L’incertezza interpretativa della norma e la disapplicazione della sanzione tributaria tra principio della domanda e potere officioso del giudice
Di Mauro Tortorelli
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(nota a/notes to Cass. civ., sez. V, 29 gennaio 2024, n. 2604)
Abstract (*)
L’ignoranza incolpevole della norma tributaria che prevede l’obbligo di pagare non esclude l’obbligo tributario, che dipende dal fatto oggettivo della ricchezza, ma esclude la responsabilità per le sanzioni, che sono dovute per il fatto, soggettivo, della colpa. L’accertamento della colpevolezza deve sempre essere effettuato dal giudice, indipendentemente dalle eccezioni di parte.
The interpretative uncertainty of the law and the non-application of the tax penalty between the principle of the application and the officious power of the judge – Blameless ignorance of the tax law which provides for the obligation to pay does not exclude the tax obligation, which depends on the objective fact of wealth, but excludes responsibility for the sanctions, which are due due to the subjective fact of guilt. The determination of guilt must always be carried out by the judge, regardless of the exceptions of the parties.
Sommario: 1. Il quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento. – 2. La tesi della abrogazione. – 3. Le ragioni a sostegno della rilevabilità di ufficio.
1. In ambito processuale, la norma di riferimento è l’art. 8 D.Lgs. n. 546/1992, a mente del quale: «La corte di giustizia tributaria di primo e secondo grado dichiara non applicabili le sanzioni non penali previste dalle leggi tributarie quando la violazione è giustificata da obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione delle disposizioni alle quali si riferisce».
In particolare: «per “incertezza normativa oggettiva tributaria” deve intendersi la situazione giuridica oggettiva, che si crea nella normazione per effetto dell’azione di tutti i formanti del diritto, tra cui in primo luogo, ma non esclusivamente, la produzione normativa, e che è caratterizzata dall’impossibilità, esistente in sé ed accertata dal giudice, d’individuare con sicurezza ed univocamente, al termine di un procedimento interpretativo metodicamente corretto, la norma giuridica sotto la quale effettuare la sussunzione di un caso di specie)» (Cass., 8 maggio 2024, n. 12639).
In tema di disapplicazione ex officio del giudice delle sanzioni per violazioni di norme tributarie in ragione dell’incertezza interpretativa della norma, nella giurisprudenza di vertice si contrappongono due orientamenti contrastanti.
Per un primo orientamento, più datato ma a cui si ascrive la sentenza in esame, l’accertamento dell’incertezza interpretativa della norma e la conseguente disapplicazione della sanzione costituisce un potere esercitabile d’ufficio dal giudice. L’eventuale richiesta del contribuente al giudice, quindi, deve intendersi diretta a sollecitarne l’esercizio del potere e non può ritenersi una domanda nuova in senso stretto (Cass., 27 marzo 2006, n. 6943).
Per il contrapposto orientamento, per vero prevalente, l’esercizio del potere in esame presuppone la proposizione al giudice, nei modi e nei termini processuali appropriati, della relativa domanda con l’esposizione delle ragioni dell’oggettiva incertezza interpretativa (tra le tante, cfr. Cass., 1° febbraio 2024, n. 3024; Cass., 15 aprile 2022, n. 12369). In particolare, per detto orientamento, la norma processuale non implica che il giudice possa disporre d’ufficio la disapplicazione delle sanzioni. La sua previsione, infatti, è dettata al solo fine di permettere al giudice di legittimità di verificare la sussistenza delle condizioni per la disapplicazione oggetto dei giudizi di merito.
Riguardo al tema della disapplicazione della sanzione irrogata sulla base di una norma incerta, su domanda di parte o motu proprio del giudice, è utile precisare che l’art. 8 citato riproduce, alla lettera, la norma prevista dall’art. 39-bis del previgente D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636. Ne segue che il dibattito dottrinale e giurisprudenziale che ha interessato quest’ultima disposizione può ben essere riferito alla vigente norma processuale.
La fattispecie dell’incertezza normativa che rileva ai fini della disapplicazione della sanzione tributaria, allo stato, è regolata da tre disposizioni di legge.
Procedendo in ordine temporale, l’art. 8 D.Lgs. n. 546/1992, è il primo ed è collocato tra le disposizioni generali sul processo tributario. Le norme di successiva emanazione sono previste nella disciplina generale delle sanzioni amministrative tributarie (art. 6, comma 2, D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, e art. 10, comma 3, L. 27 luglio 2000, n. 212).
Quanto all’art. 8, si è osservato che esso è inserito nelle disposizioni generali sul processo tributario concernenti proprio i poteri riconosciuti al giudice e che dal suo chiaro tenore letterale – e quindi dal senso «fatto palese dal significato proprio delle parole» (art. 12 Preleggi) – non può che discendere il potere officioso del giudice di disapplicare la sanzione, ovviamente alle condizioni di legge previste (Logozzo M., La disapplicazione delle sanzioni amministrative da parte del giudice tributario, in Glendi C., a cura di, La riforma della giustizia tributaria, Padova 2021, 33). Tale potere trova la sua ratio nel principio di colpevolezza dell’incolpato e nella necessità di garantire al privato la certezza di poter operare libere scelte d’azione, di rispondere solo per azioni da lui controllabili e, per l’effetto, mai per comportamenti realizzati nella non colpevole e inevitabile ignoranza del precetto.
Tuttavia, la successiva entrata in vigore del D.Lgs. n. 472/1997, emanato in tema di riforma del diritto sanzionatorio, ha portato una diversa dottrina a ritenere che il decreto stesso aveva riservato alla sola Amministrazione finanziaria il potere di disapplicare la sanzione, con norma introdotta allo scopo di regolare l’intera materia in luogo della precedente (Giovannini A., Errore e sanzioni amministrative tributarie: la buona fede oggettiva esclude la pena, in GT – Riv. giur. trib., 1999, 7, 616; Batistoni Ferrara F., Principi di personalità, elemento soggettivo e responsabilità del contribuente, 1999, I, 1515). In particolare, per questa dottrina, a seguito dell’introduzione nell’ordinamento dell’art. 6 D.Lgs. n. 472/1997, compete all’Amministrazione la compiuta valutazione degli elementi costitutivi la fattispecie sanzionatoria tra cui sia la colpevolezza del contribuente sia l’eventuale presenza dell’esimente della obiettiva incertezza normativa. Sul piano processuale, attesa la natura impugnatoria e dispositiva del processo tributario, in capo al contribuente segue l’onere di domandare al giudice la disapplicazione della sanzione. In difetto di una specifica domanda e considerata l’implicita abrogazione dell’art. 8 D.Lgs. n. 546/1992, la decisione operata ex officio dal giudice comporta la violazione dei principi della domanda e della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato (art. 99 e art. 112 c.p.c.).
Per contro, altra dottrina afferma che la disposizione di legge di cui all’art. 8 D.Lgs. n. 546/1992, non deve ritenersi abrogata a seguito dell’entrata in vigore dell’art. 6 D.Lgs. n. 472/1997. Invero, seppure entrambe le disposizioni di legge abbiano in comune l’incertezza normativa quale causa di esclusione delle sanzioni amministrative tributarie, esse operano in ambiti diversi: processuale, la prima, amministrativo, la seconda (Logozzo M., Dichiarazione di non applicazione delle sanzioni, in Tesauro F., a cura di, Il processo tributario, Torino, 1998; Miccinesi M., L’errore sulla norma tributaria, in Baglioni T. – Menchini S. – Miccinesi M., a cura di, Il nuovo processo tributario, Milano, 2004, 116 ss.; Ficari V., La disapplicazione delle sanzioni amministrative nei procedimenti tributari, in Rass. trib., 2002, 2, 476 ss.).
Altra dottrina ancora sostiene che un’esplicita richiesta al giudice di disapplicazione delle sanzioni non sarebbe comunque necessaria. La domanda di annullamento dell’intero atto impugnato, infatti, implicitamente comprende la parziale e minore richiesta di disapplicazione della sola sanzione (teoria c.d. della “domanda implicita”, cfr. Giovannini A., Commento all’art. 8, d.lgs. n. 546/1992, in Consolo C. – Glendi C. (a cura di), Commentario breve alle leggi sul processo tributario, Padova, 2017, 137).
2. Per una sintetica riflessione e per un “tentativo di dialogo” dei contrapposti orientamenti della giurisprudenza di vertice e della dottrina ci pare opportuno porre in premessa alcune considerazioni.
In primo luogo, la valutazione dell’esistenza di una “incertezza normativa oggettiva tributaria”, quale causa esimente della disapplicazione della sanzione, per il giudice costituisce un’operazione interpretativa di indubbia complessità. E ciò vale, ovviamente, sia se la valutazione è oggetto di una domanda della parte interessata, sia se operata d’ufficio dal giudice.
In secondo luogo, rileva la natura afflittiva della sanzione tributaria. In tema di impugnazione di un atto impositivo, se al comportamento omissivo della parte seguono giuste preclusioni processuali in termini di applicazione dell’imposta, ben più complessa e delicata appare la preclusione ad una possibile disapplicazione della sanzione. Quest’ultima, invero, per la sua natura afflittiva investe il contribuente sul piano della persona, oltre che sul piano economico. Del resto, nella materia tributaria la stessa Corte di Cassazione afferma l’esistenza di un’autonomia concettuale della sanzione tributaria rispetto al tributo (Cass., 6 aprile 2022, n. 11111).
Alla luce di tali premesse, ci si chiede se, nel dettare la norma processuale-tributaria, attraverso l’art. 8 cit., il legislatore abbia voluto affidare al giudice la verifica dell’esimente in esame anche in caso di inerzia del contribuente.
A tale proposito, seppure autorevole, non pare condivisibile l’orientamento della dottrina che considera abrogata la norma processuale attraverso la successiva previsione della specifica disciplina in ambito amministrativo. In disparte la già rilevata competenza in ambiti diversi delle norme di riferimento, nella propria giurisprudenza la Suprema Corte nega la disapplicazione d’ufficio della sanzione, ex art. 8 D.Lgs. n. 546/1992, per ragioni diverse dalla sua abrogazione (sicché, implicitamente, ne ammette l’operatività).
3. Tornando, quindi, al quesito iniziale ci appaiono molteplici le ragioni per cui nel processo tributario il giudice debba intervenire motu proprio per la disapplicazione della sanzione in caso di incertezza normativa.
Il primo e fondamentale argomento è che la incertezza sulla norma che integra il precetto sanzionatorio, prevedendo l’obbligo tributario, è elemento che incide sull’elemento soggettivo della sanzione (se non so di essere obbligato non ostante sia stato diligente non merito la sanzione): elemento soggettivo che deve essere positivamente accertato, come fatto costitutivo indefettibile della responsabilità.
Non pare, come nella materia penale, che possano esserci preclusioni all’accertamento anche officioso di tale elemento, così come non pare che il giudice penale potrebbe esimersi, indipendentemente da allegazioni delle parti, dal verificare se l’imputato era colpevole anche sotto il profilo della colpevolezza in senso tecnico (l’aver tenuto un atteggiamento psicologico rimproverabile: colpa o dolo). Né può presumersi la colpevolezza.
La materia tributaria, poi, da sempre, si caratterizza per il numero e la qualità di interventi legislativi che, da parte dei contribuenti, rendono estremamente difficile l’oggettiva prevedibilità del comportamento contra legem (cfr. Corte Cost., 16 novembre 1993, n. 392). Considerata, quindi, la natura afflittiva della sanzione tributaria appare ragionevole e condivisibile ritenere che il legislatore tributario abbia voluto prevedere un intervento mitigatore e diretto da parte del giudice. Tenuto altresì in conto che, come precisato in premessa, la valutazione dell’esistenza di una “incertezza normativa oggettiva tributaria”, quale causa esimente della disapplicazione della sanzione costituisce un’operazione interpretativa di indubbia complessità, anche per l’interprete per eccellenza: il giudice. Non a caso, per agevolarne la decisione, la Suprema Corte ha individuato specifici fatti-indice (cfr., Cass., 30 marzo 2023, n. 9055). Del resto, in punto di chiosa sull’argomento, sia concesso rilevare che il grado di difficoltà di interpretazione delle norme tributarie, anche processuali e qui riferito all’art. 8, è provato dalla circostanza che la sentenza della Suprema Corte che ci occupa (sent. 29 gennaio 2024, n. 2604) è stata clamorosamente smentita dalla stessa Corte appena due giorni dopo (sent. 1° febbraio, 3024).
Affermare, quindi, che il legislatore abbia voluto privare il giudice del suo potere-dovere di operare d’ufficio e subordinarne la decisione alla domanda di parte, quindi, nella sostanza, al grado di preparazione del difensore del contribuente, pare una soluzione riduttiva anche rispetto ai valori in gioco e alla complessità del giudizio.
In via suggestiva e indiretta, in via generale, ci appare di rilievo il principio di proporzionalità delle sanzioni amministrative, il quale postula il giusto rapporto della sanzione al caso concreto, al fine di adeguare la reazione punitiva dello Stato all’effettivo disvalore della condotta (cfr. Corte Cost., 10 maggio 2019, n. 112 e 23 settembre 2021, n. 185). In particolare deve poi evidenziarsi che il principio di proporzionalità della sanzione deve necessariamente operare anche nel diritto tributario, considerato che «l’impianto sanzionatorio non penale nella materia tributaria risponde a uno stampo penalistico» (Cass. Sez. Un., 27 aprile 2022, n. 13145). Ferma, quindi, l’immanenza del principio di proporzionalità e la natura afflittiva della sanzione tributaria, si dovrebbe privilegiare l’opzione interpretativa dell’intervento d’ufficio del giudice, inteso quale forma ordinaria di ripudio della collettività verso una sanzione afflittiva, ma sproporzionata che colpisce il singolo individuo (sul rilievo del principio di proporzionalità della sanzione in ambito nazionale, cfr. Corte Cost., 17 marzo 2023, n. 46).
Volgendo l’attenzione verso il diritto internazionale, deve osservarsi che anche per il diritto dell’Unione Europea la sanzione deve rispondere ai canoni di adeguatezza, proporzionalità ed effettività (Cass. Sez. Un., 27 aprile 2022, n. 13145). Ed in forza di tali canoni, per la giurisprudenza unionale, ad esempio in tema IVA, compete “d’ufficio” al giudice nazionale il controllo della corretta applicazione del principio di proporzionalità riguardo alla sanzione comminata dall’Amministrazione finanziaria dello Stato membro in forza della normativa domestica (tra le tante, Corte GUE, sez. II, 19 luglio 2012, C-263/11, punto 54).
Quanto alla Convenzione europea dei diritti dell’Uomo, deve osservarsi che per la dottrina il principio di proporzionalità impatta con l’art. 1, Primo protocollo, CEDU e con i requisiti “qualitativi” della legge di cui all’art. 7 CEDU (Giuliani F. – Chiarizia G., Diritto tributario, CEDU e diritti fondamentali dell’U.E., Milano, 2017, 18 e 186).
Si potrebbe quindi affermare che l’applicazione d’ufficio del potere del giudice previsto dall’art. 8 D.Lgs. n. 546/1992, da parte del legislatore domestico potrebbe rappresentare la volontà di adeguare la disciplina nazionale agli standard internazionali in forza degli obblighi derivanti dal diritto internazionale (cfr. artt. 10,11 e 117, Cost.).
In conclusione, ci appare condivisibile l’orientamento interpretativo per cui il potere di disapplicare la sanzione tributaria rientra nell’esercizio diretto del potere del giudice. Come traspare sia dalla sedes materie dell’art. 8 D.Lgs. n. 546/1992, che attiene alle disposizioni generali del processo tributario relative ai poteri dei giudici, e sia dalla chiara formulazione letterale della norma secondo cui «La corte di giustizia tributaria […] dichiara non applicabili le sanzioni […]», senza previsione di condizioni e di necessarie e ulteriori mediazioni.
(*) Il saggio è stato sottoposto a double blind peer review con valutazione positiva. Esso confluirà nel fascicolo n. 2/2024 (semestrale) della Rivista telematica di diritto tributario
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
Batistoni Ferrara F., Principi di personalità, elemento soggettivo e responsabilità del contribuente, 1999, I, 1515
Ficari V., La disapplicazione delle sanzioni amministrative nei procedimenti tributari, in Rass. trib., 2002, 2, 473 ss.
Giovannini A., Commento all’art. 8, d.lgs. n. 546/1992, in Consolo C. – Glendi C. (a cura di), Commentario breve alle leggi sul processo tributario, Padova, 2017, 137
Giovannini A., Errore e sanzioni amministrative tributarie: la buona fede oggettiva esclude la pena, in GT – Riv. giur. trib., 1999, 7, 616 ss.
Giuliani F. – Chiarizia G., Diritto tributario, CEDU e diritti fondamentali dell’U.E., Milano, 2017, 18 e 186
Logozzo M., Dichiarazione di non applicazione delle sanzioni, in Tesauro F. (a cura di), Il processo tributario, Torino, 1998
Logozzo M., La disapplicazione delle sanzioni amministrative da parte del giudice tributario, in Glendi C. (a cura di), La riforma della giustizia tributaria, Padova 2021, 33
Miccinesi M., L’errore sulla norma tributaria, in Baglioni T. – Menchini S. – Miccinesi M., (a cura di), Il nuovo processo tributario, Milano, 2004, 116 ss.
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