RECENTISSIME DALLA CASSAZIONE TRIBUTARIA – Cass., sez. trib., 16 luglio 2014, n. 19512 – I comparabili in perdita non vanno automaticamente esclusi dalle analisi di transfer pricing

Di GREGORIO PIRAN E MATTEO PIVA -

La massima della Suprema Corte (*)

In materia di prezzi di trasferimento (transfer pricing), la situazione di perdita operativa registrata da taluni dei comparabili individuati ai fini della analisi di benchmark non comporta automaticamente la necessità di una loro espunzione dallo studio, dovendosi piuttosto indagare le ragioni generatrici di tale perdita. Occorre, in particolare, appurare se essa sia espressiva di fisiologiche dinamiche di mercato o se, invece, sia riconducibile a circostanze straordinarie in grado di inficiare il giudizio di comparabilità.

Il (tentativo di) dialogo

La sentenza della Corte di Cassazione sopra citata assume una significativa rilevanza nell’ambito del transfer pricing, in quanto affronta (a quanto consta, per la prima volta in sede di legittimità) il tema dei c.d. “comparabili in perdita” nelle analisi di benchmark.

Il caso riguarda servizi di call centre operati da una società italiana a beneficio della propria consociata olandese e da quest’ultima remunerati mediante il riconoscimento di un margine (mark up) il cui valore era ritenuto espressivo del principio di libera concorrenza giacché rientrante nell’intervallo interquartile risultante dalla benchmark analysis predisposta dal contribuente.

L’Agenzia delle Entrate, espungendo dallo studio i comparabili in perdita o con dati carenti, giungeva a identificare un intervallo di libera concorrenza più elevato, procedendo a recuperare a tassazione la differenza.

Cassando con rinvio la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia, la Suprema Corte ha accolto la tesi del contribuente e ha assunto una posizione allineata alle best practices internazionali.

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In materia di transfer pricing, l’individuazione dei valori di libera concorrenza cui assoggettare le transazioni infragruppo richiede sovente, in dipendenza dal metodo di analisi prescelto, la predisposizione di studi di benchmark.

Infatti, qualora la metodologia preveda il confronto tra indicatori di bilancio per verificare il rispetto del principio di libera concorrenza, il contribuente deve procedere, tramite l’accesso a specifiche banche dati, all’identificazione di soggetti indipendenti, ritenuti comparabili alla società esaminata per funzioni svolte, rischi assunti e asset impiegati.

Gli indicatori di bilancio di tali soggetti comparabili – nella prassi si considera, di solito, la media ponderata su tre esercizi dell’indicatore prescelto – permettono di delineare un intervallo di valori di profittabilità conseguiti da soggetti indipendenti; tale intervallo viene confrontato con il risultato conseguito dalla cosiddetta tested party (ossia la controparte oggetto di analisi) nella transazione infragruppo al fine di verificare se le condizioni applicate rispettino il principio di libera concorrenza.

Si comprende quindi come la scelta dei c.d. comparables, postulando un giudizio quali/quantitativo proprio in merito alla loro comparabilità (nell’assunto che non esistano, per definizione, due società identiche operanti sul mercato e men che meno altre società identiche a quella appartenente al gruppo) sia un’operazione delicata e soggetta a inevitabili margini di discrezionalità (le stesse Linee Guida OCSE al paragrafo 3.55, ricordano che il transfer pricing non è una scienza esatta), al punto che non è raro assistere a verifiche fiscali incentrate unicamente sull’accettazione o rigetto di uno o più comparabili al fine di modificare l’intervallo di libera concorrenza e, con esso, il valore della eventuale rettifica ai sensi dell’art. 110, comma 7, TUIR.

Da un lato, infatti, si tratta di individuare criteri di scrematura quanto più possibile oggettivi – considerando le limitazioni imposte dalle maschere di ricerca delle banche dati – che permettano di filtrare il campione ottenuto (potenzialmente composto da migliaia di soggetti) fino a giungere all’identificazione di un insieme di soggetti ritenuti comparabili; dall’altro, variazioni anche minimali nel set finale di soggetti scelti sono potenzialmente in grado di riflettersi pesantemente sull’intervallo di libera concorrenza che ne deriva.

Questa breve introduzione metodologica è imprescindibile per comprendere il contesto di prassi all’interno del quale si innesta il dialogo tra contribuente e Amministrazione, che rende particolarmente rilevanti le conclusioni raggiunte dalla Suprema Corte nella sentenza in commento, volte a chiarire aspetti – sinora rimasti affidati all’interpretazione degli attori – relativi al menzionato processo di selezione quali/quantitativo.

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La pronuncia della Cassazione in esame assume particolare rilievo in quanto si innesta, come detto, su una tematica molto diffusa nella pratica, ma al contempo arida di chiarimenti per l’interprete.

Sebbene l’Agenzia delle Entrate non abbia mai fornito specifiche indicazione di carattere tecnico, dalla posizione assunta nella vicenda in esame (e dall’andamento di molte verifiche fiscali) si desume come l’Amministrazione finanziaria sia orientata per la tendenziale esclusione dei comparabili in perdita.

Di segno opposto la prevalente giurisprudenza di merito (cfr. CTP Milano, sent. 8 febbraio 2016, n. 1108; CTR Lombardia, sent. 21 aprile 2015, n. 1670; CTR Lombardia, 9 luglio 2015, n. 3165), ancorché proprio la vicenda in commento (nella quale il giudice di legittimità ha cassato con rinvio la sentenza d’appello) attesta l’esistenza di (almeno) un precedente contrario, sintomo di come la questione fosse tutt’altro che acclarata tra gli interpreti.

In tale incerto contesto risulta corretto l’iter logico giuridico seguito dalla Cassazione che ha assunto a riferimento interpretativo le Linee Guida OCSE sui prezzi di trasferimento (nella versione ratione temporis applicabile), ribadendo così la portata e la rilevanza ermeneutica di detto strumento, cui peraltro rinvia lo stesso D.M. 14 maggio 2018 contenente linee guida in materia di prezzi di trasferimento.

Va chiarito, come premessa, che neppure le Guidelines contengono indicazioni dirimenti; tuttavia, i paragrafi 1.59 e seguenti dell’edizione 2010 (cfr. anche paragrafi 1.134 e seguenti dell’edizione 2022), esaminando il fattore di comparabilità rappresentato dalla strategia aziendale, contemplano espressamente il caso in cui un operatore economico possa accettare la temporanea compressione dei propri margini (fino, addirittura, a sostenere perdite) per una più efficace penetrazione di mercato. Tale riferimento operato dalla Cassazione appare invero impreciso: soggetti terzi che adottano una particolare strategia di prezzo, infatti, potrebbero non essere ritenuti comparabili alla società del gruppo da esaminare, in quanto operanti in diverse condizioni economiche (essendo questo un altro dei cinque fattori di comparabilità).

Meglio avrebbe fatto la Cassazione ad operare unicamente rinvio ai paragrafi 3.64-3.65, dove si afferma che non esiste alcun principio generale che richieda di escludere società con risultati in perdita.

Da tale addentellato testuale la Suprema Corte argomenta, in ogni caso, la legittimità della presenza, nei benchmark di transfer pricing, anche di comparabili in perdita.

Osservasi, peraltro, che il richiamo alla adeguata valutazione delle strategie aziendali è ora positivizzato dall’art. 3, comma 2, del già citato D.M. 14 maggio 2018. Atteso che tale fonte, nelle proprie premesse, rinvia espressamente alle Linee Guida OCSE, appare possibile affermare che le indicazioni dalle stesse fornite anche nella materia de qua assumono oggi ancor più diretta cittadinanza nell’ordinamento.

Ad ogni modo, è importante osservare come l’apertura operata dalla Cassazione non sia da intendersi in senso assoluto. E ciò, va detto, risulta allineato alle migliori pratiche internazionali.

La Corte, infatti, facendo riferimento anche al paragrafo 3.43 delle citate Guidelines, afferma che l’espunzione di comparabili con risultato negativo resta doverosa ove essi si trovino in “situazioni speciali” quali la fase di start up o l’insolvenza.

Alla base dal ragionamento della Cassazione vi è la condivisibile considerazione secondo cui è illegittima ogni forma di automatica eliminazione di soggetti in ragione unicamente del loro risultato negativo, dovendosi piuttosto – e proprio per meglio garantire il rispetto del principio di comparabilità – scrutinare attentamente le ragioni di un’eventuale perdita, al fine di appurare se essa sia riconducibile a situazioni straordinarie (in grado, come tali, di minare la comparabilità) o se sia piuttosto espressiva di dinamiche fisiologicamente presenti nel mercato, non potendosi escludere a prescindere che un soggetto operante nel libero mercato possa saltuariamente sperimentare situazioni di momentanea perdita operativa non per questo indicativa di squilibri dell’attività.

Oltre che per il principio espresso (applicabile non solo alla disciplina dei prezzi di trasferimento, ma anche alle dinamiche relative alla cosiddetta “vecchia” Patent Box, la quale mutuava, proprio dalla disciplina del transfer pricing, talune metodologie di calcolo del beneficio) la decisione in esame è importante nella misura in cui rafforza ulteriormente la recettività del nostro giudice di legittimità nei confronti delle best practices OCSE.

L’evoluzione delle stesse è peraltro assolutamente intonata rispetto al decisum della Suprema Corte se è vero che l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, nell’ambito del contesto pandemico (ove quindi, per effetto della avversa congiuntura economica, molti soggetti hanno registrato risultati negativi), ha ritenuto opportuno chiarire che «non esiste alcuna regola generale circa l’inclusione o l’esclusione di soggetti in perdita all’interno delle Linee Guida OCSE» (cfr. 33 del documento “Guidance on the transfer pricing implications of the COVID-19 pandemic”, pubblicato in data 18 dicembre 2020), valorizzando un approccio necessariamente casistico del tutto allineato a quello proposto dalla Cassazione. In sintesi, ciò che ad avviso della Cassazione risulta importante analizzare sono le circostanze specifiche di ciascun caso, dovendosi valutare la dinamica sottostante la situazione di perdita operativa prima di poter concludere che il soggetto sia o meno comparabile alla società del gruppo in analisi.

In ottica comparativa, data anche la necessaria transnazionalità di una disciplina quale il transfer pricing, risulta interessante fare cenno ai (pochi) precedenti che, sulla materia in questione, si rinvengono nella giurisprudenza di altri stati. L’esiguità di tali precedenti avvalora ulteriormente l’importanza di questa pronuncia per i contribuenti ed i gruppi multinazionali in genere.

Ad esempio, in Repubblica Ceca, la Suprema Corte amministrativa ha rilevato – in via congruente rispetto alla Cassazione italiana – come l’esclusione di comparabili con risultati negativi possa avvenire solo previo analitico scrutinio in ordine ai medesimi (nel caso in oggetto, l’Amministrazione finanziaria locale si era invece limitata ad espungere soggetti con EBIT negativo sulla scorta della mera considerazione secondo cui un contract manufacturer per definizione dovrebbe trarre un margine positivo dall’attività svolta («the Supreme Administrative Court agreed with the complainant’s objection that it was wrong to exclude companies with negative EBIT margins from the analysis. The tax administrator, whose conclusions were shared by the defendant and subsequently by the Regional Court, simplistically concluded that, on the basis of the functional risk profile of the complainant, which was to act as a mere contract manufacturer, it could be concluded that the complainant should always have made a reasonable profit or not achieved a negative margin. Such a conclusion by the tax authorities is pure speculation and has no basis in the administrative file», cfr. Czech Republic vs ARGO-HYTOS s.r.o., January 2023, Supreme Administrative Court, No. 2 Afs 66/2021 – 57, consultabile su https://tpcases.com/czech-republic-vs-argo-hytos-s-r-o-january-2023-supreme-administrative-court-no-2-afs-66-2021-57/).

Apparentemente in controtendenza, una decisione del Tribunale Amministrativo Tributario di Panama del gennaio 2020, nella quale viene ritenuta legittima l’esclusione di comparabili in perdita da parte del Fisco locale.

A ben vedere, tuttavia, la ratio decidendi risiede qui nel principio di non contraddizione e nella diversa considerazione secondo cui era stato proprio il contribuente a optare per l’esclusione dei comparabili in perdita, salvo poi, contraddittoriamente, inserirne due nel proprio benchmark («it is noteworthy that the taxpayer, when calculating the weighted Return on Sales after adjustments in its Appeal for Review […], on the one hand, excluded the aforementioned companies from the analysis, which seems to indicate a certain degree of implicit acceptance of the rejection of these comparables by the Tax Administration; and on the other hand, it includes […], despite the fact that, after the adjustment (the origin of which is not explained in detail), it also presents losses, which contrasts, as we have seen, with its own criteria for ruling out comparables», cfr. Panama vs “AC S.A.”, January 2020, Administrative Tribunal, Case No TAT-RF-002 consultabile su https://tpcases.com/panama-vs-ac-s-a-january-2020-administrative-tribunal-case-no-tat-rf-002/ ).

Alla luce di quanto sopra è possibile affermare che la giurisprudenza italiana, con la sentenza in commento, si sta finalmente consolidando su posizioni aderenti alle Linee Guida OCSE, una esatta corrispondenza alle quali è tuttavia auspicabile in una materia per sua vocazione internazionalistica. Tale strumento, meglio di ogni alto, può infatti rappresentare il comune retroterra per un costruttivo dialogo tra Corti.

(*) La rubrica – come l’intera Rivista – è aperta a tutti coloro che intendono contribuire al progresso del diritto tributario, in generale, e al miglioramento della sua applicazione, in particolare, nella specie con interventi di commento della giurisprudenza di legittimità dialogici e costruttivi, scevri di polemiche e posizioni partigiane.

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