L’impugnazione degli atti della riscossione tra vecchie e nuove problematiche
Di Francesco Odoardi
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(nota a/notes to Cass., 12 aprile 2024, n. 9991 e Cass., 15 maggio 2024, n. 13207)
Abstract (*)
A distanza di circa un mese la Suprema Corte di Cassazione interviene con due ordinanze in materia di impugnazione degli atti della riscossione dettando due principi, almeno in apparenza, diametralmente opposti. Da una parte afferma che non vi è l’onere di impugnare anche i successivi atti della riscossione laddove siano stati impugnati gli atti presupposti, dato che l’accoglimento del primo ricorso travolge anche gli atti successivi in rapporto di dipendenza con i primi. Dall’altra parte ha statuito che, in caso di notificazione del ruolo e della cartella di pagamento, la sola impugnazione del ruolo richiede anche la dimostrazione di uno specifico interesse ad agire da parte del contribuente, dato che, diversamente, la mancata impugnazione anche della cartella, consolida la pretesa in essa rassegnata con conseguente inammissibilità del ricorso. Con il presente lavoro, passando per l’esame delle regole dettate in materia impugnazione di atti nel processo tributario, si verificherà la correttezza o meno delle due decisioni.
The appeal against collection acts: diving between old and new problems – Approximately one month later, the Supreme Court of Cassation issued two rulings regarding the appeal of collection acts, establishing two principles that, at least on the surface, appear diametrically opposed. On one hand, the Court asserts that there is no obligation to appeal subsequent collection acts if the underlying acts have already been contested, as the acceptance of the initial appeal also invalidates subsequent acts that are dependent on the first. On the other hand, the Court has ruled that in the event of notification of the assessment roll and the payment notice, appealing only the assessment roll requires the taxpayer to demonstrate a specific interest in taking action. Otherwise, the failure to also appeal the payment notice consolidates the claim contained therein, resulting in the inadmissibility of the appeal.
This paper, by examining the rules established for the appeal of acts in tax litigation, will assess the correctness of these two decisions.
Sommario:1. Osservazioni introduttive in merito alle decisioni in commento. – 2. Una precisazione terminologica sul “ruolo”, l’“estratto di ruolo”, l’ingiunzione di pagamento e la cartella di pagamento. – 3. Brevi cenni alle regole sugli atti impugnabili e alla loro funzione nel processo tributario. – 4. Le differenti ipotesi di tutela giurisdizionali contro gli atti della riscossione nella giurisprudenza più recente. La notifica di un atto quale ulteriore elemento per esercitare la tutela facoltativa e quale barriera preclusiva per esercitare la tutela necessaria contro atti tipizzati invalidamente notificati (il concetto di primo atto “utile”). – 5. L’introduzione dell’art. 12, comma 4-bis, DPR n. 602/1973 si pone in discontinuità con tale orientamento, pur avendo una efficacia molto limitata. – 6. La rilevanza delle barriere preclusive ai fini dell’impugnazione del ruolo e degli altri “atti diversi” della riscossione: osservazioni conclusive in merito agli effetti della tutela sugli “atti dipendenti” con riferimento alle ordinanze in commento.
1. A distanza di circa un mese la Suprema Corte di Cassazione interviene con due ordinanze in materia di impugnazione degli atti della riscossione dettando due principi, almeno in apparenza, diametralmente opposti.
Nell’ordinanza 15 maggio 2024, n. 13207 si legge che, in caso di tempestiva impugnazione dell’atto impositivo presupposto, non vi è l’onere di impugnare la successiva ingiunzione di pagamento dato che, questa ultima, in quanto atto della riscossione, «perde il proprio fondamento» in esito all’accoglimento del primo ricorso: con riferimento generale al rapporto esistente tra gli atti attuativi del tributo nella pronuncia si legge che l’accoglimento del ricorso avente ad oggetto l’atto impositivo «integra un fatto estintivo della pretesa tributaria necessariamente destinato a ripercuotersi sull’iscrizione a ruolo, che resta priva di titolo, e sulla cartella di pagamento che viene a mancare dell’obbligazione» (conclusione che, evidentemente, viene ritenuta applicabile anche all’ingiunzione in discussione; addirittura, si legge che ciò si verifica anche quando sugli atti della riscossione si sia verificato un giudicato sfavorevole). Il caso di specie riguardava l’impugnazione di una ingiunzione di pagamento per motivi già sollevati avverso gli atti presupposti e la Suprema Corte di Cassazione ha confermato l’inammissibilità dell’originario ricorso già dichiarata nei precedenti gradi di merito. Peraltro, nella motivazione dell’ordinanza viene precisato anche che il contribuente, nell’ipotesi di tempestiva impugnazione dell’atto impositivo, «non ha […] alcun onere di impugnare gli atti di riscossione al fine di evitare la cristallizzazione della pretesa tributaria, facendo valere le illegittimità già denunciate con l’impugnazione dell’atto impositivo”.
L’ordinanza 14 aprile 2024, n. 9991 afferma invece il principio secondo cui è inammissibile l’impugnazione tempestiva del “ruolo” separatamente dalla relativa cartella di pagamento ritualmente notificata, difettando un concreto interesse ad agire del contribuente. Il caso oggetto del giudizio risaliva al 2010 e riguardava un omesso versamento da parte di una contribuente che, ricevuta nel 2013 la notifica del ruolo insieme con la cartella di pagamento, impugnava solo il primo atto e non anche il secondo (tali fatti sono ben evidenziati nella parte iniziale della motivazione, ma, come si dirà conclusivamente, altri punti della pronuncia rendono meno chiara la ricostruzione del caso di specie). Sia in primo grado, sia in secondo, il ricorso era dichiarato inammissibile e la contribuente impugnava la sentenza di seconde cure sulla base di un unico motivo avente ad oggetto la violazione delle norme in materia di atti impugnabili (seppure sollevato con riferimento all’art. 360, n. 3, c.p.c. e non al n. 4). La Suprema Corte, ritenendo manifestamente infondato il ricorso, ha pronunciato il seguente principio: «In caso di notificazione di una cartella di pagamento, il destinatario può impugnare, anziché la cartella o anche – congiuntamente o meno, purché nel termine dell’art. 21, comma 1, D.Lgs. n. 546 del 1992 – la cartella, il solo ruolo, a condizione tuttavia che deduca e dimostri di aver un effettivo interesse in tal senso, giacché, diversamente, la mancata impugnazione – nel suddetto termine – anche della cartella, consolida la pretesa in essa rassegnata, determinandone la definitività ai sensi dell’art. 21 cit.».
Le due ordinanze offrono l’occasione di esaminare le attuali regole in materia di impugnazione degli atti nel processo tributario, con particolare riferimento a quelli della riscossione, al fine di verificare se l’apparente contrasto tra le decisioni sia in qualche modo sorretto da apprezzabili ragioni giuridiche.
2. È di stretta attualità la questione riguardante la non impugnabilità dell’“estratto di ruolo” (in considerazione della recente Corte cost. 17 ottobre 2023, n. 190 che ha dichiarato inammissibile per “discrezionalità legislativa” il ricorso avente ad oggetto l’art. 12, comma 4-bis D.P.R. n. 602/1973; Kostner A., La Consulta sulla non impugnabilità dell’estratto di ruolo, in GT – Riv. giur. trib., 2024, 1, 15 ss.). Leggendo la motivazione delle pronunce in commento, si ha l’impressione di un utilizzo non del tutto appropriato dei termini “ruolo”, “estratto di ruolo”, “ingiunzione di pagamento” e “cartella di pagamento”, pur percependosi le profonde differenze funzionali tra i vari atti.
Quindi, prima di addentrarci nell’esame dei casi trattati nelle ordinanze, sembrano opportune alcune osservazioni preliminari in merito a tali aspetti terminologici, anche per verificare se un erroneo utilizzo delle espressioni possa aver influito ai fini della decisione.
Etimologicamente il termine “ruolo” ha origini molto antiche (dal latino “rotulus”), ma nella sua corrente accezione è stato utilizzato per la prima volta in Francia con la parola “rôle” nel senso di “rotolo di carta” (sull’utilizzo del ruolo nella tradizione della riscossione dei tributi si veda Clamageran J.J., Histoire de l’impot en France, Paris, 1867, 77; cfr. anche Clamageran J.J., L’imposta dei tempi romani barbari e feudali in Francia, traduzione a cura di Stupan S., Padova, 1961, in particolare le pagine 47 e 107-109, laddove si evince la natura di atto collettivo del ruolo; interessante anche quanto si legge in Lupi R., Diritto tributario, Parte generale, Milano, 2005, 198, sul piano del diritto anglosassone la parola «ruolo» trova origine in spese o incassi che l’ente pubblico doveva effettuare da cui anche l’espressione “payroll”).
A prescindere dalle interessanti questioni etimologiche, il temine “ruolo” indica tuttora un atto “plurimo” e “collegiale” costituito da un elenco di soggetti e dalle relative “situazioni” ad essi riferibili: tale natura è affermata dall’art. 10, comma 1, lett. b), D.P.R. n. 602/1973 che lo definisce quale «elenco dei debitori e delle somme da essi dovute formato dall’ufficio ai fini della riscossione a mezzo del concessionario» (si vedano Giannini A.D., I concetti fondamentali dell’ordinamento tributario, Torino, 1956, 335; Cocivera B., L’iscrizione a ruolo del debito d’imposta, in Riv. dir. fin. sc. fin., 1950, I, 281; De Mita E., Le iscrizioni a ruolo delle imposte sui redditi, Milano, 1979, 7; Basilavecchia M., Ruolo di imposta, in Enc. dir., 1989, 178; Falsitta G., Il ruolo di riscossione, Padova, 1972, 261; più di recente Carinci A., La riscossione a mezzo ruolo nell’attuazione del tributo, Pisa, 2008, 130; Boletto G., Il ruolo di riscossione nella dinamica del prelievo delle entrate pubbliche, Milano, 2010, passim; la procedura di formazione dei ruoli, attualmente regolata dal D.M. 3 settembre 1999, n. 321, pone in risalto l’ulteriore espressione “iscrizione a ruolo” che evidentemente sottende la fase iniziale dell’attività dell’ente impositore di formazione dell’atto).
Storicamente, poi, il ruolo è anche titolo esecutivo funzionale all’avvio di un’esecuzione forzata (secondo il disposto di cui all’art. 49 D.P.R. n. 602/1973; si tratta, più in particolare, di un titolo esecutivo stragiudiziale derivante dall’esercizio del potere di autotutela esecutiva da parte dell’Amministrazione finanziaria), e, a tale fine, il ruolo è atto recettizio nel senso che, per assumere questa particolare prerogativa, deve essere notificato al debitore con la cartella di pagamento contenente altresì l’intimazione di pagare quanto in esso risultante (confermato anche dall’art. 21, comma 1, seconda parte, D.Lgs. n. 546/1992, laddove si legge che «la notificazione della cartella di pagamento vale anche come notificazione del ruolo»; nell’esecuzione esattoriale, quindi, facendo un sillogismo con il processo esecutivo ordinario, il ruolo sta al titolo esecutivo come la cartella sta all’atto di precetto).
Ora è evidente che l’Agente della riscossione, nel precettare le somme iscritte a ruolo nei confronti di un singolo debitore, non può notificargli l’intero ruolo, poiché nello stesso atto collettivo risulteranno indicati anche i dati sensibili riferiti a soggetti diversi; a tale fine, quindi, notifica un “estratto del ruolo” (ossia solo la sola parte del ruolo che interessa il singolo debitore; ciò si desume anche dall’art. 57, comma 2, D.P.R. n. 602/1973 che espressamente menziona “l’estratto del ruolo”, imponendo, in determinate ipotesi, all’Agente della riscossione di depositarlo in giudizio, quale documento necessario per dimostrare l’esistenza e la consistenza del credito).
Conseguentemente, quando l’art. 19, comma 1, D.Lgs. n. 546/1992 dispone alla lett. d) “il ruolo e la cartella di pagamento”, si riferisce all’“estratto del ruolo” riguardante il singolo debitore.
In tempi moderni, irrompono sulla scena dell’attuazione dei tributi nuovi atti: 1) il primo è costituito da un riepilogo della “situazione debitoria” riferibile al singolo contribuente che si compone in un prospetto riepilogativo di atti affidati all’Agente della riscossione con l’indicazione dei relativi importi e del codice tributo (cartelle di pagamento, avvisi di addebito, atti di presa in carico; in calce ad ogni atto presente nella situazione debitoria si legge la seguente dicitura «Il presente documento comprende una sintesi dei dati contenuti nella cartella di pagamento n. …., è riprodotto allo scopo informativo e non riveste valore giuridico»); 2) il secondo, nominato nella prassi dell’Agente della riscossione “estratto di ruolo”, contiene il dettaglio della singola “partita” creditoria vantata nei confronti del contribuente in cui sono ben evidenziate le singole voci che compongono il credito (capitale, sanzioni, interessi, aggio, con esposizione della parte di credito eventualmente assistita da privilegio; in calce ad ogni estratto si legge «Si assevera la rispondenza dei dati riportati nel presente estratto con le risultanze dei ruoli resi esecutivi e ricevuti in carico in via telematica ex D.M. 3/9/1999 N. 321 (ART. 5, C.5, D.L.N. 669/1996)[…]»; si noti che la medesima dicitura è riportata per i carichi relativi agli avvisi di addebito previdenziali ex art. 30 D.L. n. 78/2010 il cui secondo comma precisa all’ultimo periodo «Ai fini dell’espropriazione forzata, l’esibizione dell’estratto dell’avviso di cui al comma 1, come trasmesso all’agente della riscossione secondo le modalità indicate al comma 5, tiene luogo, a tutti gli effetti, dell’esibizione dell’atto stesso in tutti i casi in cui l’agente della riscossione ne attesti la provenienza». Analoga previsione si ha anche per gli avvisi di accertamento esecutivi, come disposto dall’art. 29, comma 1, lett. e), D.L. n. 78/2010. In questi ultimi due casi non si tratta di un estratto di un atto collettivo bensì di un estratto consegnato all’Agente della riscossione di un atto individuale formato dall’ente impositore. L’asseverazione di cui all’art. 5, comma 5, D.L. n. 669/1996 conferisce agli estratti di ruolo una natura tutt’altro che informale rendendoli «validi agli effetti della procedura di riscossione dei tributi»; l’“estratto di ruolo” viene, poi, rilasciato dall’Agente della riscossione ai contribuenti che ne facciano richiesta e viene utilizzato dallo stesso per intervenire in procedure esecutive individuali o concorsuali; anche l’obbligo di trasmissione «al debitore una certificazione attestante l’entità del debito iscritto a ruolo scaduto o sospeso», come disposto dall’art. 88 del CCII, viene assolto mediante la consegna degli estratti di ruolo).
Le prime conclusioni di tale analisi sono che l’”estratto del ruolo” di cui all’art. 57, comma 2, D.P.R. n. 602/1973 e l’”estratto di ruolo” sono lo stesso documento (si noti che l’art. 12, comma 4-bis, D.P.R. n. 602/1973 mutua l’espressione “estratto di ruolo” nata nella prassi dell’Agente della riscossione, anziché quella “estratto del ruolo” già presente nella previgente normativa).
Dalla lettura del D.M. 3 settembre 1999, n. 321 si evince, invece, che il ruolo sia formato dall’ente impositore, informatizzato dal Consorzio Nazionale dei Concessionari (oggi incorporato nell’Agente della riscossione) e, nuovamente, trasmesso (nel nuovo formato) all’ente impositore che gli conferisce esecutività. La formazione di un “estratto” come anche la sua eventuale successiva asseverazione (qualora l’Agente della riscossione debba utilizzare l’estratto ai fini della riscossione, come sopra chiarito) sono atti dell’agente della riscossione. Anche l’estratto inserito nel modello di cartella di pagamento da notificarsi al destinatario è estrapolato dal ruolo (atto collettivo ormai totalmente informatizzato come si evince dal D.M. 3 settembre 1999, n. 321) direttamente dall’Agente della riscossione che forma la relativa cartella (come si evince dall’art. 25 D.P.R. n. 602/1973 e dai relativi provvedimenti attuativi).
Da un punto di vista contenutistico, il “ruolo” notificato con la cartella di pagamento, l’“estratto del ruolo”, l’”estratto di ruolo” o la “situazione debitoria” sono pressoché identici con l’unica differenza che nell’“estratto di ruolo” (e quindi anche nell’“estratto del ruolo”) sono altresì indicati gli eventuali privilegi che assistono il credito per l’idoneità di detti atti ad essere prodotti in procedure esecutive individuali o concorsuali (nella prassi, poi, gli “estratti” e la “situazione debitoria” sono stati utilizzati dai contribuenti per accedere a quella particolare forma di tutela in chiave “recuperatoria” di cui si dirà oltre al successivo paragrafo 4 ingenerando, erroneamente, l’idea che si trattasse degli stessi documenti).
Fatta eccezione per la “situazione debitoria” che è un mero documento informativo (che non assurge neanche alla qualifica di “atto”), il “ruolo” notificato nella cartella di pagamento ed insieme alla stessa cartella sono gli unici atti impositivi autonomamente impugnabili, ai sensi dell’art. 19 D.Lgs. n. 546/1992, mentre gli “estratti”, pur asseverati dall’Agente della riscossione, sono atti diversi (e non meri documenti come si legge spesso nella giurisprudenza) con funzione giustificativa del credito iscritto a “ruolo” (oggi, come detto, anche del credito risultante dagli accertamenti esecutivi o dagli avvisi di addebito; tra gli Autori che si sono occupati del tema relativo all’impugnazione del ruolo “al momento della sua conoscenza” si vedano Cané D., Sull’impugnabilità, nel processo tributario, di atti non notificati, in Giur. it., 2016, 8/9, 1983 ss.; Cerioni F., La Cassazione riforma il processo tributario: dalle azioni impugnatorie a quella di accertamento dell’obbligazione tributaria, in GT – Riv. giur. trib., 2016, 1, 40 ss.; Bruzzone M.G., Le SS.UU. ammettono l’impugnazione di cartella e/o ruolo sulla base dell’estratto di ruolo, in Corr. trib., 2015, 44, 4377 (tutti a commento di Cass., Sez. Un., 2 ottobre 2015, n. 19704 di cui si dirà successivamente); Carinci A., Impugnazione del ruolo: l’interesse ad agire torna (inspiegabilmente) ad essere ancorato all’idoneità dell’atto a definire effetti pregiudizievoli per il contribuente, in GT – Riv. giur. trib., 7, 2013, 7, 587 ss. in modo condivisibilmente critico nei confronti di una pronuncia della Cassazione che aveva negato l’interesse ad agire nelle ipotesi in cui mancava la notificazione dell’atto impugnato; a conclusioni non dissimili giunge, nel contesto delle procedure concorsuali, Paparella F., Le indicazioni delle Sezioni Unite della Suprema Corte sull’impugnabilità dell’estratto di ruolo e gli effetti sull’ammissione al passivo dei crediti tributari, in Riv. dir. trib., 2017, 1, I, 1 ss.).
Tale distinzione non emerge sempre con sufficiente chiarezza nella giurisprudenza e talvolta i termini sono utilizzati impropriamente ancorché sia indiscutibile la non impugnabilità degli estratti diversi da quello notificato con la cartella di pagamento (si veda ad esempio quanto affermato in Cass., 27 marzo 2015, n. 6199; Cass., Sez. Un., 2 ottobre 2015, n. 19704).
In ogni caso, però, da un punto di vista lessicale, tanto il ruolo notificato con la cartella di pagamento quanto gli altri atti indicati all’art. 57, comma 2, D.P.R. n. 602/1973 e da ultimo all’art. 12, comma 4-bis del medesimo decreto, sono “estratti” nel senso chiarito in precedenza.
Una considerazione finale di analogo tenore va fatta per quanto riguarda l’“ingiunzione di pagamento” di cui si parla nella prima ordinanza in commento. Considerato che il ricorso aveva ad oggetto la Tarsu del 2008, si tratta dell’ingiunzione di cui al R.D. n. 639/1910 che, fino all’introduzione degli accertamenti esecutivi in questa materia – ad opera dell’art. 1, comma 792, L. n. 160/2019 – era utilizzata per la riscossione dei tributi locali (solitamente definita anche “ingiunzione fiscale”). Essa consiste in una modalità alternativa al ruolo (per gli enti locali che non si avvalgono dell’Agenzia delle Entrate riscossione ma si avvalgono di concessionari privati) che consente di munirsi di un titolo esecutivo: l’ingiunzione è titolo esecutivo e contiene al suo interno anche l’intimazione ad adempiere (quindi un atto che presenta le funzioni del ruolo e della cartella di pagamento): come si vedrà, però, a differenza del ruolo e della cartella di pagamento, l’ingiunzione non è espressamente qualificata atto autonomamente impugnabile e, come si dirà, tale elemento potrebbe rivestire un carattere rilevante ai fini della comparazione dei casi specifici oggetto delle decisioni in commento.
3. Proseguendo su quanto appena osservato, sembra opportuno aprire una breve parentesi in ordine alle regole previste per l’impugnazione degli atti nel processo tributario per poi esaminare nei successivi paragrafi la specifica questione relativa all’impugnabilità degli atti della riscossione (con riferimento ai modelli sopraindicati e nelle varie accezioni di prassi).
Il D.Lgs. n. 546/1992 detta una serie di regole che indubbiamente incidono profondamente sulla natura del processo tributario, segnandone il carattere impugnatorio (come è noto, poi, esistono tuttora due orientamenti in merito all’oggetto del processo tributario sintetizzati con le espressioni “impugnazione-annullamento” e “impugnazione-merito”; per una sintesi degli orientamenti si veda l’analisi di Cipolla G.M., Processo tributario e modelli di riferimento: dall’onere di impugnazione all’impugnazione facoltativa, in Riv. dir. trib., 2012, 11, I, 958).
Il “cuore” della norma è costituito dall’art. 19, commi 1 e 3, in combinato disposto con il successivo art. 21 D.Lgs. n. 546/1992, nella parte in cui il legislatore dispone la disciplina degli atti impugnabili e dei termini entro cui proporre l’impugnazione a pena di decadenza:
a) è posta una basilare distinzione tra “atti autonomamente impugnabili” (quelli “tipizzati” al primo comma) e “atti diversi”: i secondi non sarebbero direttamente impugnabili al momento della loro notificazione o della loro conoscenza (ma si veda quanto si dirà alle successive lett. f) ss. alla fine del presente paragrafo), ma sono impugnabili insieme al primo atto successivo autonomamente impugnabile al momento della sua notifica, secondo un modello di “tutela differita”;
b) gli atti “tipizzati” sono impugnabili solo “per vizi propri”;
c) a salvaguarda della tutela giurisdizionale (e non quale limite), nell’ipotesi in cui un atto autonomamente impugnabile non sia notificato o sia stato invalidamente notificato, il destinatario lo impugna insieme al primo atto “utile” successivamente notificato (precisamente la norma dispone che la “mancata notificazione di atti autonomamente impugnabili, adottati precedentemente all’atto notificato, ne consente l’ impugnazione unitamente a quest’ultimo”; per individuare il concetto di atto “utile” si rimanda a quanto sarà osservato nel proseguo; l’eventuale mancata impugnazione insieme al primo atto utile dovrebbe determinare situazioni di incontrovertibilità, secondo la regola dell’impugnazione “per vizi propri”, ancorché su tale profilo si ravvisano alcuni precedenti giurisprudenziali in senso contrario, quali Cass., 1° agosto 2018, n. 20735 o Cass., 16 ottobre 2019, n. 26185);
d) ai fini dell’impugnazione di atti tipizzati, il ricorrente potrà sollevare questioni relative a vizi di atti presupposti solo se questi non appartengano alla categoria degli atti autonomamente impugnabili (resta, invece, meno univoca la soluzione della questione relativa alla tutela avverso gli atti non notificati o invalidamente notificati; se l’atto invalidamente notificato e quello successivo appartengano entrambi alla categoria degli atti autonomamente impugnabili dovrebbe essere onere del ricorrente impugnarli entrambi per vizi propri secondo la previsione testuale “unitamente a quest’ultimo”; logicamente, invece, il ricorrente non potrà mai sollevare questioni diverse dai vizi propri di un atto, non essendo ammissibili liti di mero accertamento);
e) la mancata, tardiva o carente impugnazione (limitata, ad esempio, solo ad alcuni vizi) determina le definitività (anche parziale) dell’atto o delle situazioni non contestate. La decadenza si verifica anche per gli “atti diversi” non impugnati insieme al primo atto successivo autonomamente impugnabile o di atti autonomamente impugnabili invalidamente notificati e non impugnati con il primo atto “utile” successivamente notificato (come sarà chiarito successivamente).
Storicamente l’elenco degli atti autonomamente impugnabili, pur nel “dogma” di una tassatività mai espressamente sconfessato, è stato oggetto talvolta di interpretazione estensiva o, altre volte, di integrazione analogica, con finalità adeguatrici al principio costituzionale di effettività di tutela giurisdizionale (l’ampliamento degli atti immediatamente e direttamente impugnabili è certamente dipeso dalla continua evoluzione dei procedimenti attuativi dei singoli tributi ed è stato alimentato dalla sopravvenuta non corrispondenza tra tributi devoluti alla giurisdizione tributaria ed elenco degli atti autonomamente impugnabili a seguito della nota riforma del 2001; relativamente a tale tematica si vedano i lavori di Fransoni G., Spunti ricostruttivi in tema di atti impugnabili nel processo tributario, in Riv. dir. trib., 2012, 11, I, 979 e Cipolla G.M., Processo tributario e modelli di riferimento: dall’onere di impugnazione all’impugnazione facoltativa, op. cit., 958 ss. che, secondo diverse impostazioni teoriche, offrono una ricostruzione dell’argomento molto particolareggiata, passando in rassegna diversi significativi casi giurisprudenziali; sull’ampliamento della giurisdizione tributaria si vedano Russo P., I nuovi confini della giurisdizione delle commissioni tributarie, in Rass. trib., 2002, 2, 420; Marongiu G., La rinnovata giurisdizione delle Commissioni tributarie, in Rass. trib., 2003, 1, 128; Cipolla G.M., Le nuove materie attribuite alla giurisdizione tributaria, in Rass. trib., 2003, 2, 492).
A tale proposito, mentre nella manualistica si legge che l’elenco è tassativo, ma che sono suscettibili di diretta impugnazione anche gli atti diversi con una funzione analoga a quella di un atto “tipico” o “tipizzato”, la giurisprudenza di legittimità sembra andare decisamente oltre tale assunto. Come confermato anche dagli arresti più recenti della Corte di Cassazione (per una visione completa si rinvia alle opere di Fransoni e Cipolla poc’anzi citate), sono ritenuti direttamente impugnabili tutti gli atti dell’Amministrazione finanziaria che contengano una pretesa impositiva, quali il c.d. avviso bonario ex art. 36-ter D.P.R. n. 600/1973 (Cass., 22 maggio 2024, n. 14268; Cass., 8 settembre 2022, n. 26523; Cass., 29 ottobre 2021, n. 30736; Cass., 21 gennaio 2020, n. 1230; Cass., 31 ottobre 2018, n. 27805) le fatture emesse per il servizio in materia di Tariffa Igiene Ambientale (Cass., 17 gennaio 2023, n. 1213; Cass., 3 novembre 2021, n. 31259; Cass., 3 febbraio 2022, n. 3347; Cass., 8 aprile 2022, n. 11481) un “sollecito di pagamento” (Cass. civ., 23 febbraio 2024, n. 4938) un “invito al pagamento” (Cass., 27 ottobre 2020, n. 23532) il “diniego parziale di estinzione del carico iscritto a ruolo” (Cass., 30 gennaio 2020, 2144) un “parere di disapplicazione della disciplina delle società di comodo” (Cass., 21 gennaio 2020, n. 1230, nel qual caso la pretesa impositiva è rappresentata dalla tassazione induttiva determinata in applicazione della normativa sulle società di comodo applicabile in considerazione dell’esito negativo della risposta).
Nonostante in più occasioni la dottrina abbia tentato di individuare quali siano i corretti presupposti per aversi la diretta impugnabilità degli “atti diversi” (prevale l’idea dell’identità di funzione come in Russo P.- Coli F. – Mercuri G., Diritto processuale tributario, Milano, 2022, 40; ancora più nello specifico Russo P., L’ampliamento della giurisdizione tributaria e del novero degli atti impugnabili: riflessi sugli organi e sull’oggetto del processo, in Rass. trib., 2009, 6, 1551 ss. e in partic. 1577; secondo altri Autori essa sarebbe ricavabile non dai singoli atti indicati nell’elenco, ma dalla categoria di azioni ad essi collegate, come in Tabet G., Una giurisdizione speciale alla ricerca della propria identità, in Riv. dir. trib., 2009, 1, I, 21 ss. in partic. 36; una tesi conforme a tale ricostruzione si legge in Cass., 28 dicembre 2023, n. 36217; nell’opera di Fransoni citata in precedenza, l’Autore osserva, peraltro, che il catalogo di fonte giurisprudenziale degli atti impugnabili non è tanto più esteso di quello degli atti espressamente contemplati nell’art. 19 così Fransoni G., Spunti ricostruttivi in tema di atti impugnabili nel processo tributario, cit., 1003 ss.; sulla possibilità di interpretazione estensiva si veda l’importante lavoro di Glendi C., Atti impugnabili e oggetto del ricorso, in Dir. prat. trib., 2017, 6, II, 2746 ss., in partic. 2804, il quale sulla tutela facoltativa afferma «sorgendo, infatti, in capo al contribuente stesso l’interesse ex art. 100 c.p.c. a chiarire, con pronuncia idonea ad acquisire effetti non più modificabili, la sua posizione al riguardo e perciò ad invocare un controllo in via giurisdizionale della legittimità sostanziale del potere impositivo, fermo restando però che, in caso di mancata impugnazione da parte del contribuente di un atto non espressamente indicato dall’art. 19 d.lgs. cit., non si determina la non impugnabilità, e cioè la «cristallizzazione» di quella pretesa […]»; in tema di rilevanza dell’elenco degli atti impugnabili sul piano costituzionale si veda Tesauro F., Dubbi di costituzionalità sulla tassatività degli atti impugnabili dinanzi alle commissioni tributarie, in Boll. trib., 1984, 782-783 in cui l’Autore così esordisce «una legge processuale che voglia essere la disciplina generale dei processi relativi ad una certa materia deve essere in grado di soddisfare tutti i bisogni di tutela»; Id., Il processo tributario tra modello impugnatorio e modello dichiarativo, in Rass. trib., 2016, 4, 1036 e in partic. 1043 si legge che la “Cassazione ha disapplicato la tassatività degli atti impugnabili e contrapposto…una costruzione diversa, secondo la quale sarebbero impugnabili anche atti non autoritativi …astrattamente suscettibili a fondare l’interesse alla impugnazione ex art. 100 c.p.c.”; si veda poi la recente monografia di Rasi F., L’interesse a ricorrere nel processo tributario, Milano, 2022, in partic. 465 in cui si attribuisce all’art. 19 D.Lgs. n. 546/1992 una funzione anti abuso del processo tributario; dello stesso Autore si veda anche Id., Finalmente una svolta nella giurisprudenza della Cassazione in tema di atti impugnabili?, in Riv. tel. dir. trib., 2023, 2, VI, 717, passim; si veda anche Corda F., Attualizzazione pragmatica dell’interpretazione dell’art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992 e del contrasto sulla tassatività dell’elenco degli atti impugnabili, in Dir. prat. trib., 2020, 5, 1925 ss.), la giurisprudenza più recente ritiene impugnabile qualunque atto dell’Amministrazione finanziaria contenente una pretesa impositiva già “formata”, motivo per cui, ad esempio, non può essere impugnato autonomamente un PVC (mancando la pretesa; cfr. Cass., 30 ottobre 2002, n. 15303) e non sono ammesse azioni di mero accertamento (mancando l’atto; emblematica è Cass., 10 novembre 2016 n. 22946 – citata anche nell’ordinanza meno recente in commento – la quale dichiara inammissibile una azione proposta per sentire pronunciare la prescrizione decorsi dieci anni dalla notifica della cartella, ma implicitamente afferma che il ricorso sarebbe stato ammissibile se fosse stato preceduto da un’istanza di autotutela e avesse avuto ad oggetto il relativo diniego, dato che, in tal caso, ci sarebbe stato un “atto” impugnabile).
In tutte queste ipotesi di impugnazione diretta di atti “atipici” la giurisprudenza ha altresì chiarito che il destinatario dell’atto non ha un onere di impugnazione bensì una facoltà, con la conseguenza che tali atti sono inidonei a divenire definitivi decorso il termine di sessanta giorni dalla loro notificazione.
La giurisprudenza, dunque, “conia” una terza categoria di atti: quelli “facoltativamente” impugnabili (come efficacemente riassunto in Cass., 7 giugno 2023, n. 16122).
Le regole applicabili a tale categoria di atti possono quindi essere così riassunte (proseguendo la precedente numerazione):
f) l’atto dell’Amministrazione finanziaria che contiene una pretesa impositiva sostanzialmente individuata o, comunque, individuabile in ragione degli effetti dell’atto (come nel caso degli interpelli o pareri disapplicativi) è facoltativamente impugnabile;
g) in presenza di tali elementi, l’interesse ad agire ex art. 100 c.p.c. è implicito, mentre mancherebbe un interesse implicito nelle ipotesi in cui difetti l’uno (l’atto) o l’altro (la pretesa) requisito (si veda in tal senso Cass., 15 novembre 2021, n. 34177 in materia di interpello disapplicativo; si veda anche la già menzionata Cass., 10 novembre 2016, n. 22946);
h) la mancata impugnazione degli atti facoltativamente impugnabili non determina immediatamente una decadenza in capo al destinatario: egli potrà scegliere di impugnarli direttamente o insieme al successivo atto autonomamente impugnabile (quindi la pretesa riportata nell’atto facoltativamente impugnabile non diviene irritrattabile per mancata impugnazione e può essere oggetto di ricorso insieme al primo atto tipizzato successivamente notificato; così anche nella cit. Cass., 7 giugno 2023, n. 16122);
i) diversamente, l’atto facoltativamente impugnabile non potrà più essere impugnato autonomamente, al momento della notifica di un successivo atto “tipizzato” in relazione al quale sussisterebbe un onere di impugnazione anche in pendenza del giudizio sull’atto facoltativamente impugnabile, giudizio che si concluderà quindi con una pronuncia di inammissibilità per sopravvenuto difetto di interesse (questo profilo appare di significativa rilevanza, ma, ancorché il principio poc’anzi riassunto si legge in questi termini in diverse pronunce, la sua applicazione sembra più limitata: la giurisprudenza più recente fa risalire il principio a Cass., 11 maggio 2012, n. 7344; ribadito in Cass., 29 ottobre 2021, n. 30691 e, soprattutto, n. 30736; affermato anche da Cass., 14 maggio 2024, n. 13207 qui in commento e, da ultimo, ribadito in Cass., 27 maggio 2024, n. 14771 e Cass., 24 giugno 2024, n. 17300; in tutte le pronunce si legge che resta comunque l’onere di impugnare l’atto “tipizzato” successivamente notificato perché, in assenza, l’impugnazione facoltativa dell’atto presupposto diviene inammissibile per difetto di interesse, ma tutte le pronunce riguardavano casi in cui l’atto successivo era stato effettivamente impugnato);
l) analogamente il giudicato formatosi sull’atto facoltativamente impugnabile si riverbera anche sugli atti successivi (Cass., 15 maggio 2024, n. 13342; Cass. 26 giugno 2023, n. 18241).
Da tale ricostruzione si evince, dunque, che le regole dettate dall’art. 19 D.Lgs. n. 546/1992, nascono con la funzione di semplificare l’indagine preliminare del giudice prima di pronunciarsi sul merito della causa: la mera esistenza di un atto impugnabile, in osservanza alle regole dettate per la sua impugnazione, rappresenta una condizione necessaria, ma anche sufficiente per l’ammissibilità del ricorso. Sotto questo profilo, le regole sugli atti impugnabili costituiscono una predeterminazione normativa delle condizioni dell’azione (possibilità giuridica, interesse ad agire e legittimazione ad agire). Inoltre, l’esistenza di un elenco di atti tipizzati e le regole sull’impugnazione di quelli diversi (facoltativamente impugnabili o meno) determina una “parcellizzazione” dei fatti deducibili da parte del ricorrente, in modo tale di impedire una duplicazione delle tutele, consentendo al giudice, in maniera più agevole, di verificare l’esistenza di situazioni divenute incontrovertibili (sia per mancata impugnazione “necessaria” sia per mancata impugnazione degli atti diversi al più tardi insieme al primo atto autonomamente impugnabile successivo, ovvero ancora per la formazione di giudicato). Relativamente all’orientamento sugli atti facoltativamente impugnabili è, invece, evidente come lo stesso nasca da esigenze (in taluni casi, probabilmente, sopravalutate ed eccessive) di salvaguardare l’effettività della tutela giurisdizionale (sul prisma della effettività della sola “tutela immediata”), pertanto, a stretto rigore, sarebbe irragionevole porlo alla base di decisioni che, in definitiva, finiscano, invece, per limitare l’accesso alla giustizia (come accadrebbe, laddove si applicasse letteralmente il principio sopra espresso sub lett. i), dichiarando inammissibili per sopravvenuto difetto di interesse i ricorsi contro atti facoltativamente impugnabili non seguiti dall’impugnazione del primo atto autonomamente impugnabile successivamente notificato; diverso è invece il caso di impugnazione dell’atto invalidamente notificato insieme al primo atto utile – nel senso già chiarito e ripreso successivamente).
4.Alla luce di quanto appena osservato, sembra ora opportuno occuparci delle possibili tutele giurisdizionali in materia di atti della riscossione (con particolare riferimento al “ruolo”, nelle diverse accezioni indicate in precedenza, ma con considerazioni che saranno successivamente utili anche per risolvere il caso dell’ingiunzione di pagamento). Successivamente, si verificherà in che modo l’art. 12, comma 4-bis, D.P.R. n. 602/1973 ha mutato le preesistenti tutele. A conclusione di tale analisi si verificherà quindi la possibilità di impugnare il “ruolo” separatamente dalla relativa cartella di pagamento, anche per verificare eventuali divergenze nel caso dell’impugnazione dell’ingiunzione di pagamento.
Intanto, va osservato che la giurisprudenza sugli atti facoltativamente impugnabili non risolve due casi limite: 1) l’impugnazione, al momento della sua conoscenza, di un atto tipizzato invalidamente notificato; 2) l’impugnazione di un atto tipizzato invalidamente notificato, al momento della sua notificazione insieme ad un atto dell’esecuzione forzata che, come è noto, rientra in una categoria di atti espressamente sottratti alla giurisdizione del giudice tributario dall’art. 2, comma 1, secondo alinea, D.Lgs. n. 546/1992. In tali ipotesi, sarebbe inappropriato definire “facoltativa” l’eventuale tutela immediata rispetto ad una tutela differita che, secondo il tenore testuale degli artt. 2 e 19, cit., potrebbe anche non esserci mai.
A tale proposito è necessario precisare che fino al 2018 la seconda questione non aveva ancora trovato una soluzione univoca in giurisprudenza e, in tale periodo storico, al fine di risolvere la prima questione, interviene la nota Cass., Sez. Un. 2 ottobre 2015, 19704 (citata in motivazione dell’ordinanza in commento): in quella occasione, le Sezioni Unite erano chiamate a decidere il ricorso di un contribuente che, avendo appreso dell’esistenza di una cartella di pagamento e della relativa iscrizione a ruolo al momento della consegna da parte dell’Agente della riscossione dell’“estratto di ruolo”, impugnava la cartella invalidamente notificata. I giudici di merito, nonostante il ricorso del contribuente avesse ad oggetto la cartella invalidamente notificata, avevano dichiarato inammissibile il ricorso ritenendo non impugnabile l’estratto di ruolo. Interessate della questione, le Sezioni Unite della Suprema Corte riconducevano la vicenda in una direzione più corretta, individuando in modo condivisibile il vero oggetto del contendere: infatti, tentato di chiarire i profili definitori in ordine al significato da attribuire alle espressioni “ruolo”, “cartella” e “estratto di ruolo, le Sezioni Unite ritenevano pacifica la non impugnabilità dell’“estratto di ruolo” (riferendosi con ciò ad un mero documento che riproduceva il “ruolo”) e si ponevano la differente questione riguardante l’impugnabilità, al momento della loro effettiva conoscenza da parte del destinatario, del ruolo e della cartella invalidamente notificati.
Le Sezioni Unite ipotizzavano due soluzioni ermeneutiche alternative, ricavabili dall’art. 19, comma 3, D.Lgs. n. 546/1992. Una interpretazione testuale avrebbe comportato la possibilità di ricorrere solo al momento della conoscenza degli atti prodromici invalidamente notificati insieme al primo atto autonomamente impugnabile successivamente notificato. Tuttavia, tale soluzione, presentava alcune rilevanti implicazioni con riferimento all’effettività della tutela giurisdizionale, dato che, solitamente, la cartella di pagamento costituisce anche l’ultimo atto autonomamente impugnabile dinnanzi al giudice tributario notificato al contribuente in un periodo storico, per giunta, in cui si dubitava dell’esistenza di una tutela giurisdizionale in materia tributaria contro gli atti successivi in base al richiamato art. 2, comma 1, secondo alinea, D.Lgs. n. 546/1992, neppure esercitabile dinnanzi al giudice ordinario in base al primo comma dell’art. 57 D.P.R. n. 602/1973 che, al contempo, escludeva la maggior parte delle opposizioni esperibili dinnanzi al Tribunale (salva l’ipotesi della notificazione di un’intimazione di pagamento dell’ipoteca e del fermo, rispettivamente regolati dagli artt. 50, comma 2, 77 e 86 D.P.R. n. 602/1973, impugnabili in base all’art. 19, comma 1, lett. e), e-bis) ed e-ter), D.Lgs. n. 546/1992; tra i tanti si v. Ingrao G., Le prospettive di tutela del contribuente nelle procedure di fermo e di ipoteca, in Rass. trib., 2007, 3, 778 ss.; Cannizzaro S., Brevi note in tema di giurisdizione sul fermo di beni mobili registrati alla luce del recente orientamento del Consiglio di Stato, in Riv. dir. trib., 2005, 10, II, 582; più diffusamente Id., Il fermo dei beni mobili registrati e l’ipoteca nella fase della riscossione dei tributi, Roma, 2011, passim).
Districandosi tra le incertezze che caratterizzavano quel periodo storico, al fine di evitare possibili vuoti di tutela, le Sezioni Unite hanno ritenuto che l’art. 19, comma 3, cit. non potesse precludere «l’impugnabilità dell’atto (del quale il contribuente sia venuto “comunque” a conoscenza)» (sul tema si v. anche Fransoni G., L’impugnabilità degli interpelli, in Rass. trib., 2020, 1, 102 ss. e in partic. 109-110).
La sentenza delle Sezioni Unite, invece, non è affatto chiara quanto alla verifica della sussistenza dell’interesse ad agire in tale ipotesi: da una parte, l’accoglimento del ricorso sottende implicitamente la sussistenza dell’interesse ad agire nell’ipotesi in cui il contribuente impugni il ruolo e la cartella invalidamente notificati al momento della loro conoscenza; dall’altra parte, però, nella parte in cui la sentenza sostiene che «è però indubbio che anche un eventuale (modesto) incremento del contenzioso non potrebbe giustificare una compressione del diritto alla tutela giurisdizionale consistente nel posticipare la possibilità di accesso ad essa ad un momento successivo al sorgere dell’interesse ad agire e perciò ad un momento in cui è possibile che alcuni effetti lesivi dell’atto si siano già prodotti» lascerebbe intendere esattamente il contrario.
Probabilmente, questo profilo va chiarito alla luce della seconda questione, concernente l’impugnazione di un atto tipizzato invalidamente notificato, al momento della sua notificazione insieme ad un atto dell’esecuzione forzata.
La sua soluzione passa per tre pronunce – divenute una sorta di manuale per gli appassionati del settore – che consentono all’interprete di districarsi in questa complicata materia.
La prima è rappresentata dalla sentenza Cass., Sez. Un., 5 giugno 2017, n. 13913 che, intervenuta per dirimere un contrasto in seno alla Suprema Corte, ha affermato la giurisdizione tributaria in materia di impugnazione del ruolo e della cartella invalidamente notificati conosciuti con la notificazione di un verbale di pignoramento mobiliare (ossia ha riconosciuto la giurisdizione del giudice tributario ai fini della proponibilità di un’azione analoga all’opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c., anche in considerazione dell’impossibilità di proporre tale tutela dinnanzi al giudice ordinario in considerazione dell’art. 57, comma 1, D.P.R. n. 602/1973). Sotto il profilo dell’interesse ad agire le Sez. Un. in quella occasione hanno statuito che «l’atto di pignoramento non preceduto dalla notifica della cartella di pagamento integra (come sottolineato dalla CTR) il primo atto in cui si manifesta al contribuente la volontà di procedere alla riscossione di un ben individuato credito tributario e pertanto, in quanto idoneo a far sorgere l’interesse ad agire ai sensi dell’art. 100 c.p.c., rientra nell’ambito degli atti impugnabili davanti al giudice tributario in forza del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19».
La seconda pronuncia è la nota Corte cost., 31 maggio 2018, n. 114 con cui la Consulta ha dichiarato incostituzionale l’art. 57, comma 1, D.P.R. n. 602/1973, nella parte in cui escludeva le opposizioni all’esecuzione in materia tributaria dinnanzi al Tribunale.
La terza, infine, è la pronuncia Cass., Sez. Un., 14 aprile 2020 n. 7822 con cui le Sezioni Unite riassumono efficacemente le tutele del contribuente nell’esecuzione forzata. In tale importante arresto la Suprema Corte conferma il precedente orientamento in materia di azioni analoghe all’opposizione agli atti esecutivi e chiarisce che, al fine di individuare il giudice munito di giurisdizione con riferimento alla tutela analoga alle opposizioni all’esecuzione, è necessario fare riferimento ai fatti estintivi, impeditivi o modificativi dedotti dalla parte, collocandoli nel tempo, avuto riguardo al procedimento attuativo del tributo. Così, tanto per fare l’esempio più emblematico, una eventuale domanda per far valere la prescrizione sarà devoluta alla giurisdizione del giudice ordinario, laddove il tempo necessario alla sua maturazione sia ininterrottamente decorso dalla data di notifica dell’ultimo atto autonomamente impugnabile, senza che, medio tempore, vi siano stati altri atti autonomamente impugnabili pur invalidamente notificati e semplicemente affermati in giudizio; negli altri casi, è devoluta alla giurisdizione del giudice tributario (ciò si verifica, quindi, nell’ipotesi in cui, a sostegno della domanda per far valere la prescrizione, il contribuente affermi l’invalida notifica di un atto autonomamente impugnabile). Anche in questa ultima pronuncia si legge che l’atto di pignoramento non preceduto dalla valida notifica della cartella di pagamento integra l’interesse ad agire del destinatario.
Dall’esame proposto sembra possibile giungere alle seguenti ulteriori conclusioni.
La pronuncia del 2015 è indubbiamente animata da maggiori esigenze adeguatrici dato che, in quel periodo storico, si dubitava circa l’esistenza di una tutela del contribuente successiva alla conoscenza del ruolo invalidamente notificato. Conseguentemente, la ritenuta sussistenza di un interesse ad agire al momento della conoscenza era in qualche modo condizionata dall’idea dell’inesistenza di una tutela successiva.
Le tre pronunce successive eliminano i vuoti di tutela nella fase dell’esecuzione forzata e stabiliscono la sussistenza dell’interesse ad agire tutte le volte in cui il ruolo invalidamente notificato sia conosciuto a seguito della notifica di un successivo atto.
Esse, tuttavia, potrebbero mettere implicitamente in dubbio l’esistenza di un interesse ad agire implicito, quando l’impugnazione del ruolo e della cartella invalidamente notificati sia proposta al momento della loro informale conoscenza: si potrebbe ritenere che, solo in tali ipotesi, il ricorrente debba esplicitare le ragioni che lo spingono a richiedere una tutela anticipata rispetto a quella che ormai potrebbe certamente proporre al momento della notificazione di un successivo atto esecutivo.
Tali pronunce chiariscono anche che per primo atto “utile” (come sopra indicato al precedente paragrafo 3) si deve evidentemente intendere qualunque atto notificato al contribuente. Portando tale orientamento alle estreme conseguenze, la mancata impugnazione insieme al primo atto utile di un atto autonomamente impugnabile invalidamente notificato fa decadere il destinatario dall’impugnazione.
5.Come è noto, successivamente, l’art. 12, comma 4-bis, D.P.R. n. 602/1973, introduce un nuovo regime di impugnazione del ruolo e della cartella di pagamento invalidamente notificati (tra i primi commentatori della norma, all’atto della sua introduzione, si v. Bruzzone M.G., Limiti all’impugnazione immediata di ruoli e cartelle: travagli “costituzionalmente orientati” nell’attesa della Corte costituzionale, in GT – Riv. giur. trib., 2023, 2, 173 ss.; Basilavecchia M., Si ridimensiona l’impugnazione facoltativa dell’estratto di ruolo, in Corr. trib., 2023, 1, 53 ss.; Marcheselli A., Quel pasticciaccio brutto della c.d. impugnazione degli estratti di ruolo, in questa Rivista, 2022, 1, VI, 217 ss. si veda anche quanto osservato da Tundo F., Estratti di ruolo: tra revirement e invasioni di campo le SS.UU. (de)limitano le tutele, in GT – Riv. giur. trib., 2022, 11, 847 ss.; Carinci A., Note sparse sulla novella che ha introdotto la non impugnabilità dell’estratto di ruolo nonché della cartella di pagamento e del ruolo per vizi di notifica, in questa Rivista 2022, 1, VI, 185 ss. il quale solleva il legittimo dubbio che la norma in questione potesse essere anche agli atti di accertamento impoesattivi invalidamente notificati, anche in considerazione dell’art. 29, lett. g), D.L. n. 78/2010, ma offre una convincente e condivisibile soluzione negativa).
In primo luogo, l’espressa previsione sul piano normativo della non diretta impugnabilità del ruolo e della cartella invalidamente notificati, conferma ulteriormente quanto osservato poc’anzi, circa la loro diretta impugnabilità prima dell’intervento normativo (risolve affermativamente, però, più in generale, l’impugnabilità al momento della loro conoscenze di tutti gli atti autonomamente impugnabili invalidamente notificati, purché diversi dal ruolo e dalla cartella di pagamento; tali assunti sono avvalorati dal fatto che, come si legge nei vari atti preparatori che hanno accompagnato l’introduzione del comma 4-bis, la disposizione ha l’espressa finalità di porsi in discontinuità rispetto all’orientamento delle Sezioni Unite del 2015 in un momento in cui i vuoti di tutela sono stati colmati).
Così facendo, tuttavia, la novella non interviene sugli atti (ruolo e cartella restano pur sempre atti tipizzati autonomamente impugnabili), ma direttamente sull’interesse ad agire che viene ritenuto non sussistente per espressa previsione normativa (salvo i casi contemplati): il che evidentemente appare del tutto irragionevole (e, a mio avviso, incostituzionale), posto che una fattispecie normativa astratta non sarà mai in grado di stabilire quando vi sia o quando non vi sia un interesse attuale e concreto ad impugnare (oltre alla dottrina citata nel presente paragrafo si veda anche Fransoni G., L’impugnabilità degli interpelli, cit., 109 che, con riferimento ad un caso analogo, sollevava gli stessi dubbi).
Tale irragionevolezza non è sfuggita evidentemente alla Corte cost. 17 ottobre 2023, n. 190 che, come è noto, rilevando un caso di discrezionalità legislativa, ha differito la (probabile) declaratoria di incostituzionalità, in assenza di un intervento del legislatore finalizzato a ripristinare l’inaccettabile compressione della tutela giurisdizionale.
Ora, al di là di tali (pur importanti) profili, posto che la norma si applica anche ai giudizi in corso (Cass., Sez. Un., 6 settembre 2022, n. 26283), ai fini della presente analisi, bisogna individuare quale sia la sua effettiva efficacia. Poiché la disposizione nasce espressamente per contrastare il fenomeno delle impugnazioni del ruolo e della cartella invalidamente notificati al momento della loro conoscenza (ossia quella ipotesi indicata al punto 1) del precedente paragrafo), essa non potrà che applicarsi esclusivamente a tale ipotesi; la “novella”, quindi, non pregiudica l’impugnazione del ruolo e della cartella invalidamente notificati, conosciuti al momento della notificazione del successivo primo atto “utile” (come pure è espressamente chiarito dalla più recente Cass., 13 maggio 2024, n. 13143 nella parte in cui si legge «il ruolo e la cartella che si assume invalidamene notificata sono suscettibili di diretta impugnazione nei soli casi in cui il debitore che agisce in giudizio dimostri che dall’iscrizione a ruolo possa derivargli un pregiudizio per la partecipazione a una procedura di appalto -, innalza la soglia del bisogno di tutela giurisdizionale dei contribuenti ai fini della impugnazione “diretta” del ruolo e della cartella. La disposizione censurata restringe la possibilità di impugnare la cartella di pagamento che si ritenga invalidamente notificata e di cui il contribuente sia venuto a conoscenza dall’estratto di ruolo [che ne afferma la valida notifica]…»).
Alla luce del comma 4-bis si può ritenere che, mentre qualunque atto autonomamente impugnabile invalidamente notificato, sia impugnabile al momento della sua conoscenza o (a pena di decadenza) insieme al primo atto utile notificato al destinatario, il ruolo e la cartella invalidamente notificati sono impugnabili (a pena di decadenza) solo con la notifica del primo atto utile (come corollario, si dovrebbe ritenere anche che l’eventuale notifica dell’estratto di ruolo, non consentendo l’impugnazione dei primi atti insieme a questo ultimo – quantomeno in base alla dichiarata funzione della disposizione, alla rubrica della norma che l’ha introdotta e al primo periodo della stessa – , conseguentemente non determinerà alcuna decadenza con riferimento a tali atti).
6.Prima di giungere ad una conclusione relativamente alle ordinanze in commento, sembrano opportune ancore due ultime considerazioni; una in ordine alla impugnabilità degli atti della riscossione contestualmente o separatamente rispetto agli atti impositivi presupposti, al fine di verificare come operano le barriere preclusive e, conseguentemente, quali siano i limiti all’esercizio della tutela giurisdizionale in tali casi; un’altra considerazione, strettamente connessa alla prima, riguarda la possibilità o meno di impugnare separatamente il ruolo e la cartella validamente notificati.
Venendo alla prima questione, in base alle regole sopra riportate (al precedente paragrafo 3), si è visto come le norme processuali impongano diverse barriere preclusive (con le relative decadenze), “parcellizzando” le tutele, con il fine essenziale di giungere ad una situazione di incontrovertibilità evitando, al contempo, irragionevoli duplicazioni delle tutele. A tale proposito, riveste un ruolo essenziale la regola dell’impugnabilità “per vizi propri” a cui si aggiungono i diversi corollari riguardanti gli “atti diversi” (facoltativamente impugnabili o meno) e l’impugnazione degli atti tipizzati invalidamente notificati.
È indiscutibile che una decadenza si verifica in caso di tardiva o mancata impugnazione di atti tipizzati correttamente notificati come pure in caso di mancata impugnazione con la notifica del primo atto “utile” di atti tipizzati precedentemente invalidamente notificati (nel senso chiarito in precedenza).
In questa ultima ipotesi (ma solo in questa ipotesi riguardante l’atto autonomamente impugnabile invalidamente notificato) se il secondo atto (ossia il primo atto utile) è anch’esso autonomamente impugnabile, vi è l’onere di impugnare il primo atto unitamente a quest’ultimo, dato che, diversamente, il ricorso sul primo atto sarebbe inammissibile per sopravvenuta carenza di interesse determinata dalla definitività del secondo. Tale assunto si ricava dal dato testuale dell’art. 19 secondo cui l’impugnazione del primo atto deve avvenire “unitamente” al secondo.
È, invece, pacifico che, nel caso di impugnazione tempestiva di un atto autonomamente impugnabile, non vi è l’onere di impugnare anche i successivi atti: questi, o saranno travolti dall’accoglimento della prima impugnazione, in base alla efficacia espansiva della prima decisione rispetto agli “atti dipendenti” con essa incompatibili (sancito peraltro anche dall’art. 336 c.p.c. con riferimento alle pronunce di Cassazione; per giunta, ribadito dal nuovo art. 7-ter dello Statuto dei diritti del contribuente, secondo cui gli eventuali atti emanati in contrasto con un giudicato favorevole al contribuente sono nulli) o, in caso di rigetto del ricorso, diventeranno anch’essi definitivi (stante la regola dell’impugnabilità solo “per vizi propri”).
Diversa è, invece, la questione relativamente alla tutela facoltativa, perché, come si è detto supra, esisterebbe un onere di impugnazione anche dell’atto tipizzato successivo, pena un sopravvenuto difetto di interesse a proseguire il giudizio promosso avverso l’atto facoltativamente impugnabile: come si è accennato, tuttavia, tale principio è solitamente affermato nelle ipotesi in cui il contribuente eserciti prima la tutela facoltativa e dopo anche quella contro l’atto tipizzato, per affermare l’inammissibilità della prima impugnazione con il fine (evidente) di evitare una duplicazione delle tutele. Come detto, però, a stretto rigore logico, il principio non può operare in caso di mancata impugnazione anche del successivo atto tipizzato, e la definitività del secondo atto non può travolgere la tutela facoltativa una volta esercitata. Se così fosse, la tutela facoltativa, ideata per far fronte ad esigenze adeguatrici, diventerebbe uno strumento di irragionevole duplicazione delle controversie (peraltro a scapito di altri principi costituzionali, quali, ad esempio, il buon andamento, la ragionevole durata dei processi, ecc.), risolvendosi in una sorta di “trabocchetto” per i contribuenti più meritevoli (che non ravvisano l’opportunità di duplicare le tutele) a vantaggio di quelli più “scaltri” (che impugnano qualunque cosa gli consenta di aumentare – anche abusivamente – le chances di successo). Conseguentemente, in tali circostanze, si verifica qualcosa di simile a quanto affermato sopra con riferimento agli “atti dipendenti”, con l’unica precisazione che, in caso di tutela facoltativa, se è impugnato anche il successivo atto autonomamente impugnabile, proseguirà solo questo secondo giudizio e verrà dichiarato inammissibile il primo per difetto di interesse (a vantaggio dell’effettività della tutela giurisdizionale con salvezza, però, di una irragionevole duplicazione delle tutele).
Veniamo, quindi, alla seconda considerazione avente ad oggetto l’impugnazione del ruolo separatamente dalla cartella validamente notificati.
Relativamente a tale ipotesi, non credo si possa ritenere il primo atto quale prodromico del secondo, almeno nell’accezione risultante dal citato art. 19, comma 3 (quindi sul piano processuale): infatti, nei confronti del destinatario, il “ruolo”, in quanto atto recettizio, acquista efficacia solo nel momento della sua notificazione. Ma anche se, sul piano processuale, il ruolo non è prodromico rispetto alla cartella, questo ultimo atto è indubbiamente dipendente dal primo non fosse altro perché la formazione di una cartella di pagamento da parte dell’ Agente della riscossione presuppone la previa formazione (e la successiva consegna) di un ruolo da parte dell’ente impositore.
Ciò detto, non si può ritenere una loro inscindibilità o unicità sul piano sostanziale o processuale, neanche partendo dal dato testuale dell’art. 19, comma 1, lett. d) che, a differenza di tutti gli altri atti tipizzati, menziona congiuntamente «il ruolo e la cartella di pagamento». In primo luogo, una presunta inscindibilità o unicità è del tutto incompatibile con l’attribuzione delle funzioni per la formazione dei due atti a due enti diversi (il ruolo è atto dell’ente impositore, pur essendo recepito in “estratto” nella cartella di pagamento formata dall’Agente della riscossione). Né sembra essere di ausilio all’opposta tesi l’esistenza della particolare forma di legittimazione straordinaria attribuita all’agente della riscossione dall’art. 39 D.Lgs. n. 112/1999, dato che non esiste alcuna legittimazione straordinaria in capo all’ente impositore nell’eventualità opposta (ossia ove lo stesso fosse destinatario di un ricorso avente ad oggetto l’impugnazione della cartella; anzi, la norma citata sembra un ulteriore indizio della autonomia dei due atti). Inoltre, che si tratti di due atti distinti e, in quanto tali, bisognevoli di distinte forme di tutela, si evince dal successivo art. 21, comma 1, seconda parte, in base al quale «la notificazione della cartella di pagamento vale anche come notificazione del ruolo».
Applicando tali principi ai casi oggetto delle ordinanze in commento si può così concludere.
Quanto affermato in Cass., 14 maggio 2024, n. 13207 è condivisibile perché, essendo rispettoso delle regole sopraesposte sull’impugnazione facoltativa (il caso in esame riguardava un’ingiunzione di pagamento), dimostra una sostanziale omogeneità di trattamento delle tutele anche con riferimento ad eventuali atti tipizzati in rapporto di dipendenza con altri atti autonomamente impugnabili (visto anche il richiamo a Cass., 30 novembre 2023, n. 33425 e Cass., 13 gennaio 2017, n. 718).
Non è invece condivisibile il principio stabilito dalla Cass., 12 aprile 2024, n. 9991 da cui, implicitamente, discenderebbe l’onere di impugnare il ruolo sempre e soltanto congiuntamente alla cartella di pagamento (in senso analogo Cass., 27 marzo 2015, n. 6199, ancorché il caso ivi trattato fosse del tutto particolare).
Peraltro, anche qualora la Cassazione fosse giunta a tale conclusione sul presupposto di una asserita invalida notifica della cartella di pagamento (circostanza che, solo affermata dal ricorrente, viene evidenziata nella parte conclusiva della motivazione quasi ad adiuvandum; l’invalida notifica avvicinerebbe, con qualche forzatura, il caso di specie a quello della impugnazione dell’atto tipizzato invalidamente notificato “unitamente” al primo atto autonomamente impugnabile) la pronuncia non sarebbe comunque condivisibile. Infatti, come si è tentato di rappresentare nelle precedenti pagine, le regole in materia di atti impugnabili (specie nel diritto vivente) sono finalizzate a rendere effettiva la tutela giurisdizionale e non ad ostacolare l’accesso alla giustizia.
In conclusione, la Corte di Cassazione avrebbe dovuto ritenere ammissibile il ricorso contro il solo ruolo, dato che, in tale ipotesi (il ruolo era, peraltro, atto impositivo in quanto conseguente ad un procedimento di liquidazione della dichiarazione ex art. 36-bis D.P.R. n. 600/1973), l’eventuale accoglimento del ricorso avrebbe determinato un effetto espansivo anche nei confronti della cartella di pagamento (atto dipendente dal primo). Detto diversamente, la definitività della cartella di pagamento (in effetti verificatasi) non determinava di per se stessa la sopravvenuta carenza di interesse ad impugnare il ruolo.
(*) Il saggio è stato sottoposto a double blind peer review con valutazione positiva. Esso confluirà nel fascicolo n. 2/2024 (semestrale) della Rivista telematica di diritto tributario.
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