RECENTISSIME DALLA CASSAZIONE TRIBUTARIA – Cass., sez. trib., 9 maggio 2024, n. 12708 – Il ritardato pagamento della Pubblica Amministrazione non integra la causa di punibilità della forza maggiore
Di Silvia Giorgi
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La massima della Suprema Corte (*)
Essendo il ritardato pagamento della Pubblica Amministrazione un evento prevedibile e ricorrente, è onere dell’imprenditore predisporre quanto necessario per poter versare il dovuto all’Erario. Non si può, quindi, invocare l’esimente della forza maggiore in caso di omessi/tardivi versamenti correlati alla crisi di liquidità dovuti a significativi ritardi della Pubblica Amministrazione nella corresponsione di importi cospicui.
Il (tentativo di) dialogo
La sentenza in commento delimita (con estremo rigore) il perimetro della causa di punibilità della forza maggiora nel sistema delle sanzioni amministrative tributarie.
Il caso è quello, per un verso, “classico” del contribuente che ritarda il pagamento del debito tributario per una crisi di liquidità; per altro verso peculiare perché la crisi di liquidità dipende da reiterati ritardi della Pubblica Amministrazione nella corresponsione di importi cospicui. A “colorire” ulteriormente la vicenda anche la circostanza per cui il contribuente è società dedita alla locazione di impianti per effettuare intercettazioni ambientali che ha, per l’appunto, quali unici committenti le Procure della Repubblica e i Tribunali.
La tesi del contribuente, vittorioso nelle fasi di merito, è quella per cui il ritardato pagamento della Pubblica Amministrazione per importi cospicui ha determinato una crisi di liquidità che ha impedito di onorare tempestivamente i debiti tributari, con ciò elidendo lo stato soggettivo della colpa. La questione viene, anche proposta sotto il profilo della “giustizia” della risposa punitiva giacché sarebbe quanto meno iniquo che la stessa Pubblica Amministrazione, responsabile della crisi di liquidità del proprio creditore, possa poi, assumendo le sembianze del Fisco, richiedere il pagamento della sanzione in relazione ad una condotta da lei stessa provocata.
La Suprema Corte, invece, senza indugiare sul tema dell’equità, sposa la linea dura e senza “fronzoli” dell’accezione penalistica della forza maggiore.
L’esimente, nel sistema delle sanzioni amministrative tributarie, deve dunque essere intesa come evento imponderabile che annulla la signoria del soggetto sui propri comportamenti, elidendo il requisito della coscienza e della volontarietà della condotta. Ciò posto, l’evento non può essere qualificato come imprevedibile, essendo il ritardato pagamento della Pubblica Amministrazione un fenomeno ricorrente (o meglio, secondo le testuali parole della pronuncia “purtroppo ricorrente”, con un avverbio che lascia trapelare l’unica concessione “empatica” della Suprema Corte alla malcapitata società).
È, in definitiva, onere dell’imprenditore predisporre quanto necessario – anche attraverso mutui e accantonamenti – per versare tempestivamente il dovuto all’Erario.
A fronte di fatti pacifici – tanto il ritardato pagamento del contribuente quanto i significativi e reiterati inadempimenti pubblici – la Corte chiosa con il leitmotiv sul rischio d’impresa che impone una «valutazione prognostica in ordine ai pagamenti attesi e agli oneri fiscali da fronteggiare in presenza dell’eventuale (omesso o) tardivo pagamento del debitore, sia esso la P.A. oppure un privato, ricercando i fondi con i quali far fronte alle proprie obbligazioni tributarie». Passando al profilo della prova, il contribuente non si è, poi, nemmeno premurato di allegare circostanze che comprovassero di essersi attivato per reperire le somme necessarie ad adempiere alle obbligazioni tributarie (con ciò meritando anche la condanna alle spese del giudizio).
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La sentenza presenta notevoli motivi di interesse.
Il primo è certamente quello di investire una causa di punibilità di scarsa applicazione, blindandone ancor più la concreta operatività.
Noto, infatti, che sinora la forza maggiore ha trovato limitato riconoscimento in casi “estremi” quali gli eventi calamitosi o scioperi che impediscono l’esecuzione dell’adempimento dovuto. Crisi o dissesti finanziari non sono, invece, tradizionalmente considerati idonei ad escludere l’esigibilità della condotta doverosa, con un orientamento consolidato nella giurisprudenza penale in tema di omessi versamenti (cfr. ex multis, Cass.pen., sez. III, n. 12906/2018).
Il parallelismo penalistico offre il secondo spunto di interesse.
L’attività di impresa è per sua natura rischiosa. E per la Corte affrontare il rischio d’impresa significa dilatare le maglie del criterio penalistico della prevedibilità in astratto: in taluni settori ad elevata pericolosità (esempio classico era quello della circolazione stradale) il principio del legittimo affidamento è stato costantemente e abbastanza pacificamente mutilato dalla Cassazione penale non potendo il soggetto confidare nell’altrui condotta diligente (Cass. pen. n. 24414/2021). Non è, dunque, sufficiente che ciascuno osservi le regole di prudenza e cautela a lui dirette ma occorre altresì che preveda l’altrui condotta inosservante. Ma anche tale orientamento rigorista si è progressivamente “ammorbidito” fino a concludere che, anche in settori per natura pericolosi, caratterizzati dall’interazione personale di più soggetti, le norme che estendono al massimo gli obblighi di prudenza, sino al dovere di prospettarsi le altrui irregolarità, non sono sufficienti a ritenere sussistente un obbligo generale di prevedere e governare sempre e comunque il rischio derivante da violazioni altrui. Diversamente si finirebbe per condannare il soggetto che opera in tali contesti rischiosi «al destino del colpevole per definizione o, se si vuole, del capro espiatorio». (Cass. pen., sez. IV, n. 46741/2009 sempre in tema di circolazione stradale).
In tema di rischio fiscale, la Suprema Corte tributaria “rispolvera” i criteri della prevedibilità in astratto e del legittimo affidamento “temperato”, di fatto, annullandolo attraverso l’estensione della responsabilità fiscale alle responsabilità per prevedibili negligenze altrui.
Qualche interrogativo, tuttavia, sorge spontaneo.
Il primo è se, in un caso di sostanziale mono-committenza, come quello di specie in cui la società aveva quali unici clienti delle Pubbliche Amministrazioni fosse effettivamente esigibile una condotta alternativa. Peraltro, val la pena sottolinearlo, la concreta fattispecie non riguardava il ritardato versamento di IVA o ritenute, bensì di acconti IRES, rispetto ai quali è indubbiamente labile il presupposto della disponibilità delle risorse da parte del reo (in quanto ricevute dal cessionario/committente o non erogate al sostituito) solitamente valorizzata dall’orientamento giurisprudenziale più rigoristico per giustificare l’onere dell’imprenditore di accantonare quanto necessario ad adempiere all’obbligazione tributaria.
Il secondo è se la coincidenza tra il terzo “P.A. prevedibilmente inadempiente” e il Fisco “P.A. esattore puntuale” non meritasse, in qualche forma, di essere valorizzata per giungere a diverse conclusioni. Se, in sostanza, il profilo dell’equità della sanzione sollevato dal contribuente e completamente ignorato dal Collegio, non potesse essere la chiave di lettura per delineare la causa di non punibilità della forza maggiore quale vicenda estranea alla sfera di coscienza e volontà del contribuente, giacché causata proprio dal debitore pubblico che poi assume, in relazione ai medesimi rapporti, le diverse sembianze di creditore, con ciò recidendo qualsivoglia giudizio di rimproverabilità sul contribuente.
Il terzo è se non vi sia una certa “schizofrenia” nell’inquadramento della Pubblica Amministrazione in veste di debitore: da un lato la Pubblica Amministrazione è proposta debitore come tutti gli altri giacché in presenza dell’eventuale (omesso) o tardivo adempimento del debitore, la Corte specifica «sia esso P.A. oppure un privato» ricade sull’imprenditore la valutazione prognostica in ordine ai pagamenti attesi. Ma, dall’altro lato, è un debitore prevedibilmente inadempiente – e ciò è elevato a massima d’esperienza – che, di conseguenza, addossa al contribuente creditore i rischi, anche fiscali, connessi al proprio inadempimento. Con ciò il Collegio lascia intendere che, in sostanza, la Pubblica Amministrazione è un debitore “meno uguale” degli altri giacché nei suoi confronti l’eccezione di inadempimento (inadimplenti non est adimplendum) non si può sollevare. E al contribuente creditore della Pubblica Amministrazione non è perdonato alcun ritardo nel versamento dei tributi.
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La sentenza in commento non può che essere criticata da qualsiasi angolo la si voglia inquadrare.
Innnanzitutto, il criterio della prevedibilità, tanto più se intesa in senso astratto, non è del tutto consono per delimitare la forza maggiore, che ben potrebbe essere un evento esterno – naturale o umano – prevedibile e magari anche previsto ma che il contribuente non può impedire (vis maior cui resisti non potest). E qui davvero si fatica a rimproverare il contribuente in regime di sostanziale mono-committenza per aver ritardato il pagamento di acconti IRES a causa del ritardo delle Pubbliche Amministrazioni clienti. Tanto più che, come sopra chiarito, nel caso di ritardati/omessi versamenti riguardanti le imposte sul reddito al contribuente nemmeno può essere imputato l’accantonamento di somme già riscosse o, comunque, nella propria disponibilità.
L’elemento soggettivo dell’illecito è notoriamente svuotato nell’esperienza applicativa e nell’orientamento giurisprudenziale. Le cause di non punibilità che potrebbero arginare forme di responsabilità pressoché oggettiva vengono, invece, intese in senso restrittivo, fino a svuotarle, con un regime probatorio rigoroso e di fatto diabolico. Se la colpevolezza si presume, la prova della non colpevolezza è quasi un rito esoterico.
Spicca, poi, il silenzio su quanto la Corte avrebbe potuto dire in ordine al senso di giustizia delle sanzione che è, in questo caso, chiaramente e quasi intuitivamente, iniqua. Rescindere il legame tra la sanzione e la rimproverabilità del soggetto certamente non giova alla fiducia nel sistema punitivo e probabilmente tributario nel suo complesso.
(*) La rubrica – come l’intera Rivista – è aperta a tutti coloro che intendono contribuire al progresso del diritto tributario, in generale, e al miglioramento della sua applicazione, in particolare, nella specie con interventi di commento della giurisprudenza di legittimità dialogici e costruttivi, scevri di polemiche e posizioni partigiane.
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