveri, ma anche e forse primariamente, sul piano valoriale, dell’assetto sociale della Repubblica.
In un contesto siffatto, il dovere contributivo rafforza la sua colorazione politica. In ragione di quella straordinarietà, infatti, esso acquisisce legittimazione a scalfire anche il nucleo essenziale dei diritti del contribuente in punto di certezza ed effettività della realtà economica condotta a imposizione, essendo sufficiente che da quella realtà sia ritraibile, per così dire, un fumus di forza economica.
Seguendo questa impostazione, si può sostenere, allora, che i diritti hanno due nuclei essenziali a seconda dell’estensione del dovere di solidarietà: uno valevole per i tempi ordinari, e in questi tempi quel nucleo non può essere scalfito; e un altro per quelli straordinari, che invece possono legittimarne l’incisione per il prevalere del dovere solidaristico funzionale all’uguaglianza sostanziale e all’attuazione dei diritti sociali straordinariamente colpiti dagli eventi (nell’ordinarietà dei tempi, Antonini L., Dovere tributario, interessi fiscale e diritti costituzionali, Milano, 1996, 154 ss. e 347 ss.). Anche in queste circostanze, tuttavia, rimangono almeno due elementi che non possono essere ulteriormente compressi poiché direttamente correlati alla proporzionalità e non arbitrarietà: la forza economica almeno possibile del presupposto, il fumus, come si appena detto, e l’entità ragionevole del prelievo.
Il valore prevalente del dovere, tuttavia, non va visto come elemento dello “stato di giustizia” (Zagrebelsky G., Il diritto mite, Torino, 1992, 113 e 114), ripropositivo di un modello autocratico, e neppure come il ritorno all’“imposta politica” (Berliri L.V., La giusta imposta, Milano, 1946, 325 ss.). Va ugualmente inquadrato nella dimensione del vivere comune, fondativo del patto politico dell’essere collettività. Non si tratta, cioè, di celare dietro a quel dovere un “ordine costituzionale” ipostatizzato, quasi fosse una realtà in sé esistente da obbedire in quanto tale, ma di esaltare la connotazione politica del dovere stesso che, nell’eccezionalità dei tempi della storia, consente di dare fondamento teorico alla scelta di comprimere i diritti collegati all’imposizione, in una dimensione, però, valoriale, di perseguimento dell’uguaglianza (sostanziale).
In questo contesto rimangono fermi – lo ripeto, tanto è essenziale – i due presidi cardine dell’intero ordinamento: proporzionalità e non arbitrarietà, che neppure la straordinarietà degli eventi può torcere giacché collegati intrinsecamente al patto fondativo democratico su cui si regge l’imposizione e la comune convivenza (Falsitta G., Giustizia tributaria e tirannia fiscale, Milano, 2008, 80 ss.).
4. Fin qui ho scritto del dovere contributivo come di un dovere politico. Non mi sfugge che esso sia generalmente ricondotto in seno a quelli di solidarietà economica. Anch’io ho adottato questa classificazione in precedenti scritti ed è quella che senz’altro meglio si attaglia all’obbligo (rectius: all’obbligazione pecuniaria) che ad esso consegue e che comporta la trasformazione del dovere stesso in situazione giuridica soggettiva (cfr. Buzzacchi C., La solidarietà tributaria. Funzione sociale e princìpi costituzionali, Milano, 2011, 26; Morelli A., I principi costituzionali relativi ai doveri inderogabili di solidarietà, in Forum di Quaderni costituzionali, 20 aprile 2015, 6 ss.).
Qui, però, ho scelto a bella posta di ricondurre il dovere contributivo fra quelli di solidarietà politica e l’ho fatto per esaltare non tanto la collocazione, in seno alla Carta, dell’art. 53 nel Titolo dedicato ai “Rapporti politici”, aspetto, questo, che comunque mi rassicura di non aver commesso un errore di classificazione da matita rossa; quanto per rimarcare come la solidarietà contributiva, specie in determinate circostanze della storia, non sia soltanto un dovere economico, meramente pecuniario, ma sia molto di più, saldandosi con la dimensione valoriale più profonda della solidarietà, quella che alcuni studiosi definiscono della fratellanza e più precisamente della fraternité républicaine (cfr. Blais M-C., La solidarité. Histoire d’une idée, Paris, 2007, trad. it. a cura di Magni B., Milano, 2012. La fraternité républicaine coincide, nella sostanza, con la felicità pubblica di cui parla Antonini L., La felicità pubblica fra diritti inviolabili e doveri inderogabili, Modena, 2022. Non diversamente Violante L., Il dovere di avere doveri, Torino, 2014, 80 ss.).
Cambiando prospettiva e abbandonando l’idea che il tributo e i suoi presupposti siano solo tecnica e solo pecunia, non è difficile convincersi che il dovere contributivo sia in realtà un elemento sul quale si fonda e si regge la polis, nell’accezione isonomica platoniana, o lo stato come ente esponenziale della collettività, nell’accezione del moderno costituzionalismo (cfr. Modugno F., Esposito, Crisafulli, Paladin: Tre costituzionalisti nella cattedra padovana. La dicotomia “Stato ordinamento” – “Stato soggetto” nel pensiero dei tre maestri, in Riv. Ass. cost. it., 2003).
Per questo il dovere contributivo è un dovere politico. E lo è anche e forse primariamente, perché teso ad alleviare i bisogni della persona e a dare concretezza all’uguaglianza (Gallo F., Il dovere tributario nella Costituzione, in Rass. trib., 2024, 2, 249 ss.). È, infatti, la funzione redistributiva delle risorse mediante la spesa, alla quale l’art. 53 finalizza la contribuzione, a rendere concreta la fraternité républicaine(Gallo F., L’evoluzione del sistema tributario e il principio di capacità contributiva, in Rass. trib., 2013, 3, 499 ss.).È il principio personalistico, dunque, che in questo modo connota la fraternité riportandola anche ai bisogni “della povera gente” (sono parole riprese da L’attesa della povera gente e La difesa della povera gente, che Giorgio La Pira pubblicò nel 1950 su Cronache sociali).
Ecco perché il dovere contributivo, pur risolvendosi in un’obbligazione di natura pecuniaria, non ha solo connotazione economica, ma riproduce specularmente l’ethos che è proprio dei diritti inviolabili di cui parla il primo alinea dello stesso art. 2, e che nel secondo alinea del medesimo articolo e poi nell’art. 3, comma 2, trovano sostegno nell’attuazione.
5. Le osservazioni svolte fin qui, lungi dall’essere frutto di un rigurgito giusnaturalistico o di una retorica dimentica dei diritti, intendono esprimere un’esigenza a mio parere profonda delle moderne democrazie occidentali, compresa la nostra: quella di recuperare i princìpi fondativi così da rinvigorirne la forza orientativa sul piano interpretativo e su quello delle scelte di finanza pubblica.
Sono consapevole delle obiezioni frequentemente sbandierate per ricacciare la solidarietà in fondo al tunnel della storia moderna (per il percorso evolutivo della solidarietà, Alpa G., Solidarietà, Un principio normativo, Bologna, 2022, 15 ss.).
La prima è che la distribuzione della spesa non sempre rende giustizia ai bisogni fondamentali della persona e che talvolta è contrassegnata da sperperi e inefficienze (male antico, peraltro: cfr. C Jemolo C.A. – Piccardi L. – Giannini M.S. – Buscema S., Lo sperpero del pubblico denaro, Milano, 1965). Questa constatazione, che pure ha dalla sua ragioni obiettive, non può tuttavia determinare, se non in un discorrere inadeguato alla complessità del tema, l’“annullamento” del dovere contributivo come dovere politico o la sua marginalizzazione, e neppure può determinare la rinuncia alla spesa sociale che solo l’adempimento di questo dovere può supportare (cfr. Gallo F., Ancora in tema di uguaglianza tributaria, in Riv. dir. fin. sc. fin., 2013, 4, I, 321 ss., ma si veda anche Paladin L., Il principio di eguaglianza tributaria nella giurisprudenza costituzionale, in Riv. dir. trib., 1997, 305 ss.).
Da un diverso punto di vista, ed ecco l’altra obiezione, un tale ”annullamento” non può essere preteso neppure muovendo dalla constatazione che nel nostro Paese e nei Paesi con sistemi di welfare avanzato, la pressione fiscale ha raggiunto livelli non più sostenibili. Anche una constatazione siffatta è corretta ed è da me senz’altro condivisa: i temi della limitazione della pressione fiscale e dei limiti quantitativi massimi alla tassazione li considero, ormai, miei antichi cavalli di battaglia. Ma queste esigenze non possono, come si è visto per la spesa, eliminare quel carattere politico al dovere contributivo che anche nella distribuzione dei carichi impositivi, proprio come nella redistribuzione delle risorse, deve accompagnare le scelte di politica fiscale. Scelte che possono e anzi devono tornare a considerare le speciali posizioni di vantaggio economiche o sociali che detengono particolari gruppi di operatori e gli effetti (negativi o positivi) che tali posizioni determinano sull’economia interna.
In altre parole, sostenere che ai tempi straordinari della storia il vincolo solidaristico può acquistare una particolare posizione assiologica non scalfisce le esigenze di revisione della spesa e della pressione fiscale o della distribuzione dei carichi. Ma queste non possono essere addotte per “eliminare” quel dovere, né per riportare il tributo alla logica del prezzo dei diritti libertari o del corrispettivo dei servizi essenziali (cfr. Holmes S. – Sunstein C.R., Il costo dei diritti. Perché la libertà dipende dalle tasse, Bologna, 1999, 202 ss.), logica anch’essa talvolta sbandierata nel discorso pubblico in termini, a mio parere, del tutto inadeguati (in senso fortemente critico, Gallo F., L’evoluzione del sistema tributario e il principio di capacità contributiva, cit., 502).
6. In chiusura s’impone una breve riflessione sul rapporto, nel tempo ordinario, tra vincolo solidaristico, esigenze di finanza pubblica e diritti del contribuente.
È mia convinzione che le esigenze finanziarie dello Stato siano senz’altro meritevoli di considerazione anche in assenza di eventi storici straordinari, ma che non possano “annullare” i diritti posti a tutela delle ragioni del contribuente. Non possano, cioè, divenire “un passe-partout” buono per scardinare il corredo dei diritti costituzionali, come già mi ero espresso in altra circostanza (Giovannini A., Crescere in equità, Milano, 2019, 157)5 e come ora afferma la Corte costituzionale nella sentenza n. 111/2024 in commento.
Ragionando in questo modo si supera o almeno si ridimensiona la portata della tesi sostenuta dalla stessa Corte in precedenti arresti6, che consentiva al legislatore di anteporre le esigenze di bilancio a quelle ragioni (si veda il punto 8.4 dei “Considerato in diritto” della sent. n. 111).
Rimane, però, una questione, che introduco con un interrogativo: i bisogni finanziari dello Stato, guardati anche alla luce dell’art. 81 Cost., sono passibili di una lettura che li riconduca, essi stessi, di per sé, fra quelli straordinari?
È a tutti evidente che, se un’interpretazione simile si affermasse, tali esigenze conserverebbero, di fatto, la funzione di passe-partout e che, di conseguenza, il sistema cadrebbe in un’insanabile contraddizione.
Infatti, se gli effetti della guerra hanno creato, di rimbalzo, esigenze di bilancio per la gestione delle emergenze economiche interne, e se, per un altro, il tributo è da considerare legittimo in ragione di queste circostanze e perché ha finanziato la spesa, per una sorta di sillogismo si potrebbe dire che i bisogni finanziari sono in sé straordinari e anzi sono straordinari tutte le volte in cui Governo e Parlamento intendono fronteggiare esigenze sociali impreviste o sono costretti a far fronte a spese istituzionali incomprimibili.
In tale modo, la funzione di passe-partout delle necessità di bilancio rinascerebbe dalle sue ceneri come fosse una sempiterna Araba Fenice.
Memori della vendetta alla quale sono pronti i princìpi, allora, per mantenere all’interpretazione dell’ordito costituzionale occorre scegliere un’opzione ricostruttiva diversa e separare le esigenze di finanza pubblica determinate da eventi straordinari esterni alla gestione dei conti pubblici, e necessità interne, intrinseche alla politica finanziaria, da considerare ordinarie.
In altri termini, se quelle necessità non sono prodotte da fatti esogeni eccezionali, fuori dalla normalità e fuori dal contesto della gestione di conti pubblici, esse divengono ordinari accadimenti di politica finanziaria, da affrontare e gestire come tali. Il finanziamento della spesa, infatti, può avvenire in molti modi, anche combinati fra loro. Quando il ricorso all’indebitamento è precluso da disposizioni unionali o da vincoli macroeconomici di mercato, le risorse possono essere ricercate con la riduzione o la revisione della distribuzione della spesa corrente e delle “spese fiscali”, con una diversa distribuzione dei carichi d’imposta, con il recupero dell’evasione o l’innalzamento delle entrate extra-tributarie.
Certo, a priori non si può escludere che anche nell’ordinarietà dei tempi il finanziamento possa avvenire con imposte straordinarie. Nella prospettiva qui in esame, però, non è il carattere straordinario del tributo ad essere rilevante, quanto la composizione del suo presupposto. E affinché questo si possa ritenere conforme alla trama costituzionale, le imposte, pur straordinarie, devono essere rispettose dei confini essenziali del dovere pretendibile e del nucleo essenziale dei diritti del contribuente, per come quei nuclei sono stati in precedenza individuati. Nuclei che, in assenza di accadimenti esogeni straordinari, sono senz’altro incomprimibili.
In questo modo, coerenza e non contraddizione nell’interpretazione dei princìpi sarebbero assicurate, presidi essenziali, questi, per preservare il sistema da oscillazioni rovinose.
(*) Il saggio è stato sottoposto a double blind peer review con valutazione positiva. Esso confluirà nel fascicolo n. 2/2024 (semestrale) della Rivista telematica di diritto tributario.
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1 La Corte richiama anche i «gravi effetti negativi sull’inflazione e sulla liquidità degli operatori» prodotti dalla crisi, secondo il “considerato” n. 5 del Regolamento del Consiglio UE 6 ottobre 2022, n. 1854, «relativo a un intervento di emergenza per far fronte ai prezzi elevati dell’energia».
2 Chiarirò nei prossimi paragrafi il motivo di questa qualificazione in luogo di quella tradizionale che riporta, proprio alla luce dell’art. 2 Cost., il dovere contributivo fra quelli economici.
3 Riprendo, per descrivere i confini dei doveri, la terminologia dalla teoria sul “nucleo essenziale dei diritti”, ritenendo che anche i doveri abbiano una loro essenzialità, sia nel “nucleo”, che in diritto tributario si può cogliere, ad esempio, ragionando sulle esenzioni, sia nei “confini”, che si possono cogliere, proprio, riflettendo sul caso in esame.
4 Il motivo ordinamentale e valoriale sarà chiarito nel successivo paragrafo 4.
5 Dove scrivevo che «neppure esigenze straordinarie di finanza pubblica o collegate a necessità di contenimento del debito statale possono legittimare la sospensione delle garanzie poste a presidio dei diritti individuali. La tassazione non è un passe-partout da usare per scardinare il corredo dei valori e dei princìpi di pari rango posti a difesa delle libertà e della vita».
6 Il riferimento è alla sent. n. 73/1996, che dichiarò costituzionalmente non illegittimo il prelievo straordinario del 6 per mille sui depositi bancari di conto corrente introdotto dal D.L. 11 luglio 1992, n. 333, convertito nella L. 8 agosto 1992, n. 359.
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